Racconto di Simonetta Pozzati

 

 

              La Volvo bianca

  

 

                Beslàn,  Settembre 2004

 

                       Le urla sono arrivate prima del frastuono delle pale degli elicotteri.

                   Doveva essere una giornata tranquilla, di quelle che iniziano solo con qualche raccomandazione in più. Irina è al secondo anno di scuola elementare. Sua madre Natasha fa l’insegnante nello stesso istituto. Entrambe si sono svegliate molto presto: sua moglie per truccarsi, sua figlia per avvolgere le rose  intorno ad un nastro rosso. Il colore della forza, del coraggio che ogni piccolo studente imprime su un fiore bianco, simbolo di una promessa. Irina quest’anno ha chiesto alla mamma di comprarle due rose perché vuol diventare una studentessa modello ed una bambina che saprà badare a sé stessa ed al cucciolo di cane che a giorni nonno Dimitri ha promesso di portarle. Ivan, suo padre, lavora come muratore in un cantiere che sorge a poche centinaia di metri dalla scuola. Oggi deve posare delle guaine sul tetto di un edificio alto dodici piani, da dove potrà assistere per una manciata di secondi all’apertura dei cancelli e all’arrivo dei bambini accompagnati dalle mamme o dai nonni. Ivan sorride ma distoglie subito lo sguardo perché il suo capo è uno di quelli che se ti distrai un attimo ti spedisce a casa fregandosene delle proteste di lavoratori o sindacati. È grande e grosso e forse deve  alla sua maledetta arroganza il fatto d’esser tornato dall’Afghanistan senza nemmeno un graffio . Uno dei pochi e lui lo sa. Ora lavora qui attirandosi l’odio di tutti i suoi subalterni. Ad amarlo sono solo gli impresari. Lo chiamano lo “svizzero” per la puntualità con cui consegna i cantieri. Ma anche per i soldi che pretende. Nessuno obietta perché essere puntuali in questo paese  è davvero un’impresa da eroi.    

 

 

                Shanghai, Settembre 2004

 

                       Il tavolo è preparato per quattro persone. Mamma, papà, nonna Chang e lei, la piccola Sion Lu che oggi compie tredici anni. Nonna Chang guarda compiaciuta sua nipote. Ha letto nei suoi occhi il futuro di una donna coraggiosa, che viaggerà a lungo e che, guidata dalla sorte, guadagnerà molti soldi. Sion Lu non lo sa. Ringrazia con un timido sorriso la mamma per averle preparato il suo piatto preferito, bocconcini d’anatra caramellati, e suo padre che , malgrado le minacce ricevute, ha deciso di rimanere in questa casa di mattoni grezzi con il piccolo orto tutto intorno. Infine posa il suo sguardo levigato su quello antico della nonna. Le sussurra all’orecchio: “Grazie Chang per esser venuta fino qui. So che hai fatto un lungo viaggio malgrado le tue gambe malferme e la schiena che ti duole. Perché non hai aspettato il prossimo Capodanno che ti raggiungessimo noi al tuo villaggio?” La nonna continua a sorriderle e prima di rispondere accarezza quelle gote rosee come pesche per allontanare  il ricordo sinistro di un sogno fatto non molto tempo prima.

                      Era stata una notte  agitata a causa del caldo soffocante che impediva anche ai più giovani provati dalla stanchezza fisica del giorno trascorso sui campi, di addormentarsi all’istante. Quando finalmente verso le quattro del mattino si era alzata un po’ di brezza, nonna aveva ceduto al sonno profondo. Ricorda che nel sogno vedeva suo figlio Lou Zou mentre dormiva sereno accanto alla moglie Tai Lan. Il loro sonno però veniva interrotto all’improvviso da un rumore assordante. Fuori, oltre la parete della  stanza, un escavatore enorme stava scagliandosi contro la piccola casa in mattoni. Finché il muro non si sgretolò spargendo  macerie e polvere sulla coperta degli sposi. A quel punto Chang si era dovuta svegliare in preda ad un’ansia molto forte che a stento era riuscita a calmare nei giorni successivi. Da lì era nata in lei la decisione di venire a trovare il suo unico figlio a Shanghai approfittando del tredicesimo compleanno di Sion Lu. A tutti avrebbe taciuto il vero motivo.

 

 

                 Beslàn, Ottobre 2004

 

                      Da alcuni giorni la piazza antistante la scuola è piena di furgoni stranieri con le parabole in cima. Sono le Tv di mezzo mondo che vogliono trasmettere a distanza di un mese per via satellitare il dolore impresso sui volti straziati di chi è sopravvissuto alla morte assurda dei propri figli, consorti o nipoti. Se qualcuno avesse un elenco di quelle sagome evirate dei loro affetti più cari, troverebbe che all’appello ne manca di sicuro una: Ivan Nicolaievich Stokaev. No, non si è ammazzato, come si potrebbe supporre. Non si è nemmeno perduto in quella che qui comunemente vien chiamata “la ballata dell’eroe”. Un eufemismo per ironizzare sull’ultima spiaggia nella quale si può arenare un uomo qualsiasi come Ivan Nikolaievich Stokaev che non ha più nulla da perdere se non quei pochi spiccioli che gli rimangono per pagarsi l’ennesimo giro di vodka.

                       Ivan quella mattina aveva visto quasi tutto. Era corso giù dal dodicesimo piano in un batter d’occhio come se al posto dei piedi avesse avuto le ali. Aveva urlato facendosi largo tra la gente, i poliziotti ed i soldati come se invece della sola voce avesse avuto un giubbotto carico d’esplosivo. Era arrivato alla barriera di corpi in tuta mimetica e kalashnikov puntati oltre la quale non poteva passare pena il morire prima ancora d’aver visto vivere o morire  sua moglie e sua figlia. Aveva atteso costretto dalla forza altrui finché non è apparso insieme ad altri, un piccolo angelo confuso e smarrito. Correva con gli occhi sbarrati di chi cerca disperatamente uno sguardo rassicurante. Ivan aveva gridato il suo nome, squarciando la barriera, l’asfalto, quel che rimaneva della scuola. Aveva gridato il suo nome mentre altri padri impazziti per la paura ed il dolore, correvano verso quelle piccole creature violate. Mancavano pochi passi, meno di un centinaio. Nella confusione degli elicotteri, delle sirene, dei soldati che urlavano di indietreggiare, era arrivata fulminea come una sciabola, tra la piccola Irina e lui, una Volvo bianca. Due uomini in camicia e pantaloni, con i capelli corti ed il fisico atletico erano scesi e con gesti sicuri, assolutamente coordinati, avevano preso il piccolo angelo, l’avevano caricato sui sedili posteriori ed erano ripartiti velocissimi senza temere alcun ostacolo. Ivan s’era fermato sentendo per la prima volta bruciare nel petto il dolore di quella corsa. Mancava Natasha. Forse quella macchina stava portando Irina all’ospedale. Ne era quasi sicuro. Ora doveva cercare sua moglie. Sì, doveva. L’avrebbe trovata tre giorni dopo tra i corpi carbonizzati dei suoi alunni.

 

 

                Shanghai, Ottobre 2004

 

                      Non è una ragazza capricciosa ma un desiderio ce l’ha. Vorrebbe un domani poter vivere in un appartamento con tutti i comfort possibili, incluso il bagno con l’acqua calda. Adesso è costretta ad uscire ed usufruire di quello sgabuzzino che papà è riuscito a costruire a fianco della loro piccola casa. C’è abituata ma lei sa che in una città come Shanghai che ultimamente sta diventando una metropoli simile a  New York, con i grattacieli altissimi completamente rivestiti di vetro, diventa quasi ridicolo vivere in quelle condizioni. Questa notte si sente insolitamente agitata. Ha preferito rifugiarsi qui nella minuscola toilette in attesa delle prime luci dell’alba piuttosto che rimanere sveglia nel buio della stanza dove s’è trasferita da un mese nonna Chang. Dal giorno in cui era arrivata a casa loro per festeggiare  il compleanno di Sion Lu, non si è più mossa. Ha venduto le poche cose che possedeva nel suo villaggio e con quel modesto ricavo contribuisce alle spese di vitto e alloggio. Si sente troppo vecchia per continuare a lavorare in campagna lontano dai suoi unici familiari. Loro, malgrado i miseri stipendi che Lou Zou e sua moglie riescono a guadagnare lavorando dalla mattina  alla sera in una fabbrica di accessori per bici, non hanno protestato. Nonna Chang è un’ottima cuoca ed è molto brava nel trattare i prezzi quando scende al mercato. Inoltre sa curare l’orto e tenere pulito il pollaio come nessuno ha fatto mai prima del suo arrivo.  

 

 

                Beslàn, Marzo 2005

 

                      Ha venduto la casa in un momento in cui nessuno aveva voglia di comprarne una. Ci ha pensato lo “svizzero”. Lui che di impresari ne conosce è riuscito a venderla ad un terzo del suo valore. I soldi sono arrivati. Ivan non ne ha mai visti così tanti in un colpo solo. Ora il suo scopo è di partire. A distanza di sei mesi, tanto c’è voluto per organizzare quel viaggio, Ivan è pronto per scendere all’inferno. Lui che sognava nelle notti calde d’estate di portare la sua bellissima Natasha e la piccola Irina in uno di quei posti con le palme verdi e la sabbia bianca come la luna, adesso è determinato a cercare, fosse anche nell’ultima piaga di questo pianeta malato, quell’angelo al quale qualcuno ha strappato le ali.

 

 

                Shanghai, Marzo 2005

 

                      Una luce fortissima si accende su tutta la casa. È così abbagliante che non assomiglia affatto ad una qualsiasi mattina di sole. Sion Lu è chiusa nella toilette. Si affaccia alla fessura in alto della porta e scorge un grosso escavatore proprio di fronte all’ingresso di casa sua. Degli uomini con l’elmetto giallo stanno tutti intorno ed uno si attacca al cancello urlando ai suoi genitori di uscire all’istante. Sion Lu ha le gambe bloccate per la paura. Persino dalla gola non esce alcun suono. Rimane lì appesa in preda al panico. Vede suo padre e sua madre uscire in pigiama ancora assonnati. L’uomo con l’elmetto giallo ha un foglio in mano. Parla concitato urlando parole incomprensibili a Lao Zou. Interviene Tai Lan che piangendo implora di non farlo. Nessuno li ascolta. Lao Zou si libera di quell’uomo e corre in casa per recuperare madre e figlia. Tai Lan urla perché ha capito che quelli non scherzano. Qualcuno a bordo dell’escavatore accende il motore. Il rumore è fortissimo, più della paura. La pala si scaglia contro la parete. È la stanza dove pochi secondi prima dormivano i suoi genitori. Il mostro meccanico indietreggia e di nuovo avanza. Altri pezzi cadono lasciando intravedere la piccola cucina dipinta di rosso con le pentole annerite di fumo e le trecce d’aglio pencolanti dal soffitto. Lao Zou non esce. Sua moglie corre dall’uomo con il foglio in mano e gli urla di smettere. All’interno ci sono ancora tre persone: suo marito, sua figlia e sua suocera. L’uomo fischia verso l’escavatore e questo si blocca all’improvviso. Poco dopo esce  Lao Zou irriconoscibile perché grigio di polvere con in braccio un corpo minuto. È nonna Chang, la vecchia madre, morta nel sonno forse per lo spavento. Sion Lu esce dal suo piccolo rifugio e ancora traballante sui  piedi scalzi raggiunge quel che rimane della sua famiglia. Nessuno porge loro un fazzoletto per asciugare le lacrime né mima un gesto di compassione per quella morte inaspettata. L’uomo con l’elmetto giallo consegna alla piccola Sion Lu il foglio e con aria minacciosa intima lei ed i suoi familiari di lasciare entro un’ora quel luogo di macerie. Adesso quel terreno appartiene alla Società HTZ & Co. Se qualcuno vuol protestare si rivolga pure ai suoi proprietari. La sede è a Francoforte in Germania.

 

 

                Vladivostok, Russia Sud-Orientale, confine con la Cina,  6 Novembre 2005

 

                      Un anno fa, quando ad una settimana dall’accaduto vagava incredulo tra ospedali, centri improvvisati della Croce Rossa Internazionale, obitori allestiti sotto le tende militari, non avrebbe creduto alle sue orecchie.

                   Lo “ svizzero” lo aveva avvicinato con la scusa della paga arretrata. Poi aveva ascoltato la sua testimonianza che nessuno voleva sentire. Era molto meglio credere che anche Irina fosse morta e che il suo corpo fosse esploso insieme ad una carica di tritolo, piuttosto che dar retta alla storia del rapimento. Lo “svizzero” invece aveva schioccato la lingua e guardandosi intorno, aveva chiesto: “Che intenzioni hai?”  Ad Ivan era bastata questa breve domanda per capire che non era pazzo né solo.  Lo “svizzero”, forte della sua esperienza di soldato e della sua conoscenza, a volte solo per vie indirette, di traffici illeciti di varia natura, gli aveva raccontato come poter arrivare ad Irina. Con il tono freddo e distaccato gli disse che dalla descrizione quegli uomini appartenevano quasi sicuramente ad un corpo paramilitare. E che questo, quando non viene impiegato in azioni terroristiche, interviene con eguale efficienza e tempismo in situazioni parallele ma altrettanto lucrative. Nel caso di Irina potevano essere due le destinazioni: vendita della bambina per uso pedofilo-pornografico oppure per espianto di organi. A quelle parole Ivan si era sentito male. Testa e stomaco sembravano imbrigliati in un vortice doloroso. Vomitò addosso allo “svizzero” tutta la rabbia e la disperazione che aveva accumulato in quegli ultimi istanti. Lui non sembrò farci caso. Rimase fermo e impassibile come una statua di cemento. Poi aggiunse: "Non metterti in testa strane idee. Vendicarti sarebbe una lotta persa in partenza. Tu contro un sistema che coinvolge una rete molto fitta e molto vasta di persone intoccabili. Ti rimane una debole speranza. Quella di raggiungere il posto dove potrebbe trovarsi tua figlia. Viva o morta questo non lo so.” Ivan aveva guardato a lungo quell’uomo chiedendosi se lo stesse aiutando a sopravvivere oppure a morire ancora più lentamente. Alla fine rispose: “Dimmi cosa devo fare”.

                   Quello fu l’inizio della sua ricerca tra funzionari corrotti e gente di ogni rango e paese pronta a scoprire solo una parte infinitesimale di un tassello che sembrava appartenere ad un puzzle grande quanto il mondo.

                   Adesso si trova qui, a Vladivostock, a pochi chilometri dalla Cina. Oltre questo posto non sa più dove andare. La città è strana, caotica, indifferente alle sue richieste. La foto di Irina si è ridotta ad un foglio sbiadito, un volto che si confonde tra le impronte scure lasciate da mani insensibili. Qualcuno ridendo gli ha detto di varcare il confine con il Grande Impero. “Da quella parte le bambine te le regalano!” Lui si arrabbia, pensa di aver percorso migliaia di chilometri inutilmente. Di esser stato un idiota nell’ascoltare  le paranoie di un mitomane. Risale in macchina e prende una strada a caso. È larga, monotona. Si ripromette di guidare finché avrà finito il gasolio e poi di lasciarsi morire. Poco dopo arriva senza volerlo ad un posto di blocco. Giovani soldati russi con gli occhi a mandorla gli chiedono i documenti ed il motivo del suo viaggio in Cina. Lui ascolta incredulo. Vorrebbe raccontare la sua storia e quasi meccanicamente invece del passaporto mostra la foto spiegazzata di sua figlia Irina. Il soldato lo guarda con aria interrogativa ma non capisce. Insiste perché Ivan gli mostri il passaporto. Nel frattempo un’altra macchina alle sue spalle fa lampeggiare i fari. Il soldato distoglie lo sguardo da Ivan e chiede al suo collega di controllare cosa vogliono. Ivan continua a cercare. Intanto la macchina che stava dietro la sua accelera e lo supera. Il soldato dice al collega: “Sono loro, tutto ok, falli passare”. Finalmente Ivan ha trovato il passaporto. Glielo porge mentre guarda l’auto che ora è davanti in attesa che la sbarra si alzi del tutto. È una Volvo bianca e a bordo riesce a scorgere due uomini con i capelli corti.

     

 

                Tun Hua, Cina Nord-Orientale, confine con la Russia, 6 Novembre 2005

 

                       Se quella sera di un anno prima nonna Chang le avesse confidato cosa aveva letto nei suoi giovani occhi, forse adesso sorriderebbe per la coincidenza. Sion Lu il giorno in cui hanno distrutto la sua casa, ucciso la sua nonna e fatto ammalare gravemente i suoi genitori, ha preso una decisione. Nella fabbrica dove lavora come operaia addetta allo stiro di pantaloni di un marchio occidentale, ha sentito bisbigliare tra le fila delle sue compagne, durante la breve pausa pranzo, che esistono due possibilità di riscatto da quella vita infame. Prostituirsi oppure farsi fare una banalissima operazione che però frutta un sacco di soldi. Così tanti che nemmeno battendo tutti i marciapiedi di Shanghai si potrebbero guadagnare. Parlare durante la mensa è severamente vietato. Chi ci riesce deve essere abilissimo nell’evitare il capo personale che non esita a picchiare oppure a multare incassando il trenta per cento della tassa. Così ha dovuto aspettare un bel po’ prima di sapere esattamente a chi  rivolgersi e quanti soldi le avrebbero dato. Ha dovuto incontrare molte persone e sempre di notte visto che lavora dalle sette del mattino fino alle dieci di sera, incluso il sabato e a volte pure la domenica. Alla fine però ci è riuscita. Le hanno fatto fare gli esami del sangue e delle urine. Due giorni dopo l’hanno attesa di fronte alla stazione dei treni. Quattordici anni, sana, un bel viso ed un fisico proporzionato, poteva scegliere la via della prostituzione. Lei ha preferito quella dell’espianto. Le hanno promesso cinquecento dollari, una cifra da capogiro. Cinquanta dollari come anticipo ed il resto ad operazione conclusa. Sion Lu li ha pretesi prima di partire. Loro glieli hanno dati in cambio di starle accanto per timore che scappasse. Lei ha accettato chiedendo di poter salutare i suoi genitori adesso ospiti presso amici in una baracca lungo il canale, consegnando a sua madre la busta con i cinquanta dollari priva di mittente. Nessuna domanda, nessuna spiegazione. Di fronte alla miseria o si soccombe oppure si risale spesso lungo una scala irta di compromessi. Fuori ad aspettarla ci sono due uomini. Vengono dal Nord, ne è certa. Parlano poco e quel poco che le hanno detto è per spiegarle che ad ogni città ci sarà un cambio d’auto. Alla sua domanda, “dove andiamo?”, nessuno le ha mai risposto. Dalla sera della sua partenza sono trascorsi almeno venti giorni. Due fermate al dì per una breve sosta in una toilette, mentre per mangiare e dormire sempre  e solo in auto. Alla fine sono giunti in una città di confine che si chiama Tun Hua. Sion Lu scorge a qualche centinaio di metri  un posto di blocco e poco più lontano un cartello scritto in cinese e in un’altra lingua a lei sconosciuta. La scritta dice: Vladivostok. Se non ricorda male quella città dovrebbe trovarsi in Russia. Una Volvo bianca con due persone a bordo si avvicina facendo lampeggiare i fari. Uno degli accompagnatori di Sion Lu scende e  saluta gli occupanti dell’altra macchina. Si guardano in giro e poi, parlando ancora una lingua a lei sconosciuta, forse l’inglese, si scambiano una busta. Infine aprono la porta a Sion Lu invitandola a scendere per salire sulla Volvo bianca. La ragazza fatica a muovere le gambe. Troppo tempo trascorso a star seduta. Gli stranieri guardano dubbiosi i cinesi, mentre uno dei due, quello con la busta in mano, tira un pizzicotto al braccio di Sion Lu e l’intima di muoversi. Adesso il braccio le fa molto male ma non riesce proprio a camminare. Tenta un passo e sviene. Mentre è ancora a terra gli stranieri dai capelli corti protestano con i cinesi e pretendono la busta indietro. Quello che guidava inizia a calciare il corpo inerme di Sion Lu. Lei non risponde. Sogna di essere già in Russia con i suoi quattrocentocinquanta dollari in una casa con il bagno e l’acqua calda.

 

                Epilogo

 

                       Ivan si avvicina lentamente con la macchina. Ha riconosciuto i due con i capelli corti. È sicuro, sono loro. Quando scende dalla sua auto pronto a raggiungerli, quelli non s’accorgono del suo arrivo perché coinvolti in una discussione con due cinesi che protestano animatamente. A terra tra i loro piedi giace una ragazzina pallida e minuta. Nessuno la bada, anzi uno dei due cinesi inizia a prenderla a calci violentemente. Ivan è sconvolto. Li raggiunge urlando di smettere. Il cinese non capisce e continua a calciare mentre uno dei due stranieri gli strappa la busta dalla mano ed insieme al suo compagno risale nella Volvo bianca. Velocissimi raggiungono il posto di blocco alle loro spalle  e dopo un paio di lampeggi con i fari, la sbarra si alza lasciando la via libera verso la Russia. I cinesi battono i pugni sul tettuccio della macchina. Risalgono non prima d’aver sputato sul corpo sanguinante che giace a terra. L’affare è sfumato, a loro non serve più. E mentre se ne vanno a gran velocità, Ivan si china sulla ragazza. Le tasta il polso pregando che sia ancora viva. Gli sembra di percepire un debole battito ma ciò che lo preoccupa è che sta uscendo molto sangue all’altezza dello stomaco. Si guarda intorno in cerca d’aiuto ma vede solo polvere, asfalto ed un paio di guardie un po’ più in là che fumano annoiate. Piange perché è stanco di toccare corpi freddi e straziati. Piange mentre Sion Lu apre gli occhi. Dice qualcosa in una lingua che lui non comprende. Non importa, adesso quel che conta è fermarle l’emorragia. E mentre Ivan si strappa un lembo della camicia, la piccola Sion Lu ringrazia. E’ la prima volta da quando è partita che qualcuno le sorride.