"La macchina corre nella rotabile Montenero Mafalda passando in rassegna fiori allineati sui cigli. Sfilano cespugli, alberi nani e giganti, verzieri, macchie di leccio, oliveti, pini nascenti e ginestre.

Rare casette fanno sponda lungo la strada, che si percorre in meno di mezz'ora. D'intorno alla campagna ride, ed è un riso di felicità. La vegetazione è in pieno rigoglio, la sinfonia del verde è completa. La strada sale: vigneti, orti, frutteti, querceti. In fondo domina il massiccio della Maiella, la montagna madre della gente d'Abruzzo, si vedono lontani il Gran Sasso, i Gemelli nelle Marche; a destra il mare e Istonio, l'ampio seno Bucano e le Tremiti, a sinistra i monti del Molise.

Il terreno avvalla sull'ampia distesa dell'impetuoso Trigno e poi risale in dolci colline che degradano verso l'Adriatico.

Il territorio era tutto del bosco il lavoro paziente degli abitanti lo ha dissodato e reso fertilissimo. I prodotti principali sono: grano, fave, olio, frutta abbondanti e varie. Si sale ancora, si respira l'aria vivificante dei monti. Ecco Mafalda. Una volta si chiamava Ripalda del Riso poi Ripalda del Trigno, oggi si chiama Mafalda dal nome dell'Augusta figlia di S. M. Vittorio Emanuele III.

L'errore ortografico sta nel dialetto, perché dicono Ripaldd, come Vodd per volte, Addre per altro. Quel Riso ve l'anno aggiunto a causa del riso che si coltiva nella stretta pianura del Trigno, non senza danno per la sua salute. Il riso però v'è assai buon, più gustoso che non il lombardo onde nei paesi nostri è più ricercato. Speciale rinomanza in Mafalda hanno pure i fichi secchi, i quali assumono nella lavorazione le forme più svariate di pupe, scerte o flette, fiaschette, ecc. Di esse si fa gran mercato il 28, 29, e 30 novembre, festa e fiera di S. Andrea, protettore del paese. In questa festa caratteristica è pure la processione che richiama gran folla da tutti i paesi viciniori. La processione riesce imponente, per ricchezza di costumi per grande sfarzo di cera e per il magnifico stendardo. Alle finestre: arazzi, drappi, vasi di fiori. Una specie di tifo si manifesta tra i giovani per avere l'onore di reggere lo stendardo in bocca. Accade d'essere seguito dalla sua bella, la quale si fa missione di porgergli, a volta a volta, ora un fazzoletto per tergere il sudore, ora un boccale di vino per ristorare le forze esauste. Il tifo ora è smesso. I bravi mafaldesi non si fanno più ammirare in questo lavoro di forza, d’agilità, di valentia, specialmente quando procedevano al "garbetto" in altre parole sostituivano altri al cambio delle aste.

Ripalda era un casale poco lungi dall'attuale abitato a vedetta del Trigno, su un colle, con scoscendimenti profondi verso il fiume, dall'ubicazione del casale ne venne Ripa - alta. E' nota la denominazione di Ripa a quei Casali e colli che emergono  a picco con burroni dai letti dei fiumi. Il terribile terremoto nella notte del 4 dicembre 1456 che scosse il regno di Napoli, e perciò le Castella del Contado di Molise furono quasi tutte per terra, distrusse Ripalda ed i superstiti andarono a stabilirsi nella prossima collina ritenuta più sicura.

La nuova Ripalda oggi Mafalda è a m. 505 su un’aperta altura sorrisa dal sole, purificata dall'aria temperata del prossimo mare. Attraverso un piccolo viale d’acacie e di superbi lecci che s'intrecciano in cima e sono sulla piazza. Balconcini fioriti, rami di pergola, risa di bambini che si moltiplicano, e scoppiano nel giuoco. Gli abitanti fanno circolo all'aperto, raccontano e lavorano.

Passano paesani e paesane, donne dai tini di rame pieni d'acqua sulla testa. Un carabiniere si affaccia alla finestra della piccola caserma.

Il paese si apre spampanato e sbandato con traverse, angiporti e vichi a destra e a sinistra.

In ogni modo, Mafalda è suggestivo pel suo monumento ai Caduti addossato alla Casa Rodini graziosamente alberato e recinto, per una chiesa pittorescamente situata, alta e semplice nel Palazzo ex ducale, per la veduta panoramica ai Colli, per La Torre Vecchia posta su un’amena collina a guardia del Trigno e per un albero secolare grande presso il Municipio intorno razzolano di solito le galline. Nella piazza ha sede il mercato, il caffè, il tabaccaio, l'albergo, la beccheria e l'osteria con la frasca.

In questo largo, il 10 ottobre 1860 si fece rotolare nel fango la testa di un probo e onesto benestante del ceto dei gentiluomini don Antonio Castaldi, mentre agli altri non toccò la stessa sorte per un puro miracolo. La vallata del Trigno e del Sinello erano allora terribilmente reazionarie.

A Ripalta i cafoni accordatisi alle piane del fiume, ove erano a mietere il riso, tornarono a sera con bandiera bianca e armatisi d’accette, ronche, falci e qualche schioppo obbligarono l'Arciprete a cantare il "Te Deum"  ed i galantuomini ad intervenirvi. In chiesa intimarono che essi restassero. Qui fu ferito do Antonio Castaldi, con una fucilata al braccio e colpi d’accetta al capo. Il figlio di lui terzogenito, pur ferito mortalmente, non morì, mentre il secondo fu gravemente ferito. Il primo ebbe solo una stilettata, senza riportare danno. Gli altri galantuomini si salvarono con la fuga saltando un muro della chiesa che era in fabbrica. Dalla casa di Adamantonio Casciati che volevano incendiare partirono delle fucilate e ne rimasero parecchi feriti.

Le brave guardie nazionali di Montenero, Montecilfone, Palata, Larino e Tavenna, entrarono in Ripalta e stabilirono l'ordine. Il capitano Volpi con 50 soldati del 36 di linea diede 3 ore di sacco al paese. Tra gli arrestati vi furono l'Arciprete Spalvieri ed il notaio D. Isidoro Casciati. I galantuomini erano quasi tutti liberali, ne era il capo il patriota dott. Federico Rodini, poeta colto e gentile. Nel 15 maggio 1848 combatté nella barricata sul largo della Carità in Napoli.

Fugo i tristi ricordi e dal basso in alto percorro tutto il paese sino ai Colli.

La strada che mena al Palazzo è vecchia ed incassata tra muri alti senza luce. Il palazzo è un edificio basso, semplice in quello stile un poco rozzo eppure fastoso, caratteristico delle costruzioni del settecentesche. Esso sorge sulle mura dell'antico Castello feudale. Ha un piazzale da cui si gode un bel panorama ed ai lati e di dietro ha un viale e parco alberati composto, un bel portone, una lunga e lussuosa balconata al primo piano, una lussuosa terrazza. Mi aggiro tra gli alberi nuovi e vecchi dai tronchi centenari e tra le casucce d'attorno, pensando agli antichi feudatari e alle loro gesta.

Vi ebbero dimora i di Sangro, gli Eboli, i Caraccioli, i Gentile, i Crispani, Gli Alitto, i Piscicelli, i Copplola, duchi di Canzano, la famiglia Carile. Ora vi abitano gli eredi del cav. Angelo Juliano, ex capitano dei Bersaglieri, combattente decorato e benemerito di Mafalda e la vedova signora Jolanda Bevilacqua donna che alla nobiltà dell'origine accoppia la modestia dei costumi, l'operosità senza pari, l'amabilità dei modi, l'opera benefica.

Prendo una via ripida e stretta d'un tempo, obblicua e spezzata. Salgo con la stessa circospezione dei bimbi, sono dinanzi alla chiesa. L'orologio del campanile suona le 16.

Donne nei loro costumi entrano nella chiesa tra il frusciare delle ampie gonne. Visi rosei, ulivigini, occhi grandi come vongole. Ogni volto ha la grazia e la purezza di linea.

La chiesa è di nuova costruzione riedificata sull'antica. Animatore entusiasta ed instancabile dell'opera fu l'attuale parroco don Silvio Varrati, il quale con ardente dedizione la portò a compimento.

Mi viene il desiderio di visitare anche la Torre in Ripalta Vecchia, e via.

La Torre, innocua e solitaria spalanca ancora al sole le sue rovinate orbite vuote. Ormai non ha più nulla da difendere o da vigilare e se ne sta sulla roccia tra l'erba e cespugli come patrizia in miseria, racconta nei suoi ruderi e nei suoi ricordi.Intime reliquie della sua trascorsa potenza erano alcuni vecchi cannoni che stavano allo spalto e che nel 1808 furono tolti.

HOME