Il «Centro per il diritto alla salute» di San Bonifacio e la Commissione «Giustizia Pace Salvaguardia del Creato» della Parrocchia di S.Zeno di Colognola ai Colli organizza un incontro-dibattito informativo sul tema: «I servizi socio-sanitari nel nostro territorio (Est veronese) e le prospettive del prossimo futuro». Interverranno alcuni medici e sindaci. Inizio ore 20,30 presso la Sala parrocchiale di S.Zeno di Colognola ai Colli. Info: aldo.corradi@email.it
Con grande gioia annunciamo la nascita del Gruppo don Tonino Bello presso il piccolo Eremo di San Rocchetto vicino a Quinzano (Verona), dove opera don Luigi Ferrari, cappellano del carcere di Verona e aderente a Pax Christi. Il Gruppo è formato da una rete di persone attive nel campo delle associazioni e del volontariato. Ha individuato nella figura di Tonino Bello un testimone credibile di pace e della Chiesa dei poveri. Il primo incontro, rivolto a illustrare la figura di don Tonino, si svolgerà mercoledì 27 febbraio ore 21. ( info: paxchristi_paronetto@yahoo.com )
La Fondazione Toniolo organizzato una conferenza che si terrà presso la sua sede (Chiostro di S. Fermo, via Dogana 2/A, Verona) sul tema: L'ATTUALITA' DELLA FINANZA ETICA E LE MODALITA' DI FUNZIONAMENTO - Dott. Mario Cavanni, socio di Banca Etica . Inizio ore 20,45.
UN MONDO DIVERSO E’ IN COSTRUZIONE: IL CONTRIBUTO DI AGENDA 21 LOCALE". Agenda 21 Locale è un’occasione per tutti di partecipare al governo della propria città, per un futuro sostenibile "che risponda alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze". Sabato 9 Marzo 2002 – Verona presso Sala Lucchi – Palazzina servizi dello stadio, ore 15.00 – 18.00. Intervengono: Alessandro Bratti - Assessore all’Ambiente e Agenda 21 Comune di Ferrara; Massimo Becchi – Presidente di Legambiente Reggio Emilia Serena Tarocco – Consulente del Comune di Mantova per Agenda 21 Locale. Agenda 21 locale è un programma di azioni finalizzato allo sviluppo sostenibile del territorio. La novità è che le decisioni non vengono calate dall'alto, ma concertate in un dialogo diretto dei cittadini interessati. I gruppi di cittadini che rappresentano i diversi interessi e le diverse realtà della città (associazioni culturali, assistenziali, ambientaliste, sportive, sindacati, imprenditori, commercianti, artigiani, agricoltori, scuola, tecnici ed amministratori) partecipano direttamente al governo della città assieme alle istituzioni locali. L'obiettivo è organizzare la nostra società secondo modelli di produzione e di consumo più equi e sostenibili. L'attuale modello di sviluppo appare spesso distruttivo nei confronti dell'ambiente,delle relazioni tra comunità e anche della qualità di vita individuale che ci viene offerta. Dobbiamo gestire noi veronesi il nostro territorio, valorizzarlo e farlo conoscere,con i metodi che ci sono più congeniali, collaborando con altre realtà territoriali di cui rispettiamo le caratteristiche. La ricchezza dell'Italia e del Pianeta sta nella varietà, non nell'omogeneità, dei modi di vivere: abbiamo impiegato millenni a costruirla! Rete Lilliput Verona, che ti invita all'incontro, è un collegamento tra gruppi, associazioni, cooperative, singole persone che operano per un’economia di giustizia svolgendo attività in tutto il territorio veronese in molti ambiti, ben radicati nel suo tessuto sociale.
All’interno del ciclo di incontri «LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI ?» organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nogara (Verona) e dalla Biblioteca Comunale di Nogara "Elisa Masini" VENERDÌ 15 MARZO alle ore 21 presso la Biblioteca Comunale - Palazzo Maggi, presentazione del libro di GIAN CARLO CASELLI e ANTONIO INGROIA "L'eredità scomoda. Da Falcone ad Andreotti sette anni a Palermo" (Feltrinelli). Interverranno: MARIA FALCONE (Presidente della "Fondazione Giovanni e Francesca Falcone"); ANTONIO INGROIA (Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo); AMEDEO TOSI (Giornalista, Direttore Responsabile del settimanale telematico "il GRILLO parlante"). Tutti sono invitati. Per informazioni http://digilander.iol.it/biblionogara ; biblionogara@libero.it .
«UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE? L'IMPATTO DELLA GLOBALIZZAZIONE SULLE SOCIETA' E LE CULTURE» è il titolo del CONVEGNO organizzato da Mani Tese presso il Centro Culturale "Leonardo Da Vinci" Piazza Indipendenza di San Donà di Piave il 16 MARZO 2002, ore 9.00-13.00 - Introduzione e coordinamento: Gianfranco Bettin, Sociologo. I MOLTEPLICI ASPETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE Cresce la ricchezza, aumentano le emergenze sociali e gli squilibri economici. Relatore: Manlio Dinucci - Saggista; UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE! Le proposte della società civile globale per un mondo più giusto e solidale. Relatore: Sabina Siniscalchi - Mani Tese e Social Watch Italia - INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA FOTOGRAFICA "TERRA" DI SEBASTIAO SALGADO, DEDICATA AL MOVIMENTO DEI CONTADINI SENZA TERRA DEL BRASILE.
La Fondazione Toniolo organizzato una conferenza che si terrà presso la sua sede (Chiostro di S. Fermo, via Dogana 2/A, Verona) sul tema: IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE - Prof.ssa Maria Grazia Totola, Facolta' di Economia e Commercio, Università di Verona. Inizio ore 20,45.
06-07/04/2002 - Ferrara - Convegno di Teologia della Pace
IX CONVEGNO DI TEOLOGIA DELLA PACE 6-7
aprile 2002 Sala Conferenze "CeDoc - SFR" via XX Settembre 47 - FERRARA. Tema:
SATYAGRAHA, FORZA DELLA VERITA' CHE OPERA GIUSTIZIA. I Convegni di Teologia
della Pace sono promossi da Pax Christi, attraverso il Punto-Pace di Ferrara,
con la collaborazione dell'Istituto di Scienze Religiose diocesano e della
Chiesa Battista di Ferrara, unitamente al movimento di Rinascita cristiana, al
Segretariato Attività Ecumeniche locali e all'Associazione Ferrara-Terzo Mondo,
con il sostegno del Centro Servizi per il Volontariato di Ferrara. Si tratta di
un'occasione - che ci risulta essere unica in Italia nella sua sistematicità -
per chiamare la teologia a confrontarsi sui temi della Pace e a scoprire come la
Pace sia il vero volto di Dio. In questo IX incontro proseguiremo la riflessione
intorno alla Verità e al suo rapporto con la Nonviolenza (Satyagraha, per
Gandhi), declinandola rispetto al tema strettamente legato della Giustizia.
Ancora una volta non possiamo non essere attenti all'ordine del giorno che la
storia recente ci pone, dove Verità e Nonviolenza sembrano sempre più messe al
margine.
P R O G R A M M A
SABATO 6 APRILE, ORE 18,30 -
LITURGIA ECUMENICA presso la Chiesa Battista di via C. Mayr 110/a. Cena
comunitaria - ORE 21,00 - (PRESSO IL TEATRO "CASA DI STELLA DELL'ASSASSINO", via
Cammello) «GOLFO» tratto dall'omonimo libro di Robert Westall, riduzione
teatrale a cura di: Marcello Brondi, Teresa Fregola, Luciano Giuriola. Regia di
Luciano Giuriola
DOMENICA 7 APRILE (Sala Conferenze "CeDoc - SFR" via
XX Settembre 47): ORE 9,15 - Accoglienza di Andrea Zerbini, direttore
dell'Istituto di Scienze Religiose di Ferrara. Saluto di Carlo Caffarra,
arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Saluto di Giorgio Dall'Acqua, presidente della
Provincia di Ferrara. Saluto di Daniele Lugli, segretario nazionale del
Movimento Nonviolento. Introduzione di Piero Stefani, direttore scientifico del
convegno. Relazione di Lidia Maggi, pastora evangelica, Cinisello Balsamo
(Milano): "Effetto della giustizia sarà la pace (Isaia 32,17)". Relazione di
Raniero La Valle, giornalista e studioso di tematiche sulla pace, Roma: "La
guerra giusta: nascita e storia di una triste leggenda". Discussione. Pranzo
comunitario.
ORE 15,00 - Relazione di Cesare Frassineti, esperto di economia
e globalizzazione, Roma: "Economia, giustizia e nonviolenza, un trio
impossibile?"
Relazione di Giuseppe Stoppiglia, frate cappuccino, prete
operaio e formatore sindacale, presidente dell'associazione Macondo, Vicenza:
"Verità e giustizia nelle relazioni tra i popoli per crescere la
nonviolenza".Discussione.
Conclusioni di Francesco Comina, giornalista, Pax
Christi Bolzano. Per informazioni e iscrizioni (entro il 31 marzo): Pax Christi
Punto-Pace Ferrara, c/oAlessandra Mambelli, tel.0532742260;
e-mail: relaxpxfe@libero.it
All’interno del ciclo di incontri «LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI ?» organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nogara (Verona) e dalla Biblioteca Comunale di Nogara "Elisa Masini" MERCOLEDÌ 17 APRILE alle ore 21 presso la Biblioteca Comunale - Palazzo Maggi si terrà la presentazione del libro di ELIO VELTRI "Le toghe rosse" (Baldini & Castaldi) e dell'ultimo libro di MARCO TRAVAGLIO. Interverranno: MARCO TRAVAGLIO Giornalista de "la Repubblica"; ELIO VELTRI, Presidente dell'Associazione "Democrazia e Legalità"; PAOLO ANDREOLI, Sindaco di Nogara. Tutti sono invitati. Per informazioni http://digilander.iol.it/biblionogara ; biblionogara@libero.it .
IN PRIMO PIANO
DAVIDE, UN UOMO INGOMBRANTE
di Ettore Masina
In “Poesie a Casarsa” Pierpaolo Pasolini ha un’immagine di straziante bellezza per indicare la inevitabilità dell’affievolirsi dei ricordi: Al ven sempri pì sidìn e alt / il mar dai âins ( Si fa sempre più silenzioso ed alto il mare degli anni. E’ una realtà crudele che ben conosciamo: voci che ci sono state carissime, dalle quali abbiamo appreso le parole per vivere, un poco alla volta si riducono a bisbigli, come di malato, poi a povere ceneri nel vento. Tuttavia ci sono persone che per qualche loro caratteristica (per l’amore che gli abbiamo portato, certamente, ma non solo per questo) più tenacemente ci rimangono presenti e vicine. Padre David Maria Turoldo, come si firmava, Davide, come lo abbiamo sempre chiamato noi amici, è, per molti, una di quelle figure. Come, dopo una sua visita, rimanevano nelle stanze in cui lo avevamo ricevuto, bottiglie vuote, e libri che ci aveva donato, e carte spiegazzate nella forza di un discorso, e l’eco di grida, talvolta, profetiche, così, a dieci anni dalla sua morte, a me pare che Davide se ne sia andato ieri sera o il mese scorso; che non un mare profondo e silenzioso ci separi da lui, ma un’assenza che non si prolungherà oltre il tramonto o si protrarrà soltanto sino all’eucarestia domenicale. Egli era così ingombrante che è ben difficile persino allo scorrere del tempo riuscire a ridurlo a un’ombra. Sì, ”ingombrante” è la parola giusta: se vuol dire “che occupa spazio a dismisura”. Davide era così, dal punto di vista fisico, e lo fu sin quasi alla fine del suo Calvario, quando apparve davvero come un crocefisso. Tutti che gli fummo amici ci riconosciamo nella descrizione che ne fecero, negli anni ’60, due suoi, e nostri, compagni: Luigi Santucci: "Altissimo e biondo come un covone, è un goffo arcangelo dalle mani enormi, che sono forse le sue ali mancate, a giudicare da come le sventola e le dibatte". E Nazareno Fabbretti: "Alto quasi due metri, biondo come un vichingo, con una voce dolorosa e violenta e due occhi pieni di fatica indistruttibile". Penso che non pochi di voi, del resto, abbiano conosciuto Davide in questa sua torreggiante corporeità e dunque non insisterò sull’ argomento, ma non voglio rinunziare al ricordo sorridente di una certa sera, in casa nostra, a Roma. Era verso la fine del Concilio ed erano i giorni in cui andava emergendo l’impossibilità psicologica per papa Montini di procedere audacemente sulla via della collegialità. Il nostro, quella sera, era un salotto buono in cui un importante gesuita straniero ci parlava in maniera assai fredda di problemi vitali; padre Davide ci raggiunse, sul tardi, come faceva lui, che non tollerava di essere assente a riunioni di amici, anche se alcune si svolgessero in contemporaneità. Sedette in silenzio, ma si capiva che dentro lo agitava una moltitudine di sentimenti: e quando il gesuita nominò Paolo VI, ecco Davide balzare in piedi, spalancare le immense braccia e ruggire: “Questo papa bisogna ucciderlo!”. E il gesuita guardare l’orologio e dire, terrorizzato: “Si è fatto tardi, devo andarmene”… (Inutile dire che padre Davide amava il papa e scrisse, più volte, su di lui cose toccanti). Ingombrante fisicamente, e per vortice di passioni, talvolta anche per innocente gigioneria (lo ricordo rientrato dall’esilio londinese con lobbia e ombrello arrotolato, come un impiegato della City...), Davide seppe tuttavia riempire con delicatezza e con irruenza spazî pastorali che il clero italiano, vescovi compresi, sembrava, per lo più, trascurare. Non solo nel periodo della pace giovannea ma ben prima, nell’epoca delle scomuniche, mostrò sempre tenerezza e sollecitudine per i “fratelli atei”, come amava chiamarli, soprattutto per quelli che gli sembravano resi tali dallo scandalo di una Chiesa infedele al suo Fondatore. Seppe stargli accanto apertamente, senza indebite invadenze, come una amorevole presenza (innanzi tutto laicamente amorevole, se così si può dire), ma che non nascondeva il suo sostrato cristiano; e anche seppe ascoltarli, ammirarne le doti, cercarne, in una specie di macro-ecumenismo, le comuni ragioni di vita. Pasolini e Vittorini e Sanguineti e Fortini, tanto per fare qualche nome, conobbero in lui, non soltanto la lealtà del collega letterato, ma anche il sacerdote che, senza aspirazioni predatorie, mostrava la grazia vivificante del vangelo sine glossa. E quando, per alcuni di quei cosiddetti “lontani” fu l’ora del dolore, Davide seppe calarsi come un fratello nelle loro vicissitudini. Il mio discorso su Turoldo non può essere qui altro che un cenno, sia pure non frettoloso, e mi limiterò allora a qualche parola sulla sua poesia. Non sul valore letterario di essa, poiché tutto io sono fuori che un critico, ma sull’umiltà con la quale egli, poeta raffinato, lettore inesauribile di poeti, uomo di straordinaria cultura, e narcisista come sono sempre gli intellettuali, assetato dunque, di bellezza formale, non esitò a “sporcare” i suoi versi nel fango della Storia. Perché non dirlo? Quando si trattò di raccogliere tutti i suoi componimenti in quel volume “ O sensi miei...”, che fu presentato come la sua opera omnia, non tutte le sue composizioni vi furono raccolte. Gianfranco Ravasi, che a quell’epoca aveva grande influsso su Davide, con il quale aveva compiuto quella traduzione dei salmi che rimane la più alta opera della riforma liturgica in Italia, lo convinse a non inserirvi le poesie scritte, per così dire, in trincea, quelle che Davide definiva “ballate”: Ravasi, fine critico, sapeva bene che quello era materiale grezzo, ganga aurifera appena raccolta nella violenza delle acque, non ancora sedimentata e filtrata nel silenzio claustrale. Ma noi continuiamo ad amare Davide proprio per quel suo gettarsi allo sbaraglio, lui e la sua arte, nelle tragedie e nelle nascite luminose del mondo “altro”. Davide non appese mai la sua cetra ai salici ma sforzò la sua voce seguendo gli oppressi nelle loro terribili lunghe marce alla ricerca di libertà e di giustizia: il Cile, il Vietnam, la Bolivia, il Nicaragua, il Sudafrica, il terrorismo dei disperati e quello, sapiente e feroce, della Cia, all’ombra, come lui diceva, di “un dio finanziere”… Con noi singhiozzò, nascondendo le lacrime, pregò, maledisse, sperò, cercò di costruire speranze. La sua vena lirica tracimò gli argini dell’eleganza per fedeltà agli ultimi e alla loro storia. I dannati della Terra furono la sua bussola e la vera metrica delle sue composizioni. Per loro, non tacque, mai. “Il poeta è un crocefisso al legno della verità” diceva. Anche quando i vescovi sembravano attenti soprattutto agli equilibri dello status quo, anche quando i superiori ecclesiastici gli chiedevano obbedienza alle loro cautele, e la sua incriminata disobbedienza (che era invece fedeltà alla propria vocazione monacale) comportava la condanna a esilii per lui durissimi, ed egli era costretto a contemplare l’apparente trionfo della banalità, della mediocrità, del conformismo mondano, Davide - come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani e don Zeno Saltini e padre Ernesto Balducci - non ebbe mai dubbi: il vangelo non poteva che radicarsi nelle regioni in cui la sofferenza causata dall’ingiustizia stritolava la vita della povera gente. Egli non poteva (certamente non voleva, ma soprattutto per qualche misteriosa vocazione proprio non poteva) fermare il suo sguardo di monaco alle pareti della cella e neppure agli altari di pietra, né alle tanto amate solenni liturgie; non lì -. o non soltanto lì – era il suo Cristo, ma nella polvere delle sconfitte, nei ceppi dei vinti, nelle baracche degli oppressi. Davide aveva fra i suoi amici non pochi ricchi; entrava nelle loro case con l’aspersorio delle benedizioni, ma invece di donare loro le illusioni che gli ecclesiastici hanno sempre elargito ai cosiddetti benefattori, poneva loro le dure richieste della spartizione dei beni, unica possibile scelta di salvezza. Poi riprendeva il suo posto, idealmente, nella casa dei suoi genitori, sospirata povertà, o nell’atroce miseria degli infiniti Golgotha della Terra. Seppe incontrare in quelle regioni anche una poesia sorella, da ascoltare con reverenza. Nella vita di quest’uomo sempre conteso fra la necessità del silenzio-contemplazione e il bisogno quasi primordiale del grido, vi sono spazî in cui egli scompare dietro il canto altrui, dietro le storie degli umiliati e offesi. Voglio ricordare qui il lungo, paziente lavoro di traduzione de “Il Serpente piumato”, il poema di Ernesto Cardenal, “monaco rivoluzionario – come egli lo definisce, - mingherlino uomo con il basco, magro come una lucertola, che continua a cantare”; o le lunghe ore e attività dedicate con paterna tenerezza (e certo qui molti di voi ne sanno qualcosa) alla affermazione e diffusione del libro di Rigoberta Menchù, che gli parve, come parve a tanti di noi, storia sacra, incontro di cosmogonie che si ricompongono nel comune respiro del divino, nel lamento dell’uomo e della donna che non si arrendono al potere del male: lamento che è insieme grido di dolore e grido di sfida. Di resistenza. E’ bello che il libro di Davide appena pubblicato, “La mia vita per gli amici”, abbia il sottotitolo bonhoefferiano di “Vocazione e resistenza”. Davide non visse soltanto la resistenza al nazifascismo, fu chiamato dalla Storia a vivere, come noi e insieme con noi, la resistenza al crollo di tanti ideali e di tanti miti; sentì la drammatica necessità di resistere al conformismo imposto con tecniche raffinate a creature ridotte, come lui diceva, a “ombre sui muri”, coscienze torpide”, “anime malate e sconfitte”. E poi… poi ha dovuto e saputo resistere al male fisico, all’impazzimento delle cellule che sconvolgeva la sua vita. Ha saputo fare anche di più: ha saputo resistere alle tentazioni “religiose” del Dio tappabuchi invocato come dispensatore di salute. Infine, ha resistito alla disperazione: nel punto più alto della sua umana avventura ci ha lasciato un insegnamento che dice tutto della sua fede: “Vedere la luce attraverso il costato aperto del Cristo”. Ma questa vicenda meriterebbe ben altro approfondimento. Così, per avviarmi alla conclusione, riprendo il tema delle ballate turoldiane, per dire che può ben darsi che in esse Davide non sia stato grande poeta: ma hanno pur sempre a che fare con la storia della letteratura italiana perché esse furono lette da decine e forse centinaia di migliaia di persone, molte delle quali ebbero, per la prima volta, la rivelazione che poesia poteva essere grido efficace. Nelle ballate di Turoldo trovarono invettiva, esortazione, omelìa, profezia. Con esse egli si accompagnava come cittadino e come sacerdote a chi non voleva arrendersi ai vecchi vizi italiani, ai vecchi e nuovi poteri. Di questi poteri scandagliò e descrisse l’obiettiva malvagità: dall’egoismo dei “garantiti” al crescere del razzismo, alla miserabile esosità delle teorie neoliberiste. Per questo mi piace collegarlo non solo agli altri grandi poeti “civili” italiani “laureati”, ma anche e soprattutto al poeta operaio Ferruccio Brugnaro che già negli anni ’70 forava i fumi velenosi di Marghera per denunziare il martirio imposto ai lavoratori del petrolchimico. L’uomo come metro per giudicare il sistema. E la poesia come strumento politico, necessariamente eversivo poiché non si adegua all’imperialismo della cultura consumista anzi con esso fatalmente confligge: Davide lo dice con aperta chiarezza in un suo brevissimo componimento, intitolato appunto "Poesia": «Poesia / è rifare il mondo, dopo / il discorso devastatore / del mercadante». Notate la parola "mercadante" invece che "mercante". Davide, non usava se non raramente parole arcaiche. Io credo che con questa egli abbia voluto ricordarci che c'è un'antica storia dietro il consumismo neo-capitalista, la storia di Caino che rifiuta di essere il custode di suo fratello, la storia di chi alla propria avidità di cose e di potere non esita a sacrificare vite umane. Noi non possiamo dire che cosa griderebbe oggi Davide. O sì? Hanno ancora senso quei quattro versi? C’è nel nostro presente un discorso devastatore fatto da qualche mercadante? Quanto ci manchi, fratello Davide.
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SOLIDARIETA'
Armi, petrolio e diritti
umani in Sudan In questi giorni si è parlato della ragazza cristiana sudanese,
la cui condanna a morte è stata annullata. Alcuni giornali hanno dato molto
spazio a interpellanze del centro-destra a suo favore. Bene. Altri sono
intervenuti per il suo diritto alla vita in silenzio. A proposito del Sudan, è
bene informare a tutto campo. Occorre ricordare l’iniziativa della "Campagna
italiana per la pace e il rispetto dei diritti umani in Sudan", promossa da
Caritas, Pax Christi, Acli, Amani, Arci, Cespi, Cesvi, Cuore amico, Mani Tese,
Missionari comboniani, Nigrizia e Raggio), operante dal 1995. Essa sta svolgendo
un lavoro di pressione politica a sostegno dei diritti umani violati in molte
parti del paese, soprattutto sui monti Nuba (dove è necessario aprire corridoi
per l’aiuto a popolazioni decimate ed escluse dagli interventi umanitari
internazionali) e ha attivato canali di comunicazione e di scambio con realtà
associative sudanesi. Su tali problemi interviene spesso padre Renato Kizito
Sesana, assieme ad alcuni missionari veronesi, tra i quali sono molto attive le
suore. Nel ’99 la Campagna ha organizzato il forum "Prospettive di pace in
Sudan" che ha consentito un confronto fra esponenti della società civile e della
vita politica sudanese. Il 5-6 ottobre 2001 ha promosso un convegno a Cremona
dal titolo "Acqua e petrolio in Sudan: guerra e diritti umani". Sono intervenuti
rappresentanti dell’ONU, dell’Università di Padova, di Firenze e di Karthoum,
giornalisti, uomini politici e il vescovo ausiliare di Karthoum Daniel Adwok. Il
tema acqua-petrolio è stato ed è all’ordine del giorno anche del network
"European Coalition on Oil in Sudan" che tenta di impedire l’aggravarsi della
guerra civile in corso, che sta causando ormai da vent’anni sofferenze inaudite
alla popolazione civile. "Prima la pace! Il petrolio alimenta la guerra in
Sudan" è il motto della mobilitazione europea che invita le compagnie
petrolifere (di origine cinese, malese, britannica, canadese, svedese, austriaca
e ora anche russa; ci anche sono apporti tecnici italiani) a sospendere le loro
attività fino a quando non vi siano garanzie certe di una pace giusta e
duratura. I proventi petroliferi, dicevano i relatori presenti a Cremona,
servono in gran parte al governo per acquistare armi. I missili recentemente
acquistati dal Sudan sono "figli del petrolio". Ultimamente, informa "Mondo e
Missione" (febbraio 2002), il Sudan ha preannunciato un aumento della produzione
di greggio di 60.000 barili al giorno, grazie allo sfruttamento dei campi
petroliferi di Bentiu e di Menga, nel Sud Sudan. Si tratta di due aree spopolate
perché la gente è stata cacciata o uccisa. La stessa sorte stanno subendo
migliaia di sfollati che si sono ammassati nel distretto di Aweil, nel Bahr el
Ghazal. Il vescovo di Rumbek, Cesare Mazzolari, ha raccontato all’agenzia
"Fides" che molte famiglie, composte da madre e una o più figlie, sono scappate
da Raga e da altre località più a nord per evitare di essere rapite o ridotte in
schiavitù. Egli ha fatto appello alle Nazioni Unite perché la situazione risulta
disperata. Molti si cibano di foglie e per avere acqua devono camminare almeno
due ore. L’anno scorso, i vescovi cattolici ed episcopaliani del Sudan hanno
affermato che "l’estrazione del greggio alimenta la guerra, sradica intere
popolazioni civili e rafforza l’esistente squilibrio nella divisione della
ricchezza". Recentemente, sono intervenuti anche i vescovi del Kenya che si sono
espressi contro l’acquisto del petrolio sudanese da parte del loro paese, perché
Nairobi non diventi complice di un "business" che sta aggravando le sofferenze
delle stremate popolazioni sudanesi. Dal punto di vista organizzativo, la
campagna Sudan è coordinata dalla Caritas e da Pax Christi. Il suo sito è www.campagnasudan.it
BAMBINI PALESTINESI DETENUTI DA ISRAELE
Intervista a Luisa Morgantini, parlamentare europea
Lei si sta occupando dei diritti negati dei bambini palestinesi. Quale è la situazione oggi? La situazione è tragica. Le condizioni di vita della popolazione intera , in modo particolare la condizione dei minori sono insopportabili. Intanto bisogna dire che il 53% dei Palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza ha meno di 18 anni. I ragazzi non hanno mai conosciuto la serenità o un infanzia normale a causa dell'occupazione militare israeliana . Dalla fine di Settembre del 2000, dallo scoppio della seconda Intifada i ragazzi uccisi dai soldati israeliani sono stati più di 300, la maggior parte mentre uscivano da scuola o passavano per la strada o erano al mercato, altri mentre tiravano sassi, qualcuno tirava rudimentali molotov. Migliaia sono i ragazzi e le ragazze ferite, centinaia e centinaia con handicap permanenti, come il dolce Daud 12 anni e Hania di 15, del campo profughi di Kalandia, tutti e due hanno perso un occhio, colpiti da una pallottola di gomma con cuore d’acciaio ; erano appena usciti da scuola, i soldati sparavano all’impazzata contro un nugolo di rageant che tiravano pietre. Anch’io, insieme ad altre parlamentari europee, mi sono trovata a Kalandia mentre i soldati sparavano all’impazzata, sono stati colpiti dei passanti. Le pietre che tiravano i ragazzi non arrivavano neppure ai soldati, eppure loro sparavano, mirando freddamente. I bambini feriti sono stati prevalentemente colpiti alla testa, agli occhi, all’addome. Una denuncia precisa sui comportamenti dei soldati è stata fornita da una giornalista israeliana, Amira Hass, la quale ha intervistato un ufficiale dell’esercito che diceva che gli ordini ricevuti erano di sparare ai bambini superiori ai 12 anni. Centinaia di scuole sono state chiuse o se ne è impedito il funzionamento, alcune di esse sono state convertite in campi militari. Il tragitto per recarsi a scuola, quando questa non è all’interno del prio villaggio, diventa di giorno in giorno più difficile a causa dell'aumento del prezzo dei mezzi di trasporto, infatti con la chiusura delle strade dei villaggi, controllati in genere da mezzi militari, le auto non possono passare. Si può passare , quando i soldati non ne fanno divieto, a piedi. In questo modo bisogna prendere un mezzo per arrivare da casa alla strada di uscita dal paese, attraversare a piedi e poi prendere un altro mezzo di trasporto, se poi si trova un altro check point devi rifare la stessa operazione. Il costo del trasporto diventa cosi il doppio o il triplo più caro. Tutto ciò in una situazione in cui il 60% della popolazione non può più lavorare sempre a causa del blocco militare e molto spesso dal coprifuoco. Ma al di là delle difficoltà, bisogna tenere in considerazione la paura, moltissime sono le famiglie che non permettono più ai ragazzi di uscire di casa per timore che possano essere aggrediti dai soldati o capitare in qualche scontro. A Khan Yunis, dove i bombardamenti e le distruzioni di case sono quotidiane, mentre passavo per strada e i bambini uscivano da scuola li vedevo camminare rasente i muri, e poi mettersi improvvisamente a correre al suono di clackson di auto e tapparsi le orecchie con gli occhi spaventati. Insomma la popolazione palestinese e cosi’ i ragazzi, sono praticamenti prigionieri nelle loro case o villaggi. All’ospedale di Gaza un ragazzo di tredici anni, ferito ad una gamba, mi chiedeva di portarlo in Italia, ma poi molto più mestamente mi ha detto “mi basterebbe andare a Hebron, il mio amico Nizar è andato a trovare i suoi parenti e non gli hanno più dato il permesso di tornare qui ed io anche quando uscirò dall’ospedale non potrò andare a trovarlo. Ma perché noi dobbiamo vivere così? Ti sembra giusto?” Majidi, invece, anche lui tredicenne non capisce più suo padre, un dirigente palestinese che da sempre ha cercato relazioni con gli israeliani del movimento pacifista. Mentre suo padre parlava al telefono con un israeliano, lui ha detto ad alta voce “papà, smettila di parlare con loro, oggi hanno ammazzato Fares”. Eyad Sarraj direttore di un centro psicologico per l’infanzia di Gaza, sostiene che le condizioni di violenza anche in famiglia si sono accentuate moltissimo. Le malattie nervose, la depressione, l’aggressività sono ormai ad un livello esplosivo per la società palestinese e i ragazzi ne pagano le conseguenze più gravi. Ma cresce anche la violenza tra i ragazzi stessi. Insieme a questo cresce la malnutrizione, sempre di più genitori disperati che non possono acquistare neppure il pane. Ogni volta che vado in Palestina, ma in realtà ogni giorno mi chiedo fino a quando? Fino a quando non potrà esservi pace in quella terra e i giovani potranno finalmente muoversi liberamente per la strada e andare a scuola o al lavoro, non vedere più le proprie case demolite, gli ulivi sradicati, la terra confiscata, i padri umiliati. Fino a quando (per fortuna non ancora molti) giovani palestinesi per reazione ai soprusi e all’ingiustizia si trasformeranno in kamikaze, distruggendo la propria e quella di giovani vite israeliane ? E fino a quando giovani israeliani in nome della sicurezza del proprio paese si trasformano in soldati che colpiscono ciecamente e ai check point impediscono persino a donne che stanno partorendo di andare all’ospedale, e con freddezza bloccano le ambulanze con persone moribonde? Domanda forse retorica ma che ci mette di fronte alle nostre responsabilità di singole cittadine e delle nostre istituzioni dal governo italiano, all’unione europea, alle Nazioni Unite per agire per una pace giusta nel riconoscimento del diritto dei due popoli ad uno stato.
- Ha denunciato inoltre le condizioni di vita dei bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ce le può illustrare? Gli atti di tortura cominciano dal momento dell'arresto. Il bambino preso viene bendato e messo su un veicolo, dove comincia l'interrogatorio. Qualche volta i bambini vengono insultati e picchiati. Si stima che nel 2000 circa 350 bambini, dai 10 ai 18 anni, sono stati arrestati, la maggioranza per aver tirato pietre contro dei soldati o per questioni di ordine pubblico o semplicemente perchè si trovavano fuori delle zone autonome palestinesi senza permesso. In contrasto con l'articolo 37 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, relativo al divieto di tortura o di altri trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti, quasi tutti i bambini palestinesi arrestati subiscono violenze fisiche e psicologiche che vanno dalla privazione del sonno all'isolamento. Bisogna poi pensare che sempre il sistema di blocchi stradali rende materialmente difficile per gli avvocati far loro visita e preparare, di conseguenza, un'adeguata difesa, senza dire dell’impedimento alle famiglie di visitare i ragazzi. Un ragazzo di quindici anni, Mohammed, e suo fratello Bilal, di un anno maggiore, sono stati arrestati a casa loro alle due di notte. Decine di poliziotti erano andati a cercarli, col viso coperto e nascosti tutt'intorno alla casa. Mohammed, dopo essere stato minacciato e picchiato per quattro ore, ha finito per ammettere di essere effettivamente colpevole... colpevole di aver lanciato delle pietre contro i cani dei coloni ebrei insediati dall'altra parte della strada. E' stato per questo condannato a sette mesi di prigione. Suo fratello, Bilal, in seguito all'interrogatorio, è stato ricoverato in ospedale per le contusioni interne riportate ed è stato condannato a un anno di prigione per avere lanciato sassi contro le case dei coloni. In un altro caso, un sedicenne di un villaggio vicino a Betlemme è stato arrestato un lunedì mattina mentre andava a scuola ed è stato poi picchiato selvaggiamente e portato nel posto militare. E’ risultato poi che lo avevano scambiato per un altro che stavano ricercando i soldati, non hanno nemmeno chiamato la madre per avvertirla che avevano arrestato suo figlio. Mansour, un altro ragazzo di sedici anni che vive in Cisgiordania, è stato arrestato il 25 ottobre 2000 all'una di notte. Dei soldati incappucciati sono entrati nella casa dove viveva con la sua famiglia, l'hanno preso e portato in una jeep. Durante il tragitto l'hanno picchiato sui piedi e per tutto il corpo, l'hanno colpito alla testa con un casco, facendolo svenire due volte. Alla fine sono arrivati al campo militare di Gush Etzion. Mansour era in pigiama e, nonostante il freddo, i soldati l'hanno bagnato con dell'acqua fredda, poi con dell'acqua calda e l'hanno quindi lasciato un'ora con gli occhi bendati, senza il diritto di parlare. Dopo gli hanno messo la testa nella tavola del wc ed hanno tirato l'acqua per quattro volte. Solo a questo punto i soldati gli hanno parlato per dirgli che l'avevano arrestato perchè aveva tirato delle pietre. Mansour ha negato e così è stato messo in una cella di 1 metro per 1 metro e mezzo, alta 1 metro e mezzo, senza finestre. E' rimasto lì dentro per sette giorni, uscendo mezz'ora al giorno. Trasferito in un altro carcere ha aspettato due mesi per un processo. Ma sono centinaia i casi di soprusi e violenze. Basta fermarsi un’ora ai check point o nelle strade di Gerusalemme est per vedere i comportamenti violenti dei soldati contro giovani palestinesi. Sono stata ad assistere nel Tribunale di Gerusalemme ad un processo contro sei minori palestinesi, li difendeva Lea Tsemel, una straordinaria avvocatessa israeliana che da più di trenta anni difende i palestinesi . E’ stato atroce, i ragazzini erano spaventati, incatenati alle mani e ai piedi. Alcuni di loro erano stati messi insieme a delinquenti comuni.
- Che senso ha da parte del governo israeliano mettere in carcere dei bambini? L'incarcerazione dei bambini palestinesi è legalizzata dall'ordine militare 132, usato molto durante la prima intifadah, cancellato dopo il 93 con la firma dell’accordo di Oslo e rimesso in applicazione dal 1999. L’ordine militare afferma che i giovani oltre i 12 anni possono essere perseguiti, arrestati e condannati da un tribunale militare. Sono previste anche forti multe per i genitori o i parenti degli arrestati.Colpire i giovani per l’autorità israeliana è colpire chi si ribella all’occupazione militare. E’ dai giovani che viene molto di più l’insofferenza alla ingiustizia quotidiana. La situazione si accorda con la politica israeliana di repressione della volontà di liberazione della popolazione palestinese, ma soprattutto, poter colpire i bambini, significa poter colpire la metà della popolazione dei territori occupati. Arrestare, torturare, trattare in maniera inumana e degradante i bambini di un popolo è un mezzo per "piegare" il popolo stesso, togliergli il diritto alla visione di un futuro. Impedire o rendere assai difficile l'istruzione dei giovani vuol dire cancellare le speranze di crescita e di sviluppo. In realtà una politica cieca e disumana oltre che totalmente illegale e che può creare solo disastri per l’uno e l’altro popolo.
Cosa può fare il mondo occidentale per fermare questa ulteriore violenza? In primo luogo ripristinare il diritto, vi è un paese con uno stato ed un esercito che occupa militarmente il territorio dal 1967 di un altro popolo. Si riconosca lo Stato palestinese con Gerusalemme capitale condivisa per due popoli e due stati, si trovi una giusta soluzione per i profughi. Si fermi Sharon e la sua politica di guerra, unico modo per fermare gli attacchi terroristi di alcuni gruppi palestinesi. Lo dicono anche i soldati israeliani che in modo crescente si stanno rifiutando di prestare servizio nei territori occupati, “perché non vogliono opprimere e uccidere un popolo”: Lo dicono le donne israeliane riunite nella Coalizione donne per la pace che nei loro slogan dicono “l’occupazione ci uccide tutti, basta con l’occupazione militare. Per quanto riguarda il problema specifico della violenza e dell'incarcerazione di bambini bisognerebbe fare delle forti pressioni politiche su Israele perchè venga rispettata l'integrità fisica e psicologica dei bambini detenuti, in conformità con il diritto nazionale ed internazionale, ma, soprattutto perchè venga abrogato il decreto militare n. 132, che trasgredisce sia la giurisprudenza della Corte Suprema d'Israele, sia le convenzioni internazionali ratificate da questo Stato ed in particolare quella relativa ai diritti dell'infanzia. Il mondo occidentale dovrebbe intervenire subito è già troppo in ritardo. Nonostante alcuni segnali politici incoraggianti da parte dell'Unione Europea negli ultimi mesi - tra cui la valutazione dei danni causati dai bombardamenti israeliani sulle infrastrutture palestinesi finanziate dall'UE e dai suoi Paesi membri e l'ultima risoluzione sul Medio Oriente adottata nella sessione di febbraio del Parlamento Europeo - queste sono situazioni di una gravità tale che non si può pensare di aspettare i tempi della nostra diplomazia sempre lontana dalla capacità di prevenire le situazioni di conflitto. Gli Stati Uniti hanno totalmente abbandonato la via del diritto e dell’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite, l’unica strada che conoscono è quella della forza e dei suoi interessi nazionali. Israele è la più grande potenza nucleare nel Medio-Oriente e fedele alleata degli Stati Uniti. E' per questo che credo nel valore della "diplomazia dal basso" e nella missioni civili in Palestina e Israele per la protezione della popolazione civile e per lo sviluppo di relazione tra palestinesi e israeliani.. Dobbiamo agire e mobilitarci per fare in modo che l’Europa agisca coerentemente con i valori che dice di avere a fondamento: il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. In questo caso il mondo occidentale dovrebbe uscire dall'impasse e, come primo passo, accogliere la richiesta fatta dall’autorità e dalle associazioni palestinesi e da centinaia di israeliani per l’ invio di una forza internazionale di protezione della popolazione civile e imporre a Sharon di ritirarsi dai territori nuovamente occupati e tornare al tavolo dei negoziati.
Moshe Katzav, Presidente
dello Stato di Israele, 3 Hanassi Street, 92188 Jerusalem,
Israel.
Romano Prodi, Presidente
della Commissione Europea, 200 rue de la Loi, B-1049 Bruxelles,
Belgium
Egregio Signor Presidente,
sono
estremamente preoccupato/a delle condizioni nelle quali alcuni bambini
palestinesi sono arrestati, giudicati e detenuti dalla polizia israeliana. Tali
pratiche costituiscono una violazione ingiustificabile della Convenzione
Internazionale dei Diritti dell'Infanzia ratificata da questo Stato.
Le
domando di intervenire in favore della liberazione dei bambini prigionieri e di
agire per:
- garantire l'integrità fisica e psicologica di tutti
i bambini palestinesi arrestati e detenuti da Israele, ponendo immediatamente
fine a tutte le forme di tortura e di trattamenti crudeli, disumani o
degradanti, conformemente alla legislazione nazionale e
internazionale;
- far abrogare l'ordine militare n. 132 che
trasgredisce la giurisprudenza della Corte Suprema dello Stato di Israele e le
convenzioni internazionali ratificate da questo Stato ed assicurarsi che per i
bambini arrestati, giudicati e detenuti, vengano assicurate condizioni che
rispettino i loro diritti e conformi alle norme internazionali
riconosciute.
Distinti Saluti
Your
excellency Mr. President,
I' am extremely afraid because of the conditions in
which some Palestinian children are arrested, judged and jailed by Israeli
police. These practices are an unjustifiable violation of the International
Convention on the Rights of the Child ratified by the Israeli state.
I ask
you to intervene in favour of the liberation of Palestinian children arrested
and detained by Israel and to act to:
- guarantee the physical and
psychological integrity of all the Palestinian children arrested and detained by
Israel, putting an immediate end to all forms of torture and cruel, inhuman and
degrading treatment, in conformity with national and international
legislation;
- repeal Military Order no. 132 which transgresses both the
jurisprudence of the Israeli Supreme Court and the international conventions
ratified by that country, and to ensure that when the children are arrested,
judged and detained, it is done under conditions that respect their rights and
in conformity with the recognized national and international standards.
Best
regards
--===oooOOOooo===---
MASSMEDIA e TAM TAM vari
Banche armate - Le Commissioni riunite Esteri e Difesa hanno approvato un disegno di legge, il n.1927, che elimina ogni possibilita' di sapere se le banche finanziano il commercio di armi. La legge dovra' essere approvata dal Parlamento. Durante il governo D'Alema era stato presentato un disegno simile, bloccato grazie all'intervento di Amnesty International e altre associazioni umanitarie. Petizione da inviare Chiediamo che l'unione europea blocchi la legge italiana numero 1927 proposta dal governo che eliminerebbe ogni possibilita' di sapere se le banche finanziano il commercio di armi. Questa legge e' gravemente lesiva del diritto dei consumatori di conoscere le scelte etiche delle banche alle quali si rivolgono. (Copia la petizione e incolla su http://www.europarl.eu.int/petition/petition_it.htm)
TEMPI DI FRATERNITA'
TEMPI DI FRATERNITA’ – MARZO 2002. In questo numero: RIFLESSIONI REDAZIONALI: Italiani, brava ggente!! L’obiettivo di noi di Tempi di Fraternità è ribellarci a tutto ciò che sa di chiacchiera inconcludente. È lavorare con il mondo dell’associazionismo che da anni opera dal basso contro i cosiddetti "poteri forti" del mondo. Cerchiamo di condividere le speranze con tutti coloro che credono in quell’"utopia che ha il potere di salvarti". CULTURE E RELIGIONI: Il silenzio di Dio grido del profeta. Per quale ragione Elia si trova accanto ai grandi riformatori della fede ebraica e cristiana? In che senso la sua missione profetica segna una svolta decisiva nel secolare percorso della religiosità del suo popolo? "La vita di Gesù "di Albert Schweitzer . L’esperienza intellettuale e umana di Albert Schweitzer alla luce di un’esistenza spesa in piena sintonia con il messaggio cristiano. PAGINE APERTE: Tempi di sororità -Una scelta di morte. Come possiamo leggere la notizia di una donna palestinese che sceglie (davvero?) di morire innescando la bomba che porta su se stessa? Siamo tutti clandestini!! "Non è molto importante in quale lingua si dicono le cose, è importante quello che si dice". Per Carletto Giuliani. Il 20 gennaio scorso si è tenuta a Genova una manifestazione in ricordo di Carlo Giuliani, a sei mesi dal suo assassinio. Riportiamo due interventi che ci sembrano particolarmente significativi, quello di Giuseppe Coscione, suo insegnante e nostro amico e quello di don Piero Tubino, responsabile Caritas di Genova. In memoria di Emilio. Non ce l’ha fatta a sfuggire alle fiamme, è morto asfissiato dall’ossido di carbonio come muoiono i barboni. Don Emilio Coslovi, 63 anni, noto a Trieste e nell’ambiente delle comunità di base come prete operaio, ormai in pensione, e come prete poverissimo, che viveva in condizioni disagiate per condividere la povertà con gli emarginati, ha trovato la morte nella sua casa, invasa da libri, giornali, imballaggi e da tutto ciò che potesse essere utile e riciclabile per guadagnare qualche soldo da donare a chi era ancora più bisognoso. Pubblichiamo il saluto di Franco Marangon, letto nella liturgia di commiato, celebrata nella chiesa di s. Luigí, in Trieste, il 19 gennaio 2002. Gerusalemme, città santa e lacerata. Proprio a Gerusalemme si vedono con maggiore evidenza i guasti provocati dalle lacerazioni tra cristiani. Anche se il clima sta lentamente cambiando, il cammino è ancora lungo, ed aspro. Dura lettera di richiamo del vescovo di Pinerolo a don Franco Barbero. Dopo il richiamo di monsignor Debernardi che abbiamo letto sul quotidiano La Stampa il 14 febbraio scorso, noi di Tempi di Fraternità, nel mantenere il nostro proposito di non contrapporci pregiudizialmente alla gerarchia ecclesiastica ma di proporci cercatori della verità che si fa amore concreto, ci sentiamo particolarmente vicini a don Franco Barbero e alla Comunità cristiana di base di Pinerolo, che di tale amore è testimone nei luoghi dove presta il suo servizio soprattutto a favore degli emarginati. "Vescovi mattone "contro "preti finanza" Tra soldi, mattoni, denunce e confraternite che ne è della "pietra" di cui parla Gesù? A.A.A. Prete cercasi: Tra dieci anni in Francia i sacerdoti saranno appena 10 mila. Arrivano i sacerdoti lefebvriani e quelli dell’Opus Dei. Garantita una Chiesa sempre più tradizionalista. Ed inoltre: SPECIALE PORTO ALEGRE - 12 pagine curate dai nostri inviati Fausto Caffarelli e Filippo Laurenti. Articoli su:
Porto Alegre,città moderna,città confortevole,città di proteste…; "Democratizzare Radicalmente la Democrazia " Un laboratorio sul tema del bilancio partecipativo; Cambiamo il Pil (Prodotto Interno Lordo) un contributo dalla Rete di Lilliput; La II Ciranda dell’informazione indipendente; Il ricordo di Carlo Giuliani a Porto Alegre; Passeggiando per il campus del FSM; Gli italiani annunciano i Forum continentali Quello europeo dovrebbe svolgersi proprio sul nostro territorio; Firenze,cacciato l’assessore anti-forum; Contestati parlamentari per l’adesione alla guerra in Afghanistan; Un intreccio pericoloso; Converazioni in pillole. Richiedi una copia saggio visitando il sito www.tempidifraternita.itNEWS DA FEMMIS, NOTIZIARIO TELEMATICO FEMMINILE
Le ultime notizie: Ancora alta l'attenzione sul caso Safiya: dichiarazione del presidente nigeriano in Italia; Italia: Sono donne le promotrici del "girotondo romano"; Emirati Arabi promuovono una iniziativa a favore delle donne lavoratrici... e altre notizie: http://www.femmis.org/week/week.html . Parole libere: La storia di Moustapha, senegalese che prima clandestino poi dottore in economia aziendale è una ragione in più per dire no all'assurda ipotesi di "usare" immigrati per una probabile legione straniera. http://www.femmis.org/index.html ; approfondimenti: KENYA: floricoltura e diritti dei lavoratori. Donne del Kenya dicono Basta e denunciano le condizioni di lavoro...http://www.femmis.org/week/week.html ; S.O.S. : Nuove informazioni per l'appello contro la pena di morte di Safya ... Una Campagna per i Diritti civili e politici delle donne afgane - http://www.femmis.org/s.o.s.html .
SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE
Da venerdì 22 febbraio «Solidarietà Internazionale» è presente nelle edicole di tutta Italia insieme al settimanale «Internazionale». Per maggiori informazioni o per richiedere un copia integrale della rivista contattare la redazione di Solidarietà Internazionale: tel. 06 5414894 - Fax 06 59600533 - E-mail: rivista@cipsi.it - Indirizzo web: www.cipsi.it - www.soint.it
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE: CI PENSA (?!?) LA CARRA'. Interrogazione parlamentare
On. Tiziana VALPIANA – Interrogazione a risposta scritta . Al Ministro dell’Interno. Per sapere, premesso che: nel corso di una trasmissione su RAI 1, nella serata di giovedì 21 febbraio 2002 è stato presentato ‘il caso’ di un giovane immigrato proveniente dalla Guinea Bissau e attualmente regolarmente residente in provincia di Bergamo; una sguaiata presentatrice (trattasi della trasmissione di Raffaella Carrà, ndr) ha illustrato le problematiche del lavoratore, che è riuscito a ottenere il ricongiungimento familiare per la moglie e un figlio piccolo, mentre, nonostante le reiterate richieste, mai per altri due figli gemelli di circa 7-8 anni, ancora residenti nel Paese di origine e affidati alle cure dei nonni; alla precisa domanda sulla volontà di ritentare la richiesta di ricongiungimento familiare, il signore aveva risposto testualmente di voler sistemare i familiari che aveva ottenuto di poter ricongiungere e che si trovano già in Italia, prima di avviare nuovamente la domanda di ricongiungimento per altri due figli, nonostante la nostalgia; davanti ai genitori visibilmente felici e sconvolti, con urla raccapriccianti la conduttrice televisiva annunciava che i bambini erano giunti in Italia con un regolare permesso di soggiorno ‘per sempre’, ringraziando immediatamente la Questura di Bergamo tramite la quale la RAI era riuscita a ottenere il ricongiungimento: attraverso quali nuovi documenti o situazioni sia stato possibile alla RAI ottenere il ricongiungimento familiare prima negato ai genitori; quanti siano i cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio italiano che hanno fatto domanda di ricongiungimenti familiari per figli minori ai quali sia stato negato e quali ne siano i motivi; se in Italia esista certezza del diritto o sia sufficiente una ‘ribalta televisiva’ per ottenere ciò che per le normali vie legali e burocratiche è negato; se non intenda, anche in considerazione della chiara volontà in questo senso da parte dei cittadini italiani, dimostrata inequivocabilmente dalle lacrime di commozione e dagli applausi da parte degli spettatori presenti in sala al momento dell’annuncio dell’avvenuta concessione del permesso di ricongiunzione familiare e dell’ingresso dei due splendidi e raggianti bambini, diramare nuove direttive alle questure affinché tutti i cittadini stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese possano ottenere immediatamente il ricongiungimento dei loro figli minori.
NON SIAMO SOLO ANIMALI ECONOMICI
POVERTA’, GIOVANI, FUTURO, IMPEGNO, DEMOCRAZIA, SOLIDARIETA’ NELLE PAROLE E NELLA VITA. INTERVISTA DI NICOLA PERRONE (SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE) A PIERRE CARNITI
Un piccolo paese in provincia di Cremona, Castel Leone. Comincia qui l’avventura di Pierre Carniti. “Se mai avessi avuto la tentazione di scrivere un libro di memorie - cosa da cui mi guardo bene perché preferisco guardare al futuro piuttosto che al passato – lo intitolerei: “Scelto dalla vita”. La lunga chiacchierata fatta insieme parte da qui, dove nel 1939 vivono Pierre, la mamma, il padre e cinque fratelli. “Mia madre faceva l’insegnante e mio padre era dirigente operaio in un’azienda. Quando tra la fine del 1938 e l’inizio del 1939 il governo impose a tutti i funzionari statali e a chi ricopriva incarichi nelle aziende di iscriversi al partito, nessun dei due accettò. Ambedue furono licenziati. Cominciarono per noi anni molto difficili che coincisero con l’entrata dell’Italia in guerra. Facevamo fatica a vivere. Ricordo cene fatte in otto con due uova sode. Detto adesso, nella società delle diete, sembra fantascienza. Ma due mie sorelle e un mio fratello dovettero andare in sanatorio per denutrizione. Mio padre trovò più avanti un lavoro come operaio in un’industria metalmeccanica. Non aveva mai fatto un lavoro del genere e dovette ricominciare da capo. Continuava intanto il suo contatto con il movimento partigiano. Anzi distribuiva nella zona un giornale antifascista cattolico che si intitolava “il Ribelle”, diretto da Bernardi, l’autore della “Preghiera del partigiano”. Coi ragazzi che frequentavano Mazzolari avevamo fondato un gruppo di studenti che si occupava della questione contadina per mettere assieme competenze, ipotesi, sperimentazioni. Per alcuni anni hai presieduto la commissione nazionale sulla povertà. Qual è la situazione nel nostro paese? Le discussioni sulla povertà sono spesso fatte in modo approssimativo e non sempre si capisce bene il problema. Se parliamo di povertà relativa, essa non scomparirà mai. In una società ricca c’è una quantità importante di persone che sta al di sotto di una soglia che bisogna considerare di sopravvivenza. Sempre mettendo le discriminanti necessarie, perché la povertà nei paesi ricchi è sempre diversa da situazioni di povertà estrema in cui si trova tanta parte della popolazione mondiale. Potremmo dire che anche i bisogni cambiano in relazioni alle condizioni di vita della maggioranza. L’organizzazione sociale è, infatti, basata sui standard di vita che creano bisogni diversi. Oggi, ad esempio, nella nostra società, avere un allacciamento telefonico in casa è un’assoluta necessità. Altrove può essere un lusso. L’analisi della povertà relativa è, quindi, innanzitutto un indicatore di disuguaglianze. A differenza della povertà assoluta in cui mancano i beni essenziali all’esistenza. C’è poi una terza categoria di povertà estrema: gente che rischia la vita stessa. Senza casa, senza tetto, senza tutto. Legata spesso a problemi anche di carattere psicologico, di adattamento alla vita. Un paese serio intanto dovrebbe conoscere queste situazioni. E dovrebbe cercare di rispondere alle loro prime esigenze. In Italia non esiste nessuna politica al riguardo. Ci si affida alla Caritas o a Sant’Egidio, o a Emmaus. Occorrerebbe conoscere la quantità e le caratteristiche di coloro che vivono in questa situazione di povertà estrema. Per poi trovare soluzioni. Una cosa nuova apparsa negli ultimi anni è l’aumento del numero di poveri con lavoro. Mentre noi veniamo da una generazione in cui il lavoro rappresentava una liberazione dall’indigenza, oggi il lavoro, non solo precario, ma anche stabile, in molti casi non è sufficiente. Sono le famiglie monoreddito, che abitano nei grandi centri urbani, con i costi per gli affitti e i trasporti. Questi non ce la fanno e tendono a crescere. Con tutti i problemi anche di carattere sociale ed esistenziale che questo comporta. All’inizio di questa lunga chiacchierata dicevi che preferisci guardare avanti, al futuro, piuttosto che fermarti sul passato. Cosa diresti ai giovani di oggi che spesso, guardando avanti, non riescono a scorgere che precarietà e incertezza? Innanzitutto un principio a cui credo molto: le cose cambiano se cambiamo noi stessi. Non cambiano da sole. Ci sono cose cha hanno bisogno del coinvolgimento della comunità, degli altri. La mia impressione è che la destra su questo ha fatto un’offensiva, anche di carattere culturale, mentre la sinistra è stata acritica. Ai giovani voglio dire questo: la storia insegna una cosa sola, che la storia non insegna niente. Noi continuiamo a ripetere gli stessi errori. Basta pensare alle guerre. La storia ci può aiutare a capire come sono andate le cose ieri. Noi oggi abbiamo il compito di decidere di fronte alle nuove sfide. La società può essere migliorata. Bisogna vedere quanto vogliamo investire noi perchè le cose possano andare diversamente. Ci sono un sacco di ragazzi che fanno cose anche straordinarie, ma che possono avere anche un margine di ambiguità. Tanti giovani che danno il loro tempo in attività sociali e di volontariato spesso vivono questo impegno anche come fuga dalla politica e, quindi come fuga da una responsabilità collettiva. Ma chi vuole impegnarsi spesso non trova spazio. Il mondo politico è chiuso. E’ vero. Solo con un impegno collettivo possiamo sperare di sostituire un ceto politico che si è sclerotizzato. E’ diminuita invece la convinzione che attraverso l’azione collettiva il mondo possa cambiare. I partiti e i sindacati, come tutte le istituzioni – lo dico senza accenti moralistici – sono esposte al pericolo di burocratizzarsi. C’è bisogno che dall’esterno siano continuamente sollecitate. Occorre un movimento che parta dall’assunto che le cose sono difficili, è vero, ma che, attraverso l’azione collettiva, la condizione umana può esser migliorata. Senza questa percezione e l’impegno che ne deriva, le istituzioni politiche saranno tentate di trasformarsi sempre di più in formazioni che tendono solo a difendersi e a riprodursi. Ciò vale sia per i partiti politici che per le organizzazioni sindacali. Lo vogliano o no, anche i sindacalisti fanno parte dell’élite del potere. Ciò non conferisce loro la capacità di trasformare le cose, ma comporta pur sempre delle gratificazioni. Se non c’è un movimento che coinvolge la società non solo nella protesta, ma anche nella capacità di darsi obiettivi politici, rischiamo di abbandonare tutto nella mani delle forze di mercato. La discriminante fra destra e sinistra, a mio avviso sta tutta qui: per la destra la politica è il problema, per la sinistra invece è la strada per risolvere i problemi. Certo, la politica soffre una crisi profonda ma è l’unica strada per tentare di rendere più umana la convivenza e di creare le condizioni per la felicità di tutti. Il mercato arricchisce qualcuno, accresce le differenze, disgrega la solidarietà sociale. Poi l’uomo non è solo un animale economico: è molto di più. Tutti ricordano i tuoi anni di segreteria generale della Cisl…come anni di grandi speranze. Si può fare un confronto con la situazione attuale? A mio avviso un confronto non si può fare. Per ragioni di carattere oggettivo. La questione sociale, ai miei tempi, coincideva con la questione democratica. Allora i lavoratori dipendenti costituivano la maggioranza della popolazione. La battaglia per i diritti dei lavoratori coincideva con la battaglia per i diritti tout court, per la democrazia. Contribuire ad affermare il riconoscimento della dignità del lavoro – e la codificazione di questa dignità attraverso lo statuto dei lavoratori – significava incrementare la democrazia. Oggi il lavoro dipendente non costituisce la maggioranza né della popolazione, né degli elettori. Per di più, anche grazie alle conquiste fatte dalle battaglie sindacali, le condizioni economiche e sociali sono migliorate. Questo non esclude che ci siano problemi di povertà. Ma i poveri sono una minoranza, quindi irrilevanti dal punto di vista degli equilibri politici. Poveri disgraziati nei confronti dei quali al massimo si canalizza la carità o una generica solidarietà collettiva. E’ il capitalismo compassionevole di Bush o di Berlusconi. In un paese che ha l’11 – 12% di poveri – bisogna tener conto che si tratta di povertà relativa – questi non hanno voce. E se parlano, usano linguaggi diversi. Anche grazie all’azione sociale, le condizioni sono completamente mutate. Se a questo aggiungi la tendenziale silenziosa trasformazione del sindacato da soggetto rivendicativo a soggetto di servizi (ti prenota le vacanze, ti aiuta nelle pensioni, ti fa la dichiarazione dei redditi) e il fatto che siamo in una fase di grandi incertezze, la realtà è proprio diversa. Ma il fatto che i poveri siano minoranza non rischia di trasformare la democrazia in un tragico gioco in cui i poveri sono sempre perdenti? La democrazie è un insieme di regole. E le regole le fanno i vincitori. E’ chiaro che gli esclusi, essendo minoranza, sono irrilevanti. Ma dovremo, prima o poi, fare una discussione seria sulle regole e sui contenuti della democrazia. Nel mondo di oggi prevale una concezione culturale basata sul privatismo. “Ognuno per sé e Dio per tutti”. Dove ciò che importa realmente è “l’ognuno per sé”. “Dio per tutti” è spesso un optional. Una concezione che nasce dal timore di perdere i benefici acquisiti e che provoca, a lungo andare, una guerra tra poveri. A questa concezione, che negli ultimi venti anni si è esasperata, bisognerebbe opporre il solidarismo. Spiegando però – intanto a se stessi e poi al resto della gente – che il solidarismo non è una categoria etica, ma una categoria economica. Una società che non accetta livelli intollerabili di disuguaglianza perché disgregano e riducono il sentimento di appartenenza, è una società che funziona meglio rispetto a quella basata sull’individualismo e la competizione. In questa ultima, un certo numero di persone può anche migliorare la propria situazione. Ma la società nel suo complesso, va avanti meno velocemente. Le società dei primi trent’anni del dopoguerra, che avevano un tasso di impegno comunitario, di appartenenza e un sentimento di destino collettivo più che individuale, sono cresciute a ritmi economici maggiori rispetto a oggi. L’aumento delle disuguaglianze è un fattore di indebolimento del tasso medio di crescita. Per questo dico che la solidarietà è una categoria economica. Le società più coese crescono di più. Ma la solidarietà appare come una virtù debole, perdente. La cultura dominante, soprattutto negli ultimi vent’anni, è stata quella della competizione. Se tutti siamo in competizione con tutti, è chiaro che innanzitutto devo badare a me stesso. I fattori di coesione, che invece esaltano un’appartenenza comunitaria, tendono ad affievolirsi. In questo contesto culturale, anche la cultura di sinistra ha finito per appannarsi e si è caratterizzata un po’ ovunque in occidente - anche se in maniera più marcata in Italia (non fosse altro perché c’è stato il più forte Partito comunista) - non tanto per aver proposto un modello diverso, quanto piuttosto nel tentare di limitare gli eccessi della destra. La sinistra non è stata in grado di proporre un modello di organizzazione sociale alternativo, una società in cui si possa vivere meglio. Attenzione. Non con più consumi, cosa di cui francamente non abbiamo bisogno. Alla maggioranza della gente non mancano le cose essenziali. Manca invece un modello, un riferimento di organizzazione sociale, nel quale le persone possano vivere bene. Oggi siamo sazi e insoddisfatti. La maggior parte della gente vive bene come livello e quantità di consumi. Ma non vive bene psicologicamente, spiritualmente. Non si può vivere solo per consumare di più. Devi credere in altre cose, devi avere altri stimoli che aiutino a dare uno scopo nella vita. Tu non puoi ridurre lo scopo della tua vita al fatto che prima andavi al ristorante una volta al mese, mentre adesso ci vai una volta alla settimana. O che prima c’era una macchina per famiglia mentre adesso ce ne sono quattro. Le persone hanno bisogno anche di senso. Perché siamo qui? Perché nasciamo? Perché moriamo? Perché invecchiamo? La gente ha bisogno di rispondere a domande di senso non solo a domande di consumo. Quando hai un paio di calzoni te ne puoi comprare altri dieci o venti. Non è questo che ti rende felice. La felicità ha altre basi e altre motivazioni. Ma è compito della politica rispondere alle domande di senso? Dare la felicità? Certo non sta alla politica rispondere compiutamente alla domanda di felicità e di senso. Ma essa deve almeno averle presenti. L’uomo è un animale che ha anche problemi esistenziali. La politica non può non tener conto anche di questo orizzonte. In un paese cattolico come il nostro, ciò non rappresenta anche uno scacco alla Chiesa? La religione da noi è stata vissuta spesso solo come rito. Non come fede. Anche l’atteggiamento di gran parte della gerarchia è tendenzialmente contrario all’annuncio evangelico. Legato mani e piedi alle forze di governo per ottenere o mantenere privilegi. Io credo che i rapporti con il potere sono stati utili alla chiesa. Non certo alla fede. Torniamo al tuo impegno sindacale. Si parla di crisi del lavoro: e le soluzioni che si danno portano alla flessibilità, alla precarietà, alla “deregulation”, che altro non è che mancanza di regole. Mi pare che oggi si sottovaluti il ruolo del lavoro. Sono cambiate molte cose. E’ cambiato il rapporto dell’uomo con il lavoro, l’organizzazione del lavoro e la cultura stessa del lavoro. Ma il lavoro resta un elemento fondamentale. Pur con tutti i cambiamenti, oggi il lavoro resta nella nostra società un elemento fondamentale di identità, di appartenenza. Nelle generazioni che ci hanno preceduto, essere senza lavoro significava morire di fame. Oggi qui da noi non si muore di fame. Ma essere senza lavoro oggi significa una perdita di identità e, quindi, di appartenenza. In questa società e ancora per i decenni a venire, il lavoro resta un elemento fondamentale. Tant’è che la prima domanda che le persone si scambiano quando si vedono è “cosa fai?”. La società può costituirsi solo su elementi di stabilità e non di insicurezza. Una tendenza del lavoro a diventare insicuro crea elementi di disarticolazione e di insicurezza sociali che alla fine disgregano la società nel suo insieme. Con tutti i rischi che questo comporta. A rendere complicata questa situazione contribuisce l’asimmetria esistente tra il lavoro che è locale e il capitale che tende sempre più ad essere globale. Il mondo vive nell’insicurezza perché la politica di fronte a queste trasformazioni non ha ripensato se stessa. In questa ottica il lavoro resta un elemento essenziale. E la difesa dei diritti dei lavoratori, la sua non precarizzazione diviene un elemento di stabilità e di coesione sociale. La difesa dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è un atto di testardaggine sindacale. Ha un valore politico-culturale notevole per riaffermare la centralità del lavoro nella vita di ogni persona. Nel sindacalese di oggi esiste una parola magica: concertazione. E’ proprio la panacea di tutti i mali? Ci possono essere determinate situazioni eccezionali, di fronte a problemi che altrimenti non hanno soluzione, che domandano la concertazione. Negli ultimi trent’anni non riesco a vederne che due: all’inizio degli anni 80 avevamo un’inflazione che superava il 20%. E’ chiaro che di fronte a un’emergenza è giusto che le parti sociali si concertino, ognuno facendo la sua parte. Lo stesso discorso può farsi per l’entrata nell’euro, dove c’erano una serie di criteri da rispettare che esigevano l’accordo di tutti. Ma questo vale solo per le situazioni di emergenza. La concertazione non può diventare uno strumento ordinario di regolazione delle relazioni sociali. Perché presuppone un enorme grado di centralizzazione dei rapporti sociali. I sindacalisti locali o di categoria diventano dei ragionieri. La produttività di un’impresa o di un settore è diversa da quella di un altro e quindi perché deve andare solo alle imprese e non distribuita? E, ammesso e non concesso che sia inopportuno distribuire se questo avesse effetti inflattivi, decidiamo, non so, di fare degli asili nido, di fare opere sociali. La concertazione come metodo ordinario presuppone un grado di centralizzazione delle relazioni sindacali che sterilizza la contrattazione. Il risultato è che ciascuno pensa per sé, a livello individuale, mettendo in vendita le proprie competenze. Finito l’impegno sindacale, ti è stata proposta la presidenza della Rai. Hai rifiutato perché non ti erano date garanzie di autonomia e di indipendenza. Poi ti sei dato alla politica, fino a fondare, insieme con Gorrieri ed altri un movimento politico. La politica è molto in ritardo e spesso muta rispetto all’evoluzione del mondo e ai processi di globalizzazione. E’ una situazione che va bene alla destra. La destra infatti pensa che lo stato non è la soluzione, ma il problema. La politica è il problema, non la soluzione, come diceva Reagan. Bisogna lasciar libero il mercato, che diviene il supremo regolatore di tutto. La politica tende quindi ad essere irrilevante. Occorre invece capire che la politica serve a risolvere problemi che il mercato da solo non sa o non può risolvere. Non si tratta di contrapporre stato e mercato. Si tratta di capire che ci sono problemi che possono trovare soluzione solo in una dimensione pubblica. Cioè politica. Ciò non significa statalizzare, ma riconoscere che c’è una dimensione dei rapporti sociali che va affidata alla sfera pubblica e che quindi deve essere regolata con norme di carattere pubblico, politico. Perché hanno a che fare con esigenze di convivenza, di coesione di carattere sociale, senza le quali si cade nell’anarchia o nella guerra di tutti contro tutti. L’Argentina è emblematica. Il risultato dell’applicazione di politiche liberiste che hanno fatto disastri dappertutto. Al di là degli errori specifici dei governanti argentini ci sono problemi, qui venuti in evidenza prima che altrove, che il mercato non riesce a risolvere.
Il
CENTRO TERRITORIALE PERMANENTE DI
ISTRUZIONE E FORMAZIONE PER L’ETA’
ADULTA di SAN BONIFACIO Direzione
Didattica I° Circolo , San Bonifacio, Via Fiume 61 c, promuove CORSI DI
LETTERE
E
PSICOLOGIA per «Aprire
nuovi spazi di conoscenza.
Cari amici, è da un po’ di tempo che non ci sentiamo e sentivamo proprio la necessità di scrivervi due righe. Le attività del circolo proseguono sui temi su cui ci siamo sempre impegnati e dedicati. Solidarietà: nell'ambito della campagna nazionale di Legambiente in favore di Emergency per la raccolta fondi per i punti di primo soccorso in Afghanistan, abbiamo contribuito con l'organizzazione della cena di autofinanziamento del 15 dicembre 2001 a Corte Molon, con una somma di € 1500. Cogliamo l'occasione per ringraziare le cooperative Primavera, La Buona Terra, La Macina, coop. 8 Marzo Cà Verde e il panificio Ceres per il prezioso contributo, tutti i partecipanti e quanti si sono adoperati per la buona riuscita dell'iniziativa. In marzo organizzeremo una cena di raccolta fondi per sostenere il ciclo d'istruzione di alcuni bambini brasiliani nella città di Goya. Attività: Quest'anno da marzo ad aprile continueremo con la rassegna " C'è mondo fuor di queste mura…viaggi e assaggi nel sud del mondo " in memoria dell'amico Walter Pedrotti, ideatore ed organizzatore. La rassegna si svolgerà in cinque serate con la presentazione di racconti di esperienze di viaggio nelle terre di Eritrea, Etiopia, Nicaragua, Palestina, Pakistan, Marocco e Algeria e sarà organizzata con il contributo della VI Circoscrizione di Verona, e la collaborazione del Centro Territoriale Permanente Formazione Età Adulta scuola "G. Carducci ", Nigrizia (rivista dei Comboniani), il Coordinamento Turismo Responsabile Verona e la Cooperativa Buona Terra. Inoltre abbiamo organizzato una serie di escursioni naturalistiche per cercare di stare un po’ più a contatto con la natura, promuovere dei momenti di approfondimento e divertimento in luoghi di interesse ambientale e culturale. Dal 25 luglio al 5 agosto saremo impegnati all'interno della festa dell'unità di Quinzano con attività culturali. AAA cercasi idee, consigli, appoggio e collaborazioni . Vi ricordiamo che per chi avesse l'intenzione di promuovere iniziative, progetti di aiuto, solidarietà e cooperazione con i paesi in via di sviluppo, il circolo è disponibile ad organizzare attività di sensibilizzazione di nuove proposte. Ci farebbe molto piacere che partecipaste direttamente con delle vostre idee all'organizzazione delle attività del circolo. Per chi fosse intenzionato, il circolo si dà appuntamento ogni primo martedì del mese dalle ore 19 alle ore 20.30 presso la sede di Legambiente in via Bertoni, 4 a Verona. Non dimenticate che per partecipare alle nostre iniziative sarebbe "cosa buona e giusta" tesserarsi al circolo dei Fagiani nel mondo. Vi ricordiamo che potete consultare i nostri programmi sul nostro sito alla pagina: web.tiscali.it/fagianinelmondo/, inoltre potete scriverci al nostro indirizzo di posta elettronica: fagianinelmondo@libero.it Informazioni ed adesioni: Marinella tel. 0458032387 - Federico tel.045549841 - Agostino tel. 0458340215 - Sandro tel.045532946 (Federico Carazzolo) PROGRAMMA: SABATO 23 MARZO: " Auguri e solidarietà " cena Fagiani alla casetta di Quinzano, autofinanziamento per il progetto " Bambini brasiliani di Goya ". Iscrizioni entro il 18 marzo; GIOVEDI' 28 MARZO, 4 E 11 APRILE: "C'è mondo fuor di queste mura…viaggi e assaggi nel sud del mondo " (…in memoria di Walter Pedrotti). Rassegna di diaporacconti presso la scuola " G. Carducci " . Via Betteloni, Verona. Seguirà programma dettagliato. DOMENICA 14 APRILE: "Fioriture, faggette, navi e radure" Escursione con splendide vedute sul lago di Garda e sull'anfiteatro morenico di Caprino. Ritrovo: ore 8,30, in via Cà di Cozzi (B. Trento parcheggio al lato del provveditorato) Difficoltà: media; durata: 6-7 ore; iscrizioni entro 11 aprile.Nei prossimi numeri de «il GRILLO parlante» proporremo i successivi appuntamenti.
Brescia - Disarmiamo EXA 2002
Cos'è
Exa
Exa è la più grande esposizione al mondo di armi sportive,
da caccia e da tiro, comuni da sparo; si svolge annualmente a Brescia e nel
2002, dal 13 al 16 aprile, se ne terrà la ventunesima edizione. Exa si propone
propagandisticamente come un evento tutto centrato sull' "idilliaca" passione
per le armi da caccia, sportive, da collezione; in realtà, scorrendo la lista
degli espositori dell' ultima edizione della mostra (e di quelle precedenti), si
potrà comprendere come dietro la facciata dell'esposizione di armi sportive si
nasconda una realtà diversa e ben più complessa. Grandi industrie che espongono
a Exa destinano una parte rilevante della loro produzione alle armi da guerra,
alle armi leggere e di piccolo calibro, alle dotazioni antisommossa, a sistemi
di addestramento per operatori alla sicurezza. Per comprendere quale sia la vera
movimentazione di affari promossa da Exa basta citare alcuni dei maggiori
espositori: primo tra tutti la Beretta, industria armiera bresciana con una
storia plurisecolare, il cui profilo è quello di un' industria fondamentalmente
militare in grado di convertirsi almeno in parte al civile. La Beretta deve la
propria fortuna alla prima guerra mondiale, e poi alle grandi forniture militari
del periodo dell'espansione "imperiale" fascista; dopo una rapida riconversione
postbellica ai fucili da caccia, la Beretta tornò alle commesse governative con
l'adesione dell'Italia alla Nato. Oggi la Beretta dichiara ufficialmente un
fatturato militare pari soltanto al 25-30% della sua produzione, ma non è
azzardato ipotizzare che nel 2000 la produzione militare abbia raggiunto il
40-50%, valutabile in 250-300 miliardi, del fatturato consolidato, e che almeno
la metà sia stata prodotta in Italia e da qui esportata. E poiché queste cifre
sono lontanissime da quelle ricavabili sulla base delle autorizzazioni
all'esportazione, si può ragionevolmente affermare che il gruppo Beretta aggira
di fatto, anche se probabilmente del tutto legalmente, la legge 185/90, che
sancisce il divieto di esportazione di armi verso paesi in stato di conflitto,
in via di sviluppo, e verso quelli i cui governi sono responsabili di violazioni
delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo.
Oggi
la Beretta ha assunto una struttura multinazionale, con fabbriche negli Stati
Uniti, in Turchia, Grecia e Spagna, e rifornisce le forze armate italiane,
l'esercito degli U.S.A., l'aeronautica francese, e numerosi altri paesi. Ma
all'esportazione di armi da guerra vere e proprie aggiunge quella delle
cosiddette armi leggere o di piccolo calibro (rivoltelle e pistole a carica
automatica, fucili, fucili mitragliatori, fucili d' assalto e mitragliatrici
leggere), che sfuggono ai divieti della legge 185 ma che sono quelle più
frequentemente usate nei vari scenari bellici, e che provocano il maggior numero
di vittime, specialmente tra le popolazioni civili. La Beretta, per le sue
dimensioni, rappresenta l'esempio più eclatante tra i fabbricanti italiani di
strumenti di morte che utilizzano Exa come vetrina per promuovere la propria
produzione, ma in scala ridotta valutazioni analoghe possono farsi per altri
espositori, come la Benelli, la Franchi, la Breda, ecc. Sono poi presenti
colossi internazionali dell' industria armiera, anche bellica, come Browning,
Winchester, Colt, Smith & Wesson, Ruger.
Accanto a questi, altri
produttori espongono a Exa strumenti ad alta tecnologia e dotazioni in uso alle
forza antisommossa delle polizie di paesi "democratici" e non; si va dalle
cosiddette "armi meno che letali" ai gas lacrimogeni, dalle munizioni speciali
agli spray irritanti, ecc. Gli espositori di Exa, quindi, coprono tutta la vasta
gamma degli impieghi della produzione armiera.
Perché siamo
contro Exa
Exa rappresenta dunque una vetrina per alcune tra
le più importanti fabbriche d' armi al mondo; promuove l'uso delle armi a scopo
ludico, sportivo, di difesa, ma costituisce occasione d'incontro e di affari
anche per tipologie di armi a uso bellico e antisommossa. Le ragioni per
boicottare Exa sono quindi molteplici e attraversano diversi temi tutti interni
alla dimensione della globalizzazione capitalista.
E' intuitivo e di
tutta evidenza il collegamento tra industria armiera e scenari bellici. Alcune
delle industrie che espongono a Exa producono vere e proprie armi da guerra
(Beretta, Breda, Franchi, ecc.); molte producono le cosiddette armi leggere e di
piccolo calibro che, pur non destinate in senso stretto a uso bellico, di fatto,
attraverso esportazioni illegali o triangolazioni che eludono la legge,
alimentano gli scenari di guerra che provocano ogni anno oltre 150.000 morti,
per lo più tra la popolazione civile. Nel luglio 2001 l'Organizzazione delle
Nazioni Unite ha tenuto a New York una conferenza sul commercio illegale delle
armi leggere e di piccolo calibro, definite dal Segretario Generale dell'O.N.U.
Kohi Annan, "armi di distruzione di massa". Sono stati rimarcati gli effetti
nefasti dell'accumulazione e della diffusione di armi leggere e di piccolo
calibro di uso militare, e forniti dati che illustrano tutta la portata
devastante del fenomeno. Nell'ultimo decennio, due milioni di bambini sono stati
uccisi in conflitti dove sono state usate armi di piccolo calibro e cinque
milioni sono diventati disabili. Si stima che soltanto in Afghanistan vi siano
circa dieci milioni di armi di piccolo calibro; sette milioni in Africa
Occidentale, circa due milioni in America Centrale.
Amnesty
International fornisce dati, relativi all'anno 2000, secondo i quali l'Italia è
il terzo paese esportatore di armi di piccolo calibro (dopo U.S.A. e Gran
Bretagna), con valori che superano i trecento milioni di dollari. Tra i
destinatari delle esportazioni legali di armi e munizioni si trovano Stati
coinvolti in conflitti, tra cui India, Pakistan, Eritrea e Etiopia, l'Uganda, la
Sierra Leone, il Congo, l' Algeria. Molti dei paesi destinatari sono teatro di
violazioni dei diritti umani, come Turchia, Arabia Saudita, Cina e Indonesia. Si
sottraggono invece a ogni controllo i traffici illegali, che nella maggior parte
dei casi hanno all' origine un trasferimento legale e poi, attraverso
triangolazioni tra Stati e intermediazioni di organizzazioni criminali e
trafficanti senza scrupoli, sfuggono agli embarghi e fanno perdere ogni traccia
di sé.
Le armi leggere e di piccolo calibro sono le armi delle guerre
moderne, provocano l'esacerbazione dei conflitti e rendono più difficili le
soluzioni diplomatiche, ma aumentano anche il tasso di criminalità e le
violazioni dei diritti umani. Exa quindi, dietro la facciata rassicurante che
attira decine di migliaia di visitatori ogni anno, nasconde il suo vero volto di
vetrina dei fabbricanti di strumenti di morte.
Disarmare Exa significa
anche colpire la finanza armata: le connessioni tra finanza ufficiale e paradisi
fiscali, le banche che finanziano il traffico d' armi internazionale, gli Stati
che destinano quote importanti del loro p.i.l. alle spese militari, sottraendole
alla spesa sociale; le lobbies e i potentati che influenzano scelte politiche,
gravide di effetti distruttivi sullo scenario internazionale. La produzione e
l'esportazione di armi, sia legale che illegale, ha bisogno di grandi capitali e
di servizi finanziari che solo le banche possono offrire, di modo che gli
istituti bancari destinano i risparmi dei cittadini anche a finanziare
operazioni bancarie che generano morte. Nell'anno 2000, secondo i dati forniti
dal governo, sono state autorizzate esportazioni di armi a uso bellico
dall'Italia per oltre 1.500 miliardi di lire, e quasi la metà degli importi
autorizzati si riferiscono ad esportazioni verso Sudafrica, Turchia, Nigeria e
India. Circa il 70% delle esportazioni ufficiali di armi leggere, quindi
considerate "per uso civile", ha invece avuto come destinatari paesi del sud del
mondo: tra gli altri, paesi come Libano, Congo, Marocco, Algeria, Burkina Faso,
Mauritania, Camerun, Senegal, India, Kenia, ecc. Le spese militari sottraggono
alla spesa sociale quote importanti dei p.i.l. di tutti i paesi, somme ingenti
che anziché essere destinate all'utilità pubblica servono a fornire gli eserciti
e le polizie di sempre più sofisticati strumenti di morte.
Ma
attraverso le esportazioni di armi verso i paesi in via di sviluppo, si alimenta
e perpetua il loro debito, e quindi la loro dipendenza, nei confronti degli
Stati industrializzati, con la conseguente impossibilità di sviluppare economie
destinate a soddisfare in primo luogo i bisogni primari dei cittadini, di
promuovere e finanziare progetti in materia di salute, alimentazione,
istruzione.
Disarmare Exa significa anche promuovere un modello di
sviluppo sostenibile per l'ambiente, perché l'esercizio della caccia impoverisce
il patrimonio faunistico del nostro pianeta, alterando l'equilibrio dell'
ecosistema e provocando ogni anno la morte inutile di centinaia di milioni di
esseri senzienti. La scomparsa e il rischio di estinzione di diverse specie
animali sono anche conseguenza della caccia, oltre che della distruzione del
loro habitat naturale.
Disarmare Exa, insomma, significa pensare alla
costruzione di un mondo diverso, in cui le risorse oggi utilizzate per procurare
morte, distruzione, danno ambientale, possano essere destinate a utilizzi
socialmente utili; in cui le fabbriche d' armi possano essere riconvertite ad
altri cicli produttivi; in cui la guerra sia bandita per
sempre.
Exa nella guerra
globale
Nell'ultimo decennio i grandi potentati economici e
finanziari transnazionali, gli apparati militari-industriali, i principali
governi del mondo sempre più frequentemente hanno fatto ricorso alla guerra per
risolvere i conflitti, per imporre la loro pace, i loro interessi nei punti di
crisi e di rilevanza strategica del pianeta. E dopo la strage terroristica
dell'11 settembre alle Twin Towers la guerra sembra diventare ormai, sempre più,
la forma stessa del dominio, sanguinosa e devastante, terribile nella sua
concretezza, fatta di bombe, pallottole, distruzione e morte per le popolazioni
civili. Va imponendosi una sorta di stato di guerra permanente sull' intero
pianeta. Le azioni belliche, attuabili ovunque in qualsiasi momento, diventano
normalità nel governo sui popoli. Lo schema amico-nemico e la guerra
squalificano ogni iniziativa di mediazione politica tra istanze complesse
legittime e differenti, e cercano invece di garantire nel Nuovo Ordine Mondiale
neoliberista la concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di pochi
a discapito della gran parte dell'Umanità, del diritto universale ad una vita
dignitosa.
Teatro di operazioni militari sono oggi l'Afghanistan e la
Palestina, prestissimo potrebbero essere la Somalia, l'Iraq, forse di nuovo i
Balcani. E anche le forze armate italiane, con un consenso ampiamente
maggioritario in parlamento, ma non fra i cittadini, sempre più sono impiegate
in queste azioni di guerra con un ruolo attivo importante. Nel bilancio pubblico
gli stanziamenti del governo per le spese militari sono in costante
aumento.
All'interno degli stessi Paesi più ricchi, lo stato di guerra
porta con se l'ampliarsi dell'esclusione dalla sfera dei diritti, dei servizi e
delle tutele sociali, nonché l'adozione sempre più frequente di misure e metodi
autoritari, apertamente repressivi, per colpire il dissenso e la protesta
democratica.
E' in questo scenario che si pone, nell'anno 2002,
l'esposizione di Exa, la cui rilevanza economica e commerciale -come abbiamo
visto- va ben al di là della realtà bresciana. Ed è in questo scenario che Exa
si rivela più che mai, nei marchi degli espositori di armi leggere per ogni uso,
nel logo accattivante che la pubblicizza, nella propria stessa esistenza, un
veicolo per alimentare, foraggiare, legittimare, rendere senso comune accettato
e persino bello ("sportivo") proprio la guerra, i suoi strumenti e chi sulla
guerra realizza profitti a palate. Senza guerra non ci sono produzione e vendita
di armi. Senza produzione e vendita di armi non c'è guerra. E' tutto qui, in
fondo, il gioviale happening di Exa.
Proposta in
progress
Ma noi, uomini e donne comuni, di Brescia, di Genova,
di Assisi, di Porto Alegre, noi che pensiamo possibile la globalizzazione della
pace e dei diritti, e non del dominio di pochi sull'intero pianeta, siamo parte
dell'umanità contro la quale i potenti scatenano e fanno combattere le
guerre.
Ebbene, chi si oppone alla guerra nei mille modi possibili,
senza se e senza ma, chi è per la pace, chi non vuole lasciarsi arruolare, chi
diserta e disobbedisce, chi non collabora, chi vivendo ogni fede sa che nessuna
guerra si può scatenare in nome di Dio, chi non è d'accordo ma non sa che fare,
chi crede possibile un altro mondo senza armi, chi non ci crede molto ma vede
che questo mondo è simile al peggiore possibile. invitiamo tutti questi uomini e
donne e molti di più, come noi e diversi da noi, a condividere, fra tantissimi
soggetti collettivi, politici, associativi, sindacali, studenteschi., singoli
individui, con provenienze, percorsi, sensibilità, pratiche, domande, impegni
quotidiani, obbiettivi grandi e/o immediati differenti. un semplice scopo
comune: dire no a Exa. Dirlo in molti modi pacifici, pubblici, chiari,
comprensibili, con creatività, allegria e radicalità. Affermare che questa
mostra di prodotti che servono ad uccidere è semplicemente illegittima,
ingiusta, perché di quei prodotti chiunque può diventare e diventa vittima
innocente.
Exa non è figlia legittima di Brescia, non è un fiore
all'occhiello dell' "intraprendenza e dell'operosità" dei bresciani. E Brescia
non è la città dei produttori e dei mercanti di strumenti di morte. La stessa
tradizionale "vocazione armiera" della Valle Trompia è l'esito di scelte
politiche ed economiche, non un dato naturale incontrovertibile, certo non è l'
unico modello di organizzazione dei rapporti sociali che possa dare identità e
lavoro alle popolazioni di quel territorio. Siamo convinti che la sicurezza
dell' occupazione e del reddito per i lavoratori oggi impiegati in quel settore
non debba essere messa a rischio, ma è altrettanto certo che i percorsi della
riconversione dell' industria bellica, pur difficili e realizzabili in tempi
lunghi, non siano affatto impraticabili.
Per altro, importanti scelte
di delocalizzazione produttiva verso regioni del mondo dove il costo del lavoro
è più basso negli ultimi anni sono state compiute anche dalla Beretta, e questo,
con l' intensificarsi della competizione sul mercato mondiale, dimostra che
persino in Val Trompia la produzione armiera non è sinonimo di garanzia
occupazionale e che anche in questo ambito della manifattura bresciana prevale
la tendenza alla riduzione di manodopera. Dunque, un serio percorso di
riconversione al civile dell' industria bellica valtriumplina e di reinserimento
degli addetti in altri settori lavorativi può rappresentare non solo una
possibilità per porre fine alla produzione di armi ma anche, in prospettiva, una
concreta necessità di garanzia dell'occupazione e del reddito per gli operai di
quelle imprese a rischio di disoccupazione.
Da anni sono moltissimi e
sempre di più i bresciani attivi nella solidarietà reale, in mille iniziative
che vedono la società civile locale sostenere in modo concreto le popolazioni
colpite dalla distruzione portata in ogni parte del mondo anche dalle armi che
da Brescia vengono vendute a qualsiasi acquirente. L' impegno fattivo di molti
bresciani in questi anni nella cooperazione alla pace nella ex Jugoslavia, a
supporto delle popolazioni civili, per il ripristino del legame sociale
devastato dalla guerra etnica, è solo uno degli esempi. E' questo il vero fiore
all'occhiello che già da molto tempo ha fatto conoscere i cittadini bresciani ai
cittadini di tutto il mondo, non certo la produzione di guerra che riempie le
tasche di pochi industriali e banchieri.
Esprimere questa solidarietà
con coerenza e concretezza, dire no alla guerra non può non significare anche
sollevare e affrontare al più presto il grave problema che è Exa, chiedere che
la mostra delle armi leggere smetta di esistere.
Exa e il suo
"palcoscenico", la rilevanza nazionale ed europea, la visibilità, oltre che la
gravità, di questo evento, rappresentano anzi un'opportunità grande che la
società civile, il movimento contro la guerra e per i diritti globali può
cogliere, per dare ulteriore legittimità ed efficacia concreta alle proprie
ragioni e alla preziosissima pratica quotidiana della solidarietà e delle azioni
di pace.
Anzitutto, chiediamo con forza ai promotori dell'esposizione
una moratoria, cioè di rinunciare almeno all'edizione di quest'anno di Exa.
Crediamo che nella situazione di guerra in atto tale decisione sia doverosa come
gesto minimo indispensabile di assunzione di responsabilità, di buon gusto e
senso civile, di rispetto per l'Umanità martoriata dall' effetto dei loro
prodotti. Ma temiamo che i produttori e mercanti di pistole, fucili,
mitra, così come le società finanziarie e le banche ad essi collegate, siano più
preoccupati di non correre il rischio - rinunciando all'expò 2002 - di una
qualche flessione del giro d'affari che attraverso
Exa
si alimenta
Facciamo appello allora a tutti i soggetti
interessati, di Brescia e non di Brescia, a partecipare e a promuovere insieme a
noi una serie di iniziative di critica forte, pacifica e radicale ad Exa, dal 13
al 16 aprile prossimi. Immaginiamo e proponiamo uno scenario articolato e
complesso di iniziativa, che abbia la maggior efficacia possibile sul piano
politico e comunicativo e che si dispieghi, nelle settimane e nei mesi a venire,
a partire da ora e poi soprattutto nei giorni dell' esposizione, in momenti di
informazione (volantinaggi, articoli di giornale, conferenze stampa,
predisposizione di un apposito sito internet...), di approfondimento, di
discussione, di mostra e proiezione video, di spettacolo teatrale e musicale, di
incontro (in primo luogo con i lavoratori e con gli studenti), di manifestazione
di strada e di azione diretta che coinvolgano tanto la città e il suo centro
storico, quanto la zona immediatamente a ridosso dello spazio espositivo, alla
periferia est di Brescia.
Intendiamo promuovere nei giorni di Exa un
forum di approfondimento, di discussione e proposta, al quale abbiamo
l'ambizione di dare rilevanza nazionale, sulla produzione bellica, sui percorsi
possibili della riconversione dell' industria armiera, sulle pratiche reali di
costruzione della pace e di rifiuto della guerra. Compiremo azioni di
informazione e denuncia riguardanti le banche armate.
Almeno due, in
giorni diversi, dovranno essere i momenti di presenza di massa nella zona della
mostra. In uno dei due giorni dell'apertura dell'esposizione al pubblico l'uno.
In uno dei due giorni dell' accesso alla mostra per i soli operatori l'altro.
L'obbiettivo specifico da condividere che proponiamo in questi due momenti è
"assediare" fisicamente il luogo della mostra, isolare all' interno degli stand
gli operatori del settore e ostacolare concretamente il normale svolgimento
dell'esposizione, senza creare frizione con il pubblico dei visitatori. E'
evidente che tale proposta, solo abbozzata, dovrà essere specificata nelle
prossime settimane.
Del resto lo scenario e le proposte che iniziamo
qui a delineare sono volutamente generici, proprio per consentire a tutti i
soggetti interessati di portare il loro contributo alla stessa elaborazione del
calendario delle iniziative. Iniziative, anche quelle di strada attorno alla
zona fieristica, che speriamo molteplici, che crediamo possano e debbano avere
modalità e forme le più diverse, pacifiche, non violente, di disobbedienza
civile e sociale, che non comportino danno a persone e cose, che abbiano come
prerogative irrinunciabili la chiarezza, la radicalità, la pubblicità e l'
efficacia comunicativa, e siano mosse dall'obbiettivo condiviso da tutti i
promotori: criticare, delegittimare, ostacolare Exa.
Pensiamo le
giornate di Exa non come un punto d'arrivo, ma come un passaggio imprescindibile
per rilanciare anche nella provincia di Brescia l'opposizione alla guerra e alla
produzione bellica, per la riconversione delle fabbriche d' armi. In tal senso,
consideriamo importante arrivare anche attraverso le giornate della
contestazione ad Exa alla creazione di un osservatorio permanente sulla
produzione ed il commercio di armi leggere.
Proponiamo l'inizio di un
lavoro lungo, difficile, ma irrinunciabile e importante, per disarmare Exa, per
bandire la guerra e le sue armi da Brescia. Comincia adesso. (Brescia
Social Forum)
Legnago (VR)- CORTOMETRAGGI
ARCI di Legnago informa che anche quest'anno ritorna "VICOLO CORTO" Rassegna Internazionale di Cortometraggi. La manifestazione è effettuata con il contributo della Regione Veneto, oltre che ai Comuni di Padova, Ferrara, Legnago, Cerea, Modena, Jesi, e Massa Carrara. Hanno partecipato alla realizzazione, Arci-Ucca in collaborazione con il Ministero da Cultura do Brasil-Funarte-Departamento Cinema e Video/CTAv, Associacào de documentaristas e curtametragistas Nacional, L'università di Padova - Dipartimento di Romanistica, cattedra di lingua e letteratura portoghese e brasiliana. Per questa IV edizione abbiamo scelto "opere dal Brasile" con un titolo, Amanhà (domani) tema conduttore del Festival. I "corti" sono 23 per un totale di circa 5 ore suddivisi nelle varie serate. Il Brasile e i brasiliani sono stati storicamente ed ancora lo sono, maestri per scelta e per forza nell'arte di vivere con un domani a credito. "Apesar de vocè amanhà ha de ser outro dia" - "Malgrado te domani sarà un altro giorno" cantava Chico Buarque. Le sedi delle proiezioni per il nostro Comitato saranno il Cinema Mignon di Cerea vr (via Canonica 4) nei giorni 14, 15, 16 marzo dalle ore 20,45 e il Centro Ambientale Archeologico di Legnago (via Fermi) nei giorni 16, 17 marzo sempre dalle 20,45. Presto vi daremo tutte le modalità d'iscrizione che anche quest'anno sarà, nonostante le difficoltà, gratuita e i programmi degli eventi collaterali al Festival (Convegno sul cinema brasiliano, Mostra fotografica sul Brasile, concerto e presentazione dell'ultimo disco dei "I TA PUA" (musica brasiliana), visita gratuita al museo). Visti i posti limitati (le sale sono molto piccole) invito fin da ora ad accreditarsi, solo le persone interessate. Per qualsiasi informazione potete chiamare il nostro Comitato o mandare una mail ai seguenti indirizzi: Tel. 0442/26053; Fax 0442/628763; e.mail legnago@arci.it
Verona - SOSTEGNO ALLO STUDIO DEI FIGLI: laboratori formativi per genitori
Il Centro Pedagogico per l’Orientamento e la Formazione di Verona organizza per i genitori che intendono migliorare le metodologie per il sostegno allo studio dei figli e l’efficacia dell’intervento educativo, due corsi di formazione che si svolgeranno presso la sede del Centro, in via Regaste S. Zeno 17, Verona. I corsi «Debito Formativo» per i genitori di studenti di scuola superiore e «Uffa! Devo fare i compiti!» per genitori di ragazzi di scuola elementare e media si svolgeranno al mattino ed al pomeriggio di sabato. Per informazioni ed iscrizioni: Tel. 045 8031301/8070740 – E.mail: segreteria@cpdonbosco.it
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EREDITA' SCARLATTE
Sono
in questa comunità “Casa del Giovane“ da tempo ormai, e mi accorgo che c’è
sempre qualcosa da imparare, da rielaborare e tenere ben a mente. Anche quando i
percorsi, i metodi, le dinamiche sono tutte al loro posto, c’è un lampo che
attraversa il nostro passo, e ci obbliga a fermarci per riflettere. Molti
sono i minori accolti in queste strutture, e molti sono coloro che accompagnano
i loro passi, con attenzione e capacità intuitive, che a volte “servono“ più
delle competenze acquisite con lo studio delle tecniche educative.
Certo è difficile comprendere il
disagio che li avvolge, ancor più esplicare metodi educativi risolutivi, perché
ogni persona è un mondo a sé, allora intervenire diventa “scienza della mente e
del cuore”., e non sempre è facile riuscire dove la vita non è stata ancora
vissuta, ma è stata incredibilmente lacerata fin dal suo sorgere.
Le storie che incontro sono pezzi di vita che sbarrano la strada, bussano alla
porta della ragione per tentare di sfiorare finalmente un senso, quel senso che
i giovanissimi prendono a calci, per reazione all’indifferenza o all’incapacità
dell’altro di farsi carico delle sofferenze che sono state loro imposte, in
famiglia, nella scuola, da un mercato che disconosce il povero e annichilisce il
ricco.
E’ un’umanità adolescenziale che cresce piagata per non avere avuto possibilità
di scelta, se non quella di fuggire lontano da un reale sotto vuoto
spinto.
La nostra è una società che etichetta, che ingabbia, che modella a proprio uso e
consumo, per poi gettare via l’involucro usato o avariato. E’ una società che
allunga il passo, che ha memoria corta, una società che recita, sì, il Padre
Nostro, ma lo fa meccanicamente per non sentire l’importanza di quelle parole,
né gli impegni assunti con quella preghiera.
Baby gang-branco-baby assassini- è roba che riguarda gli altri, perché “tanto ai
miei figli non accadrà mai”. Qualcuno
ha detto che, finchè i bambini non saranno intesi come figli di tutti, essi
saranno destinati a scontrarsi, e soccombere, con gli interrogativi di questa
esistenza. Forse
non è neppure il caso di polemizzare sulle varianti che generano disagio, per
intenderci, sulla povertà che
alimenta il conflitto, sui distacchi perpetrati in famiglia, sull’uso e
abuso dell’agio.
Lutrec è un ragazzo che non somiglia per niente ad un uomo, è un giovanissimo
con gli occhi di cerbiatto. Non è neppure un bambino, è un adolescente che non
cede metri al tempo, mentre rimane fermo ad aspettare.
Ricordo quando l’ho visto arrivare in comunità: un uragano, un tir senza
comandi, una valanga che tutto travolge e sconvolge.
Impotenti di fronte a tanto furore.
A ben guardare, Lutrec è davvero fin troppo giovane per essere così reattivo e
diretto nello scontro fisico, quanto evasivo nel pagare pedaggio al gioco delle
verità. Nei
primi tempi non ha fatto altro che provocare, offendere, cercare guai con i
coetanei, con gli adulti, persino con Dio.
In che modo seguire e accompagnare un piccolo Attila, un distruttore di pazienze
e speranze? Come evitare di reagire allo stesso modo, o peggio, guardare da
un’altra parte? Ma
in Lutrec non c’è un disturbo della personalità, né una patologia
esistenziale, c’è
il rischio della sconfitta, per non esser stati capaci di intervenire con
scienza e coscienza.
Dietro la maschera del duro c’è un’intelligenza viva, lucida e
creativa.
Dietro quella maschera indossata a difesa ed offesa, c’è il peso delle tragedie
vissute, del dolore incamerato e mai elaborato, delle sofferenze accatastate e
mai del tutto superate.
Lutrec non conosce ancora la propria storia, la propria dimensione, il proprio
spazio e tempo, rifiuta i ruoli all’intorno, porta addosso un’eredità mai voluta
né condivisa.
Non ha deficit cognitivi, né turbe emotive strutturali, alla sua età, è
stravagante per monopolizzare l’attenzione, ricorda ma non accetta le assenze
eterne, né i rifiuti delle presenza rimaste.
Lutrec è un respiro ansioso, che sente la minaccia del rifiuto e
dell’abbandono.
Osservandolo, ho pensato quanto siamo tutti dottorandi di filosofie
comportamentali astratte, a tal punto da ingabbiarlo in una serie di mancanze,
che hanno prodotto l’otturazione
delle intercapedini ove stanno in embrione i mondi futuri. Riflettendo
con parsimonia di giustificazioni, ma con maggiore onestà intellettuale, si
potrebbe sostenere che le negatività messe in atto da Lutrec non sono altro che
la esplicitazione di una superficialità verso la propria persona e i propri
sentimenti: frutto di un modello genitoriale per lo meno indeguato.
Ecco allora la sua paura, la sua sfiducia in se stesso e negli altri, la sua
convinzione di non valere qualcosa, né di poter fare cose significative per il
proprio futuro.
E questa percezione genera diffidenza, disimpegno, alimenta solo l’attenzione al
“tutto e subito, qui e ora “.
Mi rendo conto che esprimo sensazioni dettate dalla mia vista, dal mio udito,
mancanti di una competenza scientifica, ma penso che si diventa responsabili se
e quando si esercitano responsabilità reali, seppure appropriate
all’età.
Non certamente attraverso una conduzione educativa assistenziale, fatta di tante
cose date gratis, e di un po’ di regole ( sì, necessarie, ma che possono
generare dipendenza, e quindi assuefazione al “ tanto mi dà tanto”, perché in
questa ottica verrebbe a mancare la vera responsabilizzazione, quella basata
sulla fiducia, sulla tecnica dialettica che non consente agli interlocutori di
barare.
Don Enzo Boschetti, fondatore della Casa del Giovane, ci ha insegnato che “si
educa e rieduca solo con l’amore e la fiducia…”: questo è il solo modo per
andare incontro alle solitudini che devastano il mondo giovanile, alle
incapacità di trasformare relazioni interpersonali conflittuali, in relazioni
vere, che servano ad elevare anima e cervello, quindi a costruire nuove
convivenze e comunità.
(Vincenzo Andraous - Carcere di Pavia e tutor
comunità Casa del Giovane di Pavia -
Febbraio 2002).
Progetto Sorriso El Salvador
«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.
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Pensieri @ltri