CEFALOPODI ASPETTI GENERALI - MORFOLOGIA e CLASSIFICAZIONE

 

Generalità

I Cefalopodi sono la classe più evoluta fra le sei che costituiscono il phylum Mollusca; attualmente, nella Classe Cephalopoda sono compresi seppie, polpi e calamari.

Questi animali, che vivono esclusivamente in ambiente marino, presentano simmetria bilaterale. Soltanto i Nautiloidea, fra i viventi, possiedono una conchiglia esterna, che si presenta avvolta e divisa in camere; negli altri Ordini la conchiglia è interna, calcarea, ridotta ad un sottile filamento corneo, o è addirittura assente. Il piede è trasformato in un organo imbutiforme che, espellendo l’acqua contenuta nel mantello, provvede allo spostamento a ritroso del mollusco, mediante un getto d’acqua. Contemporaneamente all’acqua, l’animale espelle i prodotti di rifiuto del suo metabolismo, i gameti ed ossigena le branchie, che sono in numero di due per lato. L’apparato digerente consiste in una bocca dotata di un becco corneo e di una radula, a cui seguono un esofago, uno stomaco, un intestino cieco, un intestino e un ano. Gli occhi sono particolarmente sviluppati nella maggior parte dei Cefalopodi attuali, tranne nel Nautilus, che presenta un occhio primitivo di tipo puntiforme privo di cristallino.

Le dimensioni sono molto diverse: un esemplare di Nautilus non supera i 15 cm. di diametro, mentre gli Architeutis possono raggiungere i 12 metri.

Il sistema nervoso presenta una concentrazione di gangli nella regione cefalica. La separazione tra i sessi è costante. Le uova deposte sono telolecitiche, a segmentazione discoidale. Il periodo embrionale è lungo e manca lo stadio larvale. Lo studio degli ottopodi attuali dimostra che il loro sistema nervoso è ben organizzato, in modo da poter far tesoro dell’esperienza; le femmine, inoltre, sono in grado di accudire e proteggere la prole.

La maggior parte delle specie è predatrice carnivora, si nutre di pesci e crostacei, mentre le forme che vivono in prossimità dei fondali si nutrono di crostacei, piccoli pesci e molluschi.

I Cefalopodi attuali si dividono in due classi: Dibranchiati, dotati di un solo paio di branchie e di otto o dieci tentacoli, di occhi sviluppati e di sacco dell’inchiostro. I Tetrabranchiati possiedono una conchiglia esterna, due paia di branchie, molte braccia, occhi assai primitivi e sono privi del sacco dell’inchiostro. Dal punto di vista paleontologico, la classe dei Cefalopodi si divide in tre sottoclassi: Nautiloidea, Ammonoidea e Coleoidea.

I più antichi rappresentanti dei Cefalopodi costituiscono la sottoclasse Nautiloidea, che compare nel Cambriano, è diffusa in tutto il Paleozoico con i numerosi ordini e innumerevoli forme, si riduce fortemente nel Mesozoico, quando subisce l’esplosione della sottoclasse Ammonoidea, si riduce ulteriormente nel Cenozoico ed è residuale nel Quaternario. Attualmente è vivente il solo genere Nautilus, rappresentato da cinque o sei specie a seconda dei vari autori: N. pompilius, N. macromphalus, N. stenomphalus, N. scrobiculatus e N. repertus; la conoscenza della loro anatomia è utilizzata per deduzione per interpretare l’anatomia delle forme fossili.

Il Nautilus attuale vive nel Pacifico sud occidentale, dalle isole Fiji allo stretto di Malacca.

 

             

           Phylum Mollusca

 

 


Classi                                                                             Rostroconchia

 

Aplacophora

                         Pelecypoda

                                                                                              Scaphoda

                Polyplacophora

                                                       Monoplacophora  Cephalopoda Gastropoda

                                                                          

 

 

Cephalopoda     

                                                                          

                                                                                             

 

 

Sottoclassi

        

Bactritoidea                                                                           Ammonoidea

(Devoniano sup.-Triassico,                                                          (Dev. Inf. – Creta)             ~ 30 generi)

                                                                                                                                                      Nautioloidea                                  

                                      (Cambriano sup.-attuale;  

                                               ~ 700 generi)                        

                                                                                                 Coleoidea

                                                                              (Dev. Inf.-Att.,~300 g.)

                                                                                                                                                     

Ordini

 

 

 

      Endoceratida                                                                 Nautilida                                                                 

 

                                                                                                                                     

 

                               Oncoceratida                                                        Discosorida

                                                        Tarphyceratida       Orthoceratida

 

Schema tassonomico del phylum Mollusca (secondo Pojeta jr, in Boardman, Cheetham & Rowell, 1987)

 

 

fig. 1 – Sezione equatoriale della conchiglia di un Nautilus.

La conchiglia esterna

La conchiglia è composta da carbonato di calcio nella forma cristallina d’aragonite, e da sostanze organiche. È divisa in tre strati: uno esterno organico, il «black film» degli autori anglosassoni, uno strato porcel-lanaceo e uno madreperlaceo.

Lo strato porcellanaceo è composto nella sua parte esterna da microscopici cristalli di aragonite, uniti tra loro da una matrice di conchiolina scura. Periodi di non deposizione lasciano un’impronta sullo strato porcellanaceo, formando linee o strie d’accrescimento.

Lo strato madreperlaceo costituisce i setti ed è formato da lamelle di cristalli cilindrici d’aragonite alternati a conchiolina.

La conchiglia esterna, sia essa diritta o avvolta, è riconducibile ad un cono, variabile nelle dimensioni e nella curvatura; generalmente presenta simmetria bilaterale. Si possono distinguere diversi tipologie di guscio: si parla di gusci ortoconi se diritti, cirtoconi se curvi, longiconi se lunghi ed affusolati, breviconi se corti e tozzi. La maggior parte delle conchiglie avvolte mostra un avvolgimento secondo una planispirale a simmetria bilaterale. Ciascun giro a 360° si dice giro di spira. Il centro di una conchiglia planispirale è detto ombelico. Le conchiglie con ombelico ampio che mostrano tutti i giri sono dette evolute, quelle in cui l’ombelico è piccolo e l’ultimo giro ricopre i precedenti sono dette involute. Esistono vari tipi di sovrapposizione dei giri di spira, e di conseguenza una gradazione tra le forme evolute e quelle involute.

Alcune conchiglie di Cefalopodi del Siluriano, del Devoniano e del Mesozoico si avvolgono in modo asimmetrico, e vengono per questo motivo dette torticone. Un caso estremo di avvolgimento è rappresentato da un genere eteromorfo dell’ammonite cretacea Turrilites, che esternamente è simile ad un gasteropode.

Le forme ricurve o avvolte nelle quali il ventre è sul lato convesso esterno sono dette esogastriche, mentre quelle in cui la parte dorsale è sul lato convesso, sono dette endogastriche. Anche la posizione relativa del seno iponomico aiuta alla definizione di conchiglie esogastriche ed endogastriche.

Anteriormente, nella parte più ampia della conchiglia, è situata una camera indivisa che ospita le parti molli, e che è detta camera d’abitazione. Durante l’accrescimento, l’animale si sposta in avanti e costruisce dietro di sé, nella parte posteriore della camera d’abitazione, un nuovo setto. La forma più semplice di camera d’abitazione, detta «aperta», si espande in modo uniforme dalla base fino all’apertura, e il suo diametro è superiore rispetto a qualunque altra sezione della conchiglia.

Un’apertura che presenta inizialmente un diametro maggiore che successivamente diminuisce si definisce «contratta».

Il caso opposto è quello dell’apertura «costretta», in cui la camera d’abitazione presenta il diametro minimo poco prima dell’apertura; a questo restringimento, detto collo, segue immediatamente una svasatura.

L’ornamentazione esterna è variabile: la più comune e semplice è rappresentata da linee di accrescimento con andamento più o meno perpendicolare all’asse longitudinale. Si riscontrano in alcuni casi le cosiddette striae, sottili solchi paralleli intervallati da linee rilevate, che possono presentare un andamento parallelo o normale all’asse longitudinale.

Le coste sono strutture solitamente più distanziate, sempre rilevate, con andamento in prevalenza longitudinale. Le annulazioni costituiscono ispessimenti trasversali. Si possono poi trovare ulteriori ornamentazioni: nodi, spine, tubercoli, e molte altre, specialmente nella sottoclasse Ammonoidea.

L’apertura presenta un’insenatura più o meno profonda, il seno iponomico, che si trova sul lato ventrale e favorisce la fuoriuscita dell’imbuto. Il margine aperturale è detto peristoma.

La parte del guscio suddivisa in camere da setti trasversali è detta fragmocono. Questo prende inizio da una camera apicale detta protoconca, alla quale si dedica particolare attenzione in quanto rappresenta lo spazio fra l’apice del fragmocono ed il primo setto, e la sua forma può essere piuttosto varia. Il paleontologo tedesco Ristedt nel 1968 ha pubblicato una monografia proponendo una revisione dei Nautiloidea sulla base della forma delle protoconche e degli stadi giovanili di questi molluschi.

In molti Nautiloidi l’estremità apicale del sifuncolo, detta caecum, è saldata al fondo della camera iniziale e sulla parete esterna di molte forme rimane una piccola depressione, detta cicatrix.

 

 

Le parti interne della conchiglia

Internamente, la conchiglia è divisa in camere da diaframmi detti setti. Una conchiglia di Nautilus adulto presenta un numero di camere variabile fra 33 e 36. Lo spazio fra l’ultimo setto e l’apertura occupa circa 1/3 - ½ dell’ultimo giro. I setti sono composti da aragonite madreperlacea e sono concavi verso la camera d’abitazione, che si trova in posizione adorale.

I setti diventano tangenti alla parete della conchiglia esterna formando una «linea di sutura», che è una linea formata dall’unione del setto con la parete laterale della conchiglia, molto importante per la definizione delle selle e dei lobi. Le selle sono formate dalle ripiegature del setto rivolte verso l’apertura, mentre i lobi sono le stesse strutture che si allontanano da essa. Nella sottoclasse Ammonoidea possono essere di vari ordini. La linea di sutura è ben visibile nei modelli interni e può essere semplice o complessa, presentando profonde ondulazioni. Queste ripiegature hanno probabilmente la funzione di irrobustire il fragmocono al fine di contrastare la pressione idrostatica esterna gravante su di esso.

Le linee di sutura vengono rappresentate sviluppandole sul piano. Essendo simmetriche, solitamente se ne proietta soltanto metà, procedendo dalla parte ventrale verso quella dorsale. Per convenzione, si è soliti marcare la linea mediana di simmetria con una freccia rivolta verso l’apertura.

Il sifuncolo è un tubicino che collega tutte le camere attraversando i setti, generalmente in posizione centrale nei nautiloidi, marginale negli ammonoidi e coleoidi. Nel sifuncolo si possono distinguere un endosifuncolo costituito da parti molli, comprendenti i vasi sanguigni, ed un ectosifuncolo, che è costituito dai collaretti settali e dagli anelli di connessione che collegano i collaretti fra loro. Nel genere Nautilus, la parte costituita dai tessuti molli è detta corda sifonale, o sifuncolare, mentre la parte esterna, inorganica e più o meno mineralizzata, è detta ectosifuncolo. Quest’ultimo generalmente è poroso e composto da carbonato di calcio e conchiolina, mentre lo spazio ad esso interno si definisce, per convenzione, endosifuncolare.

Se i collaretti sono ripiegati verso l’apice sono detti retrocoanitici, se sono rivolti verso l’apertura si dicono procoantici. Possono essere inoltre più o meno sviluppati ed assumere diverse morfologie. Il sifuncolo di alcuni Cefalopodi fossili può presentare depositi endosifuncolari. Questi depositi si dicono episettali se si trovano sulla parte anteriore del setto, iposettali se si trovano sulla parte posteriore, murali se si trovano sulle pareti laterali delle camere. Questi depositi camerali hanno probabilmente la funzione di bilanciare la spinta verso l’alto che il fragmocono subisce a causa della presenza di gas all’interno delle camere, e quindi mantenere un assetto di vita orizzontale, soprattutto per le forme longicone. Vari autori hanno ipotizzato l’esistenza di un mantello camerale per spiegare la presenza di questi depositi, ma l’unica forma attualmente vivente con la quale si possono fare confronti non presenta strutture di questo tipo. Nelle forme planispirali il problema della stabilità è in parte risolto perché il centro di gravità (baricentro) e quello d’equilibrio si trovano sullo stesso asse.

Gli adattamenti idrostatici che regolano la posizione dell’animale, in modo tale che ogni movimento sia sempre perfettamente controllato, sono molto importanti. I sistemi grazie ai quali i Cefalopodi dotati di conchiglia esterna regolano la loro posizione sono due: aggiungendo e sottraendo liquido dalle camere del fragmocono, oppure aggiungendo e sottraendo gas.

Nel primo caso è stato dimostrato che le nuove camere sono in origine piene di liquido molto simile per composizione all’acqua marina; in corrispondenza con la calcificazione di un nuovo setto, il sifuncolo rimuove gli ioni di sale da questo liquido, rendendolo sempre più iposmotico rispetto al liquido all’interno del sifuncolo. Le differenze di osmolarità creano un gradiente osmotico che causa il movimento del liquido dalla camera verso il sifuncolo. Con l’aumento della profondità, la pressione idrostatica si oppone al movimento del liquido verso il sifuncolo, perché la pressione all’interno di esso è in equilibrio con la pressione idrostatica. Per questa ragione, il nautiloide, per poter eseguire l’operazione di svuotamento, migra verso la superficie, dove la pressione idrostatica è più bassa.

A profondità maggiori, la differenza di pressione fra la camera e l’interno del sifuncolo è all’incirca di 30 atmosfere. Lo svuotamento delle camere avverrà solo se la pressione osmotica prodotta dalla concentrazione salina sarà maggiore della pressione idrostatica, e il grado di svuotamento dipenderà dalla differenza fra questi due valori. Se la pressione idrostatica supera la pressione osmotica, le camere si svuoteranno molto lentamente.

Nel secondo caso si considerano le camere piene di gas, e quindi si ipotizza che il corpo dell’animale sia solidale alla conchiglia lungo due linee sinuose sul fianco, ma non sulla superficie concava dell’ultimo setto; un volume riempito di gas tra questo setto ed il corpo potrebbe essere alterato dalla contrazione muscolare, in modo da comprimere o rarefare il gas, aumentando o diminuendo in questo modo la pressione del gas contenuto nelle camere del fragmocono.

Fig. 2 – Sezione e nomenclatura di un ortocono.

 

 

 

 

 

 

SINTESI GEOLOGICA DELLA SARDEGNA

 

 

Fig. 1 - schema strutturale del basamento sardo. 1: copertura post-ercinica; 2: batolite ercinico; 3: complesso ad alto grado di metamorfismo; 4: falde interne; 5: falde esterne; 6: zona esterna; 7: linea Posada – Asinara; 8: falde principali.

ORDOVICIANO

Le unità litostratigrafiche della sequenza ordoviciana della Sardegna sud occidentale sono state descritte da Leone et alii nel 1991, con aggiornamenti da Leone et al., 1998; per riassumere, queste unità sono costituite da:

 

FORMAZIONE DI MONTE ARGENTU («PUDDINGA» auct.)

Nella Sardegna meridionale, la successione autoctona inizia con conglomerati rossastri, siltiti ed arenarie (“unità a”, Cocozza e Leone, 1977; “unità a1-a3”, Hamman et al., 1990). Dal punto di vista litologico, la formazione di Monte Argentu può essere suddivisa in tre unità (Laske et al., 1994): Membro di Punta sa Broccia, Membro di Riu is Arrus e Membro di Medau Murtas.

Il membro di Punta sa Broccia è composto principalmente da conglomerati rossastri per lo più non fossiliferi, con strati di siltiti ed arenarie (“unità a”, Laske & Bechstadt, 1987-1989; “unità a1”, Hamman et al., 1990).

In molte località dell’Iglesiente, e in particolar modo nell’area di Nebida e Bacu Abis, si notano intercalazioni di brecce calcaree, in parte dolomizzate, nei conglomerati basali, che si sovrappongono alla Discordanza Sarda; seguono siltiti e scisti dello spessore di 150 metri ed ancora, ma in quantità minore, siltiti e arenarie grigio verdi. Nella località in cui il Membro di Punta sa Broccia inizia a formarsi, vengono coperti gli scisti erosi della formazione di Cabitza o del Calcare Ceroide del gruppo di Gonnesa (Pillola, 1990).

Alla base di questo membro, nella regione del Sulcis e in alcune zone dell’Iglesiente, sono presenti spessi strati di conglomerato. Inoltre, nell’area di Narcao e Rosas, le siltiti sono intercalate da calcari, in parte dolomizzati, in sottili strati o “lenti” (Poll, 1966; Fiori, 1977). Il contenuto fossilifero è scarso sia nella zona superiore sia nella zona inferiore di questo membro.

Membro di Riu is Arrus

Il membro precedentemente descritto è sovrastato da siltiti grigie localmente fossilifere di una  potenza variabile fra 20 e 90 metri e da scisti con alcune intercalazioni d’arenarie sia superiormente sia inferiormente. Nella sua parte basale possono anche essere presenti alcuni strati di conglomerato a grana fine. A causa della sua vasta presenza nella regione dell’Iglesiente e del suo colore marcatamente grigio, quest’unità può essere considerata regionalmente come orizzonte guida. In passato questi sedimenti grigi furono menzionati da Taricco (1922) e Maxia (1976).

Membro di Medau Murtas

Le siltiti grigie e gli scisti precedentemente menzionati sono seguiti da una sequenza di oltre 150 metri di potenza di siltiti ed arenarie prevalentemente rosse e parzialmente verdi. Subordinatamente, si possono anche trovare livelli di conglomerati a grana fine. Alla base del membro, dove esso costruisce il suo primo episodio sedimentario si possono rinvenire livelli più spessi di conglomerato di varia granulometria. Nella regione dl Sulcis le siltiti del Membro di Medau Murtas mostrano intercalazioni calcaree sotto forma di sottili strati o lenti, almeno nell’area di Narcao e Rosas (Poll, 1966; Fiori, 1977).

Ad eccezione di rare tracce fossili nell’area di Bacu Abis (Pillola, 1981; Loi et al., 1995) il contenuto fossilifero della Formazione del Monte Argentu è scarso; solo nel Membro di Riu is Arrus Hamman et al., 1990 riportano un insolito trilobitomorfo, Tarricoia arrusensis.

A causa della mancanza di fossili biostratigraficamente significativi, la sequenza di Monte Argentu non può essere datata direttamente. Leone et al. (1988) riportano l’inizio della sedimentazione di questa formazione nel primo Caradociano (Souldeyano).

 

FORMAZIONE DEL MONTE ORRI

Questa formazione consiste quasi esclusivamente di una sequenza silico-clastica di siltiti grigio-verdi. Nella sezione tipo mostra uno spessore di circa 100 metri. Limiti: la base della formazione mostra un contatto graduale col membro superiore della “Puddinga” ed è riconoscibile da un cambiamento di colore rispetto a quelli rossi già depositati.

Nell’area di Fluminimaggiore la formazione di monte Orri contiene fossili marini tra i quali ricordiamo brachiopodi (articolati e inarticolati), bivalvi e trilobiti.

L’ambiente deposizionale è caratterizzato da una sedimentazione molto irregolare, in prevalenza di materiale sabbioso con ichnofossili tipo “Skolithos”. Il livello del mare ha subito un rapido abbassamento, inoltre la concentrazione di grandi quantità di fauna marina solo in alcuni livelli e l’abbondanza di lingulidi in altri, potrebbe far pensare ad una variazione di salinità (Havliček et al., 1987).

 

formazione di portixeddu

La formazione consiste principalmente di siltiti e scisti grigio-scuri altamente fossiliferi, contenenti localmente noduli fosfatici e di pirite. Lo spessore stimato di questa litologia varia dai 50 ai 100 metri. Il limite inferiore può essere stabilito appena sopra ai livelli d’arenarie grossolane della Formazione di Monte Orri, che può essere anche conglomeratica e non contenere fossili. Il limite superiore giace alla base del membro arenitico di Maciurru. Questa formazione, altamente fossilifera, ha fornito la maggior parte della fauna ordoviciana, consistente in brachiopodi, briozoi, crinoidi, gasteropodi, cornulitidi, conularidi e tetracoralli vari. Tutti questi depositi sono tipici di piattaforma.

 

formazione di domusnovas

Questa formazione comprende due unità litologiche: il membro di Maciurru, per lo più arenaceo e scarsamente fossilifero, e il membro di Punta S’Argiola, marnoso. Una caratteristica peculiare di quest’ultimo è il colore rosso delle rocce, che permette l’identificazione nonostante lo spessore del primo membro sia estremamente ridotto o assente. La colorazione rossa delle argilliti, derivante dalla diagenesi dell’ematite, indica un alto contenuto di componenti ricchi in ferro (chamosite-gothite). Il primo membro è scarsamente fossilifero; nella parte inferiore della sezione si trovano brachiopodi, briozoi e crinoidi. Cocozza e Leone (1977) suggeriscono una sedimentazione di tipo regressivo per il membro di Punta S’Argiola, in relazione alla glaciazione dell’Ordoviciano superiore; molte evidenze sedimentologiche suggeriscono infatti condizioni di alta energia a tendenza regressiva. La parte mediana e quella inferiore del secondo membro è sicuramente la più ricca in fossili: briozoi, crinoidi, cistoidi, trilobiti, brachiopodi. Nella parte superiore del membro si trovano numerosi resti di cefalopodi ortoconi, dei quali è conservato il sifuncolo con ampi depositi endosifuncolari, tipici degli Actinoceratidi ed Endoceratidi.

 

FORMAZIONE DI RIO SAN MARCO

Questa formazione è costituita da depositi clastici, per lo più da torbiditi, ed è suddivisa in quattro membri: Punta Arenas, Cuccurruneddu, Serra Corroga e Girisi. Il membro di Punta Arenas è assai sottile, con strati brecciati e conglomerati di colore verde, in cui prevalgono clasti di origine vulcanica (Beccaluva et al., 1981), alternati con siltiti grigio verdi e scisti silicei. Negli scisti neri si possono trovare rari frammenti di briozoi, mentre, negli strati presentanti una breccia molto fine, si rinvengono due specie di graptoliti, per il cui riconoscimento occorre fare riferimento, rispettivamente, a Dr. H. Jaeger e Dr. P. Storch. La presenza di materiali vulcanici in quest’unità suggerisce una contemporanea attività vulcanica nella zona, anche se la sorgente di questi clasti rimane comunque molto difficile da stabilire. La varietà della facies è probabilmente in relazione con un’attività vulcanica abbastanza complessa, sia sottomarina sia subaerea. Inoltre, si possono descrivere fenomeni d’eruzioni magmatiche all’interno di sedimenti plastici. Caratteristici di questo membro sono anche alcuni livelli di origine torbiditica. I responsabili di questi processi potrebbero essere stati i movimenti tettonici, come suggerito dall’incremento della batimetria, ma anche processi erosivi, influenzati dalla regressione glacioeustatica ordoviciana (Berry & Boucot, 1973; Brenchley & Newall, 1980; Brenchley, 1988). Il membro di Cuccurruneddu ha una litologia che consiste in una ripetizione ritmica di strati di torbiditi pelitico-arenacee, di un colore che varia dal grigio al grigio chiaro. Gli intervalli arenacei sono composti esclusivamente da quarziti micacee. L’unità è praticamente priva di macrofossili, mentre si possono notare molti tipi di ichnofossili. In alcuni orizzonti pelitici sono conservati acritarchi e chitinozoi (Del Rio et al., 1979). Anche in questo membro, come nel precedente, la deposizione è di tipo torbiditico. Mancano tuttavia studi dettagliati ed analisi sedimentologiche approfondite, ed è quindi impossibile mettere in relazione queste torbiditi con una facies ben definita. Il membro di Serra Corroga presenta una litologia di siltiti molto fini di colore grigio scuro e verde scuro, con laminazioni molto sottili di tipo varvale. Queste strutture sono certamente correlate a correnti di torbida di bassa densità. La porzione inferiore del membro di Girisi presenta un’alternanza di siltiti grigio scure ed argilliti con arenarie molto fini, mentre la parte superiore è formata da siltiti e argilliti altamente micacee e per lo più massive, interstratificate con arenarie molto fini. I fossili sono molto rari: si trovano soltanto frammenti di modelli esterni di brachiopodi articolati e di crinoidi, immersi in una matrice pelitica scura. Nella parte superiore sono stati rinvenuti anche acritarchi (Del Rio, Leone & Pittau, 1979). I sedimenti di questa formazione hanno molte caratteristiche in comune con le facies glaciomarine della parte superiore della successione ordoviciana europea, e sono interpretati come materiali eterogenei, trasportati attraverso ghiacci galleggianti e depositatisi in ambiente di mare aperto all’interno della normale sedimentazione pelagica (Brenchley & Štorch, 1989).

 

SILURIANO E DEVONIANO

Per quanto riguarda gli affioramenti siluro-devoniani della Sardegna sud occidentale, sono state proposte tre unità litostratigrafiche formali: Formazione di Genna Muxerru; Formazione di Fluminimaggiore; Formazione di Mason Porcus. La successione di questi terreni è costituita da una sequenza sedimentaria di circa 200 metri di potenza, affiorante in maniera più o meno discontinua da Pula a Capo Frasca, ed è fortemente tettonizzata a causa dell’accavallamento dell’unità dell’Arburese. Inoltre presenta effetti locali di metamorfismo di contatto dovuti all’intrusione di rocce magmatiche. Fra le principali litologie che si riscontrano, occorre ricordare le argilliti nere e gli scisti siltitici (Formazione di Genna Muxerru); i calcari scuri e i calcari scuri bioclastici a cefalopodi (Formazione di Fluminimaggiore) e i calcari nodulari e le siltiti (Formazione di Mason Porcus). In particolare, la formazione di Genna Muxerru, oltre alle argilliti nere ricche in silice, presenta scisti siltitici con contenuto di carbone e pirite variabile dal 10% al 30%. Gli scisti sono talvolta interstratificati sia con selci a radiolari, sia con arenarie scure a grana fine. In generale, questa formazione presenta estesi fenomeni tettonici, tanto che in alcuni casi la scistosità dominante oscura la direzione della stratificazione. A sud ovest di Cuccuruddu Genna Muxerru si notano argilliti nere localmente modificate in chiastolite a causa del contatto con i vicini graniti. Lo spessore della formazione nell’area tipo è stimabile sui 20-25 metri, anche se pieghe e faglie rendono praticamente impossibile una determinazione esatta. Il contenuto fossilifero è rappre-sentato prevalentemente da graptoliti più o meno deformati da clivaggio. Il contatto con i terreni del sottostante Ordoviciano non è esposto chiaramente, anche se esso è visibile ad est del paese di Fluminimaggiore. Anche il contatto superiore con le formazioni seguenti  è poco visibile, e sembra essere gradatamente interstratificato da calcari e argilliti scure. Nell’area tipo la formazione è intersecata dall’unità dell’Arburese.

La formazione di Fluminimaggiore presenta un’alternanza di livelli calcarei neri d’aspetto lenticolare, presentanti solitamente numerosi nautiloidi, intersecati da peliti scure e rocce argillose. Prevalentemente, questi corpi lentiformi sembrano non aver sofferto alcun clivaggio, e la maggior parte dei fossili contenuti ha conservato un aspetto tridimensionale (Gnoli et al., 1979). Lo spessore esatto della formazione , a causa di intensi fenomeni tettonici, è difficilmente misurabile, anche se è possibile stimarne una potenza di circa 45 metri. Per quanto riguarda l’ambiente deposizionale della formazione, nell’intervallo Wenlock-Ludlow studiato in dettaglio da Gnoli et al.nel 1979, si può concludere che questi sedimenti sono stati depositati in un mare epicontinentale di limitata profondità, in condizioni di normale ossigenazione, ricco di forme esclusivamente pelagiche nelle sue parti superiori, ma tossico verso il fondo. Recentemente Gnoli e Serpagli, 1985, in conformità con i nuovi dati, come il ritrovamento di bivalvi da parte di J. Kříž, suggeriscono che il fondo non doveva essere costantemente tossico e che l’interfaccia dell’Eh oscillava verticalmente (dati confermati anche da Kříž, 1989). Secondo Havliček, 1974, il Siluriano sembra essere caratterizzato da un regime di scarsa sedimentazione, e le condizioni anossiche persisterebbero fino alla fine del periodo. La distribuzione delle biofacies dei “calcari a Cefalopodi” può considerarsi limitata alla regione della Protetide, in quanto i cefalopodi si sono sviluppati, presumibilmente, nelle acque tropicali del margine settentrionale del Gondwana.

 

La formazione di Mason Porcus è composta per la maggior parte di carbonati, e costituisce la più importante espressione topografica delle formazioni siluro-devoniane dell’area Iglesiente-Sulcis. La totalità delle formazione non è esposta in una singola sezione dell’area tipo, e per coprire l’intera formazione si è dovuto fare riferimento a diverse sezioni; la litologia principale è quella dei calcari nodulari, spesso finemente stratificati ed anche massivi, alternantisi con siltiti e scisti ad emitrochi e frammenti di steli di crinoidi. All’interno della sequenza è possibile osservare un “Mound” carbonatico a Stromatactis di aspetto lenticolare, affiorante a Monte Padenteddu nel Sulcis meridionale. Localmente questa formazione può raggiungere i 160 metri. Per quanto riguarda il contenuto fossilifero, si nota una dominanza di dacrioconaridi (Gnoli, 1983), conodonti (Serpagli et al., 1978; Olivieri, Mastrandrea & Serpagli, 1980; Olivieri & Serpagli, 1990) ed ostracodi (Gnoli, 1985). In Sardegna, l’orogenesi Ercinica ha prodotto falde tettoniche che sono state “spinte” verso la zona esterna da nord ovest a sud est (Carmignani et al., 1992). Queste falde si sovrappongono in parte alla successione paleozoica autoctona del Sulcis-Iglesiente e comprendono parecchie unità tettoniche formate da rocce sedimentarie (in prevalenza terrigene) che si sono depositate fra il Cambriano medio ed il Carbonifero inferiore. Queste unità mostrano differenti gradi di metamorfismo.

Le rocce fossilifere siluro-devoniane sono abbastanza diffuse nella Sardegna sud-orientale ed appartengono all’Unità del Sarrabus e all’Unità del Gerrei, le unità che hanno subito in misura minore il metamorfismo della cintura a falde della Sardegna. La successione paleozoica della regione del Gerrei è costituita da una potente formazione silico-clastica (Arenarie di San Vito) contenente acritarchi Cambro-Tremadociani, che sono sovrastati (“Discordanza Sarrabese”) da metavulcaniti acide (“Porfiroidi”), d’età Pre-Caradociana. I sedimenti fossiliferi del Caradoc-Ashgill, consistenti di conglomerati, arenarie e siltiti, giacciono su metavulcaniti più vecchie. Nella parte alta della sequenza si trovano calcari totalmente o parzialmente silicizzati. La successione prosegue prima con argilliti liditiche nere (LGS = Lyditic black shales) e calcari di età siluriana (Ockerkalk facies) ed ancora con calcari marnosi contenenti dacrioconaridi (Devoniano medio-inf.). La sequenza Devoniano sup.- Carbonifero inf. termina con calcari pelagici (Calcari a Clymeniae Auct.), conglomerati e siltiti legate a un complesso flyscioide dell’Orogenesi Ercinica.

 

LA SEZIONE DI SAN BASILIO FENUGU (Da Corradini et al., 2001)

La sezione studiata è esposta sul versante meridionale della collina di quota 444 m denominata Cuccurru Fenugu (Carta Tecnica della Sardegna), a circa 1600 m ad Est-Sud-Est di San Basilio (figura 2).

Fig. 2 - schizzo geologico dei dintorni del paese di San Basilio. La sezione studiata è indicata dalle lettere A-B e B-C.

 

La sequenza delle litologie, dal basso all’alto, è la seguente (fig. 3):

-         Siltiti fossilifere grigio-verdi dell’Ordoviciano superiore;

-         argilliti nere (cataclastiti) con liditi (Siluriano inferiore?) (22 m)

-         circa 20 m di argille marnose e calcari marnosi e calcari grigio-bluastri a dacrioconaridi;

-         argilliti grigio verdi (cataclastiti) (circa 10 m);

-         “Ockerkalk” (22 m) da cui proviene la maggior parte dei nautiloidi studiati;

-         sottili cinture di cataclastiti;  

-         spessa sequenza (20 m) di livelli calcarei intercalati con argille grigio verdi, portanti dariconaridi, crinoidi, loboliti e qualche trilobite;

-         argille grigio verdi (8 m);

-         circa 13 m di facies tipo Ockerkalk;

-         contatto tettonico seguito da un’anticlinale inversa composta da calcari a facies Ockerkalk, seguite da argilliti grigio verdi, che passano gradatamente verso l’alto a marne e calcari nodulari (45 m);

-         sottile cintura a cataclastiti

-         argille grigio verdi (9 m);

-         calcari argillosi blu verdi (6 m).

 

Fig. 3 – colonna stratigrafica della sezione di San Basilio Fenugu.

 

 

 

La sequenza paleozoica termina verso la cima della collina ed è coperta da sedimenti clastici miocenici.

 

Biostratigrafia

L’età della fauna a conodonti è compresa tra il tardo Siluriano ed il Frasniano, ma alcuni intervalli non sono documentati nella sezione di San Basilio Fenugu. Sono state distinte le seguenti biozone:

Zona ad Ancoradella ploeckensis (Ludlow, Siluriano superiore)

La zona ad A. ploeckensis è stata riscontrata nel campione SBF 5 per la presenza del marker Ancoradella ploeckensis Walliser, 1964. La fauna comprende anche Ozarkodina exc. excavata (Branson & Mehl, 1934), Kockelella v. variabilis Walliser, 1957 ed Oulodus siluricus (Branson & Mehl, 1934).    

Zona a Polygnathoides siluricus (Ludlow, Siluriano superiore)

È stata riscontrata nei campioni SBF 3 e SBF 4. Oltre al marker, Polygnathoides siluricus Branson & Mehl, 1934, la fauna comprende Oz. exc. excavata (Branson & Mehl, 1934), Oz. confluens (Branson & Mehl, 1934) e Coryssognathus dubius (Rhodes, 1953).

Zona a Ozarkodina crispa (Ludlow, Siluriano superiore)

È stata riscontrata nel campione SBF 2. L’associazione è abbastanza ricca e comprende Ozarkodina crispa (Walliser, 1964), Oz. rem. eostenhornensis s.l., Oz. snajdri (Walliser, 1964), Oz. exc. excavata (Branson & mehl, 1934), Oulodus el. elegans (Walliser, 1964), Pelekysgnathus cf. index (Klapper & Murphy, 1975), Pseudooneotodus beckmanni (Bischoff & Sannemann, 1957), Ps. bicornis Drygant, 1984, Belodella resima Philip, 1965 e Panderodus recurvatus (s. l.).

Intervallo ad Ozarkodina remscheidensis (Přídolí, Siluriano superiore)

È la biozona più diffusa nella sezione, essendo stata riscontrata negli intervalli SBF 1, 7A, 8, 9, 11, 11A e 12. Inoltre, è possibile affermare che i campioni SBF 8, 11 e 12 appartengono alla parte superiore della zona per la presenza di Oz. rem. Remscheidensis (Ziegler, 1960). La fauna include anche Oz. rem. eosteinhornensis (Walliser, 1964), nei morfotipi a e b, Oz. exc. excavata (Branson & Mehl, 1934), Oz. confluens (Branson & Mehl, 1934), Coryssognathus dubius (Rhodes, 1953), Oul. el. elegans (Walliser, 1964), Oul. siluricus (Branson & Mehl, 1934), Pseudooneotodus beckmanni (Bischoff & Sannemann, 1957) e Ps. bicornis Drygant, 1984.

Zona a Oulodus elegans detortus (Pridoli, Siluriano superiore)

Viene riscontrata nei campioni SBF 7, SBF 9 e SBF 10. Oltre al marker, la fauna include Oz. rem. remscheidensis (Ziegler, 1960), Oz. rem. eosteinhornensis (Walliser, 1964), Oz. exc. excavata (Branson & Mehl, 1934), Coryssognathus dubius (Rhodes, 1953), Ps. bicornis Drygnant, 1984 e Belodella resima (Philip, 1963).

Zona delta (Lochkoviano, Devoniano inferiore)

È rappresentata dal campione SFB 6. La fauna include Ancyrodelloides limbarcarinatus Murphy & Matti, 1982, A. transitans (Bischoff & Sannemann, 1957), A. trigonicus Bischoff & Sannemann, 1958, Icriodus angustoides alcolae Carls, 1969 e Ps. beckmanni (Bischoff & Sannemann, 1958).

Zona a pesavis (Lochkoviano, Devoniano inferiore)

Il campione SBF 10b presenta un contenuto faunistico molto povero; tuttavia, la presenza di Oz. pandora (Murphy & matti, 1982) morfologia e, suggerisce una datazione alla zona pesavis. È anche presente Belodella sp.

 

Intervallo a kitabicus-excavatus (Emsiano, Devoniano inferiore)

Il campione SBF 10a presenta un contenuto fossilifero molto scarso e mal conservato. Il ritrovamento di un paio di frammenti di Polygnathus cf. dehiscens e qualche esemplare di Pandorinellina steinhornensis permettono di attribuirlo all’intervallo a kitabicus-excavatus.

La zona superiore a rhenana (Frasniano, Devoniano sup.)

La zona è identificata dal campione SBF 13 per la presenza di Icriodus alternatus alternatus Branson & Mehl, 1934 e di Ancyrodella ioides Ziegler, 1958. L’associazione include anche Ancyrodella cf. buckeyensis Stauffer, 1938, Ancyrognathus triangularis Youngquist, 1945, Palmatolepis hassi Müller & Müller, 1957 e Polygnathus procerus, Sannemann, 1955.

Conclusioni

Sono state documentate cinque biozone del Siluriano superiore (A. ploeckensis, Pol. siluricus, Oz. crispa, Oz. remscheidensis, Oul. el. detortus), tre del Devoniano inferiore (delta, pesavis, kitabicus-excavatus) ed una del Devoniano superiore (rhenana).

Di seguito la sezione geologica A-B-C riportata nello schizzo geologico di SBF

 

 

 

 

PARTE SISTEMATICA

La fauna descritta è stata raccolta dal dott. C. Corradini nel 1991 nella località San Basilio Fenugu, ed appartiene alla Sezione di Cuccurru Fenugu (cartografia regionale in scala 1: 10.000, Tavola S. Basilio, Foglio 225 ISO). Gli esemplari esaminati provengono da meta-calcareniti fossilifere corrispondente al livello 12 della sezione di fig. 3, riportata nella parte introduttiva. La fauna consiste di 14 cefalopodi appartenenti ai generi Temperoceras, Michelinoceras, Kopaninoceras, Columenoceras ed Oonoceras ed è stata datata al Ludlow superiore tramite biozone a Conodonti: crassa - latialata (Ludlow sup.).  

 

Genere Michelinoceras Foerste, 1932

 

Specie tipo - Orthoceras michelini Barrande, 1866 per designazione originale.

1932 Michelinoceras Foerste, p. 72.

1944 Michelinoceras Foerste - Shimer & Shrock, p. 537.

1945 Michelinoceras Foerste - Flower, p. 682.

1949 Michelinoceras Foerste - Miller & Youngquist, p. 28.

1952 Michelinoceras Foerste - Basse, p. 492.

1956 Michelinoceras Foerste - Schmidt, p. 50.

1960 Michelinoceras Foerste - Müller, p. 103.

1962 Michelinoceras Foerste - Flower, pp. 10/1.

1962 Michelinoceras Foerste - Balashov & Zhuravleva, p. 83.

1964 Michelinoceras Foerste - Sweet, pp. 225/6.

1965 Michelinoceras Foerste - Gordon, pp. 105/6.

1966 Michelinoceras Foerste - Babin, p. 321.

1968 Michelinoceras Foerste - Ristedt, pp. 243-244.

1968 Michelinoceras Foerste - Shimansky, pp. 52/3.

1971 Michelinoceras Foerste - Kiselev, pp. 43/4.

1972 Michelinoceras Foerste - Barskov, pp. 35/6.

1974 Michelinoceras Foerste - Balashov & Zhuravleva, p. 107.

1977 Michelinoceras Foerste - Xu, p. 541.

1977 Michelinoceras Foerste - Serpagli & Gnoli, p. 161.

1978 Michelinoceras Foerste - Zhuravleva, pp. 49-50.

1984 Michelinoceras Foerste - Dzik, p. 125.

1987 Michelinoceras Foerste - Chen, pp. 141/2.

1992 Michelinoceras Foerste - Kiselev & Gnoli, p. 74.

1994 Michelinoceras Foerste - Müller, p. 160.

1998 Michelinoceras Foerste - Histon, p. 28.

 

Osservazioni - Michelinoceras è uno dei generi a più ampia diffusione nel Siluriano. È riportato dalla letteratura in: [Parte settentrionale del Gondwana] ovvero nelle attuali Repubblica Ceca (Barrandium), Francia (Bretagna occidentale, Provenza), Germania, Sardegna (Italia), Caucaso (Gnoli, 2002), Nord America, Tibet (Cina), Cina, Giappone e Australia.

 

Michelinoceras cf. currens  (Barrande, 1866)

(Tav. 1, fig.1)

1857 Orthoceras simplex Desnoy - Meneghini, tav. C, fig. 4Ab’, 4Ab’’.

1857 Orthoceras submoniliforme Meneghini, tav. C, fig. 9a (non figg. 9b,

                                                                          9b’).

1860 Orthoceras currens Barrande, p. 624 (nomen nudum).

1866 Orthoceras currens Barrande, tav. 221, fig. 26, tav. 222, figg. 15,

                                                            16.

1870 Orthoceras currens Barrande, tav. 407, figg. 20-33, tav. 411, figg.  

                                                             16-18.

1874 Orthoceras currens Barrande, p. 628.

1962 Michelinoceras currens (Barrande) - Flower, p. 10.

1972 Michelinoceras currens (Barrande) - Barskov, p. 36, tav. 1, fig. 5,

                                                                 tav. 2, fig. 5.

 

Descrizione - Conchiglia ortocona a sezione trasversale circolare. Solitamente ha un angolo d’espansione di 5 gradi, che a volte può raggiungere i 7. Non è stata osservata alcun’ornamentazione. La sutura è diritta, semplice ed obliqua. L’altezza delle camere può variare fortemente: da 4/5 a 2/5 del diametro della conchiglia. I setti sono concavi e la loro profondità varia da ½ a 1/3 del diametro. Il sifuncolo è subentrale. Il diametro del foramen settale è circa 1/15 di quello della conchiglia. I collaretti settali sono ortocoanitici, e la loro lunghezza è leggermente superiore al diametro del foramen settale. Gli anelli di connessione sono per lo più cilindrici e a volte si espandono leggermente nelle camere. Non sono stati osservati depositi.

Osservazioni - Come sottolineato da Barrande (1874, p. 628) M. currens mostra una grande variabilità nella lunghezza delle camere, anche nello stesso esemplare. La specie può essere distinta da M. grande (Meneghini) soprattutto da un più ampio angolo d’espansione, camere più corte e dal sifuncolo più stretto.

 

Distribuzione – Siluriano Superiore della Boemia (Barrande), Asia Centrale, Caucaso e Podolia (Barskov, 1972), Sardegna sudoccidentale (Gnoli & Serpagli, 1977) e sud orientale (presente tesi).

Collocazione - collezione paleontologica del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia (cat. n. 24166 – 24167)

Materiale studiato - due esemplari.

 

 

Michelinoceras cf. michelini (Barrande, 1866)

(Tav. 1, fig. 2)

 

1866 Orthoceras michelini Barrande, tav. 221, figg. 16-17.

1870 Orthoceras michelini Barrande, tav. 381, figg. 3-14, (secondo Kiselev, 1971non figg. 15-16, tav. 442, figg. 20-23, tav. 447, figg. 12-13).

1874 Orthoceras michelini. Barrande, p. 642.

1888 Orthoceras michelini. Barrande - Foord, p. 27.

1918 Orthoceras cf. michelini. Barrande - Janishevsky, p. 55, tav. 2, fig.

                                             11.

1924 Orthoceras michelini Barrande - Zittel-Broili, p. 516, fig. 1077.

1926 Orthoceras Michelini Barrande - Foerste, p. 6.

1929 Orthoceras michelini. Foerste, p. 160.

1930 Orthoceras michelini Barrande - , p. 53.

1932 Michelinoceras michelini (Barrande) - Foerste, p. 73.

1962 Michelinoceras michelini (Barrande 1866) - Balashov, p. 83, tav.

                                                       10, fig. 15.

1966 Michelinoceras michelini (Barrande 1866) - Barskov, p. 18.

1968 Michelinoceras michelini (Barrande 1866) - Kiselev, p. 18.

1968 Michelinoceras michelini (Barrande 1866) - Ristedt, pp. 245/6, tav.

                                                          1, figg. 1-2, text-fig. 3-1b.

1971 Michelinoceras michelini (Barrande 1870) - Kiselev, pp. 44/5, tav.

                                                           1, figg. 1-5.

1972 Michelinoceras michelini (Barrande) - Barskov, p. 36, tav. 1, figg.

                                                            1, 2, tav. 2, figg. 1-3.

1977 Michelinoceras grande (Meneghini, 1857) - Serpagli & Gnoli, pp.  

                        162-5, tav. 2, figg. 1-4, text-fig. 7a [non tav. 2, figg. 5a, b =

                        lectotipo di Columenoceras grande (Meneghini)]

1984 Michelinoceras michelini (Barrande, 1866) - Dzik, p. 97.

1992 Michelinoceras cf. michelini (Barrande) - Gnoli, p. 266 .

1994 Michelinoceras michelini (Barrande) - Müller, p. 161, text-fig.

                                                                  175a.

1997 Michelinoceras michelini (Barrande) - Marek in Turek, Marek &

                                                        Benes, p. 234.

1999 Michelinoceras michelini (Barrande) - Histon, & Gnoli, p. 384, tab.

                                                        1.

Neotipo - Campione illustrato da Barrande (1870) nella tavola 338, figg. 3-16.

 

 Descrizione - Conchiglia ortocona a sezione circolare. L’angolo d’espansione è di norma molto stretto, solitamente inferiore a 3 gradi. La camera d’abitazione è leggermente conica oralmente e si sviluppa in lunghezza per circa 16 volte il suo diametro di base. Non è stata osservata alcun’ornamentazione. Le suture sono diritte, semplici e trasversali, e variano da ½ a 1,5 volte il diametro della conchiglia. Si osservano notevoli variazioni all’interno dello stesso esemplare. I setti sono concavi, e la loro profondità varia da 0,26 a 0,48 volte il loro diametro. Il sifuncolo è subentrale e non è mai più eccentrico del valore pari al suo diametro. Il diametro del foramen settale varia da 1/11 a 1/5 del diametro della conchiglia. I collaretti settali sono ortocoantici e sono lunghi all’incirca come il diametro del foramen settale o poco più. Gli anelli di connessione sono cilindrici e solo occasionalmente si espandono impercettibilmente all’interno delle camere. All’interno del sifuncolo, è a volte possibile vedere una pellicola nerastra, lunga circa quanto i collaretti settali, “lining” probabilmente dovuto a concentrazioni di materiale organico. Nella parte apicale d’alcuni esemplari adulti sono sviluppati pochi e sottili depositi murali episettali. La protoconca è di forma sub-ogivale, con un rapporto profondità/lunghezza di circa 1-1,25. Il caecum è limitato alla parte adorale della protoconca.

 

Osservazioni - Barrande raffigurò questa specie (1866, 1870) e la descrisse (1874) attribuendole il nome Orthoceras michelini, e basò la sua diagnosi soltanto su fram-menti di fragmoconi adulti. Nel 1932 Foerste istituì il nuovo genere Michelinoceras, scegliendone come specie-tipo Orthoceras michelini Barrande. Nel 1968 Ristedt figurò come Michelinoceras michelini un esemplare giovane in cui erano conservate la protoconca e le successive 8 camere. Lo stesso Ristedt figurò (tav. 1, fig. 2) un secondo piccolo campione con 7 camere, appartenenti probabilmente all’inizio della parte adulta. Infine, Barskov descrisse nel 1972 quattro frammenti di fragmoconi adulti provenienti dal Siluriano dell’Afganistan e dell’Unione Sovietica.

 

Distribuzione - Siluriano Superiore della Sardegna (Meneghini, 1857), Boemia (Barrande, 1866, 1870; Ristedt, 1968), Afganistan e Kazakistan meridionale (Barskov, 1972).

Collocazione - collezione paleontologica del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia (cat. n. 24164 – 24165)

 

Materiale studiato - cinque esemplari.

 

 

Genere Kopaninoceras Kiselev, 1969

Specie tipo - Orthoceras jucundum Barrande, 1870.

 

Kopaninoceras cf. thyrsus (Barrande, 1870)

(Tav. 1, fig. 3)

 

1870 Orthoceras thyrsus Barrande, tav. 405, figg. 15-18.

1874 Orthoceras thyrsus Barrande, pp. 555, 556.

 

1930 Orthoceras thyrsus ? Barrande - , pp. 54/5, pl. 7, figg.3a, b.

1962 Michelinoceras thyrsus (Barrande) - Flower, p. 10.

1968 Michelinoceras n. sp. A, Ristedt, pp. 246, 247, tav. 1, figg. 4a (3?,

                                                                  4?).

1972 Michelinoceras thyrsus (Barrande) - Barskov, p. 35.

1977 Kopaninoceras? thyrsus (Barrande, 1870) - Serpagli & Gnoli, p.

                                                        161,  tav. 1, figg. 4a, b.

1991 Kopaninoceras? thyrsus (Barrande) - Gnoli & Serpagli, pp. 190,

                                               194, tav. 3, figg. 4, 5.

 

1992 Kopaninoceras? cf. thyrsus (Barrande) - Gnoli, p. 266.

1999 Kopaninoceras thyrsus (Barrande) - Histon, & Gnoli, p. 384,

                                                        tabl.1.

 

Descrizione - Conchiglia ortocona a sezione circolare. Ha un angolo d’espansione molto stretto, con un’ampiezza inferiore a 4 gradi. La camera d’abitazione era probabilmente molto lunga. Mostra ornamentazioni formate da linee d'accrescimento estremamente fini, una o due per millimetro inclinate di circa 15 gradi in senso dorso ventrale. La sutura è diritta, semplice ed inclinata come l’ornamentazione. Le camere sono lunghe metà del loro diametro. I setti sono concavi e la loro profondità misura circa 1/3 del loro diametro. Il sifuncolo è leggermente più eccentrico ventralmente del suo diametro. Il diametro del foramen settale misura circa 1/10 di quello della conchiglia. I collaretti settali sono leggermente conici, si assottigliano apicalmente ed hanno una lunghezza pari a 1,5 volte il diametro del  foramen settale. Gli anelli di connessione sono cilindrici. Nella parte apicale d’alcuni esemplari adulti si osservano sottili depositi episettali.

 

Osservazioni - Restano alcuni dubbi sulla posizione generica di questa specie. Alcuni autori (Kiselev, 1972, p. 472) sostengono che sia da considerare appartenente al genere Michelinoceras, ma i nostri esemplari, i cui caratteri concordano con quelli del tipo di Barrande, hanno collaretti più simili a quelli del genere Kopaninoceras. Occorre rilevare che Barrande, nella sua descrizione originale d’O. thyrsus (p. 556), si riferisce alle sottili striature affermando che hanno un’inclinazione di 35 gradi. È tuttavia abbastanza evidente, osservando la tavola 405, fig. 15, che queste striature sono inclinate di 15-16 gradi.

 

Distribuzione - Siluriano Superiore della Boemia (Barrande, 1870; Ristedt, 1968), Siluriano della Sardegna sudoccidentale (Gnoli & Serpagli, 1977) e sud-orientale (presente tesi).

Collocazione - collezione paleontologica del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Modena e Reggio Emilia (cat. n. 24168 – 24169)

Materiale studiato - due esemplari.

 

Famiglia Geisonoceratidae Zhuravleva, 1959

Genere Columenoceras Barskov, 1960

 

Specie tipo - Orthoceras columen Barrande, 1868.

 

Osservazioni - Il genere Columenoceras era stato istituito originariamente da Barskov (1960) con lo specie tipo Orthoceras columen Barrande, ed era stato attribuito alla famiglia Pseudorthoceratidae. Il genere fu poi preso in considerazione da Sweet (1964, p. K237) come rappresentante della famiglia Geisonoceratidae, probabilmente sulla base di caratteri sifuncolari e per la forma dei depositi endosifuncolari. Infine Dzik (1984, pp. 126, 127) propose una nuova classificazione basata su un approccio filogenetico, secondo la quale il genere Columenoceras apparterrebbe alla famiglia Orthoceratidae.

Pensiamo, seguendo la linea della classificazione del «Treatise» (Sweet, 1964), che i caratteri che permettono di distinguere questo genere dagli altri della famiglia Geisonoceratidae siano le dimensioni della conchiglia da medie a grandi, l’angolo d’espansione molto stretto (2° o meno), un fragmocono formato da camere tanto lunghe quanto larghe, un ampio sifuncolo ortocoanitico e la presenza di depositi endosifuncolari “annulari”. L’ornamentazione esterna della specie tipo è talmente comune fra i cefalopodi ortoconi che non può rappresentare un carattere diagnostico a livello di genere.

 

Columenoceras cf. grande (Meneghini, 1857)

(Tav. 2, fig. 1)

1857 Orthoceras grande Meneghini, pp. 189-191, pl. C, figg. 4A, a,

                                                        a’.

1870 Orthoceras grande Meneghini - Barrande, p. 30.

1949 Orthoceras grande Meneghini - Comaschi Caria, pp. 203,

                                      335.

non      1977 Michelinoceras grande (Meneghini) - Serpagli & Gnoli, pp.

                            162-165, pl. 2, figg. 1-4, fig. 7a

                            (=Michelinoceras michelini (Barrande)).

1977 Columenoceras sp. cf. C. columen (Barrande) - Serpagli &    

                                      Gnoli, pp.  186, 187, pl. 3, figg. 6a-b.

 

                                                                               

non     1983 Michelinoceras grande (Meneghini) - Gnoli, p. 82, pl. 2,

                   figg. 2, 3 (= Michelinoceras michelini (Barrande)).

1984 Michelinoceras grande (Meneghini) - Dzik, p. 97.

 

Descrizione – Conchiglia ortocona molto sottile di grandi dimensioni, con un diametro fino a 8 cm (fide Meneghini, 1857, p. 190). Ha sezione trasversale circolare; la sezione subcircolare del lectotipo è probabilmente dovuta alla deformazione tettonica subita dall’esemplare. L’angolo d’espansione è molto stretto, circa un grado o meno. La camera d’abitazione è molto lunga, circa dieci o più volte il diametro della sua base. La superficie esterna è praticamente liscia. Lo spessore massimo è di 1,8 mm e decresce adapicalmente. La linea di sutura è diritta, semplice ed obliqua. Le camere sono lunghe e il rapporto medio lunghezza-profondità è prossimo a 0,87. Solitamente, durante la crescita del fragmoconi, si alternano, più o meno regolarmente, camere lunghe e camere relativamente corte. I setti sono concavi e la loro profondità misura poco meno del loro raggio di curvatura; inoltre sono molto sottili (0,2-0,3 mm) ed incontrano la parete della conchiglia con angoli di sutura molto stretti. Il sifuncolo è subentrale e non è mai più eccentrico di metà del suo diametro. Come osservato da Meneghini (1857, p. 190), i collaretti settali sono ortocoanitici e la loro lunghezza è equivalente a quella del foramen settale, il cui diametro è circa 1/6-1/7 quello della conchiglia. Gli anelli di connessione sono per lo più cilindrici, a volte si espandono nelle camere e raggiungono 1/5-1/6 del diametro della conchiglia. Questo valore sembra rimanere inalterato durante l’ontogenesi. Sono presenti in senso apicale depositi annulosifonali sotto forma di semplici annuli, per lo più sviluppati ventralmente in corrispondenza del collaretto settale e parzialmente dell’anello di connessione precedente. Ogni annulus è formato da leggeri strati concentrici chiari alternati a sottili strati più scuri. Sono presenti anche depositi camerali nella parte apicale del fragmocono adulto.

Distribuzione – la specie sembra essere limitata stratigraficamente al Wenlock superiore della Sardegna sud occidentale e al Siluriano della Sardegna sud orientale.

Collocazione - Collezione Paleontologica del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Modena e Reggio Emilia, cat. n. 24170 - 24171.

 

Materiale studiato - due esemplari.

 

Genere Temperoceras Barskov, 1960

Specie tipo - Orthoceras temperans Barrande, 1874.

Temperoceras cf. temperans (Barrande)

(Tav. 2, fig. 2)

 

1866 Orthoceras temperans Barrande, pl. 226, figg. 1-4; pl. 230, figg. 7-

                                                        9.

1868 Orthoceras temperans Barrande, pl. 327, figg. 1-2; pl. 382, figg. 1-

                                                        5.

 

1870 Orthoceras temperans Barrande, pl. 382, figg. 1-5; pl. 451, figg. 1-

                                               3.

1874 Orthoceras temperans Barrande, pp. 658-659.

1960 Temperoceras temperans (Barrande) - Barskov, p. 153.

1966 Temperoceras temperans (Barrande) - Babin, pp. 324-325, pl. 13,

                                              fig. 15; pl. 14, figg. 1a-c.

1972 Temperoceras temperans (Barrande) - Barskov, p. 49, pl. 5, figg. 1,

                                                                                     2.

1992 Temperoceras cf. temperans (Barrande) - Gnoli, p. 266

1999 Temperoceras temperans (Barrande) - Histon & Gnoli, p. 384, tab.                                                                                 1.

 

Descrizione - Conchiglia ortocona liscia di grandi dimensioni a sezione trasversale circolare che si allarga gradualmente secondo un angolo di circa 6°. Il sifuncolo è largo, centrale, subortocoanitico e leggermente espanso all’interno delle camere. Il suo diametro massimo è circa 1/10 il diametro della conchiglia e diminuisce leggermente in corrispondenza dei foramina settali. I collaretti settali sono subortocoanitici, leggermente conici, si assottigliano nella parte terminale; la loro lunghezza è circa 1/3 quella del foramen settale. Le camere sono relativamente brevi, 1/7 il loro diametro. La profondità settale è 1/3 il loro diametro. Lo spessore della conchiglia è di circa 1,5 mm. Sono presenti depositi endosifuncolari sulle pareti interne dei collaretti settali. Non sono stati osservati depositi camerali. La protoconca e la camera d’abitazione non sono conservate.

 

Osservazioni - Questa grossa specie è stata accuratamente descritta ed illustrata da Barrande (1866) e in seguito emendata da Barskov (1960), che l’ha elevata a nuova specie tipo per il suo nuovo proposto genere Temperoceras. La diagnosi originale è stata completata in un secondo tempo da Babin (1966), che ha descritto la presenza di “ostruzioni” sifuncolari.

 

Distribuzione - Siluriano superiore della Boemia (Barrande, 1866), di Saint Sauveur-le-Vicomte, Bretagna nord occidentale (Francia) (Babin, 1966), del Fergana meridionale (Barskov, 1972), Ludlow medio della Sardegna sud occidentale e sud orientale (presente tesi).

Collocazione - collezione paleontologica del Dipartimento di Scienze della Terra di Modena e Reggio Emilia, cat. n. 24162 - 24163.

 

Materiale studiato - due esemplari.

 

Ordine Oncocerida Flower in Flower & Kummel, 1950

Famiglia Oncoceratidae Hyatt, 1884,

Genere Oonoceras Hyatt, 1884

Specie tipo - Cyrtoceras acinaces Barrande, 1866 per designazione         

                                       successiva, Bassler, 1915.

 

Oonoceras aff. potens (Barrande, 1866)

(Tav. 3, figg. 1, 2)

 

1866 Cyrtoceras potens Barrande, tav. 131, figg. 10-13.

1867 Cyrtoceras potens Barrande, pp. 612, 613.

1992 Oonoceras potens (Barrande) - Gnoli, pp. 267/8, figg. 2a, b.

 

Descrizione - Conchiglia esogastrica ortocona leggermente compressa di sezione trasversale ovale. Il fragmocono ha setti molto vicini. Le camere sono corte e misurano circa 1/3 del loro diametro dorso ventrale, che corrisponde a ½ della lunghezza della conchiglia. La curvatura delle camere è circa 1/6 del loro diametro. Il sifuncolo cirtocoanitico è espanso all’interno delle camere e a contatto del lato ventrale della conchiglia. I collaretti settali sono corti e subortocoanitici. Gli anelli di connessione sono cirtocoanitici e molto espansi nelle camere; il loro diametro massimo è di circa 5 mm o 1/8 del corrispondente diametro della conchiglia. Non sono conservati depositi camerali o endosifuncolari, né la camera d’abitazione. La superficie esterna della conchiglia è poco conservata. 

Distribuzione - Siluriano superiore della Boemia (Barrande, 1866), Sardegna sud-orientale (presente tesi).

Collocazione - collezione paleontologica del Dipartimento di Scienze della Terra, cat. n. 24161 e 24172

Materiale studiato – 2 esemplari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CENNI sull’ ECOLOGIA DEI CEFALOPODI

Per tracciare un quadro chiaro dell’ecologia dei Cefalopodi, occorre anzitutto definire cosa si intende per cefalopodi. Nella classe Cephalopoda includiamo calamari, polpi e seppie. Il Nautilus attuale è inserito tassonomicamente nei cefalopodi nautiloidi, ma è necessario tener presente che questo fossile vivente è distinto dal punto di vista biologico dagli altri taxa appartenenti a questa sottoclasse (Nautiloidea).

La malacologia non ha ancora risolto il problema della relazione fra i cefalopodi e l’ipotetico mollusco ancestrale provvisto di una conchiglia conica, una massa viscerale ciliata e di un piede muscolare. Si suppone che questo mollusco erbivoro pascolasse su fondali marini di limitata profondità. I più importanti caratteri evolutivi che hanno differenziato i cefalopodi dagli altri molluschi sono lo sviluppo di un sistema nervoso gangliare molto raffinato e cefalizzato, la circolazione chiusa, il moto “a getto”, le ghiandole dell’inchiostro, la regolazione del galleggiamento e le grandi dimensioni. La conchiglia è diventata interna ed è in seguito stata persa da molti gruppi; le pinne si sono evolute per aiutare la locomozione nel mezzo acquatico; i tentacoli (otto o dieci) si sono specializzati nella cattura delle prede.

L’ecologia del Nautilus attuale è ancora poco conosciuta, soprattutto a causa delle grandi profondità che predilige. Un singolo esemplare copre infatti grandi spostamenti in senso verticale e spostamenti molto più brevi in senso orizzontale. Fino al termine del Miocene i nautiloidi erano distribuiti praticamente in tutti gli oceani, mentre oggi occupano una zona molto ristretta dell’oceano indo-pacifico, compresa fra le isole Fiji e l’Australia. Solitamente vive nei pressi di barriere coralline, ad una profondità minima di 150 m, legata, come vedremo in seguito, alla temperatura. Non sono mai stati osservati esemplari all’interno di lagune, ma questo potrebbe essere un problema legato alla temperatura. Nelle aree studiate sino ad oggi, esemplari di Nautilus sono stati catturati sempre a profondità superiori a 100 m, ben al di sotto del limite di crescita delle barriere coralline. La caratteristica comune di tutti i luoghi in cui è stata riscontrata la presenza del Nautilus è il rapido aumento di profondità. Si suppone che la massima profondità raggiungibile dal Nautilus si aggiri fra i 500 e i 600 m. Sembra tuttavia che la profondità minima sia correlata anche alla temperatura letale per il Nautilus, che si aggira attorno ai 25-27°C. La profondità massima a cui sono stati catturati esemplari vivi di Nautilus si aggira attorno ai 600 m (Ward & Martin, 1980). È comunque in atto un acceso dibattito sulla profondità massima raggiungibile da un Nautilus prima che la conchiglia imploda. Siccome la maggior parte della conchiglia contiene gas ad una pressione molto inferiore rispetto a quella esterna, le pareti della conchiglia subiscono una grande pressione sia dall’esterno, sia sull’ultimo setto. Alcuni autori sostengono che anche gli anelli di connessione del sifuncolo siano sottoposti ad una grande pressione (Denton & Gilpin-Brown 1966, Westerman, 1971). A differenza della conchiglia, gli anelli di connessione sopportano questa pressione dall’interno, e rischiano di esplodere.

Le massime profondità di implosione ottenute sperimentalmente sono dell’ordine di 600 m. Conducendo esperimenti su Nautilus viventi, questa profondità arriva fino a 750 m (Ward & Martins, 1980). Esperimenti condotti con conchiglie vuote hanno dato risultati contrastanti, in quanto queste implodono a minor profondità rispetto agli animali vivi.

Movimento verticale

Il Nautilus è un eccellente nuotatore capace di coprire relativamente grandi distanze. Siccome durante la notte si osservano esemplari di Nautilus in acque superficiali dove non se ne osservano durante il giorno, si pensa che questo animale sia capace di compiere significativi spostamenti giornalieri in senso verticale. Sperimentalmente si è potuto riscontrare che la massima velocità di ascesa nella colonna d’acqua è di 2 m al minuto, mentre quella di discesa è di circa di 3 m al minuto. Il Nautilus è capace di compiere anche grandi spostamenti in senso orizzontale, soprattutto durante il giorno, quando si muove rasente al fondale ad una velocità di circa 25-50 cm al secondo. I Nautilus si alimentano in grandi aree di avanscogliera, quindi hanno la necessità di spostarsi attivamente. Alcune recenti ricerche condotte usando il metodo delle ricatture hanno stabilito che alcuni esemplari avevano compiuto uno spostamento di più di 150 km dal luogo in cui erano stati presi originariamente. Questo significa che la minima distanza media giornaliera deve essere tra 450 e 600 metri; è chiaro, tuttavia, che con una velocità di 25 cm al secondo sono possibili spostamenti giornalieri ben maggiori. Ward et al. (1984) hanno osservato che uno degli esemplari catturati si spostava di almeno 2 km al giorno.

È quindi chiaro che il nuoto gioca un ruolo importante nella vita del Nautilus. Come gran parte dei cefalopodi, il Nautilus nuota usando la testa per direzionare il moto. L’involuzione della conchiglia conferisce a quest’ultima uno dei disegni più efficaci in termini di efficienza natatoria. Poiché la conchiglia del Nautilus è involuta e la camera d’abitazione è breve, il centro di gravità della conchiglia è posto nella camera d’abitazione, mentre il centro di galleggiamento è esattamente sulla verticale del baricentro.

Per quanto riguarda l’assetto delle conchiglie fossili, è stata proposta recentemente una teoria da Cheetham & Powell (1987), che riportiamo di seguito.

Assumendo come ipotesi un assetto di vita orizzontale per i cefalopodi appartenenti al necton, quindi liberi natanti, e partendo da una forma diritta (ortocona) semplice (A) possiamo rilevare dai fossili diverse strategie per ottenere un aumento di peso nella parte apicale del guscio camerata che altrimenti tenderebbe ad un galleggiamento positivo variandone l’assetto, tendendo a portare l’animale con l’apice verso l’alto. Nei Nautiloidi provvisti di guscio esterno, un aumento di peso apicale può essere ottenuto con 1) endoconi (Endoceratoidea, B), con complessi depositi annulari (Actinoceratoidea C) o depositi camerali (vari Nautiloidea, E). 2) La parte camerata del fragmocono può essere ridotta o giacere sopra le parti molli con la camera d’abitazione la cui apertura si adatta per mantenere l’equilibrio (vari Nautiloidea, H-I). 3) Il liquido può essere trat-tenuto nelle camere per impedirne l’effetto di galleggiamento, D). 4) Le camere possono estendersi oltre le parti molli, così da ridurne l’ effetto di galleggiamento, F). 5) Una parte di fragmocono può essere abbandonata per impedirne l’effetto galleggiante negli esemplari adulti (troncatura del guscio, G). 6) La parte camerata può es-sere avvolta in modo da trovarsi sopra le parti molli (vari Nautiloidea e la maggior parte degli Ammonoidea J-O).                               

Non tutti gli autori concordano col fenomeno della troncatura del fragmocono. Dzik, 1984, discute questo ipotetico fenomeno e lo nega adducendo che mai nessuna parte “lasciata” da cefalopodi è parte del record fossile e che le parti abbandonate dei Discosorida (G) possono benissimo essere spiegate da un fattore meccanico di rottura degli esemplari, durante la loro raccolta.

Fig. - 1  rappresentazione schematica del mantenimento dell’equilibrio (da Cheetham & Rowell)

CENNI DI PALEOECOLOGIA

Ci occuperemo, in questa breve trattazione, degli aspetti paleoecologici relativi soltanto agli ordini descritti nella parte sistematica.

 

Ordine Orthocerida

 

Quasi tutti i rappresentanti di questo gruppo hanno conchiglie ortocona longicone con un sifuncolo molto piccolo. Sono sempre presenti voluminosi depositi camerali e sifuncolari nella parte apicale, mentre nella parte ventrale si trovano strutture laminate. Le colorazioni del guscio sono generalmente limitate alla parte dorsale. La quantità di depositi progressivamente inferiori verso l’apertura, permette ai rappresentanti di questo gruppo di mantenere un equilibrio idrostatico orizzontale. La maggiore concentrazione di depositi camerali nella parte ventrale permette di abbassare il centro di gravità migliorando la stabilità. In alcuni casi l’animale provvedeva alla troncatura della conchiglia (non tutti gli autori , ad es. Dzik, 1984, sono concordi ad accettare questa ipotesi) per ottenere un migliore equilibrio. Si può concludere che gli Orthocerida fossero nuotatori attivi.

 

Ordine Oncocerida

 

In questo ordine sono raggruppate principalmente forme cirtocone brevicone, ma anche forme ortocona longicone, girocone, torticene, serpenticone e nautilicone. Negli esemplari adulti si osservano grandi modificazioni nella forma dell’apertura. Sia il sifuncolo che le camere sono privi di depositi mineralizzati di significativa entità. Le dimensioni del fragmoconi e della camera d’abitazione è variabile, ma risultano essere piccole nella maggioranza delle forme. La conchiglia è spessa e pesante, caratteristiche che non facilitano certo il nuoto attivo. Per questa ragione gli Oncocerida sono stati classificati come organismi bentonici che vivevano sui fondali spostandosi anche con l’aiuto dei tentacoli. È tuttavia presente il seno iponomico, che indica la presenza dell’imbuto come organo di propulsione, tanto che potrebbe essere possibile supporre un tipo di vita necto-bentonico. Le ornamentazioni colorate delle forme brevicone sono distribuite su tutta la superficie della conchiglia, suggerendo che l’asse fosse inclinato; lo sviluppo di una curvatura moderata della conchiglia avrebbe permesso una disposizione orizzontale dell’imbuto. Quindi, le forme cirtocone con un fragmoconi piuttosto largo potrebbero essere considerate come buoni nuotatori, nonostante il tipo di conchiglia scarsamente idrodinamico. Si pongono particolari problemi nel momento in cui si considerano le forme con aperture fortemente “contratte”, che hanno generalmente un fragmoconi piccolo. In questo caso potrebbe trattarsi di forme bentoniche, anche se la presenza del seno iponomico indica la capacità di propulsione.

 

IMPLICAZIONI PALEONTOLOGICHE

 

La maggiore “invenzione” evolutiva compiuta dai nautiloidi che li ha affrancati dai fondali marini è stata il fragmocono. Sicuramente sono esistiti predatori marini antecedenti ai nautiloidi, come prova la fauna del Burgess-Shales risalente al Cambiano medio. I nautiloidi, tuttavia, essendo comparsi circa 450 milioni di anni fa (nel Cambriano), sono stati i primi grandi predatori capaci di attaccare anche prede provviste di scheletro. Probabilmente, il passo più difficile nell’evoluzione di un fragmocono funzionale, è rappresentato dal sifuncolo. Yochelson et al. (1973) hanno proposto un cammino evolutivo portante ad un fragmocono funzionale pensando che il cefalopode ancestrale avesse una serie di setti chiusi nella parte apicale della conchiglia. Il tessuto dietro alla parte viscerale rimaneva all’interno di queste parti, attraverso un’apertura centrale, formando così il primo elemento del sifuncolo. Con la chiusura del sifuncolo e l’evoluzione di un epitelio pompante si sarebbe originato il fragmocono. A questo processo sarebbe seguita la formazione dei tentacoli e della regione cefalica del cefalopode attraverso la fusione della regione cefalica e del piede del mollusco ancestrale. Tuttavia, non esiste una prova fossile della validità o della falsità di questa teoria. Dzik (1981), studiando i cefalopodi del Paleozoico inferiore, ha ipotizzato che l’antenato dei cefalopodi fosse da ricercare tra i monoplacofori cambriani.

 

Diversificazione ed evoluzione dei nautiloidi

Donovan (1964), Teichert (1967) e Dzik (1984) si sono occupati dell’evoluzione e della diversificazione dei cefalopodi. Fino a poco tempo fa, la teoria più seguita era quella secondo cui i cefalopodi si fossero differenziati nell’Ordoviciano inferiore, ma recenti scoperte (Chen & Teichert, 1983) hanno dimostrato che la radiazione di questo gruppo è iniziata già nel Cambiano superiore. Si pensa che gruppo ancestrale da cui si sarebbero evoluti gli altri nautiloidi sia quello degli Ellesmoceratina, un piccolo gruppo costituito da specie con conchiglie da leggermente curve a diritte. Gli ellesmoceratidi non avevano depositi camerali a fare da contrappeso e quindi la loro posizione di vita sarebbe stata prevalentemente verticale fino a che non furono in grado di posizionare del liquido nelle parti più vecchie del fragmocono. Dagli ellesmoceratidi si sarebbero poi radiati una gran quantità di gruppi di nautiloidi paleozoici. Tra questi si possono distinguere due linee evolutive per quanto riguarda la forma della conchiglia, la prima delle quali porta a conchiglie ortocone e diritte. Questa particolare forma della conchiglia, tuttavia, avrebbe richiesto la formazione di massicci depositi camerali per far mantenere un assetto di vita orizzontale agli organismi. L’altro trend morfologico ha portato a conchiglie planispirali. Le forme con depositi camerali, collocati sia nelle camere sia nel sifuncolo, avrebbero dovuto pagare un prezzo significativo in termini di mobilità e di spesa energetica per mantenere l’assetto orizzontale. Infatti, i depositi camerali avrebbero occupato significative parti del fragmocono ed avrebbero quindi richiesto lo sviluppo di fragmoconi più voluminosi, a parità di volume della camera d’abitazione, per mantenere un galleggiamento neutro. Tuttavia, un nautiloidi provvisto di questi depositi camerali avrebbe subito un aumento di massa, che, dal punto di vista energetico, avrebbe reso più dispendiosi tutti i movimenti rispetto ad un esemplare di volume equivalente e massa minore. Alcuni degli ortoconi paleozoici raggiungevano dimensioni ragguardevoli e non sarebbero stati molto efficienti nell’inseguire le prede.

Il modo in cui vengono deposti i depositi camerali è stato oggetto di molte dispute. Alcuni autori hanno ipotizzato l’esistenza di un tessuto vivente all’interno delle camere in grado di produrre i depositi camerali. In molti casi non si riscontrano tracce della vascolarizzazione necessaria per un tale tessuto. Altri autori hanno ipotizzato che i depositi camerali non siano prodotti durante la vita del nautiloidi. Alcuni ritrovamenti di Crick (1982) hanno dimostrato l’infondatezza di questa idea. Fischer (1969) ha pensato che i depositi camerali precipitassero direttamente dal liquido camerale, processo di cui è stata dimostrata la possibilità.

La forma delle conchiglie dei generi del Paleozoico mostra un graduale cambiamento da faune dominate da forme diritte o curve a faune dominate da forme planispirali. Al termine del Paleozoico i nautiloidi andarono incontro ad una drastica riduzione.

Lo studio dei setti, della curvatura, degli anelli di connessione e dello spessore delle forme fossili può fornire informazioni sulla profondità a cui queste ultime vivevano. Queste strutture, infatti, rappresentano fattori limitanti rispetto alla profondità in quanto possono implodere se sottoposte a pressioni troppo elevate. Westermann concluse che forme con setti ravvicinati, pareti della conchiglia, pareti settali e anelli di connessione spessi dovevano essere più resistenti ad alte pressioni. Di questi caratteri, quelli più utili sono lo spessore e le dimensioni degli anelli di connessione, perché questi sono gli elementi a più alto rischio di implosione, in quanto separano due zone sottoposte a pressioni molto diverse (le camere hanno una pressione sempre inferiore a 1 atmosfere, mentre la parte interna dell’anello può essere sottoposta a pressioni anche di 60 atmosfere). Westermann propose (1971) l’”indice relativo di resistenza del sifuncolo”, ottenuto dalla formula 100 (h/r), in cui h è lo spessore del sifuncolo e r è il suo raggio interno. Siccome il Nautilus attuale implode ad una profondità di circa 800 m, può essere usato come termine di paragone. Quindi anelli di connessione grandi e sottili restringerebbero l’areale dell’organismo ad acque di superficie.   

 

CONCLUSIONI

La fauna studiata è costituita da 14 esemplari appartenenti a sei taxa che non erano mai stati rinvenuti nella regione presa in esame. Fra questi, il più frequente è risultato essere Michelinoceras cf. michelini (5 records), seguito da Michelinoceras cf. currens, Kopaninoceras cf. thyrsus, Columenoceras cf. grande, Temperoceras cf. temperans e Oonoceras aff. potens con 2 records ciascuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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TAVOLA 1

Figura 1: Michelinoceras cf. currens x 1

Figura 2: Michelinoceras cf. michelini x 1,2

Figura 3: Kopaninoceras cf. Thyrsus x 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                     

 

 

 

             

 

 

 

 

 

 

 

 

 

           1                                  2                       3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TAVOLA 2

Figura 1: Columenoceras cf. grande x 2

Figura 2: Temperoceras cf. temperans x 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                1                                 2

 

 

 

 

 

 

 

TAVOLA 3

Figura 1: Oonoceras aff. potens x 2

Figura 2: Oonoceras aff. Potens, particolare del sifuncolo x 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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