Antonio Montanari
Tam Tama di Marzo 2002
Sommario
821. Paradossi (31.3)
820. Mal comune (24.3)
819. Concorrenza (17.3)
818. Tu quoque... (10.3)
817. La molla (3.3)
Indice del Tam Tama 2002

821. Paradossi
Il 17 agosto 1998 il prof. Marco Biagi scrisse sul Sole-24 Ore: la disoccupazione è «una vera catastrofe che sta minando l'unità del Paese, sgretolando il senso di solidarietà che dovrebbe esistere in una nazione. Tanti sono i soggetti che hanno la responsabilità di dare risposte a una questione di così grande portata. Dividersi, in senso politico o di confronto sociale, non ha molto senso: è una battaglia da combattere tutti assieme». L'articolo aveva il titolo: «E' un paradosso all'italiana».
Purtroppo siamo il Paese dei paradossi. Sul cadavere ancora caldo del prof. Biagi, il capo del governo accusa opposizione e sindacati di usare «un funesto linguaggio, degno di una guerra civile». Lietta Tornabuoni sulla Stampa commenta: per troppi oggi, democrazia significa o sei con noi o sei contro di noi. Ed aggiunge: per Berlusconi, quelli che non gli vogliono bene sono portatori d'odio.
Giuliano Ferrara, dalla 7, accusa la Tornabuoni di aver teorizzato la legittimità dell'odio. In Porta a porta, il presidente emerito Francesco Cossiga accusa con veemenza Fassino (presente) e Ferrara (assente) di aver picchiato i poliziotti nel 1980 a Mirafiori: il giorno dopo chiede scusa per l’infondatezza del suo discorso al «caro Fassino» ed all’amico Ferrara, «aristocratico bolscevico», come leggiamo nei quotidiani di venerdì 22, giorno del funerale del prof. Biagi.
La stessa sera del 22, da Santoro, il Capo della Polizia dimostra che le scorte non servono a nulla, e che le intimidazioni dirette al prof. Biagi non sono tipiche del brigatismo rosso. Il prof. Biagi aveva dunque sbagliato nel temere per la propria vita? Lo stesso 22 il premier rivendica il diritto di proseguire sulla strada delle riforme, e nasce a Parma il «nuovo riformismo» di Rutelli e della Margherita. Altro paradosso italiano: todos caballeros, e tutti riformisti. La normale (e fondamentale) differenza politica tra progressisti e conservatori (per tacere degl’immancabili reazionari) pare non esistere più. E’ un bene per la democrazia? Conservando la propria fisionomia, ogni gruppo politico può concorrere a quell’unitarietà auspicata dal prof. Biagi per la disoccupazione.
Il traguardo appare difficile: il governo nazionale agisce non come rappresentanza di tutto il Paese, ma come semplice espressione della maggioranza. Il 22 sera, mentre Ciampi raccomanda a Berlusconi dialogo fra le parti, dalle tivù il Cavaliere (registrato) parla al Paese di diktat inaccettabili dei sindacati.
Antonio Montanari [Ponte n. 13, 31.3.2002]

820. Mal comune
In un’audizione alla commissione parlamentare di vigilanza, il neopresidente della Rai, Antonio Baldassarre, ha detto: bisogna cambiare rotta nelle trasmissioni tivù. Basta con i programmi "volgari e superficiali". Si è sentito chiamato in causa il comico toscano (più vero l’aggettivo del sostantivo) Giorgio Panariello che risponde: faccio il deficiente per divertire la gente. Della frase in quasi rima baciata, forse è vera la prima parte soltanto.
Il problema è un altro: perché si è sentito coinvolto solo lui? Forse qualche primadonna crede di poter competere con Rita Levi Montalcini? Altri comici aspettano l’investitura elettorale per vedere dove tira il vento, dopo il cambio di rotta politico del nuovo consiglio d’amministrazione? Far ridere va bene, ma è meglio non piangere in proprio. Se tutti quelli che fanno programmi "volgari e superficiali" avessero risposto, avremmo assistito ad un corteo di "più di mille", quante sono le ombre dei peccatori nel quinto canto dell’Inferno. Come si dice, mal comune mezzo gaudio.
Baldassarre dovrebbe sapere che lasciando il monopolio dei programmi "volgari e superficiali" a Mediaset (toh, della famiglia del capo del governo), forse la Rai perderebbe molta pubblicità. Le trasmissioni cosiddette intelligenti (nel senso di non sceme) non fanno ascolto. Poi, presidente, permetta un suggerimento: non se la prenda soltanto con i comici e le soubrette. Non confonda la volgarità con le belle gambe ballerine. Chi ha detto che quelle racchie santifichino le feste e salvino l’anima? C’è di peggio. Esiste una categoria dello spirito nella filosofia televisiva, il cucuzzismo, fatto del vuoto intellettuale assoluto e del pettegolezzo elevato a missione pedagogica: è una specie di malattia infantile (estremistica, ed obbligatoria come il morbillo) che colpisce i telegiornali di ogni rete e tendenza.
Giulietto Chiesa, al Fatto di Enzo Biagi (7 marzo), a proposito della guerra in Afghanistan, ha detto: giornali e tivù sono "una parodia dell’informazione".
Gli amici di Raffaele Ciriello, il fotoreporter ucciso a Ramallah, hanno scritto: "Il brutto di questo mestiere è quando torni, e vedi che, di quello che hai fatto, ai giornali non interessa niente" (F. Cito); "La cose che mi fan veramente male è come veniamo trattati, tante volte, nelle redazioni: l’indifferenza per quello che hai visto, e documentato". (L. Senigalliesi).
Il cucuzzismo dilaga.
Antonio Montanari [Ponte n. Ponte n. 12, 24.3.2002]

Tama 819. Concorrenza
Per i comici, c’è molta concorrenza in giro. Il capo del governo racconta barzellette, rubando loro spazio prezioso. I monologhi da varietà, li recita Bossi quando sbraita contro l’Europa. Poi, al vertice italo-tedesco, Berlusconi dice che (sotto sotto) il capo della Lega è diverso, inducendo il cancelliere Schröder a dichiarare che «le affermazioni di quel signore non vanno prese troppo sul serio». Neppure Luciano Violante è stato preso troppo sul serio quando alla Camera ha detto: nel 1994 a Berlusconi, dal centro-sinistra fu data «garanzia piena che non sarebbero state toccate le sue tv». Lo sa anche Giannni Letta, ha aggiunto Violante. Forse per questo motivo, Letta è stato decorato da Ciampi dell’insegna di «Cavaliere di Gran Croce dell’ordine al Merito della Repubblica». Alla signora Letta, niente: è lei che prepara pranzi e crostate per i patti di governo firmati a casa sua. Le solite ingiustizie della politica maschilista.
Bossi tre anni fa se n’era uscito con un’altra affermazione comica: Slobodan Milosevic era «un grande patriota». Peccato che oggi lo processino al Tribunale dell’Aja. Sotto sotto, direbbe il Cavaliere, Bossi pensava ad altro. A che cosa, onestamente, non si sa.
Pippo Baudo ha avuto compassione dei comici, li ha soccorsi portandone camionate sul palcoscenico di Sanremo. Un’unica defezione: Giuliano Ferrara che aveva promesso di cucinare Roberto Benigni con contorno di uova e verdura. Forse lo ha trattenuto per le bretelle donna Veronica Lario in Berlusconi, azionista del Foglio, di cui Ferrara è direttore.
Benigni a Sanremo ha dimostrato di essere non un comico ma un artista di quell’umorismo che Pirandello faceva consistere nel «sentimento del contrario», il quale non è, come penserebbe Ferrara, accovacciarsi all’opposizione. Pirandello spiegò: il comico s’accorge che esistono cose che fanno ridere. L’umorista invece ci riflette sopra, con la coscienza dolorosa del vivere umano. Benigni, constatando quanto odio era stato lanciato contro di lui, ha inneggiato all’amore, recitando egregiamente la preghiera di san Bernardo alla Vergine del XXXIII canto del «Paradiso». Solo chi possiede il senso del tragico, può richiamare in tv la conclusione del viaggio della salvezza costruito da Dante. Il cui nome era ignoto al redattore del Televideo Rai che ha parlato di un poeta del Trecento. Chi lo ha assunto, la maggioranza di oggi o quella di ieri?
Antonio Montanari [Ponte n. 11, 17.3.2002]

Tama 818. Tu quoque...
Anche tu, carissimo Pinocchio, avresti origini massoniche, e Geppetto sarebbe una specie di Venerabile Maestro. Secondo Elémire Zolla, la tua è la vicenda di una iniziazione: Carlo Collodi, appartenne alla loggia di Firenze che «non era luogo di modesta cultura», anzi in essa ferveva una rinascita del pitagorismo antico; tu saresti così il protagonista di una storia esoterica che continuerebbe «un’antichissima tradizione sotterranea della letteratura italiana», presente anche in Dante.
A proposito dell’esoterismo di Dante: è tornato nelle librerie un testo di René Guénon che, quando s’interroga sui sensi delle scritture teorizzati nel «Convivio», sostiene: Dante ci avverte di cercarne quattro, ma ce ne spiega soltanto tre. Falso. Guénon vuota una casella del discorso di Dante, per riempirla a suo piacimento, con un «senso iniziatico». L’orgoglio dell’esoterismo porta ad un moto d’onnipotenza: i lettori si sostituiscono agli autori, ed al pensiero di Dante si preferisce quello del suo interprete.
L’Alighieri va stranamente di moda. In un locale consesso di specialisti nel settore della Sanità, mi dicono, è stata presentata una conferenza su Dante medico. Altra figuraccia personale, caro Pinocchio. Sapevo che Dante si era iscritto formalmente all’Arte dei medici e speziali (1295) come filosofo (la Filosofia introduceva alla Medicina), per poter partecipare alla vita politica, secondo quanto richiedevano le leggi del tempo. Ignoravo che avesse esercitato la professione perché non ne parla nessuno: nemmeno quel contaballe di Gabriele Rossetti (1783-1854), carbonaro e massone, nonché inventore della storiella secondo cui Dante e Guido Cavalcanti sarebbero stati iscritti alla setta segreta dei Fedeli d’Amore, della quale, come gustosamente scrisse Giampaolo Dossena, si può appunto dire che fu tanto segreta da non lasciar apparire nulla ai posteri.
Che cosa i Sanitari del 2002 possano apprendere su Dante medico, lo sanno soltanto gli iniziati ed i massoni.
La nostra personale speranza è che tali teorie non entrino a far parte delle nozioni della Medicina di base alla quale ci affidiamo.
Per tornare a te, Pinocchio, se anche ci dimostreranno chissà che cosa sul Gatto e sulla Volpe, ti garantisco: continuerò a credere che tipi simili nella vita s’incontrano davvero:
quando i tempi sono foschi,
ci son uomini loschi,
che gli oggetti definiti donati,
invece te li hanno rubati.

Antonio Montanari [Ponte n. 10, 10.3.2002]

Tama 817.La molla
Quando Nanni Moretti sabato 2 febbraio ha parlato a Roma ad una manifestazione politica urlando ai leader del centrosinistra che con loro non si vinceranno mai le elezioni, tutti si sono chiesti: quale molla segreta ha spinto il celebrato regista a salire improvvisamente sopra un palco, gridare come se fosse stato nella scena di un suo film e, alla fine, raccogliere un nutrito applauso, con addirittura qualche spettatore giunto in ritardo che chiedeva affannosamente un bis?
Noi conosciamo gli antefatti segreti, e qui li spieghiamo. Moretti aveva letto sul Ponte del 27 gennaio l'articolo di un mio omonimo, intitolato «La politica deve indossare nuovi panni». Una frase è rimasta impressa a Moretti: «C'è il perverso gusto di quasi tutti i politici di credersi onnipotenti». Il regista, davanti a tanta verità, ha deciso il suo attacco mettendo in subbuglio quel poco che, secondo Berlusconi, resta delle persone che non credono al Berlusconi medesimo, cioè un misero venti per cento o giù di lì, ivi compresi i pargoli degli asili.
Non sapeva l'omonimo di aver scatenato il finimondo. Un collega di Nanni Moretti, il rifondarolo Paolo Villaggio ha dichiarato che i ragionamenti del regista romano sono «da massaia». Villaggio aveva involontariamente imitato un filosofo nostro concittadino (ex socialista) che scrisse su di un foglio locale di porre fine al suo ragionare altrimenti le casalinghe non lo avrebbero più seguito. L'unità a sinistra è fatta: rifondaroli allegri ed ex socialisti melanconici concordano nel disprezzare eroicamente le donne di casa per ciò che attiene la loro (presunta) incapacità di capire la politica. Forse ha ragione il prof. Omar Calabrese: convocare i cosiddetti intellettuali (il 22 febbraio) è stato un modo per fare sentire «la gente normale ancor più lontana dalla partecipazione».
Lo stesso concetto è stato espresso dal sindaco di Rimini, Alberto Ravaioli, che ha dichiarato al «Corriere di Romagna»: il grande male del centrosinistra è «il distacco della politica dal corpo sociale». Moretti, ha aggiunto, «esprime questa difficoltà». Ed ha confidato un fioretto: «non fare più il politico se politica vuol dire distacco dalla società da cui si proviene». Il mio omonimo si è leccato i baffi, per aver scritto che oggi «la politica non è servizio per la società, non è impegno a favore di tutti», ma ricerca di ben remunerate presidenze di enti e società.
Antonio Montanari [Ponte n. 9, 3.3.2002]
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Revisione grafica, 01.04.2015