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L'HOME PAGE E I PIEDI DI MIO NONNO

Il direttore mi chiede di scrivere di case; comincio col parlare dei piedi di mio nonno.

Ricordo poche cose di mio nonno, il padre di mio padre. Passava ore e ore sdraiato sul letto; le mani dietro la nuca come piace fare a me; le gambe incrociate. Mi ricordo i suoi piedi, piedi di vecchio, bianchi e stropicciati. Una volta mi ha raccontato del suo ritorno a casa a guerra finita. Chilometri e chilometri a piedi, praticamente tutta l’Italia da un capo all’altro. Lo guardavo, guardavo i suoi piedi e allora capivo tutta quella stanchezza e tutte quelle ore a passate sul letto che sarebbe diventato il mio.

Cosa rappresentava per mio nonno la casa verso cui tornava? Che cosa significava per lui? Che senso ha per me la casa? Per adesso è un desiderio. C’è chi dice che la vera felicità sta nel desiderare e non nella soddisfazione del desiderio.

Mi sento felicemente inappagato e mi rendo conto che nella casa che verrà sto investendo troppo della mia aspettativa di felicità. Quando abiterò finalmente in una casa mia (nostra) dovrò alimentare la mia felicità con un nuovo desiderio.

Penso a tutte le città, a tutti i luoghi in cui mi piacerebbe avere una casa. Ci sono le strade che ho attraversato senza potermi fermare e che si sono fermate, loro sì, dentro di me. Lì mi piacerebbe metter su casa. Una camera in un palazzo di Alfama a Lisbona; una mansarda nel quartiere latino a Parigi; un flat vicino a Covent Garden a Londra; una baracca di legno in riva al Danubio sotto Belgrado. Poi ci sono le città che non ho mai visto ma che fanno parte di me per quello che rappresentano: Berlino, Pechino, Sarayevo, Gerusalemme, New York, Porto Alegre. Che bello sarebbe avere una casa anche lì, abitarci.

Sicuramente l’immagine di casa che abbiamo ereditato dai nostri genitori, quella del terzo porcellino, per intenderci, si è deformata con il tempo, assumendo significati diversi.

Nell’era della compressione dello spazio e del tempo, tante sensazioni meravigliose e non ancora sperimentate si intravedono da lontano e il pensiero della casa, pur sempre attraente, viene sempre più espresso nella dolce-amara emozione della nostalgia. Nella sua solidità di mattoni e calce, la "casa" genera risentimenti e ribellioni. E diventa una prigione se qualcuno ci chiude in essa dall’esterno, e se uscire da essa è una prospettiva remota o addirittura impossibile. (Zygmunt Bauman - Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone).

Ciò che ci attira veramente è fuori dalla casa, però in quel "fuori" ci sono anche gli altri, i diversi, i lupi mannari che minacciano la nostra sicurezza. Difendiamo le nostre cose attrezzando le nostre case di sofisticati e impenetrabili sistemi di sicurezza, e protetti - o rinchiusi - progettiamo le nostre evasioni. Quando non riusciamo a scappare con le nostre gambe ci sediamo davanti ad una TV o a un PC e cominciamo a navigare, chattare, sendare; quando ci perdiamo, in un attimo riusciamo a tornare indietro, nel famigliare luogo di partenza: l’home page. Abbiamo fatto fatica? Quanto ci è costato questo ritorno? Più o meno il prezzo di un’interurbana e il tributo passivo a qualche messaggio pubblicitario.

Costruiamo pure il sito web del nostro Ratafià e facciamolo diventare la nostra home page. Però mettiamoci dentro quello che nelle nostre case a volte facciamo fatica a trovare e non usiamola come la finestra da cui evadere ma come il tavolo su cui si parla e si mangia. Incontriamoci una volta di più attorno a un tavolo vero e scriviamo pure un articolo in meno. Io ci sto.

Rileggo e capisco di rasentare la pesantezza. Cercherò di rimediare, almeno nei confronti di qualcuno di voi, intervistando Mara Colla (Segretaria generale dell’Associazione Provinciale degli Inquilini Assegnatari) sul tema della casa. Penso, se sarà disponibile, di chiederle un appuntamento sui bastioni della Cittadella.

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