Piccolo spazio dedicato alla musica lirica, una musica forse fin troppo poco ascoltata. Questo spazio nasce grazie alle recensioni di wolfram
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Bohème due versioni a confronto Alla luce del recente acquisto della Bohème scaligera diretta da Chailly, vorrei ora sottoporvi un interessantissimo "parallelo" tra due particolarissime edizioni de "La Bohème"; l'una facente parte ormai della discografia "storica" dell'opera, l'altra, viceversa, recentissima acquisizione nella discografia, già peraltro nutritissima, di questa popolarissima opera. "La Bohème" è uno di quei *rarissimi* casi della discografia operistica per i quali noi posteri possiamo avere il *non comune* *privilegio* di poter ascoltare un'opera lirica diretta dal *suo primo direttore assoluto*, Arturo Toscanini. Il quale, come voi ben saprete, aveva diretto l'opera al Regio di Torino il 1° febbraio del 1896. Le prove, lo ricordo, si erano svolte alla presenza dello stesso Puccini, il quale, definì Toscanini "intelligentissimo e uomo assai gentile ed affidabile". Ma le tettere di Puccini a Toscanini riferite a "La Bohème" non finirono certo qui; vi riporto uno stralcio tratto dalla biografia di Toscanini scritta da Harvey Sachs (EDT - Torino): "Iersera [alla Scala] al principio dell'ultimo atto me ne andai e non ti salutai come avrei voluto. Scusami, ero troppo attristato... Ti raccomando la seconda recita, specialmente per la Carelli [Emma Carelli], per gli abiti e per la truccatura. Dille che cerchi di rendere un po' più il personaggio come Murger l'ha veduto e reso, e che non rallenti così "stancamente" tutta la sua parte. Io non ho che a ringraziarti per le cure che hai avuto per la mia opera..." Orbene... il 3 e 10 febbraio 1946 (esattamente 50 anni dopo!!!), lo stesso Toscanini decise di eseguire La Bohème alla NBC in forma di concerto, due atti per ogni serata. Quell'esecuzione è stata radiotrasmessa e registrata, ed è stata ormai riversata in CD restaurata e rimasterizzata, ed inserita nella "Toscanini Collection" della RCA/BMG, oggi presto uscirà (se non è già uscita) ulteriormente restaurata e rimasterizzata con la nuova tecnologia a 20 bit. Vi cantavano: il tenore Jan Peerce (Rodolfo), Licia Albanese (Mimì), Francesco Valentino (Marcello), Anne McKnight (Musetta), Nicola Moscona (Colline), George Cehanovsky (Schaunard), Salvatore Baccaloni (Benoit/Alcindoro). NBC Symphony Orchestra & Chorus Che dire di questa storica esecuzione?... Vediamo di analizzarla nei dettagli (per quanto è a me possibile). Cominciamo dal primo atto. Subito colpiscono in questa edizione gli accordi iniziali dell'opera, i quali vengono interpretati da Toscanini *rispettando* *effettivamente* l'indicazione di ff ruvido che io leggo sullo spartito d'epoca per canto e pianoforte in mio possesso; *subito*, noi ascoltatori, ci troviamo di fronte a quella che è la *realtà scenica* del primo atto: una fredda, squallida, umida e malsana soffitta!!! Toscanini *non si dimentica mai* di questo, e svolge tutto il discorso che segue in funzione di esso; colpiscono, già sullo spartito d'epoca, le numerose indicazioni di a tempo disseminate *per ogni dove*; quanto ai cantanti, essi si attengono strettamente a questo tipo di contesto narrativo ed interpretativo, quindi, con Toscanini... come dire... *niente* "arie formato recital", nella sua Bohème: *tutto* deve essere inserito nel discorso narrativo globale dell'opera e "scorrere", all'interno ed in funzione di esso... come dire... "liscio come l'olio". Con tutto ciò, Toscanini rispetta e fa rispettare ai cantanti *tutti* i rallentandi e i rubati presenti sullo spartito, e gli concede, talvolta, sempre a favore della scorrevolezza e, soprattutto, della *spontaneità* del discorso narrativo e dell'azione teatrale, anche qualche libertà testuale ed espressiva; ad esempio, concede a Schaunard il parlato alla frase "Vuoi suonare finché quello morire!". Magnifico, in questo tipo di contesto, risulta, naturalmente, il personaggio di Benoit. I cantanti fanno tutti il meglio che possono (per quanto è nelle loro possibilità, s'intende) per rendere il più possibile efficace questo tipo di interpretazione, ma il loro "top" lo aggiungeranno, di fatto, più avanti, vedremo poi perchè. Passiamo ora al secondo atto. Inutile dire che, anche qui, Toscanini, fa rispettare, come più efficacemente, forse, non si potrebbe, l'indicazione fff marcatissimo agli accordi iniziali dell'atto, favorito, tra l'altro, in questo, dall'acustica relativamente secca dello studio 8H della NBC; per una volta, poi, ascoltiamo un secondo atto di Bohème che si svolge *effettivamente* in una pubblica piazza di Parigi e non già, come spesso si ha l'impressione, a giudicare da certe esecuzioni... nella "Sala d'oro di Vienna"; per quanto riguarda l'esecuzione dal punto di vista globale si possono fare considerazioni analoghe a quelle già viste per il primo atto; per la "ritirata" alla fine dell'atto (non ti sto a dire quale spontaneità ed immediatezza narrativa Toscanini riesce a conferire ad essa!!!) rispetta le indicazioni di tempo presenti sullo spartito, quindi *niente rallenandi*, *niente corone*, *niente rubati* nelle battute finali... si sta eseguendo una marcia militare suonata da una banda militare in marcia!!! Così, almeno, è scritto sullo spartito!!! Possiamo quindi passare, ora, al terzo atto. Anche qui, inutile dirlo, Toscanini ci fa *vedere* come a pochi, forse, è riuscito di ottenere, la *realtà scenica* cui ci troviamo di fronte e nel quale è ambientato quest'atto, per non parlare di tutti gli effetti...come definirli... "scenico-musicali" che sono la caratteristica di quest'atto e che vengono eseguiti ed interpretati con una teatralità ed una spontaneità addirittura "sbalorditive" (!!!), specie considerando il fatto che si tratta di un'esecuzione "live" in forma di concerto (!!!), e non già di un'incisione "in studio"!!! Quanto ai cantanti, essi rendono qui, si può dire, il "top" delle loro possibilità, così come faranno, forse, anche di più, nel quart'atto, come vedremo più avanti. Curiosità di quest'edizione è che Marcello arrivato al momento di cantare la notissima frase "Or rincasate, Mimì, per carità! Non fate scene qua!" canta invece la frase "Tornate a casa, ed io gli parlerò; poi tutto vi dirò.": si tratta della stesura "originaria" del libretto di Illica e Giacosa, poi mutata nella frase che tutti conosciamo; è probabile che Toscanini preferisse questa versione, la quale, a pensarci bene, non è che sia poi "malvagia" rispetto alla frase... chiamamola così... "standard"... voi che ne pensate?... Un'interpretazione, comunque, questa del terzo atto, a mio avviso, assolutamente da conoscere, così come quella del quarto, di cui parleremo ora. Naturalmente, ci troviamo ancora nella soffitta del primo atto, con tutte le conseguenze che ne derivano; niente... "arie da concerto", dunque, ivi compresa "Vecchia zimarra"; discorso narrativo come sempre linearissimo e scorrevolissimo quanto più è possibile ottenere. Toscanini concede ai quattro "Bohèmiens" un po' di schiamazzi nel corso del finto duello, *sempre*, però, entro i limiti del *buon gusto*, quindi *mai* opprimenti o invadenti!!! Anzi!!! Scena finale dell'opera che vale da sola l'intera esecuzione!!! Ultima curiosità di questa Bohème è che Toscanini è talmente... come dire... *preso* ed emozionato nel corso di questa esecuzione, da non riuscire a fare a meno di... canticchiare... un po' di frasi pucciniane qua e là!!! Lo fa praticamente nel corso dell'intera esecuzione!!! Passiamo ora a parlare dell'altra Bohème di questo confronto: quella recentemente incisa da Riccardo Chailly per la Decca con l'Orchestra e il Coro della Scala e con protagonisti Roberto Alagna e Angela Gheorghiu. Esecuzione che si avvale della nuovissima edizione critica dell'opera curata per la Casa Ricordi da Francesco Degrada. Quest'ultimo, insieme allo stesso Chailly, firmano la critica allegata al libretto. Innanzitutto colpisce subito la scorrevolezza narrativa che, già dalle prime battutte, pur nella diversa interpretazione nonché resa acustica e sonora dell'incisione, pervade l'intera esecuzione; in certi momenti... sembra quasi di non aver cambiato esecuzione, da questo punto di vista, pur fermo restando il fatto che qui si opera un notevole alleggerimento degli spessori orchestrali e il cast a disposizione è senz'altro eccellente sotto tutti i punti di vista; da segnalare, comunque, l'Alcindoro di Alfredo Mariotti. Tra le differenze testuali con la precedente incisione (e con tutte le edizioni tradizionali dell'opera, nessuna esclusa) sono da segnalare il rallentando alle ultime battute del secondo atto, eseguite però, pur rallentate, *sempre* a tempo, quindi senza fluttuazioni di tempo, rubati, ecc. La ragione della presenza di questo rallentamento è presto spiegata; l'incisione lascia infatti percepire chiaramente che la banda, prima di quelle *ultimissime* battute dell'opera (*solo lì*, beninteso, si inserisce il rallentando, *non* molto prima, come spesso avviene nelle edizioni tradizionali!!!) si è già allontanata, quindi è l'orchestra, a questo punto, a "parlare". E' probabile che la vecchia versione prevedesse invece una situazione scenica diversa, come fa appunto Toscanini; tuttavia; ad un corretto ascolto, si tratta, a mio avviso, di quella che, in termini moderni, si potrebbe definire come una "ripresa vista attraverso due diverse telecamere". Lo spartito tradizionale, difatti, qui, scrive la seguente didascalia: "Musetta non potendo camminare perchè ha un solo piede calzato, è alzata a braccia da Marcello e Colline, che rompono le fila degli astanti, per seguire la ritirata: la folla vedendo Musetta portata trionfalmente ne prende pretesto per farle clamorose ovazioni: Marcello e Colline mettono con Musetta si mettono in coda alla ritirata: li seguono Rodolfo e Mimì a braccetto e Schaunard col suo corno imboccato: poi Studenti e Sartine saltellando allegramente, poi Ragazzi, Borghesi, Donne che prendono il passo di marcia: tutta questa folla si allontana dal fondo seguendo la Ritirata Militare" Orbene... A Toscanini interessa seguire, con l'orchestra "esattamente" il comportamento della folla; a Chailly, invece, interessa interpretare le ultime battute di questo atto *sia* viste in questo modo (vedi, appunto, il rallentamento, ma sempre a tempo), *sia* come "chiusa finale" dell'atto intesa nel senso tradizionale del termine. Una *sorta* di via di mezzo, dunque, fra tradizione esecutiva... diciamo così... "sinfonica" e "ragioni drammatiche" dell'azione teatrale. Si preferisca, dunque, delle due versioni, la più congeniale ai propri gusti personali. Questa edizione della Bohème, tuttavia, *pur* nella... come definirla.. *sovrana bellezza* esecutiva ed interpretativa dei primi due atti, trova il suo culmine, *esattamente* come quella di Toscanini (pur nella sua diversità!!!), nel terzo e quart'atto dell'opera. Il terzo atto si avvale di una Mimì davvero *struggente* (cosa ti fa la Gheorghiu in quest'atto è davvero impossibile a descriversi!!!); le fa da eccellente partner il Rodolfo di Roberto Alagna; eccellenti anche il Marcello di Simon Keenlyside e la Musetta di Elisabetta Scano, peraltro già decisamente brava nell'atto precedente, ma qui ancora migliore. Buoni tutti i personaggi di contorno; tuttavia desidero comunque sottolineare che, pur nella diversa interpretazione, tutta l'azione scenica caratteristica dell'inizio di quest'atto, per quanto splendidamente eseguita ed interpretata (da parte dei personaggi di contorno, s'intende), non raggiunge, qui, quella *verità scenica*, quella *immediatezza* nonché *spontaneità espressiva* caratteristica invece dell'edizione toscaniniana (Toscanini era un grande del teatro musicale: su questo non si discute proprio!!!). Quanto all'orchestra (sottigliezza questa, beninteso!!!), Chailly dà un po'... come dire... l'impressione di rendere un tantino... "strascicati" (dal punto di vista interpretativo, s'intende, *non* esecutivo!!!) gli accordi di apertura dell'atto, ma compensa col non renderli affatto tali alla conclusione dell'atto!!! Anzi... tutt'altro!!! Segnalo inoltre che qui, Chailly, opta per la classica frase "Or rincasate, Mimì, per carità! Non fate scene qua!" anziché per la "stesura originaria" scelta da Toscanini. Viene da chiedersi, a tal proposito, se l'edizione critica preveda entrambe le versioni, a discrezione del direttore d'orchestra e dell'interprete, o preveda invece solamente quest'ultima. Eccezionale, sotto tutti i punti di vista, il quarto atto. Eccellenti, qui (lo erano già, del resto, nel primo atto!!!), sia lo Schaunard di Roberto De Candia che il Colline di Ildebrando d'Arcangelo. Segnalerei, in quest'atto, la "Vecchia zimarra" che ha anch'essa un andamento molto simile a quella dell'edizione toscaniniana, la quale, ad un primo ascolto, sembrerebbe un tantino "veloce"; tuttavia, analizzando poi i tempi d'esecuzione ci si accorge facilmente che la differenza fra le due versioni è di soli 9 secondi (!!!). torna su
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Turandot: Finale di Berio: Le mie impressioniDue parole sulle impressioni che in me ha suscitato il nuovo finale di Berio, del quale ho ascoltato la registrazione, sia a partire da "Tu che di gel sei cinta", sia nel contesto dell'opera completa. Al primo ascolto, nonostante il senso di... come dire... "straniamento", naturale per chi come me e come tutti è abituato ad Alfano, subito mi hanno colpito alcuni momenti; lo... "stridore sonoro"... il "grido" orchestrale che Berio inserisce nel passaggio orchestrale che segue la frase "Il bacio tuo mi dà l'eternità" mi ha istantaneamente richiamato alla mente il del tutto paragonabile (molto somigliante in effetti) passaggio orchestrale che troviamo all'interno del mahleriano Adagio della X Sinfonia incompiuta; l'intera scena mi ha richiamato alla mente la scena in cui "der Liebe ersten Kuss" di Kundry risveglia la coscienza di Parsifal al ricordo di cosa quel bacio aveva provocato ad Amfortas, richiamandolo così alla sua missione. A differenza di Alfano, che risolve la cosa con due secchi accordi orchestrali seguiti da una pausa, sia Wagner che Berio (ognuno a loro modo, s'intende) risolvono a mio avviso la situazione in maniera non certo uguale ma comunque paragonabile. Un amico che ha ascoltato pure lui il Finale sabato sera mi ha fatto poi notare la... come definirla... "cellula leitmotivica" della melodia del Nessun Dorma (che in Alfano sfocia nel Coro "O sole vita eternità") che s'avverte poco prima delle note finali dell'opera. Già ieri al secondo ascolto il senso di straniamento presente al primo ascolto era del tutto sparito; stamattina invece, ascoltando il Finale nel contesto dell'opera completa, ho avvertito una continuità narrativa in orchestra tra la parte pucciniana e quella di Berio che fino a ieri era ancora per me insospettabile. L'unico punto nel quale si può forse discutere (ma con beneficio di inventario ovviamente) - punto peraltro riuscitissimo, beninteso - è la cucitura tra la scena finale pucciniana e l'inizio di quella di Berio. Non avendo a disposizione i famosi "trenta fogli" di Puccini non posso certo permettermi di giudicare in merito sul fatto se anche puccini avrebbe cucito musicalmente le due scene o se le avrebbe lasciate separate (come ha fatto Alfano). In ogni caso anche questo punto, come dicevo prima, è a mio avviso assolutamente geniale e riuscitissimo in Berio e assicura quella continuità narrativa che s'avverte non tanto nell'ascolto del singolo brano in sè, quanto nel contesto dell'opera completa. Grazie certamente anche alla splendida direzione di Chailly. |
riguardo al Nerone
di Boito
torna su Possiedo di quest'opera soltanto gli estratti "live" della "commemorazione boitiana" avvenuta alla Scala nel '48 sotto la direzione di Arturo Toscanini (terzo atto e secondo quadro del quarto atto). So che esiste un'edizione (forse live) di vecchia data diretta da Gianandrea Gavazzeni (una volta pubblicata presso la Fonit Cetra) che però non possiedo né ho mai ascoltato. So anche che esiste un'edizione diretta da Eve Queler ed incisa per la Hungaroton, che pure non possiedo né ho mai ascoltato. Ho letto parecchio su quest'opera, sia sul saggio (di autori vari) su Arrigo Boito edito da Nuove Edizioni, sia sul saggio di Romualdo Giani pubblicato quando Boito era ancora in vita, con tanto di copia anastatica di lettera autografa di Boito (nella quale quest'ultimo elogiava il Giani per l'ottimo lavoro svolto). Sappiamo tutti che il Nerone è un'opera rimasta incompiuta, ed eseguita postuma dopo la revisione e il completamento ad opera di un'équipe di compositori coordinata (almeno così sembra) da Arturo Toscanini, con alla testa (almeno così sembra) Antonio Smareglia. A giudicare da quanto ho letto, però, pare che questa équipe di compositori abbia apportato parecchi ritocchi anche alla parte "compiuta" della partitura autografa, non limitandosi, dunque, solo a completare ed orchestrare le scene mancanti. Come se non bastasse, esiste anche il dilemma riguardante gli ampi abbozzi (incompiuti) del quinto atto. Boito, però, ha scritto in calce al quarto atto "Fine del quarto atto e dell'opera". Però il testo del quinto atto è completo e, come abbiamo già visto, ne esistono ampi abbozzi. Ma quando, dunque, Boito ha scritto in calce al quart'atto quelle parole, "prima" o "dopo" la stesura degli abbozzi del quinto? Quali erano, dunque, le sue reali intenzioni? Non lo sapremo mai, ovviamente. Pure, continuando a leggere sul saggio di cui sopra, si deduce che il quinto atto assumerebbe tuttavia un'importanza drammatica non indifferente, in quanto è proprio in esso che si realizza il "vero" epilogo dell'opera: la morte e la dannazione eterna di Nerone. Riporto la trama degli ultimi momenti scenici; ci troviamo nel Teatro Imperiale: "Ora il Cesare [Nerone] è solo. Ritornano le minacciose voci lontane e dalle porte entrano gli spettri delle vittime di tutti i suoi delitti: Nerone cerca di fuggire, ma una parete del teatro crolla per effetto dell'incendio e da quella apertura si vedono i cristiani ardere, torce viventi, nell'orto dell'imperatore. Gli annunciano che è giunto il giorno dell'ira e maledicono per tre volte Nerone, che cade svenuto tra gli squilli delle trombe celesti. Il problema di un'esecuzione moderna di quest'opera, dunque, non è affatto semplice. Pure, a giudicare dalla poca musica che di essa conosco e dalla trama si tratterebbe, secondo me, di un'opera davvero affascinante. Ora vengo alla classica "domanda da un milione di dollari". Qualcuno si è mai occupato, anche solo "di striscio", dello "stato dell'arte" nei confronti di quest'opera? Ci sono speranze che qualcuno (un'équipe di studiosi, musicisti e critici, magari), prima o poi, se ne possa occupare? Infine, sarà dato a noi posteri di poter finalmente conoscere (ricostruito, si spera, nel migliore dei modi e il più vicino possibile alle reali intenzioni dell'autore) questo estremo lavoro operistico boitiano? Mi rendo conto che le risposte a tali domande non sono semplici né immediate. Mi sono però permesso di esporre il problema a tutti voi del forum e, in definitiva, a tutti coloro che fossero interessati a questo problema (veramente "amletico") al fine (forse) di poter far sì (prima o poi) che qualcuno di noi, prima di morire, riesca ancora ad ascoltare quest'opera (magari alla Scala); opera che, secondo me, meriterebbe davvero di essere conosciuta. A me Boito è piaciuto fin dalla prima volta che l'ho ascoltato; il Mefistofele, ovviamente. E' vero che i critici continuano a fare discussioni su discussioni su ciò che (secondo loro) in Boito è "geniale" e su ciò che invece è (dicono loro) "prosaico"; ma per me il discorso è molto più semplice. A mio avviso, ciò che conta di più in Boito *non è* tanto l'andare a cercare *questo*, bensì la funzione (o posizione) sempre "geniale", invece (secondo me), che anche il (chiamiamolo così) "prosaico" viene ad assumere nel contesto *generale* dell'opera (nel caso specifico il Mefistofele, ovviamente), *anche* al fine, sia di giustificare il "geniale" che gli sta accanto, sia il (chiamiamolo così) "morale della favola" finale dell'opera, cioè tutto ciò che scaturisce dall'intero contesto ("geniale" e "prosaico" concatenati insieme). Quanto al Mefistofele, direi che tutto questo lo si può senz'altro condensare in pochissime semplici (ma genialissime, nonché, soprattutto, estremamente significative) parole contenute in questi pochi versi, messi in bocca da Boito a Faust: Ogni mortal mister gustai il Real, l'Ideale, l'amore della vergine, l'amore della Dea... Sì. *Ma il Real fu dolore *e l'Ideal fu sogno. Qui, per me (soprattutto negli ultimi due versi), c'è TUTTO BOITO; ma come si fanno a *giustificare* appieno quegli ultimi due versi (a dar loro, cioè, un senso *realmente compiuto* senza che sorgano possibili ambiguità), senza leggere quelli che stanno sopra? Certamente non lo si potrebbe fare in una maniera così *diretta* e senza ambiguità alcuna; *anche* se i versi precedenti, rispetto agli ultimi due, li si potrebbe definire "prosaici". Così, in Boito, è anche la musica; non va giudicata *solo* la scena singola come si potrebbe fare (forse) di solito (scena, magari, "prosaica", se presa *in sè e per sè*), bensì il *peso* (sempre "geniale", questo, secondo me) che *anche* tale scena viene ad assumere per giustificare l'intero contesto, nonché, soprattutto, *proprio* quei pochi versi, che, non a caso, compaiono difatti nell'epilogo dell'opera. Questa è (almeno a giudicare dal Mefistofele) la visione della vita di Boito; visione che Faust, appunto, ricava nell'epilogo, *tanto* della sua vita, *quanto* dell'opera; anche se, a dire il vero, Faust va un po' più in là, meritandosi così il Paradiso e la salvezza eterna. E' da versi semplici e al tempo stesso geniali come questi che si giustifica (sempre secondo me) tutto Boito. Quanto al Nerone il discorso è invece un po' più complesso. Forse sarebbe (il condizionale, in questi casi, è d'obbligo) analogo al *primo* Mefistofele (purtroppo perduto forse per sempre, probabilmente dato alle fiamme dall'autore stesso, e del quale la Ricordi, a suo tempo, era riuscita a salvare solo qualche scena e qualche brano sinfonico nella stesura pianistica o percanto e pianoforte, grazie alle quali possiamo avere solo una vaga idea di quello che sarebbe potuta essere quell'opera, ma, purtroppo, come abbiamo visto, *non* l'intero contesto). Purtroppo, però, queste, sono solo ipotesi (anche se, magari, abbastanza attendibili). Dobbiamo dunque basarci sul solo Nerone. Senza ripetere quanto già detto nel mio precedente post posso aggiungere, in due parole, che si tratta, probabilmente, dell'unico esempio di *opera italiana* scritta *realmente* facendo uso della tecnica wagneriana del Leitmotiv. Forse, l'équipe di compositori chiamata a completare l'orchestrazione dei primi quattro atti del Nerone, non avevano compreso fino in fondo questo aspetto, andando a *ritoccare*, talvolta, *proprio* alcuni momenti scenici (sia vocali che musicali) in cui tutto ciò si realizzava pienamente. Per di più, come abbiamo già visto, hanno messo le mani *anche* sulla parte di orchestrazione già compiuta (i primi tre atti!!!), giudicata da essi incompleta, e, forse, anche ineseguibile; così l'hanno *rimpolpata* un po' alla maniera di Rimskij nei confronti del Boris musorgskiano (fatte le debite differenze, s'intende). Di qui la necessità di un nuovo lavoro di ricostruzione e completamento, come già detto nel post precedente, ma con tutti i problemi *annessi e connessi* fin lì esaminati; primo fra tutti, il dilemma *amletico* riguardante il quinto atto (del quale esistono, come abbiamo visto, ampi abbozzi), se includerlo o escluderlo (come avevano optato nel 1924, ma forse neppure conoscendo i suddetti abbozzi, o, forse, pur conoscendoli, senza prenderli neppure in considerazione, per i motivi già visti in precedenza) nella stesura completa definitiva dell'opera (magari lasciando all'interprete la decisione se eseguirlo o meno visto che il significato globale dell'opera, come abbiamo già visto, cambia radicalmente a seconda se lo si include o meno). Possiedo il numero speciale dell'Illustrazione Italiana uscito in occasione della prima scaligera, con tanto di bozzetti scenici stampati in tricromia (stupendi!!!) e foto dei cantanti e di Toscanini, oltre che varie foto di Arrigo Boito, e corredata di saggi ed articoli sia riguardanti l'opera (esecuzione, musica, scene, cantanti, direttore, ecc.), sia su Boito medesimo. torna su |
Don Carlos di Verdi
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