il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996
Direttore Responsabile ed Editoriale: Amedeo Tosi
Redazione:  località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (VR)
«il GRILLO parlante» è consultabile anche nel sito della
Biblioteca di Nogara (VR), che gentilmente ci ospita.
La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tutta ed esclusiva dei rispettivi autori. il GRILLO parlante ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli a cura della Redazione e di quelli non firmati.
 
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FIEREZZA PERSONALE E RISPETTO VERSO TUTTI
«L'acqua calda non dimentica di essere stata anzitutto fredda»
(nazione: Burundi)

Appuntamenti da non perdere
Inviaci gli appuntamenti organizzati dalle associazioni del tuo paese! grilloparlante@mbservice.it
 
 
 
25/02/2002 -  S.Zeno di Colognola ai Colli - «I servizi socio-sanitari nell'Est veronese»

Il «Centro per il diritto alla salute» di San Bonifacio e la Commissione «Giustizia Pace Salvaguardia del Creato» della Parrocchia di S.Zeno di Colognola ai Colli organizza un incontro-dibattito informativo sul tema: «I servizi socio-sanitari nel nostro territorio (Est veronese) e le prospettive del prossimo futuro». Interverranno alcuni medici e sindaci. Inizio ore 20,30 presso la Sala parrocchiale di S.Zeno di Colognola ai Colli. Info: aldo.corradi@email.it 

27/02/2002 -  Verona - Nasce il gruppo «don Tonino Bello»

Con grande gioia annunciamo la nascita del Gruppo don Tonino Bello presso il piccolo Eremo di San Rocchetto vicino a Quinzano (Verona), dove opera don Luigi Ferrari, cappellano del carcere di Verona e aderente a Pax Christi. Il Gruppo è formato da una rete di persone attive nel campo delle associazioni e del volontariato. Ha individuato nella figura di Tonino Bello un testimone credibile di pace e della Chiesa dei poveri. Il primo incontro, rivolto a illustrare la figura di don Tonino, si svolgerà mercoledì 27 febbraio ore 21. ( info: paxchristi_paronetto@yahoo.com )

1 - 8 - 15 - 22 marzo 2002 -  Verona - «Volti di Pace»: 4 incontri
 
Pax Christi di Verona e la Comunità cristiana di San Nicolò organizzano per il mese di marzo 2002 un ciclo di incontri su «VOLTI DI PACE, testimoni e profeti del nostro tempo». Venerdì 1 marzo: TONINO BELLO, La pace è convivialità delle differenze. Relatore: Sergio Paronetto, Pax Christi -Verona. Venerdì 8 marzo: EMMANUEL  LEVINAS, L'etica del volto, futuro di pace Relatore: Roberto Vinco, docente di teologia e parroco di S.Nicolò. Venerdì 15 marzo: DAVID M.TUROLDO, La poesia come canto-profezia di pace Relatori: Luigi Adami, parroco di S.Zeno di Colognola ai Colli e Marco Campedelli, prete, uomo di teatro. Venerdì 22 marzo: ETTY HILLESUM, La pace come cuore pensante Relatrice: Letizia Tomassone, pastore della Chiesa valdese di Verona. Gli incontri si terranno alle ore 21 presso la sala "Pighi" della parrocchia di San Nicolò all'Arena, piazza S.Nicolò (dietro l'Arena), Verona, tel. 045 8000167, 045 565646.
 
02/032002 -  San Bonifacio (VR) - Immigrazione: istituzioni e volontariato a confronto
 
SABATO 2 MARZO, ore 9,30 presso la Sala Civica "Barbarani" di San Bonifacio, incontro-dibattito sul tema: «Immigrazione: istituzioni e volontariato a confronto». Interverranno: Mario Lonardi (sindaco di San Martino B.A.), Alessandro Meneghini (Vice Questore di Verona), Simonetta Dalla Gassa (Comunità dei giovani di Verona) e Geraldo Monteiro (medico volontario del CESAIM di Verona). Coordina Amedeo Tosi (giornalista). L'incontro chiude la quarta edizione del palinsesto "Pensando alla Pace", organizzato dal "Forum delle Comunità in dialogo" in collaborazione con altre 7 associazioni impegnate nell'Est veronese.
 
 
02/03/2002 -  Nogara (VR) - LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI?/1 - INCONTRO CON PAPALIA, TESCAROLI E BONGIOVANNI
 
All’interno del ciclo di incontri «LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI ?» organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nogara (Verona) e dalla Biblioteca Comunale di Nogara "Elisa Masini" SABATO 2 MARZO alle ore 16 presso la Sala Consiliare - Municipio di Nogara, via Roma 1 ci sarà la presentazione del libro di LUCA TESCAROLI "Perché fu ucciso Giovanni Falcone" (Rubbettino Editore). Interverranno: GUIDO PAPALIA (Procuratore Capo della Repubblica di Verona) LUCA TESCAROLI (Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma,  Pubblico Ministero nel processo della strage di Capaci nel corso dei giudizi di I e II grado); GIORGIO BONGIOVANNI (Fondatore e Direttore Editoriale della rivista mensile "Antimafia Duemila"). Tutti sono invitati. Per informazioni  http://digilander.iol.it/biblionogara ; biblionogara@libero.it .
 
02/03/2002 -  Roma - Manifestazione nazionale de «L'Ulivo»
 
Sabato pomeriggio, 2 Marzo a Roma saremo in tanti: centomila, duecentomila.. Si annuncia come il più grande corteo e la più grande manifestazione che l'Ulivo abbia mai tenuto. E' il primo grande incontro unitario dell'opposizione, dopo il 13 Maggio 2001, contro la politica del governo e per il rilancio della nostra alternativa alle destre. Al centro poniamo i temi della "giustizia uguale per tutti" e il referendum sulle rogatorie, le pensioni e il lavoro (l'articolo 18 e anche i diritti di chi ha un lavoro "precario"), le promesse vane e i ticket reali fatti pagare ai cittadini, la scuola e la formazione, il diritto alla salute e l'ambiente. Vogliamo contrastare la linea di scontro e di tensione che il governo quotidianamente crea nel paese per assoggettare la magistratura, comprimere la libertà di informazione, difendere i privilegi e gli interessi di pochi con sempre maggiore arroganza. Il 2 Marzo dobbiamo esserci, dobbiamo far sentire più forte che possiamo la nostra voce, il nostro spirito critico, la nostra volontà di riscossa. Questo è un invito a non mancare, a essere con noi. Ognuno con le proprie diversità ma con la nostra irrinunciabile spinta di unità e rafforzamento dell'Ulivo. Ma questo è anche un invito a creare una "catena di S. Antonio", a moltiplicare per 10 per 100 l'appello a partecipare. Non abbiamo tre TV, abbiamo pochissimi soldi da spendere, ma abbiamo le nostre persone, la nostra libertà e la nostra volontà. Con il passaparola possiamo arrivare ovunque. Passaparola anche tu! Arrivederci sabato 2 marzo, alle 14.00 in Piazza della Repubblica. (FONTE: L'Ulivo - Roma)
 
4 - 11 - 18 - 27 marzo e 7 aprile 2002 - Verona - Corso di formazione gratuito per volontari del commercio equo.
 
La cooperativa La Rondine organizza un corso di formazione per volontari del commercio equo con il seguente programma di incontri: lunedì 4 marzo ore 21.00 Globalizzazione e movimenti A cura del gruppo info della cooperativa;  lunedì 11 marzo ore 21.00 Gioco di simulazione "Gli scambi commerciali" e discussione. La Carta dei criteri del commercio equo. A cura del gruppo info della cooperativa; lunedì 18 marzo ore 21.00 Il commercio equo e solidale oggi. Facciamo il punto. Incontro con Fabiano Ramin (comitato progetti Consorzio CTM Altromercato); mercoledì 27 marzo ore 21.00 La comunicazione interna ed esterna a cura del Prof. Gianfranco Mancini;  domenica 7 aprile ore 10.00 / 18.00 Volontario in Rondine come e perchè. Incontro conclusivo con momento di scambio (a cura di Giorgio Benedetti e Gianfranco Mancini), presentazione attività e organizzazione della cooperativa e momento formativo di approfondimento (a cura di Sandra Endrizzi - con la sua tesi di laurea sul microcredito in uno dei primi gruppi di base del commercio equo in Bangladesh - e a cura del gruppo info con video sui prodotti alimentari). I primi 4 incontri si terranno presso Missionari Comboniani - Vicolo Pozzo 1 - Verona. L'incontro conclusivo (programma e data da confermare) a Cazzano di Tramigna. Il corso è gratuito.E' raccomandata l'iscrizione via e-mail all'indirizzo elrancan@tin.it oppure telefonando in cooperativa tel. 045/8013504.
 
07/03/2002 -  Verona - Finanza Etica: modalità di funzionamento

La Fondazione Toniolo organizzato una conferenza che si terrà presso la sua sede (Chiostro di S. Fermo, via Dogana 2/A, Verona) sul tema: L'ATTUALITA' DELLA FINANZA ETICA E LE MODALITA' DI FUNZIONAMENTO - Dott. Mario Cavanni, socio di Banca Etica . Inizio ore 20,45.  

09/03/2002 -  Verona - Rete Lilliput - «Un mondo diverso è in costruzione...»

UN MONDO DIVERSO E’ IN COSTRUZIONE: IL CONTRIBUTO DI AGENDA 21 LOCALE". Agenda 21 Locale è un’occasione per tutti di partecipare al governo della propria città, per un futuro sostenibile "che risponda alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze". Sabato 9 Marzo 2002 – Verona presso Sala Lucchi – Palazzina servizi dello stadio,  ore 15.00 – 18.00. Intervengono: Alessandro Bratti - Assessore all’Ambiente e Agenda 21 Comune di Ferrara; Massimo Becchi – Presidente di Legambiente Reggio Emilia Serena Tarocco – Consulente del Comune di Mantova per Agenda 21 Locale. Agenda 21 locale è un programma di azioni finalizzato allo sviluppo sostenibile del territorio. La novità è che le decisioni non vengono calate dall'alto, ma concertate in un dialogo diretto dei cittadini interessati. I gruppi di cittadini che rappresentano i diversi interessi e le diverse realtà della città (associazioni culturali, assistenziali, ambientaliste, sportive, sindacati, imprenditori, commercianti, artigiani, agricoltori, scuola, tecnici ed amministratori) partecipano direttamente al governo della città assieme alle istituzioni locali. L'obiettivo è organizzare la nostra società secondo modelli di produzione e di consumo più equi e sostenibili. L'attuale modello di sviluppo appare spesso distruttivo nei confronti dell'ambiente,delle relazioni tra comunità e anche della qualità di vita individuale che ci viene offerta. Dobbiamo gestire noi veronesi il nostro territorio, valorizzarlo e farlo conoscere,con i metodi che ci sono più congeniali, collaborando con altre realtà territoriali di cui rispettiamo le caratteristiche. La ricchezza dell'Italia e del Pianeta sta nella varietà, non nell'omogeneità, dei modi di vivere: abbiamo impiegato millenni a costruirla! Rete Lilliput Verona, che ti invita all'incontro, è un collegamento tra gruppi, associazioni, cooperative, singole persone che operano per un’economia di giustizia svolgendo attività in tutto il territorio veronese in molti ambiti, ben radicati nel suo tessuto sociale.

15/03/2002 -  Nogara (VR) - LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI?/2 - INCONTRO CON MARIA FALCONE E ANTONIO INGROIA

All’interno del ciclo di incontri «LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI ?» organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nogara (Verona) e dalla Biblioteca Comunale di Nogara "Elisa Masini"  VENERDÌ 15 MARZO alle ore 21 presso la Biblioteca Comunale - Palazzo Maggi, presentazione del libro di GIAN CARLO CASELLI e ANTONIO INGROIA "L'eredità scomoda. Da Falcone ad Andreotti sette anni a Palermo" (Feltrinelli). Interverranno: MARIA FALCONE (Presidente della "Fondazione Giovanni e Francesca Falcone"); ANTONIO INGROIA (Sostituto Procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo); AMEDEO TOSI (Giornalista, Direttore Responsabile del settimanale telematico "il GRILLO parlante"). Tutti sono invitati. Per informazioni  http://digilander.iol.it/biblionogara ; biblionogara@libero.it .

16/03/2002 -  San Donà di Piave - Convegno

«UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE? L'IMPATTO DELLA GLOBALIZZAZIONE SULLE SOCIETA' E LE CULTURE» è il titolo del CONVEGNO organizzato da Mani Tese presso il Centro Culturale "Leonardo Da Vinci" Piazza  Indipendenza di San Donà di Piave il 16 MARZO 2002, ore 9.00-13.00 - Introduzione e coordinamento: Gianfranco Bettin, Sociologo. I MOLTEPLICI ASPETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE Cresce la ricchezza, aumentano le emergenze sociali e gli squilibri economici. Relatore: Manlio Dinucci - Saggista; UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE! Le proposte della società civile globale per un mondo più giusto e solidale. Relatore: Sabina Siniscalchi - Mani Tese e Social Watch Italia - INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA FOTOGRAFICA "TERRA" DI SEBASTIAO SALGADO, DEDICATA AL MOVIMENTO DEI CONTADINI SENZA TERRA DEL BRASILE.

18/03/2002 -  San Giovanni Lupatoto - Max Gazzè in concerto per INTERSOS
 
«Ognuno fa quello che gli pare?», il tour teatrale di MAX GAZZE’, farà tappa LUNEDI’ 18 MARZO al Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto. Alla tournée è associata un’iniziativa che unisce una particolare scelta civile ad una piccola curiosità offerta al pubblico: sarà allestita, infatti, una mostra itinerante nella quale verranno esposti alcuni dipinti di Gazzè, appassionato pittore per diletto dalla sua adolescenza. Le opere sono donate da Gazzè ad «INTERSOS», organizzazione no-profit che interviene in qualsiasi parte del mondo dove si presenti un’emergenza umanitaria (della Intersos la campagna contro le mine anti-uomo). Gli incassi della mostra saranno appannaggio dell’associazione umanitaria, a testimonianza del costante impegno sociale dell’artista. Prevendite dei biglietti presso «Box Office» (tel. 045-8011154) via del Pontiere a Verona (am.t.)
 
18/03/2002 -  Verona - Il pensiero di René Girard
 
Lunedì 18 marzo, alle ore 21 presso la sede del Centro Missionario Diocesano di Verona, incontro di Pax Christi sul tema:  «Violenza nelle religioni, nonviolenza nel Vangelo (Il pensiero di René Girard)». Relatore: Giulio Bonamini.
 
22/03/2002 -  Verona - Commercio equo e solidale

La Fondazione Toniolo organizzato una conferenza che si terrà presso la sua sede (Chiostro di S. Fermo, via Dogana 2/A, Verona) sul tema: IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE - Prof.ssa Maria Grazia Totola, Facolta' di Economia e Commercio, Università di Verona.  Inizio ore 20,45.

06-07/04/2002 -  Ferrara - Convegno di Teologia della Pace

IX CONVEGNO DI TEOLOGIA DELLA PACE 6-7 aprile 2002 Sala Conferenze "CeDoc - SFR" via XX Settembre 47 - FERRARA. Tema: SATYAGRAHA, FORZA DELLA VERITA' CHE OPERA GIUSTIZIA. I Convegni di Teologia della Pace sono promossi da Pax Christi, attraverso il Punto-Pace di Ferrara, con la collaborazione dell'Istituto di Scienze Religiose diocesano e della Chiesa Battista di Ferrara, unitamente al movimento di Rinascita cristiana, al Segretariato Attività Ecumeniche locali e all'Associazione Ferrara-Terzo Mondo, con il sostegno del Centro Servizi per il Volontariato di Ferrara. Si tratta di un'occasione - che ci risulta essere unica in Italia nella sua sistematicità - per chiamare la teologia a confrontarsi sui temi della Pace e a scoprire come la Pace sia il vero volto di Dio. In questo IX incontro proseguiremo la riflessione intorno alla Verità e al suo rapporto con la Nonviolenza (Satyagraha, per Gandhi), declinandola rispetto al tema strettamente legato della Giustizia. Ancora una volta non possiamo non essere attenti all'ordine del giorno che la storia recente ci pone, dove Verità e Nonviolenza sembrano sempre più messe al margine.
P R O G R A M  M  A
SABATO 6 APRILE, ORE 18,30 - LITURGIA ECUMENICA presso la Chiesa Battista di via C. Mayr 110/a. Cena comunitaria - ORE 21,00 - (PRESSO IL TEATRO "CASA DI STELLA DELL'ASSASSINO", via Cammello) «GOLFO» tratto dall'omonimo libro di Robert Westall, riduzione teatrale a cura di: Marcello Brondi, Teresa Fregola, Luciano Giuriola. Regia di Luciano Giuriola
DOMENICA 7 APRILE  (Sala Conferenze "CeDoc - SFR" via XX Settembre 47): ORE 9,15 - Accoglienza di Andrea Zerbini, direttore dell'Istituto di Scienze Religiose di Ferrara. Saluto di Carlo Caffarra, arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Saluto di Giorgio Dall'Acqua, presidente della Provincia di Ferrara. Saluto di Daniele Lugli, segretario nazionale del Movimento Nonviolento. Introduzione di Piero Stefani, direttore scientifico del convegno. Relazione di Lidia Maggi, pastora evangelica, Cinisello Balsamo (Milano): "Effetto della giustizia sarà la pace (Isaia 32,17)". Relazione di Raniero La Valle, giornalista e studioso di tematiche sulla pace, Roma: "La guerra giusta: nascita e storia di una triste leggenda". Discussione. Pranzo comunitario.
ORE 15,00 - Relazione di Cesare Frassineti, esperto di economia e globalizzazione, Roma: "Economia, giustizia e nonviolenza, un trio impossibile?"
Relazione di Giuseppe Stoppiglia, frate cappuccino, prete operaio e formatore sindacale, presidente dell'associazione Macondo, Vicenza: "Verità e giustizia nelle relazioni tra i popoli per crescere la nonviolenza".Discussione.
Conclusioni di Francesco Comina, giornalista, Pax Christi Bolzano. Per informazioni e iscrizioni (entro il 31 marzo): Pax Christi Punto-Pace Ferrara, c/oAlessandra Mambelli, tel.0532742260;
e-mail: relaxpxfe@libero.it

17/04/2002 -  Nogara (VR) - LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI?/3 - INCONTRO CON MARCO TRAVAGLIO, ELIO VELTRI E PAOLO ANDREOLI

All’interno del ciclo di incontri «LA GIUSTIZIA E' UGUALE PER TUTTI ?» organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Nogara (Verona) e dalla Biblioteca Comunale di Nogara "Elisa Masini"  MERCOLEDÌ 17 APRILE alle ore 21 presso la Biblioteca Comunale - Palazzo Maggi si terrà la presentazione del libro di ELIO VELTRI "Le toghe rosse" (Baldini & Castaldi) e dell'ultimo libro di MARCO TRAVAGLIO. Interverranno: MARCO TRAVAGLIO Giornalista de "la Repubblica"; ELIO VELTRI, Presidente dell'Associazione "Democrazia e Legalità"; PAOLO ANDREOLI, Sindaco di Nogara. Tutti sono invitati. Per informazioni  http://digilander.iol.it/biblionogara ; biblionogara@libero.it .

  
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IN PRIMO PIANO

DAVIDE, UN UOMO INGOMBRANTE

di Ettore Masina 

In “Poesie a Casarsa” Pierpaolo Pasolini ha un’immagine di straziante bellezza per indicare la inevitabilità dell’affievolirsi dei ricordi: Al ven sempri pì sidìn e alt / il  mar dai âins ( Si fa sempre più silenzioso ed alto il mare degli anni. E’ una realtà crudele che ben conosciamo: voci che ci sono state carissime, dalle quali abbiamo appreso le parole per vivere, un poco alla volta si riducono a bisbigli, come di malato, poi a povere ceneri nel vento. Tuttavia ci sono persone che per qualche loro caratteristica (per l’amore che gli abbiamo portato, certamente, ma non solo per questo) più tenacemente ci rimangono presenti e vicine. Padre David Maria Turoldo, come si firmava, Davide, come lo abbiamo sempre chiamato noi amici, è, per molti, una di quelle figure. Come, dopo una sua visita, rimanevano nelle stanze in cui lo avevamo ricevuto, bottiglie vuote, e libri che ci aveva donato, e carte spiegazzate nella forza di un discorso, e l’eco di grida, talvolta, profetiche, così, a dieci anni dalla sua morte, a me pare che Davide se ne sia andato ieri sera o il mese scorso; che non un mare profondo e silenzioso ci separi da lui, ma un’assenza che non si prolungherà oltre il tramonto o si protrarrà soltanto sino all’eucarestia domenicale. Egli era così ingombrante che è ben difficile persino allo scorrere del tempo riuscire a ridurlo a un’ombra. Sì, ”ingombrante” è la parola giusta: se vuol dire “che occupa spazio a dismisura”. Davide era così, dal punto di vista fisico, e lo fu sin quasi alla fine del suo Calvario, quando apparve davvero come un crocefisso. Tutti che gli fummo amici ci riconosciamo nella descrizione che ne fecero, negli anni ’60, due suoi, e nostri, compagni: Luigi Santucci: "Altissimo e biondo come un covone, è un goffo arcangelo dalle mani enormi, che sono forse le sue ali mancate, a giudicare da come le sventola e le dibatte". E Nazareno Fabbretti: "Alto quasi due metri, biondo come un vichingo, con una voce dolo­rosa e violenta e due occhi pieni di fatica indistrutti­bile". Penso che non pochi di voi, del resto,  abbiano conosciuto Davide in questa sua torreggiante corporeità e dunque non insisterò sull’ argomento, ma non voglio rinunziare al ricordo sorridente di una certa sera, in casa nostra, a Roma. Era verso la fine del Concilio ed erano i giorni in cui andava emergendo l’impossibilità psicologica per papa Montini di procedere audacemente sulla via della collegialità. Il nostro, quella sera, era un salotto buono in cui un importante gesuita straniero ci parlava in maniera assai fredda di problemi vitali; padre Davide ci raggiunse, sul tardi, come faceva lui, che non tollerava di essere assente a riunioni di amici, anche se alcune si svolgessero in contemporaneità. Sedette in silenzio, ma si capiva che dentro lo agitava una moltitudine di sentimenti: e quando il gesuita nominò Paolo VI, ecco Davide balzare in piedi, spalancare le immense braccia e ruggire: “Questo papa bisogna ucciderlo!”. E il gesuita guardare l’orologio e dire,  terrorizzato: “Si è fatto tardi, devo andarmene”… (Inutile dire che padre Davide amava il papa e scrisse, più volte, su di lui cose toccanti). Ingombrante fisicamente, e per vortice di passioni, talvolta anche per innocente gigioneria (lo ricordo rientrato dall’esilio londinese con lobbia e ombrello arrotolato, come un impiegato della City...), Davide seppe tuttavia riempire con delicatezza e con irruenza spazî pastorali che il clero italiano, vescovi compresi, sembrava, per lo più, trascurare. Non solo nel periodo della pace giovannea ma ben prima, nell’epoca delle scomuniche, mostrò sempre tenerezza e sollecitudine per i “fratelli atei”, come amava chiamarli, soprattutto per quelli che gli sembravano resi tali dallo scandalo di una Chiesa infedele al suo Fondatore. Seppe stargli accanto apertamente, senza indebite invadenze, come una amorevole presenza  (innanzi tutto laicamente amorevole, se così si può dire), ma che non nascondeva il suo sostrato cristiano; e anche  seppe ascoltarli, ammirarne le doti, cercarne, in una specie di macro-ecumenismo, le comuni ragioni di vita. Pasolini e Vittorini e Sanguineti e Fortini, tanto per fare qualche nome, conobbero in lui, non soltanto la lealtà del collega letterato, ma anche  il sacerdote che, senza aspirazioni predatorie, mostrava la grazia vivificante del vangelo sine glossa. E quando, per alcuni di quei cosiddetti “lontani” fu l’ora del dolore, Davide seppe calarsi come un fratello nelle loro vicissitudini. Il mio discorso su Turoldo non può essere qui altro che un cenno, sia pure non frettoloso, e mi limiterò allora a qualche parola sulla sua poesia. Non sul valore letterario di essa, poiché tutto io sono fuori che un critico, ma sull’umiltà con la quale egli, poeta raffinato, lettore inesauribile di poeti, uomo di straordinaria cultura, e narcisista come sono sempre gli intellettuali, assetato dunque, di bellezza formale, non esitò a “sporcare” i suoi versi nel fango della Storia. Perché non dirlo?  Quando si trattò di raccogliere tutti i suoi componimenti in quel volume “ O sensi miei...”,  che fu presentato come la sua opera omnia, non tutte le sue composizioni vi furono raccolte. Gianfranco Ravasi, che a quell’epoca aveva grande influsso su Davide, con il quale aveva compiuto quella traduzione dei salmi che rimane la più alta opera della riforma liturgica in Italia, lo convinse a non inserirvi le poesie scritte, per così dire, in trincea, quelle che Davide definiva “ballate”:  Ravasi, fine critico, sapeva bene che quello era materiale grezzo, ganga aurifera appena raccolta nella violenza delle acque, non ancora sedimentata e filtrata nel silenzio claustrale. Ma noi continuiamo ad amare Davide proprio per quel suo gettarsi allo sbaraglio, lui e la sua arte, nelle tragedie e nelle nascite luminose del mondo “altro”. Davide non appese mai la sua cetra ai salici ma sforzò la sua voce seguendo gli oppressi nelle loro terribili lunghe marce alla ricerca di libertà e di giustizia: il Cile, il Vietnam, la Bolivia, il Nicaragua, il Sudafrica, il terrorismo dei disperati e quello, sapiente e feroce, della Cia, all’ombra, come lui diceva, di “un dio finanziere”… Con noi singhiozzò, nascondendo le lacrime, pregò, maledisse, sperò, cercò di costruire speranze. La sua vena lirica tracimò gli argini dell’eleganza per fedeltà agli ultimi e alla loro storia. I dannati della Terra furono la sua bussola e la vera metrica delle sue composizioni. Per loro, non tacque, mai. “Il poeta è un crocefisso al legno della verità” diceva.  Anche quando i vescovi sembravano attenti soprattutto agli equilibri dello status quo, anche quando i superiori ecclesiastici gli chiedevano obbedienza alle loro cautele, e la sua incriminata disobbedienza (che era invece fedeltà alla propria vocazione monacale) comportava la condanna a esilii per lui durissimi, ed egli era costretto a contemplare l’apparente trionfo della banalità, della mediocrità, del conformismo mondano, Davide - come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani e don Zeno Saltini e padre Ernesto Balducci - non ebbe mai dubbi: il vangelo non poteva che radicarsi nelle regioni in cui la sofferenza causata dall’ingiustizia stritolava la vita della povera gente. Egli non poteva (certamente non voleva, ma soprattutto per qualche misteriosa vocazione proprio non poteva) fermare il suo sguardo di monaco alle pareti della cella e neppure agli altari di pietra, né alle tanto amate solenni liturgie; non lì -. o non soltanto lì – era il suo Cristo, ma nella polvere delle sconfitte, nei ceppi dei vinti, nelle baracche degli oppressi. Davide aveva fra i suoi amici non pochi ricchi; entrava nelle loro case con l’aspersorio delle benedizioni, ma invece di donare loro le illusioni che gli ecclesiastici  hanno sempre elargito ai cosiddetti benefattori, poneva loro le dure richieste della spartizione dei beni, unica possibile scelta di salvezza. Poi riprendeva il suo posto, idealmente, nella casa dei suoi genitori, sospirata povertà, o nell’atroce miseria degli infiniti Golgotha della Terra. Seppe incontrare in quelle regioni anche una poesia sorella, da ascoltare con reverenza. Nella vita di quest’uomo sempre conteso fra la necessità del silenzio-contemplazione e il bisogno quasi primordiale del grido, vi sono spazî in cui egli scompare dietro il canto altrui, dietro le storie degli umiliati e offesi. Voglio ricordare qui il lungo, paziente lavoro di traduzione de “Il Serpente piumato”, il poema  di Ernesto Cardenal, “monaco rivoluzionario – come egli lo definisce, - mingherlino uomo con il basco, magro come una lucertola, che continua a cantare”; o le lunghe ore e attività dedicate con paterna tenerezza (e certo qui molti di voi ne sanno qualcosa) alla affermazione e diffusione del libro di Rigoberta Menchù, che gli parve, come parve a tanti di noi, storia sacra, incontro di cosmogonie che si ricompongono nel comune respiro del divino, nel lamento dell’uomo e della donna che non si arrendono al potere del male: lamento che è insieme grido di dolore e grido di sfida. Di resistenza. E’ bello che il libro di Davide appena pubblicato, “La mia vita per gli amici”, abbia il sottotitolo bonhoefferiano di “Vocazione e resistenza”. Davide non visse soltanto la resistenza al nazifascismo, fu chiamato dalla Storia a vivere, come noi e insieme con noi, la resistenza al crollo di tanti ideali e di tanti miti; sentì la drammatica necessità di resistere al conformismo imposto con tecniche raffinate a creature ridotte, come lui diceva,  a “ombre sui muri”, coscienze torpide”, “anime malate e sconfitte”. E poi… poi ha dovuto e saputo resistere al male fisico, all’impazzimento delle cellule che sconvolgeva la sua vita. Ha saputo fare anche di più: ha saputo resistere alle tentazioni “religiose” del Dio tappabuchi invocato come dispensatore di salute. Infine, ha resistito alla disperazione: nel punto più alto della sua umana avventura ci ha lasciato un insegnamento che dice tutto della sua fede: “Vedere la luce attraverso il costato aperto del Cristo”. Ma questa vicenda meriterebbe ben altro approfondimento. Così, per avviarmi alla conclusione, riprendo il tema delle ballate turoldiane, per dire che può ben darsi che in esse Davide non sia stato grande poeta: ma hanno pur sempre a che fare con la storia della letteratura italiana perché esse furono lette da decine e forse centinaia di migliaia di persone, molte delle quali ebbero, per la prima volta, la rivelazione che poesia poteva essere grido efficace. Nelle ballate di Turoldo trovarono in­vettiva, esortazione, omelìa, profezia. Con esse egli si accompagnava come cittadino e come sacerdote a chi non voleva arrendersi ai vecchi vizi italiani, ai vecchi e nuovi poteri. Di questi poteri scandagliò e descrisse l’obiettiva malvagità: dall’egoismo dei “garantiti” al crescere del razzismo, alla miserabile esosità delle teorie neoliberiste. Per questo mi piace collegarlo non solo agli altri grandi poeti “civili” italiani “laureati”, ma anche e soprattutto  al poeta operaio Ferruccio Brugnaro che già negli anni ’70  forava i fumi velenosi di Marghera  per denunziare il martirio imposto ai lavoratori del petrolchimico.  L’uomo come metro per giudicare il sistema. E la poesia come strumento politico, necessariamente eversivo poiché non si adegua all’imperialismo della cultura consumista anzi con esso fatalmente confligge: Davide lo dice con aperta chiarezza in un suo brevissimo componi­mento, intitolato appunto "Poesia": «Poesia / è rifare il mondo, dopo / il discorso devastatore / del mercadante». Notate la parola "mercadante" invece che "mercante". Davide, non usava se non  raramente parole arcaiche. Io credo che con questa egli ab­bia voluto ricordarci che c'è un'antica storia dietro il consu­mismo neo-capitalista, la sto­ria di Caino che rifiuta di essere il cu­stode di suo fratello, la storia di chi alla propria avidità di cose e di potere non esita a sacrificare vite umane. Noi non possiamo dire che cosa griderebbe oggi Davide. O sì? Hanno ancora senso quei quattro versi? C’è nel nostro presente un discorso devastatore fatto da qualche mercadante? Quanto ci manchi, fratello Davide.

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SOLIDARIETA'

Armi, petrolio e diritti umani in Sudan

In questi giorni si è parlato della ragazza cristiana sudanese, la cui condanna a morte è stata annullata. Alcuni giornali hanno dato molto spazio a interpellanze del centro-destra a suo favore. Bene. Altri sono intervenuti per il suo diritto alla vita in silenzio. A proposito del Sudan, è bene informare a tutto campo. Occorre ricordare l’iniziativa della "Campagna italiana per la pace e il rispetto dei diritti umani in Sudan", promossa da Caritas, Pax Christi, Acli, Amani, Arci, Cespi, Cesvi, Cuore amico, Mani Tese, Missionari comboniani, Nigrizia e Raggio), operante dal 1995. Essa sta svolgendo un lavoro di pressione politica a sostegno dei diritti umani violati in molte parti del paese, soprattutto sui monti Nuba (dove è necessario aprire corridoi per l’aiuto a popolazioni decimate ed escluse dagli interventi umanitari internazionali) e ha attivato canali di comunicazione e di scambio con realtà associative sudanesi. Su tali problemi interviene spesso padre Renato Kizito Sesana, assieme ad alcuni missionari veronesi, tra i quali sono molto attive le suore. Nel ’99 la Campagna ha organizzato il forum "Prospettive di pace in Sudan" che ha consentito un confronto fra esponenti della società civile e della vita politica sudanese. Il 5-6 ottobre 2001 ha promosso un convegno a Cremona dal titolo "Acqua e petrolio in Sudan: guerra e diritti umani". Sono intervenuti rappresentanti dell’ONU, dell’Università di Padova, di Firenze e di Karthoum, giornalisti, uomini politici e il vescovo ausiliare di Karthoum Daniel Adwok. Il tema acqua-petrolio è stato ed è all’ordine del giorno anche del network "European Coalition on Oil in Sudan" che tenta di impedire l’aggravarsi della guerra civile in corso, che sta causando ormai da vent’anni sofferenze inaudite alla popolazione civile. "Prima la pace! Il petrolio alimenta la guerra in Sudan" è il motto della mobilitazione europea che invita le compagnie petrolifere (di origine cinese, malese, britannica, canadese, svedese, austriaca e ora anche russa; ci anche sono apporti tecnici italiani) a sospendere le loro attività fino a quando non vi siano garanzie certe di una pace giusta e duratura. I proventi petroliferi, dicevano i relatori presenti a Cremona, servono in gran parte al governo per acquistare armi. I missili recentemente acquistati dal Sudan sono "figli del petrolio". Ultimamente, informa "Mondo e Missione" (febbraio 2002), il Sudan ha preannunciato un aumento della produzione di greggio di 60.000 barili al giorno, grazie allo sfruttamento dei campi petroliferi di Bentiu e di Menga, nel Sud Sudan. Si tratta di due aree spopolate perché la gente è stata cacciata o uccisa. La stessa sorte stanno subendo migliaia di sfollati che si sono ammassati nel distretto di Aweil, nel Bahr el Ghazal. Il vescovo di Rumbek, Cesare Mazzolari, ha raccontato all’agenzia "Fides" che molte famiglie, composte da madre e una o più figlie, sono scappate da Raga e da altre località più a nord per evitare di essere rapite o ridotte in schiavitù. Egli ha fatto appello alle Nazioni Unite perché la situazione risulta disperata. Molti si cibano di foglie e per avere acqua devono camminare almeno due ore. L’anno scorso, i vescovi cattolici ed episcopaliani del Sudan hanno affermato che "l’estrazione del greggio alimenta la guerra, sradica intere popolazioni civili e rafforza l’esistente squilibrio nella divisione della ricchezza". Recentemente, sono intervenuti anche i vescovi del Kenya che si sono espressi contro l’acquisto del petrolio sudanese da parte del loro paese, perché Nairobi non diventi complice di un "business" che sta aggravando le sofferenze delle stremate popolazioni sudanesi. Dal punto di vista organizzativo, la campagna Sudan è coordinata dalla Caritas e da Pax Christi. Il suo sito è www.campagnasudan.it.  Sono disponibili anche kit didattici sulla realtà sudanese, compreso un calendario utile per conoscere gli elementi minimi essenziali del problema. In alcune scuole è già in uso. Sergio Paronetto (Pax Christi)

 

BAMBINI PALESTINESI DETENUTI DA ISRAELE

Intervista a Luisa Morgantini, parlamentare europea

Lei si sta occupando dei diritti negati dei bambini palestinesi. Quale è la situazione oggi? La situazione è tragica. Le condizioni di vita della popolazione intera , in modo particolare la condizione dei minori sono insopportabili. Intanto bisogna dire che il  53% dei Palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza ha meno di 18 anni. I ragazzi non hanno mai conosciuto la serenità o un infanzia normale  a causa dell'occupazione militare israeliana . Dalla fine di Settembre del  2000, dallo scoppio della seconda Intifada  i ragazzi uccisi  dai soldati israeliani sono stati più di 300, la maggior parte mentre uscivano da scuola o passavano per la strada o erano al mercato, altri mentre tiravano sassi, qualcuno tirava rudimentali molotov. Migliaia sono i ragazzi e le ragazze ferite, centinaia e centinaia con handicap permanenti, come il dolce Daud  12 anni e Hania di 15, del campo profughi di Kalandia, tutti e due hanno perso un occhio, colpiti da una pallottola di gomma con cuore d’acciaio ; erano appena usciti da scuola, i soldati sparavano all’impazzata contro un nugolo di rageant che tiravano pietre. Anch’io, insieme ad altre parlamentari europee,  mi sono trovata a Kalandia mentre i soldati sparavano all’impazzata, sono stati colpiti dei passanti. Le pietre che tiravano i ragazzi non arrivavano neppure ai soldati, eppure loro sparavano, mirando freddamente. I bambini feriti sono stati prevalentemente colpiti alla testa, agli occhi, all’addome. Una denuncia precisa sui comportamenti dei soldati è stata fornita da una giornalista israeliana, Amira Hass, la quale ha intervistato un  ufficiale dell’esercito che diceva che gli ordini ricevuti erano di sparare ai bambini superiori ai 12 anni. Centinaia di scuole sono state chiuse o se ne è impedito il funzionamento, alcune di esse sono state convertite in campi militari. Il tragitto per recarsi a scuola, quando questa non è all’interno del prio villaggio,  diventa di giorno in giorno più difficile a causa dell'aumento del prezzo dei mezzi di trasporto, infatti  con la chiusura delle strade dei villaggi, controllati in genere da mezzi militari, le auto  non possono passare. Si può passare , quando i soldati non ne fanno divieto,  a piedi.  In  questo modo bisogna prendere un mezzo per arrivare da casa alla strada di uscita dal paese, attraversare a piedi e poi prendere un altro mezzo di trasporto, se poi si trova  un altro check point devi rifare la stessa operazione.  Il costo del  trasporto diventa cosi il doppio o il triplo più caro. Tutto ciò in una situazione in cui il 60% della popolazione non può più lavorare sempre a causa del blocco militare e molto spesso dal coprifuoco. Ma al di là delle difficoltà, bisogna tenere in considerazione la paura, moltissime sono le famiglie che non permettono più ai ragazzi di uscire di casa per timore che possano essere aggrediti dai soldati o capitare in qualche scontro. A Khan Yunis, dove i bombardamenti e le distruzioni di case sono quotidiane, mentre passavo per strada e i bambini uscivano da scuola li vedevo camminare rasente i muri, e poi mettersi improvvisamente a correre al suono di clackson  di auto e  tapparsi le orecchie con gli occhi spaventati. Insomma la popolazione palestinese e cosi’ i ragazzi,  sono praticamenti prigionieri nelle loro case o villaggi. All’ospedale di Gaza un ragazzo di  tredici anni, ferito ad una gamba, mi chiedeva di portarlo in Italia, ma poi molto più mestamente mi ha detto “mi basterebbe andare a Hebron, il mio amico Nizar è andato a trovare i suoi parenti e non gli hanno più dato il permesso di tornare qui ed io anche quando uscirò dall’ospedale non potrò andare a trovarlo. Ma perché noi dobbiamo vivere così? Ti sembra giusto?” Majidi, invece, anche lui tredicenne  non capisce più suo padre, un dirigente palestinese che da sempre ha cercato relazioni con gli israeliani del movimento pacifista. Mentre suo padre parlava al telefono con un israeliano, lui ha detto ad alta voce “papà, smettila di parlare con loro, oggi hanno ammazzato Fares”. Eyad Sarraj direttore di un centro psicologico per l’infanzia di Gaza, sostiene che le condizioni di violenza anche in famiglia si sono accentuate moltissimo. Le malattie nervose, la depressione, l’aggressività sono  ormai ad un livello esplosivo per la società palestinese e i ragazzi ne pagano le conseguenze più gravi. Ma cresce anche la violenza tra i ragazzi stessi.  Insieme a questo cresce la malnutrizione, sempre di più genitori disperati che non possono acquistare neppure il pane. Ogni volta che vado in Palestina, ma in realtà ogni giorno mi chiedo fino a quando? Fino a quando non potrà esservi pace in quella terra e i giovani potranno finalmente muoversi liberamente per la strada e andare a scuola o al lavoro, non vedere più le proprie case demolite, gli ulivi sradicati, la terra confiscata, i padri umiliati.  Fino a quando (per fortuna non ancora molti)   giovani palestinesi per reazione ai soprusi e all’ingiustizia si trasformeranno  in kamikaze, distruggendo la propria e quella di giovani vite israeliane ? E fino a quando giovani israeliani  in nome della sicurezza del proprio paese si trasformano in soldati che colpiscono ciecamente e ai check point impediscono persino a donne che stanno partorendo di andare all’ospedale, e con freddezza bloccano le ambulanze con persone moribonde? Domanda forse retorica ma che ci mette di fronte alle nostre responsabilità di singole cittadine e delle nostre istituzioni dal governo italiano, all’unione europea, alle Nazioni Unite per agire per una pace giusta nel riconoscimento del diritto dei due popoli ad uno stato.

- Ha denunciato inoltre le condizioni di vita dei bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ce le può illustrare? Gli atti di tortura cominciano dal momento dell'arresto. Il bambino preso viene bendato e messo su un veicolo, dove comincia l'interrogatorio. Qualche volta i bambini vengono insultati e picchiati. Si stima che nel 2000 circa 350 bambini, dai 10 ai 18 anni, sono stati arrestati, la maggioranza per aver tirato pietre contro dei soldati o per questioni di ordine pubblico o semplicemente perchè si trovavano fuori delle zone autonome palestinesi  senza permesso. In contrasto con l'articolo 37 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, relativo al divieto di tortura o di altri trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti, quasi tutti i bambini palestinesi arrestati subiscono violenze fisiche e psicologiche che vanno dalla privazione del sonno all'isolamento. Bisogna poi pensare che sempre il sistema di blocchi stradali rende materialmente difficile per gli avvocati far loro visita e preparare, di conseguenza, un'adeguata difesa, senza dire dell’impedimento alle famiglie di visitare i ragazzi. Un ragazzo di quindici anni, Mohammed, e suo fratello Bilal, di un anno maggiore, sono stati arrestati a casa loro alle due di notte. Decine di poliziotti erano andati a cercarli, col viso coperto e nascosti tutt'intorno alla casa. Mohammed, dopo essere stato minacciato e picchiato per quattro ore, ha finito per ammettere di essere effettivamente colpevole... colpevole di aver lanciato delle pietre contro i cani dei coloni ebrei insediati dall'altra parte della strada. E' stato per questo condannato a sette mesi di prigione. Suo fratello, Bilal, in seguito all'interrogatorio, è stato ricoverato in ospedale per le contusioni interne riportate ed è stato condannato a un anno di prigione per avere lanciato sassi contro le case dei coloni. In un altro caso, un sedicenne di un villaggio vicino a Betlemme è stato arrestato un lunedì mattina mentre andava a scuola ed è stato poi picchiato selvaggiamente e portato nel posto militare. E’ risultato poi che lo avevano scambiato per un altro che stavano ricercando i soldati, non hanno nemmeno chiamato la madre per avvertirla che avevano arrestato suo figlio. Mansour, un altro ragazzo di sedici anni che vive in Cisgiordania, è stato arrestato il 25 ottobre 2000 all'una di notte. Dei soldati incappucciati sono entrati nella casa dove viveva con la sua famiglia, l'hanno preso e portato in una jeep. Durante il tragitto l'hanno picchiato sui piedi e per tutto il corpo, l'hanno colpito alla testa con un casco, facendolo svenire due volte. Alla fine sono arrivati al campo militare di Gush Etzion. Mansour era in pigiama e, nonostante il freddo, i soldati l'hanno bagnato con dell'acqua fredda, poi con dell'acqua calda e l'hanno quindi lasciato un'ora con gli occhi bendati, senza il diritto di parlare. Dopo gli hanno messo la testa nella tavola del wc ed hanno tirato l'acqua per quattro volte. Solo a questo punto i soldati gli hanno parlato per dirgli che l'avevano arrestato perchè aveva tirato delle pietre. Mansour ha negato e così è stato messo in una cella di 1 metro per 1 metro e mezzo, alta 1 metro e mezzo, senza finestre. E' rimasto lì dentro per sette giorni, uscendo mezz'ora al giorno. Trasferito in un altro carcere ha aspettato due mesi per un processo. Ma sono centinaia i casi di soprusi e violenze. Basta fermarsi un’ora ai check point o nelle strade di Gerusalemme est per vedere i comportamenti violenti dei soldati contro giovani palestinesi. Sono stata ad assistere nel Tribunale di Gerusalemme ad un processo contro sei minori palestinesi, li difendeva Lea Tsemel, una straordinaria avvocatessa israeliana che da più di trenta anni difende i palestinesi . E’ stato atroce, i ragazzini erano spaventati, incatenati alle mani e ai piedi. Alcuni di loro erano stati messi insieme a delinquenti comuni.

- Che senso ha da parte del governo israeliano mettere in carcere dei bambini? L'incarcerazione dei bambini palestinesi è legalizzata dall'ordine militare 132, usato molto durante la prima intifadah, cancellato dopo il  93 con la firma dell’accordo di Oslo e rimesso in applicazione dal 1999.  L’ordine militare afferma che i giovani oltre  i 12  anni possono essere perseguiti, arrestati e condannati da un tribunale militare. Sono previste anche forti multe per i genitori o i parenti degli arrestati.Colpire i giovani per l’autorità israeliana è colpire chi si ribella all’occupazione militare. E’ dai giovani che viene molto di più l’insofferenza alla ingiustizia quotidiana.  La situazione si accorda con la politica israeliana di repressione della volontà di liberazione della popolazione palestinese, ma soprattutto, poter colpire i bambini, significa poter colpire la metà della popolazione dei territori occupati. Arrestare, torturare, trattare in maniera inumana e degradante i bambini di un popolo è un mezzo per "piegare" il popolo stesso, togliergli il diritto alla visione di un futuro. Impedire o rendere assai difficile l'istruzione dei giovani vuol dire cancellare le speranze di crescita e di sviluppo. In realtà una politica cieca e disumana oltre che totalmente illegale e che può creare solo disastri per l’uno e l’altro popolo.

Cosa può fare il mondo occidentale per fermare questa ulteriore violenza? In primo luogo ripristinare il diritto, vi è un paese con uno stato ed un esercito che occupa militarmente il territorio dal 1967 di un altro popolo.  Si riconosca lo Stato palestinese con Gerusalemme capitale condivisa per due popoli e due stati, si trovi una giusta soluzione per i profughi. Si fermi Sharon e la sua politica di guerra, unico modo per fermare gli attacchi terroristi di alcuni gruppi palestinesi. Lo dicono anche i soldati israeliani che in modo crescente si stanno rifiutando di prestare servizio nei territori occupati, “perché non vogliono opprimere e uccidere un popolo”: Lo dicono le donne israeliane riunite nella Coalizione donne per la pace che nei loro slogan dicono “l’occupazione ci uccide tutti, basta con l’occupazione militare. Per quanto riguarda il problema specifico della violenza e dell'incarcerazione di bambini bisognerebbe fare delle forti pressioni politiche su Israele perchè venga rispettata l'integrità fisica e psicologica dei bambini detenuti, in conformità con il diritto nazionale ed internazionale, ma, soprattutto perchè venga abrogato il decreto militare n. 132, che trasgredisce sia la giurisprudenza della Corte Suprema d'Israele, sia le convenzioni internazionali ratificate da questo Stato ed in particolare quella relativa ai diritti dell'infanzia. Il mondo occidentale dovrebbe intervenire subito è già troppo in ritardo. Nonostante alcuni segnali politici incoraggianti da parte dell'Unione Europea negli ultimi mesi - tra cui la valutazione dei danni causati dai bombardamenti israeliani sulle infrastrutture palestinesi finanziate dall'UE e dai suoi Paesi membri e l'ultima risoluzione sul Medio Oriente adottata nella sessione di febbraio del Parlamento Europeo - queste sono situazioni di una gravità tale che non si può pensare di aspettare i tempi della nostra diplomazia sempre lontana dalla capacità di prevenire le situazioni di conflitto. Gli  Stati Uniti hanno  totalmente abbandonato  la via del diritto e dell’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni  Unite, l’unica strada che conoscono  è quella  della forza e dei suoi interessi nazionali. Israele è la più grande potenza nucleare nel Medio-Oriente e fedele alleata degli Stati Uniti. E' per questo che credo nel valore della "diplomazia dal basso" e nella missioni civili in Palestina e Israele per la protezione della popolazione civile e per lo sviluppo di relazione tra palestinesi e israeliani.. Dobbiamo agire e mobilitarci per fare in modo che l’Europa agisca coerentemente  con i valori che dice di avere a fondamento: il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. In questo caso il mondo occidentale dovrebbe uscire dall'impasse e, come primo passo, accogliere la richiesta fatta dall’autorità e dalle associazioni palestinesi e da centinaia di israeliani per l’ invio di una forza internazionale di protezione della popolazione civile e imporre a Sharon di ritirarsi dai territori nuovamente occupati e tornare al tavolo dei negoziati.

Sarebbe importante inviare lettere di protesta a:

Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica Italiana, Palazzo del Quirinale, Piazza del Quirinale, 00187 Roma.
Moshe Katzav, Presidente dello Stato di Israele, 3 Hanassi Street, 92188 Jerusalem, Israel.
Romano Prodi, Presidente della Commissione Europea, 200 rue de la Loi, B-1049 Bruxelles, Belgium

Questa è una lettera tipo in italiano e in inglese:
 
Egregio Signor Presidente,
sono estremamente preoccupato/a delle condizioni nelle quali alcuni bambini palestinesi sono arrestati, giudicati e detenuti dalla polizia israeliana. Tali pratiche costituiscono una violazione ingiustificabile della Convenzione Internazionale dei Diritti dell'Infanzia ratificata da questo Stato.
Le domando di intervenire in favore della liberazione dei bambini prigionieri e di agire per:
-   garantire l'integrità fisica e psicologica di tutti i bambini palestinesi arrestati e detenuti da Israele, ponendo immediatamente fine a tutte le forme di tortura e di trattamenti crudeli, disumani o degradanti, conformemente alla legislazione nazionale e internazionale;
-   far abrogare l'ordine militare n. 132 che trasgredisce la giurisprudenza della Corte Suprema dello Stato di Israele e le convenzioni internazionali ratificate da questo Stato ed assicurarsi che per i bambini arrestati, giudicati e detenuti,  vengano assicurate condizioni che rispettino i loro diritti e conformi alle norme internazionali riconosciute.
Distinti Saluti
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Your excellency Mr. President,
I' am extremely afraid because of the conditions in which some Palestinian children are arrested, judged and jailed by Israeli police. These practices are an unjustifiable violation of the International Convention on the Rights of the Child ratified by the Israeli state.
I ask you to intervene in favour of the liberation of Palestinian children arrested and detained by Israel and to act to:
- guarantee the physical and psychological integrity of all the Palestinian children arrested and detained by Israel, putting an immediate end to all forms of torture and cruel, inhuman and degrading treatment, in conformity with national and international legislation;
- repeal Military Order no. 132 which transgresses both the jurisprudence of the Israeli Supreme Court and the international conventions ratified by that country, and to ensure that when the children are arrested, judged and detained, it is done under conditions that respect their rights and in conformity with the recognized national and international standards.
Best regards

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MASSMEDIA e TAM TAM vari 

SITI DA VISITARE 
 
1) Agenzia di Stampa Missionaria www.misna.org
2) Pedagogisti on line: www.educare.it
3) Notiziario femminile www.femmis.org
4) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
6) Terre Libere, altre forme di comunicazione www.terrelibere.it
7) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
8) La casa editrice ACHAB: www.edizioni-achab.it
9) Sistemi e culture: www.click.vi.it/sistemieculture
10) Legnago Social Forum: www.vronline.it/LSF/
11) Informazioni, relazioni, riflessioni... crmvillage.it
12) Giovani e missione... www.giovaniemissione.it
13) Il Segno dei GABRIELLI EDITORI http://www.gabriellieditori.it
14) L'importante network italiano dell'informazione ecologica: WWW.PROMISELAND.IT
 
BANCHE ARMATE

Banche armate - Le Commissioni riunite Esteri e Difesa hanno approvato un disegno di legge, il n.1927, che elimina ogni possibilita' di sapere se le banche finanziano il commercio di armi. La legge dovra' essere approvata dal Parlamento. Durante il governo D'Alema era stato presentato un disegno simile, bloccato grazie all'intervento di Amnesty International e altre associazioni umanitarie. Petizione da inviare Chiediamo che l'unione europea blocchi la legge italiana numero 1927 proposta dal governo che eliminerebbe ogni possibilita' di sapere se le banche finanziano il commercio di armi. Questa legge e' gravemente lesiva del diritto dei consumatori di conoscere le scelte etiche delle banche alle quali si rivolgono. (Copia la petizione e incolla su http://www.europarl.eu.int/petition/petition_it.htm

TEMPI DI FRATERNITA'

TEMPI DI FRATERNITA’ – MARZO 2002. In questo numero: RIFLESSIONI REDAZIONALI: Italiani, brava ggente!! L’obiettivo di noi di Tempi di Fraternità è ribellarci a tutto ciò che sa di chiacchiera inconcludente. È lavorare con il mondo dell’associazionismo che da anni opera dal basso contro i cosiddetti "poteri forti" del mondo. Cerchiamo di condividere le speranze con tutti coloro che credono in quell’"utopia che ha il potere di salvarti". CULTURE E RELIGIONI: Il silenzio di Dio grido del profeta.  Per quale ragione Elia si trova accanto ai grandi riformatori della fede ebraica e cristiana? In che senso la sua missione profetica segna una svolta decisiva nel secolare percorso della religiosità del suo popolo? "La vita di Gesù "di Albert Schweitzer . L’esperienza intellettuale e umana di Albert Schweitzer alla luce di un’esistenza spesa in piena sintonia con il messaggio cristiano. PAGINE APERTE: Tempi di sororità -Una scelta di morte. Come possiamo leggere la notizia di una donna palestinese che sceglie (davvero?) di morire innescando la bomba che porta su se stessa? Siamo tutti clandestini!! "Non è molto importante in quale lingua si dicono le cose, è importante quello che si dice". Per Carletto Giuliani. Il 20 gennaio scorso si è tenuta a Genova una manifestazione in ricordo di Carlo Giuliani, a sei mesi dal suo assassinio. Riportiamo due interventi che ci sembrano particolarmente significativi, quello di Giuseppe Coscione, suo insegnante e nostro amico e quello di don Piero Tubino, responsabile Caritas di Genova. In memoria di Emilio. Non ce l’ha fatta a sfuggire alle fiamme, è morto asfissiato dall’ossido di carbonio come muoiono i barboni. Don Emilio Coslovi, 63 anni, noto a Trieste e nell’ambiente delle comunità di base come prete operaio, ormai in pensione, e come prete poverissimo, che viveva in condizioni disagiate per condividere la povertà con gli emarginati, ha trovato la morte nella sua casa, invasa da libri, giornali, imballaggi e da tutto ciò che potesse essere utile e riciclabile per guadagnare qualche soldo da donare a chi era ancora più bisognoso. Pubblichiamo il saluto di Franco Marangon, letto nella liturgia di commiato, celebrata nella chiesa di s. Luigí, in Trieste, il 19 gennaio 2002. Gerusalemme, città santa e lacerata. Proprio a Gerusalemme si vedono con maggiore evidenza i guasti provocati dalle lacerazioni tra cristiani. Anche se il clima sta lentamente cambiando, il cammino è ancora lungo, ed aspro. Dura lettera di richiamo del vescovo di Pinerolo a don Franco Barbero. Dopo il richiamo di monsignor Debernardi che abbiamo letto sul quotidiano La Stampa il 14 febbraio scorso, noi di Tempi di Fraternità, nel mantenere il nostro proposito di non contrapporci pregiudizialmente alla gerarchia ecclesiastica ma di proporci cercatori della verità che si fa amore concreto, ci sentiamo particolarmente vicini a don Franco Barbero e alla Comunità cristiana di base di Pinerolo, che di tale amore è testimone nei luoghi dove presta il suo servizio soprattutto a favore degli emarginati. "Vescovi mattone "contro "preti finanza" Tra soldi, mattoni, denunce e confraternite che ne è della "pietra" di cui parla Gesù? A.A.A. Prete cercasi: Tra dieci anni in Francia i sacerdoti saranno appena 10 mila. Arrivano i sacerdoti lefebvriani e quelli dell’Opus Dei. Garantita una Chiesa sempre più tradizionalista. Ed inoltre: SPECIALE PORTO ALEGRE - 12 pagine curate dai nostri inviati Fausto Caffarelli e Filippo Laurenti. Articoli su: Porto Alegre,città moderna,città confortevole,città di proteste…;  "Democratizzare Radicalmente la Democrazia " Un laboratorio sul tema del bilancio partecipativo; Cambiamo il Pil (Prodotto Interno Lordo) un contributo dalla Rete di Lilliput; La II Ciranda dell’informazione indipendente; Il ricordo di Carlo Giuliani a Porto Alegre; Passeggiando per il campus del FSM; Gli italiani annunciano i Forum continentali Quello europeo dovrebbe svolgersi proprio sul nostro territorio; Firenze,cacciato l’assessore anti-forum; Contestati parlamentari per l’adesione alla guerra in Afghanistan; Un intreccio pericoloso; Converazioni in pillole. Richiedi una copia saggio visitando il sito www.tempidifraternita.it 

NEWS DA FEMMIS, NOTIZIARIO TELEMATICO FEMMINILE

Le ultime notizie: Ancora alta l'attenzione sul caso Safiya: dichiarazione del presidente nigeriano in Italia; Italia: Sono donne le promotrici del "girotondo romano"; Emirati Arabi promuovono una iniziativa a favore delle donne lavoratrici... e altre notizie: http://www.femmis.org/week/week.html . Parole libere: La storia di Moustapha, senegalese che prima clandestino poi dottore in economia aziendale è una ragione in più per dire no all'assurda ipotesi di "usare" immigrati per una probabile legione straniera. http://www.femmis.org/index.html ; approfondimenti:  KENYA: floricoltura e diritti dei lavoratori. Donne del Kenya dicono Basta e denunciano le condizioni di lavoro...http://www.femmis.org/week/week.html ; S.O.S. : Nuove  informazioni per l'appello contro la pena di morte di Safya ... Una Campagna per i Diritti civili e politici delle donne afgane - http://www.femmis.org/s.o.s.html .

SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE

Da venerdì 22 febbraio «Solidarietà Internazionale» è presente nelle edicole di tutta Italia insieme al settimanale «Internazionale».  Per maggiori informazioni o per richiedere un copia integrale della rivista contattare la redazione di Solidarietà Internazionale: tel. 06 5414894 - Fax 06 59600533 - E-mail: rivista@cipsi.it - Indirizzo web: www.cipsi.it - www.soint.it

LETTURE
 
Tiziano Terzani
LETTERE CONTRO LA GUERRA
Longanesi Ed. - L. 19.363 - € 10.00 - pp. 196    Saggistica
 
Questo libro è la prima tappa di un pellegrinaggio di pace. Un pellegrinaggio compiuto da un uomo che, nel corso della sua vita, è stato un cronista coinvolto in prima persona nella realtà che descriveva; un giornalista capace d’individuare per istinto i segni che un determinato avvenimento lascia sul territorio sconfinato della Storia; un narratore con una voce unica, spesso fuori del coro, sempre autentica e piena di comprensione. Un uomo che, prima dell’ 11 settembre 2001, ha sempre avuto una profonda consapevolezza dell’abisso culturale, ideologico, sociale aperto (e spesso ignorato) tra i ‘Occidente in cui è nato e l’Oriente in cui ha vissuto per trent’anni. Un uomo che, dopo l’il settembre 2001, ha capito di non poter più tacere di fronte alla barbarie, all’intolleranza, all’ipocrisia, al conformismo, all’indifferenza.
Tiziano Terzani, con queste «lettere» - da Kabul, Peshawar, Quetta, ma anche da Orsigna, Firenze, Delhi e dal suo « rifugio» sull’Himalaya - comincia un pellegrinaggio che tutti noi dovremmo compiere. Perché non basta comprendere "il dramma del mondo musulmano nel suo confronto con la modernità, il ruolo dell’Islam come ideologia antiglobalizzazione, la necessità da parte dell’Occidente di evitare una guerra di religione", bisogna soprattutto capire, convincersi, credere che l’unica via d’uscita possibile dall’odio, dalla discriminazione, dal dolore è la non-violenza.
  "Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità... Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli ad essere onesti, non fùrbi. È il momento di uscire allo scoperto; è il momento d’impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi."
 
Tiziano Terzani, fiorentino, è stato per trent’anni il corrispondente del settimanale tedesco Der Spiegel dall’Asia e collaboratore della Repubblica prima e del Corriere della Sera poi. Ora vive in India, per lo più nell’Himalaya. Ha scritto numerosi libri, tradotti in varie lingue. Gli ultimi, apparsi da Longanesi, sono: Buonanotte, signor Lenin, Un indovino mi disse, In Asia.

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INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI

 
GUERRE E TERRORISMI, LE ALTERNATIVE DELLA NONVIOLENZA
 
La domanda e' sempre la stessa, posta in modo un po' sbrigativo: che cosa fareste voi, fautori della nonviolenza, di fronte al terrorismo o al dittatore di turno? La questione e' mal posta perche' tende a ignorare, spesso volutamente, la dimensione storica: enfatizza solo gli eventi e non prende in considerazione i processi che li generano. In questo modo impedisce di vedere le alternative: contribuisce a creare una coazione a ripetere (gli stessi errori!) e porta a sostenere profezie negative che si autogiustificano. Inoltre, vengono ignorati altri due aspetti assolutamente fondamentali: primo, coloro che sostengono che "ci sono alternative" non hanno potere decisionale; secondo, non viene spesa neppure una sola lira (o un solo euro) per costruire le alternative ai modelli, peraltro fallimentari, di intervento militare. Dateci anche solo meta' del bilancio militare e vedremo se le soluzioni che proponiamo sono solo sogni astratti di idealisti velleitari e ingenui oppure se permetteranno di ottenere risultati migliori di quelli sinora raggiunti. Come amano dire i militari: "poche chiacchiere, mettete mano al portafoglio". Dovrebbe essere ormai chiaro (ma ahime' non lo e' ancora abbastanza) che con lo stesso paradigma, con la stessa medicina, non si curano i malanni che sono conseguenze di diagnosi e di terapie sbagliate. La verifica e' immediata: se lo scopo della guerra lanciata dall'amministrazione Bush il 7 ottobre scorso era quello di catturare Bin Laden e il mullah Omar, il risultato e' stato quanto mai deludente. I due principali ricercati si sono volatilizzati, e la gigantesca macchina mediatica messa in moto per convincere l'opinione pubblica della bonta' della guerra li ha trasformati in eroi agli occhi di molti diseredati. Oggi, quella stessa macchina ha l'ordine di non parlarne piu', per non affrontare le ragioni reali della guerra e quelle dell'insuccesso. Se invece lo scopo, non dichiarato ma reale, era quello di continuare il "grande gioco" iniziato nell'800, oppure giocare alla "grande scacchiera" per controllare l'Eurasia, secondo quanto teorizzato da Brzezinski, allora gli USA sono certamente riusciti a mettere piede (e installare basi aeree) nell'Asia Centrale. Le tecniche della nonviolenza non servono a imporre progetti di dominazione, come quello esposto nei documenti del Pentagono o del Dipartimento di Stato USA (fra i tanti, la Quadriennal Defense Review), ma hanno ampiamente dimostrato di essere straordinariamente efficaci contro strutture di potere autoritarie e totalitarie ben definite. I casi che si possono citare sono assai numerosi, ben noti e ampiamente studiati nella letteratura internazionale sull'argomento: dall'India, all'apartheid in Sudafrica, alle Filippine, al crollo dei sistemi autoritari nei paesi dell'Europa dell'Est culminato il 9 novembre 1989, alle molteplici e significative lotte di resistenza civile anche durante il nazifascismo (le uniche che abbiano effettivamente permesso di salvare centinaia di migliaia di ebrei). Gli attentati dell'11 settembre hanno chiaramente messo in evidenza che il modello di difesa offensivo costruito dalle superpotenze durante la guerra fredda, e ulteriormente incrementato dagli USA dopo l'implosione dell'Unione Sovietica, non solo non ha contribuito a rendere gli Stati Uniti piu' sicuri ma, al contrario, ha provocato una reazione di blowback, un contraccolpo terribile che nessuno scudo stellare avrebbe potuto impedire. Se il Pentagono, il Dipartimento di Stato, l'FBI e la CIA fossero gestiti come normalmente avviene in aziende private, i loro dirigenti sarebbero stati immediatamente licenziati. Nonostante siano foraggiate con fondi stratosferici, tutte queste istituzioni non sono riuscite a impedire un evento altamente prevedibile. Nessuna delle pur molteplici alternative possibili alla guerra intrapresa dagli USA, che ha provocato un numero di vittime civili almeno pari se non superiore a quello degli attentati alle torri gemelle e al Pentagono e un numero imprecisato di morti tra i combattenti, permette di ottenere risultati immediati, perche', come gia' si e' detto, e' necessario invertire un processo e questo richiede tempo. Non possediamo nessuna bacchetta magica, ma siamo in grado di individuare una serie di passi per una politica ben piu' ragionevole e con maggiori probabilita' di successo di quella intrapresa. Passiamola rapidamente in rassegna, esaminando i dodici principali modi con cui e' possibile "fare la pace senza fare la guerra". 1. Giustizia senza vendetta: la ricerca dei colpevoli, dei perpetratori, non solo materiali, ma anche dei mandanti, e' compito di un organismo sovranazionale e non di una singola parte. Gli USA si sono finora opposti alla costituzione di un Tribunale Penale Internazionale sui crimini contro l'umanita': cambieranno idea dopo l'11 settembre? Giuridicamente, questi attentati sono un crimine contro l'umanita' e non un atto di guerra, e come tali devono essere affrontati. 2. Negoziazione: uno dei principi cardine della trasformazione nonviolenta dei conflitti e' la non demonizzazione dell'avversario e l'analisi corretta delle sue richieste. Che cosa ha chiesto Bin Laden nel corso della sua dichiarazione trasmessa dalle TV di tutto il mondo? Tre sono i punti essenziali, tutti quanti non solo negoziabili, ma di tale rilevanza che da tempo avrebbero dovuto essere affrontati: definitiva risoluzione del conflitto Israele-Palestina; cessazione dell'embargo e dei bombardamenti sull'Iraq, con lo stillicidio di morti che mensilmente sono almeno pari a tutte le vittime dell'11 settembre; abbandono delle basi USA in Arabia Saudita e piu' in generale nei paesi arabi. 3. Costituzione di una commissione internazionale per la verita', la giustizia e la riconciliazione: questa commissione potrebbe cominciare a funzionare a partire da ONG e gruppi di base, sulla falsariga di quella promossa in Sudafrica da Nelson Mandela e Desmond Tutu, coinvolgendo in un secondo tempo le istituzioni statali e sovranazionali. Un piccolissimo ma significativo esempio e' la coraggiosa iniziativa promossa da Global Exchange, che ha permesso ad alcuni parenti delle vittime dell'11 settembre di recarsi in Afghanistan per incontrare i parenti delle vittime civili dei bombardamenti USA, nel segno del riconoscimento della reciproca sofferenza. Aiutiamo i cittadini e le cittadine degli Stati Uniti a rielaborare positivamente il trauma subito, senza cadere nella spirale della vendetta. 4. Sostegno ai movimenti locali che lottano per i diritti umani e la democrazia con metodi nonviolenti: ovunque sono presenti gruppi che operano per una trasformazione nonviolenta dei conflitti, in particolare movimenti di donne come quello afghano RAWA. Aiutiamo le "signore della pace" anziche' i vecchi e i nuovi "signori della guerra". 5. Dialogo, educazione, cultura: e' il lavoro lento, ma indispensabile, per costruire un'autentica cultura della nonviolenza, compito primario di ogni educatore. Segnaliamo due importanti contributi: Umberto Eco, "Le guerre sante, passione e ragione" (La Repubblica, 8 ottobre 2001, www.repubblica.it/online/mondo/idee/eco/eco.html ); Daisaku Ikeda, "Il dialogo spegne le fiamme dell'odio" (Il Nuovo Rinascimento, n. 247, novembre 2001). 6. Movimento internazionale per la pace: cosi' come negli anni '80 una grandiosa mobilitazione riusci' a sconfiggere la minaccia nucleare, occorre a maggior ragione costruire un movimento delle societa' civili di ogni paese, del Nord e del Sud del mondo, che sappia imporre un cambiamento nell'agenda delle priorita' politiche sui temi globali, pace, ambiente e sviluppo, senza cadere nella trappola della protesta violenta. 7. Uscire dall'economia del petrolio: fonte di ricchezza per pochi, di gigantesca corruzione (ultimo lo scandalo Enron) e di minaccia ambientale planetaria (cambiamento climatico globale), e' diventata anche una delle cause prevalenti delle guerre (dalle guerre del Golfo, al Kossovo, all'Afghanistan). E' indispensabile avviare prontamente la riconversione del sistema energetico su basi rinnovabili, solari, decentrate, a piccola potenza. 8. Controllo della finanza internazionale: il mondo e' pieno di "Bin Ladren" come si usa dire nel dialetto piemontese e forse di qualche altra regione, che disinvoltamente utilizzano i proventi della droga, del commercio di armi, della speculazione finanziaria e delle attivita' mafiose per costruire paradisi fiscali e potentati economici al riparo da ogni intrusione della giustizia. Cominciamo a liberarci dai "Bin Ladren" nostrani, che hanno varato leggi scandalose e offensive del piu' comune buon senso morale. 9. Zone libere dall'odio: e' la proposta lanciata dalla ONG americana Global Exchange che richiama quella di zone denuclearizzate degli anni '80. Dichiariamo le nostre scuole, i nostri condomini e i nostri quartieri "zone libere dall'odio", con un lavoro di base, di dialogo, di incontro, di scambio culturale che valorizzi differenze e capacita' costruttive e creative di trasformazione nonviolenta dei conflitti. 10. Pane non bombe: l'Afghanistan, martoriato da oltre vent'anni di guerra, di tutto aveva bisogno tranne che di essere bombardato. Per sottrarre consenso al terrorismo e' necessario non rispondere con altro terrorismo, quello di stato, ma affrontare decisamente il problema della poverta' e lo scandalo dell'"olocausto silenzioso" delle 100.000 persone che ogni giorno muoiono di fame. Possediamo le risorse scientifiche e tecnologiche per risolvere questo problema, ma non la volonta' politica, la sensibilita' e la consapevolezza necessarie. 11. Democratizzazione delle Nazioni Unite e del sistema di relazioni internazionali: per anni il Consiglio di Sicurezza dell'ONU e' stato bloccato dai veti incrociati delle due superpotenze. E' ora che questo organismo venga trasformato in modo piu' rappresentativo e democratico. E' inoltre indispensabile creare le condizioni perche' tutti i principali paesi, in particolare quelli piu' potenti, rispettino il diritto internazionale e lo rendano sempre piu' vincolante ed efficace. 12. Liberiamoci dal complesso militare-industriale: tutti i punti precedenti rischierebbero di risultare vani se la piu' potente causa di produzione delle guerre non venisse rimossa, in ogni paese, ma soprattutto nelle maggiori potenze, a cominciare dagli USA, sostituendo gli attuali modelli di difesa altamente offensivi, distruttivi e dispendiosi, con i corpi civili internazionali di pace (sui quali si veda l'amplissimo studio di fattibilita': Nonviolent Peaceforce Feasibility Study disponibile online all'indirizzo www.nonviolentpeaceforce.org ) e con forme di difesa popolare nonviolenta. (di Nanni Salio, segretario dell'IPRI, Italian Peace Research Institute).
 
TROFEI
di Eduardo Galeano, uno dei piu' grandi scrittori viventi.
 
1. Nonostante i terroristi che nascono, con certa frequenza, sulle sue sacre sabbie, l'Arabia Saudita e' il principale bastione dell'Occidente nel Medioriente. Una monarchia democratica: ogni giorno vende agli Stati Uniti un milione e mezzo di barili di petrolio, a basso prezzo, e ogni giorno gli compra armi, a prezzo elevato, per dieci milioni di dollari. Una monarchia che ama la liberta': proibisce i partiti politici e i sindacati, decapita o mutila i suoi prigionieri allo stile talebano e non permette che le donne guidino la macchina ne' che viaggino senza il permesso del marito o del padre. Da maggio del 2000 l'Arabia Saudita e' membro della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite.
2. Questo riconoscimento internazionale ai meriti dell'Arabia Saudita, che fa cosi' tanto per i diritti umani dei suoi cinquemila principi, mi incoraggia a proporre altre ricompense. Per esempio, si potrebbe perfettamente concedere la Coppa Mondiale della Democrazia Rappresentativa all'impresa petrolifera Unocal degli Stati Uniti. Prima di trovare lavoro come presidente dell'Afghanistan, l'elegante Hamid Karzai lavorava per l'impresa e altrettanto faceva Zalmay Khalilzad, che adesso e' delegato del governo di Washington a Kabul. La pioggia di missili che ha spazzato via la tirannia dei taleban, ha aperto la strada alla democrazia rappresentativa dei rappresentanti di Unocal, che stanno gia' cominciando a realizzare il loro vecchio progetto: il gasdotto che permettera' l'uscita verso Occidente del gas dal Mar Caspio, attraverso il territorio afgano.
3. Numerosi candidati avrebbe, suppongo, il premio latinoamericano a Mani Pulite. Un finale testa a testa: sono molti i governanti che hanno incassato molto per i servizi prestati ai loro paesi in questi ultimi anni della grande lotteria delle privatizzazioni. Raul Salinas, fratello di quello che fu il presidente del Messico, veniva chiamato "signor Quindici per Cento". Carlos Menem creo' una Segreteria degli Affari Speciali per incassare le sue commissioni. Il figlio del presidente equadoriano Abdala' Bucaram fece una festa per festeggiare il suo primo milione. Con cio' che venne trovato in uno dei conti di Vladimiro Montesinos, braccio destro del presidente peruviano Fujimori, si sarebbero potute costruire cinquecento scuole. Mentre era sindaco di Managua e presidente del Nicaragua, Arnoldo Aleman, che vale tanto oro quanto pesa, aumento' la sua fortuna da ventiseimila dollari a 250 milioni, secondo quanto dichiaro' il suo ambasciatore presso l'Unione Europea, che i suoi affari li conosce bene. Che sia stato per questo che Ronald Reagan dissanguo' in una lunga guerra uno dei paesi piu' poveri del mondo?
4. Ho anche l'ardire di suggerire che si premi l'impresa Daimler-Chrysler con il trofeo alla Responsabilita' Sociale. L'anno scorso, nel Forum di Davos, che e' qualcosa come il Forum di Porto Alegre al contrario, un dirigente della Daimler-Chrysler pronuncio' il discorso piu' applaudito. Juergen Shrempp commosse gli intervenuti esortando ad assumersi la "responsabilita' sociale delle imprese nel mondo di oggi". Di oggi, disse. Il giorno dopo, la sua impresa butto' fuori ventiseimila lavoratori.
5. Per continuare con le felicitazioni, credo che George W. Bush merita un Premio all'Onesta' Involontaria. Come si sa, il presidente dell'umanita' ha alcuni problemi con la bocca. Nonostante i consigli di sua madre, a volte si dimentica di masticare prima di mandar giu' e gli va di traverso un pretzel marca Enron. Spesso s'ingarbuglia con le parole che dice e allora dice quello che pensa davvero. Il 2 marzo dell'anno scorso Bush dichiaro': "Voglio comunicare questo equivoco messaggio al mondo: bisogna aprire i mercati". Messaggio equivoco, come ha detto bene. Negli Usa, mercato chiuso, negli ultimi 5 anni si sono moltiplicati per 7 i sussidi agricoli. E allo stesso tempo, nei paesi del sud del mondo, mercati aperti, milioni di contadini sono stati condannati a vivere come la lumaca, che puo' passare un anno senza mangiare.
6. Il premio all'Impunita' del Potere dovrebbe toccare alla rivista Newsweek. Un paio di mesi dopo il crollo delle torri, ha pubblicato un articolo di una stella del giornalismo, Jonathan Alter, che senza peli sulla lingua raccomanda la tortura. Il giornalista si guadagna il trofeo sviluppando le idee di Bush, che aveva avvertito: d'ora in poi, tutto e' lecito. Il giornalista non lo dice, perche' questo non si dice, ma la guerra contro Satana e la guerra contro il terrorismo non hanno niente di nuovo come alibi per esercitare il terrore di stato. Dai carnefici dell'Inquisizione fino ai militari che impararono a torturare nella Escuela de las Americas, si sa che la tortura non e' molto efficace per strappare informazione, ma e' efficacissima per seminare il panico.
7. Il premio al Dinamismo dell'Economia dovrebbe essere assegnato all'industria della paura. Adesso che si privatizza tutto, si privatizza anche l'ordine. La delinquenza cresce e spaventa. In Brasile, per esempio, le imprese private di sicurezza costituiscono un esercito cinque volte piu' numeroso delle forze armate. Sommando gli impiegati legali e illegali, arrivano al milione e mezzo. Questo e' il settore piu' dinamico dell'economia nel paese piu' ingiusto del mondo. Una spietata catena produttiva: il Brasile produce ingiustizia che produce violenza che produce paura che produce lavoro.
8. Bisognerebbe appuntare la Medaglia al Merito Militare sul petto del pensionato Norberto Roglich. Accaduto in Argentina, all'inizio di quest'anno. In piena guerra contro la gente, le banche avevano confiscato i risparmi. Roglich, in pensione, malato, disperato, ha assaltato una fortezza finanziaria. Nel pugno stringeva una granata: "O mi date il mio denaro o saltiamo tutti per aria". La granata era giocattolo, ma gli hanno restituito il suo denaro. Dopo e' stato arrestato. L'accusa ha chiesto da otto a sedici anni di carcere: per lui, non per la banca.
9. Per me non c'e' dubbio. Il trofeo delle Scienze Sociali deve andare a Catalina Alvarez-Insua. Lei ha definito la poverta' meglio di chiunque altro: "Poveri sono coloro che tengono la porta chiusa". Se si applicasse il suo criterio, bisognerebbe correggere i calcoli: i poveri del mondo sono molti di piu' di quelli che dicono le statistiche. Catalina ha tre anni. L'eta' migliore per affacciarsi al mondo e guardare.
 
Svizzera, una frustata al nostro governo
di Elio Veltri
 
Il governo svizzero, com''era prevedibile e annunciato, non ha firmato l''accordo sulle rogatorie e sulla cooperazione giudiziaria più in generale. Dopo le proteste di tutta la stampa internazionale e di alcuni governi, non direttamente interessati, la bocciatura dell''Unione europea, nella sua duplice veste di commissione e parlamento, ora arriva quella del governo direttamente interessato all''accordo. Si tratta di uno schiaffo, anzi di una frustata, al governo italiano, che non lascia adito a dubbi. Ma forse era proprio quello che volevano il capo del governo e i suoi sodali, i quali quando sentono parlare di rogatorie sudano freddo. La decisione del governo svizzero, d''altronde era annunciata da tempo. Appena approvata la legge dal Parlamento, la giovane ministra della giustizia, Ruth Metzier, aveva chiesto spiegazioni e aveva lasciato intendere, visibilmente irritata, che il suo governo, avrebbe potuto bocciare il testo, perché era diverso da quello a suo tempo concordato, dopo trattative durate due anni. Successivamente, l''incontro tra i tecnici dei due governi, presentato dal nostro ministro della giustizia come una passeggiata nella quale tutto era filato liscio, lasciava presagire poco di buono, perché i tecnici svizzeri che hanno partecipato all''incontro, hanno gelato il nostro ministro della giustizia e i suoi tecnici che avevano dato tutto per risolto. Anche i direttore generale del ministero della giustizia della confederazione aveva risposto alla lettera dei magistrati della procura di Milano affermando che in 20 anni di onorato servizio non gli era mai capitato che gli fosse chiesto se i documenti erano autentici e si era indignato perché il nostro governo aveva diffidato dei comportamenti del governo svizzero. Per la Svizzera d''altronde, l''accordo segnava una svolta, attesa da tempo da tutti i governi democratici i cui componenti sono persone per bene. Per la prima volta nella storia della Confederazione, l''accordo prevedeva la possibilità di fare luce sui depositi di denaro di ogni tipo proveniente da tutte le parti del mondo. Con l''approvazione della legge sulle rogatorie, la volontà politica del governo svizzero e la spinta alla cooperazione internazionale, che si è determinata dopo i fatti dell''11 Settembre, sono state vanificate. Cosi, mentre in tutto il mondo, i governi hanno cercato di apprestare strumenti idonei per prosciugare i depositi di denaro sporco del terrorismo e della criminalità organizzata, il governo italiano è andato nella direzione opposta. E tenuto conto che il governo svizzero aveva anticipato comportamenti che faticosamente si vanno affermando nella comunità internazionale, la delusione non può che essere stata ancora più cocente. Alla decisione di non firmare, infine, ha certo concorso l''approvazione del disegno di legge del governo sulla cooperazione giudiziaria europea, approvato il 25 gennaio 2002, ancora bloccato e indisponibile presso l''archivio della Camera, del quale però si conoscono i contenuti e che i giornalisti hanno battezzato rogatorie bis. Chi si era illuso che la campagna di stampa internazionale e le rimostranze di molti governi inducessero Berlusconi a rivedere le posizioni per rendere più agevole la cooperazione europea, è rimasto deluso. La proposta del governo, infatti, è una fotocopia della legge già approvata e costituirà un bastone negli ingranaggi della cooperazione giudiziaria europea per reati quali terrorismo, associazione mafiosa, contrabbando internazionale, pedofilia ecc. Il nostro presidente del consiglio rischia di diventare una sorta di vigilato speciale e anche se fa le corna e si toglie le scarpe nei vertici internazionali per familiarizzare, raccoglie solo figuracce. Le agenzie del 27 Novembre 2001 battevano questo commento :" Il presidente Berlusconi ha ottenuto per l''imputato Berlusconi che siano escluse le rogatorie su cui poggia il processo Berlusconi in base alla legge del governo Berlusconi".Per fortuna le convenzioni internazionali e la divisione dei poteri, finché esiste, finora hanno evitato il peggio. L''intervento del Presidente della Corte Costituzionale, il quale ha ribadito che la magistratura ha il dovere di interpretare le leggi, è un altro schiaffo al governo e dovrebbe indurre i suoi componenti più ragionevoli e non coinvolti in affari giudiziari, a riflettere seriamente nell''interesse del paese. In caso contrario, la bocciatura svizzera e la prossima legge sulla cooperazione europea, nonostante gli sforzi del capo del governo, il quale vuole fare il ministro degli esteri anche per tentare di tranquillizzare i partner europei, faranno il giro del mondo con ulteriore grave danno per l''immagine dell''Italia. Al punto in cui si è giunti è urgente che l''Ulivo e le Associazioni si incontrino per nominare un comitato largamente rappresentativo e far partire davvero la macchina del referendum abrogativo.

RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE: CI PENSA (?!?) LA CARRA'. Interrogazione parlamentare

On. Tiziana VALPIANA – Interrogazione a risposta scritta . Al Ministro dell’Interno. Per sapere, premesso che: nel corso di una trasmissione su RAI 1, nella serata di giovedì 21 febbraio 2002 è stato presentato ‘il caso’ di un giovane immigrato proveniente dalla Guinea Bissau e attualmente regolarmente residente in provincia di Bergamo; una sguaiata presentatrice (trattasi della trasmissione di Raffaella Carrà, ndr) ha illustrato le problematiche del lavoratore, che è riuscito a ottenere il ricongiungimento familiare per la moglie e un figlio piccolo, mentre, nonostante le reiterate richieste, mai per altri due figli gemelli di circa 7-8 anni, ancora residenti nel Paese di origine e affidati alle cure dei nonni; alla precisa domanda sulla volontà di ritentare la richiesta di ricongiungimento familiare, il signore aveva risposto testualmente di voler sistemare i familiari che aveva ottenuto di poter  ricongiungere e che si trovano già in Italia, prima di avviare nuovamente la domanda di ricongiungimento per altri due figli, nonostante la nostalgia; davanti ai genitori visibilmente felici e sconvolti, con urla raccapriccianti la conduttrice televisiva annunciava che i bambini erano giunti in Italia con un regolare permesso di soggiorno ‘per sempre’, ringraziando immediatamente la Questura di Bergamo tramite la quale la RAI era riuscita a ottenere il ricongiungimento: attraverso quali nuovi documenti o situazioni sia stato possibile alla RAI ottenere il ricongiungimento familiare prima negato ai genitori; quanti siano i cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio italiano che hanno fatto domanda di ricongiungimenti familiari per figli minori ai quali sia stato negato e quali ne siano i motivi; se in Italia esista certezza del diritto o sia sufficiente una ‘ribalta televisiva’ per ottenere ciò che per le normali vie legali e burocratiche è negato; se non intenda, anche in considerazione della chiara volontà in questo senso da parte dei cittadini italiani, dimostrata inequivocabilmente dalle lacrime di commozione e dagli applausi da parte degli spettatori presenti in sala al momento dell’annuncio dell’avvenuta concessione del permesso di ricongiunzione familiare e dell’ingresso dei due splendidi e raggianti bambini, diramare nuove direttive alle questure affinché tutti i cittadini stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese possano ottenere immediatamente il ricongiungimento dei loro figli minori.

NON SIAMO SOLO ANIMALI ECONOMICI

POVERTA’, GIOVANI, FUTURO, IMPEGNO, DEMOCRAZIA, SOLIDARIETA’ NELLE PAROLE E NELLA VITA. INTERVISTA DI NICOLA PERRONE (SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE) A PIERRE CARNITI

Un piccolo paese in provincia di Cremona, Castel Leone. Comincia qui l’avventura di Pierre Carniti. “Se mai avessi avuto la tentazione di scrivere un libro di memorie - cosa da cui mi guardo bene perché preferisco guardare al futuro piuttosto che al passato – lo intitolerei: “Scelto dalla vita”.  La lunga chiacchierata fatta insieme parte da qui, dove nel 1939 vivono Pierre, la mamma, il padre e cinque fratelli. “Mia madre faceva l’insegnante e mio padre era dirigente operaio in un’azienda. Quando tra la fine del 1938 e l’inizio del 1939 il governo impose a tutti i funzionari statali e a chi ricopriva incarichi nelle aziende di iscriversi al partito, nessun dei due accettò. Ambedue furono licenziati. Cominciarono per noi anni molto difficili che coincisero con l’entrata dell’Italia in guerra. Facevamo fatica a vivere. Ricordo cene fatte in otto con due uova sode. Detto adesso, nella società delle diete, sembra fantascienza. Ma due mie sorelle e un mio fratello dovettero andare in sanatorio per denutrizione. Mio padre trovò più avanti un lavoro come  operaio in un’industria metalmeccanica. Non aveva mai fatto un lavoro del genere e dovette ricominciare da capo. Continuava intanto il suo contatto con il movimento partigiano. Anzi distribuiva nella zona un giornale antifascista cattolico che si intitolava “il Ribelle”, diretto da Bernardi, l’autore della “Preghiera del partigiano”. Coi ragazzi che frequentavano Mazzolari avevamo fondato un gruppo di studenti che si occupava della questione contadina per mettere assieme competenze, ipotesi, sperimentazioni. Per alcuni anni hai presieduto la commissione nazionale sulla povertà. Qual è la situazione nel nostro paese? Le discussioni sulla povertà sono spesso fatte in modo approssimativo e non sempre si capisce bene il problema. Se parliamo di povertà relativa, essa non scomparirà mai. In una società ricca c’è una quantità importante di persone che sta al di sotto di una soglia che bisogna considerare di sopravvivenza. Sempre mettendo le discriminanti necessarie, perché la povertà nei paesi ricchi è sempre diversa da situazioni di povertà estrema in cui si trova tanta parte della popolazione mondiale. Potremmo dire che anche i bisogni cambiano in relazioni alle condizioni di vita della maggioranza. L’organizzazione sociale è, infatti, basata sui standard di vita che creano bisogni diversi. Oggi, ad esempio, nella nostra società, avere un allacciamento telefonico in casa è un’assoluta necessità. Altrove può essere un lusso. L’analisi della povertà relativa è, quindi, innanzitutto un indicatore di disuguaglianze. A differenza della povertà assoluta in cui mancano i beni essenziali all’esistenza. C’è poi una terza categoria di povertà estrema: gente che rischia la vita stessa. Senza casa, senza tetto, senza tutto. Legata spesso a problemi anche di carattere psicologico, di adattamento alla vita. Un paese serio intanto dovrebbe conoscere queste situazioni. E dovrebbe cercare di rispondere alle loro prime esigenze. In Italia non esiste nessuna politica al riguardo. Ci si affida alla Caritas o a Sant’Egidio, o a Emmaus. Occorrerebbe conoscere la quantità e le caratteristiche di coloro che vivono in questa situazione di povertà estrema. Per poi trovare soluzioni. Una cosa nuova apparsa negli ultimi anni è l’aumento del numero di poveri con lavoro. Mentre noi veniamo da una generazione in cui il lavoro rappresentava una liberazione dall’indigenza, oggi il lavoro, non solo precario, ma anche stabile, in molti casi non è sufficiente. Sono le famiglie monoreddito, che abitano nei grandi centri urbani, con i costi per gli affitti e i trasporti. Questi non ce la fanno e tendono a crescere. Con tutti i problemi anche di carattere sociale ed esistenziale che questo comporta. All’inizio di questa lunga chiacchierata dicevi che preferisci guardare avanti, al futuro, piuttosto che fermarti sul passato. Cosa diresti ai giovani di oggi che spesso, guardando avanti, non riescono a scorgere che precarietà e incertezza? Innanzitutto un principio a cui credo molto: le cose cambiano se cambiamo noi stessi. Non cambiano da sole. Ci sono cose cha hanno bisogno del coinvolgimento della comunità, degli altri. La mia impressione è che la destra su questo ha fatto un’offensiva, anche di carattere culturale, mentre la sinistra è stata acritica. Ai giovani voglio dire questo: la storia insegna una cosa sola, che la storia non insegna niente. Noi continuiamo a ripetere gli stessi errori. Basta pensare alle guerre. La storia ci può aiutare a capire come sono andate le cose ieri. Noi oggi abbiamo il compito di decidere di fronte alle nuove sfide. La società può essere migliorata. Bisogna vedere quanto vogliamo investire noi perchè le cose possano andare diversamente. Ci sono un sacco di ragazzi che fanno cose anche straordinarie, ma che possono avere anche un margine di ambiguità. Tanti giovani che danno il loro tempo in attività sociali e di volontariato spesso vivono questo impegno anche come fuga dalla politica e, quindi come fuga da una responsabilità collettiva. Ma chi vuole impegnarsi spesso non trova spazio. Il mondo politico è chiuso. E’ vero. Solo con un impegno collettivo possiamo sperare di sostituire un ceto politico che si è sclerotizzato. E’ diminuita invece la convinzione che attraverso l’azione collettiva il mondo possa cambiare. I partiti e i sindacati, come tutte le istituzioni – lo dico senza accenti moralistici – sono esposte al pericolo di burocratizzarsi. C’è bisogno che dall’esterno siano continuamente sollecitate. Occorre un movimento che parta dall’assunto che le cose sono difficili, è vero, ma che, attraverso l’azione collettiva, la condizione umana può esser migliorata. Senza questa percezione e l’impegno che ne deriva, le istituzioni politiche saranno tentate di trasformarsi sempre di più in formazioni che tendono solo a difendersi e a riprodursi. Ciò vale sia per i partiti politici che per le organizzazioni sindacali. Lo vogliano o no, anche i sindacalisti fanno parte dell’élite del potere. Ciò non conferisce loro la capacità di trasformare le cose, ma comporta pur sempre delle gratificazioni. Se non c’è un movimento che coinvolge la società non solo nella protesta, ma anche nella capacità di darsi obiettivi politici, rischiamo di abbandonare tutto nella mani delle forze di mercato. La discriminante fra destra e sinistra, a mio avviso sta tutta qui: per la destra la politica è il problema, per la sinistra invece è la strada per risolvere i problemi. Certo, la politica soffre una crisi profonda ma è l’unica strada per tentare di rendere più umana la convivenza e di creare le condizioni per la felicità di tutti. Il mercato arricchisce qualcuno, accresce le differenze, disgrega la solidarietà sociale. Poi l’uomo non è solo un animale economico: è molto di più. Tutti ricordano i tuoi anni di segreteria generale della Cisl…come anni di grandi speranze. Si può fare un confronto con la situazione attuale? A mio avviso un confronto non si può fare. Per ragioni di carattere oggettivo. La questione sociale, ai miei tempi, coincideva con la questione democratica. Allora i lavoratori dipendenti costituivano la maggioranza della popolazione. La battaglia per i diritti dei lavoratori coincideva con la battaglia per i diritti tout court, per la democrazia. Contribuire ad affermare il riconoscimento della dignità del lavoro – e la codificazione di questa dignità attraverso lo statuto dei lavoratori – significava incrementare la democrazia. Oggi il lavoro dipendente non costituisce la maggioranza né della popolazione, né degli elettori. Per di più, anche grazie alle conquiste fatte dalle battaglie sindacali, le condizioni economiche e sociali sono migliorate. Questo non esclude che ci siano problemi di povertà. Ma i poveri sono una minoranza, quindi irrilevanti dal punto di vista degli equilibri politici. Poveri disgraziati nei confronti dei  quali al massimo si canalizza la carità o una generica solidarietà collettiva. E’ il capitalismo compassionevole di Bush o di Berlusconi. In un paese che ha l’11 – 12% di poveri – bisogna tener conto che si tratta di povertà relativa – questi non hanno voce. E se parlano, usano linguaggi diversi. Anche grazie all’azione sociale, le condizioni sono completamente mutate. Se a questo aggiungi la tendenziale silenziosa trasformazione del sindacato da soggetto rivendicativo a soggetto di servizi (ti prenota le vacanze, ti aiuta nelle pensioni, ti fa la dichiarazione dei redditi) e il fatto che siamo in una fase di grandi incertezze, la realtà è proprio diversa. Ma il fatto che i poveri siano minoranza non rischia di trasformare la democrazia in un tragico gioco in cui i poveri sono sempre perdenti? La democrazie è un insieme di regole. E le regole le fanno i vincitori. E’ chiaro che gli esclusi, essendo minoranza, sono irrilevanti. Ma dovremo, prima o poi, fare una discussione seria sulle regole e sui contenuti della democrazia. Nel mondo di oggi prevale una concezione culturale basata sul privatismo. “Ognuno per sé e Dio per tutti”. Dove ciò che importa realmente è “l’ognuno per sé”. “Dio per tutti” è spesso un optional. Una concezione che nasce dal timore di perdere i benefici acquisiti e che provoca, a lungo andare, una guerra tra poveri. A questa concezione, che negli ultimi venti anni si è esasperata, bisognerebbe opporre il solidarismo. Spiegando però – intanto a se stessi e poi al resto della gente – che il solidarismo  non è una categoria etica, ma una categoria economica. Una società che non accetta livelli intollerabili di disuguaglianza perché disgregano e riducono il sentimento di appartenenza, è una società che funziona meglio rispetto a quella basata sull’individualismo e la competizione. In questa ultima, un  certo numero di persone può anche migliorare la propria situazione. Ma la società nel suo complesso, va avanti meno velocemente. Le società dei primi trent’anni del dopoguerra, che avevano un tasso di impegno comunitario, di appartenenza e un sentimento di destino collettivo più che individuale, sono cresciute a ritmi economici maggiori rispetto a oggi. L’aumento delle disuguaglianze è un fattore di indebolimento del tasso medio di crescita. Per questo dico che la solidarietà è una categoria economica. Le società più coese crescono di più. Ma la solidarietà appare come una virtù debole, perdente. La cultura dominante, soprattutto negli ultimi vent’anni, è stata quella della competizione. Se tutti siamo in competizione con tutti, è chiaro che innanzitutto devo badare a me stesso. I fattori di coesione, che invece esaltano un’appartenenza comunitaria, tendono ad affievolirsi. In questo contesto culturale, anche la cultura di sinistra ha finito per appannarsi e si è caratterizzata un po’ ovunque in occidente - anche se in maniera più marcata in Italia (non fosse altro perché c’è stato il più forte Partito comunista) - non tanto per aver proposto un modello diverso, quanto piuttosto nel tentare di limitare gli eccessi della destra. La sinistra non è stata in grado di proporre un modello di organizzazione sociale alternativo, una società in cui si possa vivere meglio. Attenzione. Non con più consumi, cosa di cui francamente non abbiamo bisogno. Alla maggioranza della gente non mancano le cose essenziali. Manca invece un modello, un riferimento di organizzazione sociale, nel quale le persone possano vivere bene. Oggi siamo sazi e insoddisfatti. La maggior parte della gente vive bene come livello e quantità di consumi. Ma non vive bene psicologicamente, spiritualmente. Non si può vivere solo per consumare di più. Devi credere in altre cose, devi avere altri stimoli che aiutino a dare uno scopo nella vita. Tu non puoi ridurre lo scopo della tua vita al fatto che prima andavi al ristorante una volta al mese, mentre adesso ci vai una volta alla settimana. O che prima c’era una macchina per famiglia mentre adesso ce ne sono quattro. Le persone hanno bisogno anche di senso. Perché siamo qui? Perché nasciamo? Perché moriamo? Perché invecchiamo? La gente ha bisogno di rispondere a domande di senso non solo a domande di consumo. Quando hai un paio di calzoni te ne puoi comprare altri dieci o venti. Non è questo che ti rende felice. La felicità ha altre basi e altre motivazioni. Ma è compito della politica rispondere alle domande di senso? Dare la felicità? Certo non sta alla politica rispondere compiutamente alla domanda di felicità e di senso. Ma essa deve almeno averle presenti. L’uomo è un animale che ha anche problemi esistenziali. La politica non può non tener conto anche di questo orizzonte. In un paese cattolico come il nostro, ciò non rappresenta anche uno scacco alla Chiesa? La religione da noi è stata vissuta spesso solo come rito. Non come fede. Anche l’atteggiamento di gran parte della gerarchia è tendenzialmente contrario all’annuncio evangelico. Legato mani e piedi alle forze di governo per ottenere o mantenere privilegi. Io credo che i rapporti con il potere sono stati utili alla chiesa. Non certo alla fede. Torniamo al tuo impegno sindacale. Si parla di crisi del lavoro: e le soluzioni che si danno portano alla flessibilità, alla precarietà, alla “deregulation”, che altro non è che mancanza di regole. Mi pare che oggi si sottovaluti il ruolo del lavoro. Sono cambiate molte cose. E’ cambiato il rapporto dell’uomo con il lavoro, l’organizzazione del lavoro e la cultura stessa del lavoro. Ma il lavoro resta un elemento fondamentale. Pur con tutti i cambiamenti, oggi il lavoro resta nella nostra società un elemento fondamentale di identità, di appartenenza. Nelle generazioni che ci hanno preceduto, essere senza lavoro significava morire di fame. Oggi qui da noi non si muore di fame. Ma essere senza lavoro oggi significa una perdita di identità e, quindi, di appartenenza. In questa società e ancora per i decenni a venire, il lavoro resta un elemento fondamentale. Tant’è che la prima domanda che le persone si scambiano quando si vedono è “cosa fai?”. La società può costituirsi solo su elementi di stabilità e non di insicurezza. Una tendenza del lavoro a diventare insicuro crea elementi di disarticolazione e di insicurezza sociali che alla fine disgregano la società nel suo insieme. Con tutti i rischi che questo comporta.  A rendere complicata questa situazione contribuisce l’asimmetria esistente tra il lavoro che è locale e il capitale che tende sempre più ad essere globale. Il mondo vive nell’insicurezza perché la politica di fronte a queste trasformazioni non ha ripensato se stessa. In questa ottica il lavoro resta un elemento essenziale. E la difesa dei diritti dei lavoratori, la sua non precarizzazione diviene un elemento di stabilità e di coesione sociale. La difesa dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è un atto di testardaggine sindacale. Ha un valore politico-culturale notevole per riaffermare la centralità del lavoro nella vita di ogni persona. Nel sindacalese di oggi esiste una parola magica: concertazione. E’ proprio la panacea di tutti i mali? Ci possono essere determinate situazioni eccezionali, di fronte a problemi che altrimenti non hanno soluzione, che domandano la concertazione. Negli ultimi trent’anni non riesco a vederne che due: all’inizio degli anni 80 avevamo un’inflazione che superava il 20%. E’ chiaro che  di fronte a un’emergenza è giusto che le parti sociali si concertino, ognuno facendo la sua parte. Lo stesso discorso può farsi per l’entrata nell’euro, dove c’erano una serie di criteri da rispettare che esigevano l’accordo di tutti. Ma questo vale solo per le situazioni di emergenza. La concertazione non può diventare uno strumento ordinario di regolazione delle relazioni sociali. Perché presuppone un enorme grado di centralizzazione dei rapporti sociali. I sindacalisti locali o di categoria diventano dei ragionieri. La produttività di un’impresa o di un settore è diversa da quella di un altro e quindi perché deve andare solo alle imprese e non distribuita? E, ammesso e non concesso che sia inopportuno distribuire se questo avesse effetti inflattivi, decidiamo, non so, di fare degli asili nido, di fare opere sociali. La concertazione come metodo ordinario presuppone un grado di centralizzazione delle relazioni sindacali che sterilizza la contrattazione. Il risultato è che ciascuno pensa per sé, a livello individuale, mettendo in vendita le proprie competenze. Finito l’impegno sindacale, ti è stata proposta la presidenza della Rai. Hai rifiutato perché non ti erano date garanzie di autonomia e di indipendenza. Poi ti sei dato alla politica, fino a fondare, insieme con Gorrieri ed altri un movimento politico. La politica è molto in ritardo e spesso muta rispetto all’evoluzione del mondo e ai processi di globalizzazione. E’ una situazione che va bene alla destra. La destra infatti pensa che lo stato non è la soluzione, ma il problema. La politica è il problema, non la soluzione, come diceva Reagan. Bisogna lasciar libero il mercato, che diviene il supremo regolatore di tutto. La politica tende quindi ad essere irrilevante. Occorre invece capire che la politica serve a risolvere problemi che il mercato da solo non sa o non può risolvere. Non si tratta di contrapporre stato e mercato. Si tratta di capire che ci sono problemi che possono trovare soluzione solo in una dimensione pubblica. Cioè politica. Ciò non significa statalizzare, ma riconoscere che c’è una dimensione dei rapporti sociali che va affidata alla sfera pubblica e che quindi deve essere regolata con norme di carattere pubblico, politico. Perché hanno a che fare con esigenze di convivenza, di coesione di carattere sociale, senza le quali si cade nell’anarchia o nella guerra di tutti contro tutti. L’Argentina è emblematica. Il risultato  dell’applicazione di politiche liberiste che hanno fatto disastri dappertutto. Al di là degli errori specifici dei governanti argentini ci sono problemi, qui venuti in evidenza prima che altrove, che il mercato non riesce a risolvere.

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ZOOM ASSOCIAZIONI
 
San Bonifacio (VR) - Corsi di Lettere e Psicologia 

Il CENTRO TERRITORIALE PERMANENTE  DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE  PER L’ETA’ ADULTA di SAN BONIFACIO Direzione Didattica I° Circolo , San Bonifacio, Via Fiume 61 c, promuove CORSI DI  LETTERE E PSICOLOGIA per «Aprire nuovi spazi di conoscenza.

Corso di Lettere: TRA IL SUONO E IL SENSO - DOCENTE: prof. Maurizio Bianchi. PRESENTAZIONE DEL CORSO: Il poeta francese Valéry definisce la poesia come una “prolungata  esitazione tra il suono e il senso”, rilevando così una caratteristica fondamentale del linguaggio poetico: l’aspetto formale, fatto di suoni, parole, immagini, nel suo intreccio con il contenuto e l’espressione. Il breve percorso si snoderà attraverso voci significative della poesia del ‘900, quelle di Pascoli e Montale,  con  l’analisi di un gruppo di liriche condotta in modo da costruire una possibile chiave di lettura della poesia in generale, quasi una “cassetta degli attrezzi” per chi vuole leggere e scrivere poesie con consapevolezza e maturità. CALENDARIO: 10 ore, 5 incontri di 2  ore, dalle ore 20 alle ore 22.00, da Giovedì 4 aprile a Giovedì 9 maggio 2002
Corsi di Psicologia: GENITORI E BAMBINO - DOCENTE: dott.ssa Paola Burato (psicologa). CALENDARIO: 10 ore, 4 incontri di 2,30 ore, dalle ore 20 alle ore 22.30, da Mercoledì 13 marzo a Mercoledì 3 aprile 2002. CONTENUTI: i bisogni del bambino: riflessioni sul crescere; promozione dell’autostima  del bambino; le risorse dei genitori: ruolo e competenze  nel rapporto con il bambino; la comunicazione in famiglia. LE CAPACITA’ RELAZIONALI E L’INTELLIGENZA EMOTIVA DOCENTE: dott.ssa Paola Burato (psicologa). CALENDARIO: 10 ore, 5 incontri di 2  ore, dalle ore 20 alle ore 22.00, da Mercoledì 10 aprile a Mercoledì 15 maggio 2002. CONTENUTI: cos’è la relazione; la comunicazione come espressione della relazione. La relazione nei contesti familiare, di gruppo, lavorativo; L’intelligenza emotiva.
SEDE DEI CORSI: Centro Territoriale Permanente di  Istruzione e Formazione per l’Età Adulta  di San Bonifacio,  presso  la Scuola Elementare Lorenzo Milani, San Bonifacio via Fiume 61 c.. MODALITA’ DI ISCRIZIONE: Segreteria del Centro Territoriale Permanente di  Istruzione e Formazione per l’Età, Direzione Didattica I° Circolo, San Bonifacio, via Fiume 61 c. Orario: Lunedì 15-19; Martedì: 11-13;15.30-16.30  Giovedì: 11-13; Venerdì: 15.30-16.30; Sabato: 11-13. Contributo di iscrizione per il singolo corso: € 15,50, da versare sul ccp. N.10665370 intestato a Direzione Didattica I° Circolo, San Bonifacio , via Fiume 61 c, Servizio Tesoreria, indicando la causale di versamento con il titolo del corso.Le iscrizioni dovranno pervenire entro Mercoledì 6 marzo 2002 per i corsi di Psicologia, ed entro Mercoledì 27 marzo per il corso di Lettere. I corsi saranno attivati se verrà raggiunto il numero minimo di dodici iscritti.per corso.
 
Greenpeace - RISORSE NATURALI: LE ONG ITALIANE CHIEDONO AL GOVERNO UNA CHIARA UNA POLITICA DEGLI ACQUISTI
 
Intorno alle risorse si consumano conflitti sanguinosi e spietati. Legno, diamanti, petrolio, minerali diventano spesso oggetto di combattimenti e carburante di nuove guerre. Risultato: ecosistemi unici distrutti per sempre, paesi ridotti ad uno stato di miseria endemica, e decine di migliaia di civili uccisi, stuprati, mutilati o ridotti in schiavitu'. La guerra finanziata in Sierra Leone con il traffico di legno e diamanti, per esempio, sta portando alla distruzione delle ultime foreste tropicali dell'Africa Occidentale, mentre con questa distruzione finanzia milizie sanguinarie e arruolamenti di bambini-soldato. Greenpeace ha recentemente denunciato il caso dell'importazione in Italia di tronchi di una compagnia del legno direttamente legata al traffico di armi, la OTC (Oriental Timber Company). Come indicato da un rapporto del comitato degli esperti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la OTC svolge un ruolo essenziale nella guerra civile in Sierra, fornendo strutture e mezzi per il traffico di armi. Le strade aperte e mantenute per l'estrazione del legno, vengono utilizzate per i movimenti di armi verso la Sierra Leone. Gli autocarri impiegati per il trasporto del legno vengono usati anche per trasportare armi. La milizia della compagnia e' stata inoltre  accusata da piu' parti di avere propri campi di detenzione. L'acquisto di legname liberiano dovrebbe essere assolutamente evitato, in seguito alle accuse da parte degli esperti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. La Liberia ospita l'ultima grande area di foreste pluviali dell'Africa Occidentale. Nella maggior parte dei paesi dell'Africa Occidentale (Costa d'Avorio, Ghana e Nigeria) le foreste che si estendevano dalla costa all'interno, sono state devastate. La Liberia e' l'unico paese nella regione ancora dotato di una considerevole estensione di foreste. Si tratta di un ecosistema  prezioso, con una forte componente endemica e ricco di specie che richiedono protezione, come la mangosta liberiana e l'ippopotamo pigmeo.
Proprio quando si faceva piu' forte il coinvolgimento del settore del legno con il traffico di armi e con la guerra civile in Sierra Leone, l'Italia moltiplicava per 25 volte le proprie importazioni di tronchi da questo paese. La Liberia e' diventata così il secondo paese esportatore di tronchi verso l'Italia (dopo il Camerun), con 48.100 m3 di tronchi tra gennaio e giugno del 2000 , e si segnala una continua crescita delle importazioni  di tronchi anche nel 2001. La crescita del consumo di Azobe' (Lophira alata) ha visto negli ultimi anni una costante crescita. Ma tale legno proviene dalla distruzione delle foreste dell'Africa occidentale e centrale. Per quanto possa sembrare incredibile, continua ad essere acquistato legno illegale, o proveniente da pratiche distruttive. Il fatto che imprese a capitale pubblico si riforniscano da produttori che importano tronchi della OTC, il cui commercio finanzia direttamente la guerra in Africa occidentale, rende evidente l'urgenza dell'adozione di una chiara politica dei rifornimenti da parte del governo e delle imprese. E' per questo che Greenpeace ha raccolto la proposta di Amnesty International per una campagna sulle risorse compatibili., assieme ad altre Organizzazioni Non Governative come Azione Aiuto, Banca Popolare Etica, Legambiente, Mani Tese e WWF. Quasi mezzo milione di cartoline, appelli singoli e collettivi indirizzati al governo italiano, sono stati predisposti per raccogliere le adesioni alla campagna. I rappresentanti di Azione Aiuto, Banca Popolare Etica, Greenpeace, Legambiente, Mani Tese, WWF e Amnesty International, consegneranno queste adesioni ad esponenti del governo. I gruppi locali delle organizzazioni saranno inoltre impegnati in visite, contatti epistolari, fax, e-mail, nei confronti di rappresentanti della industria e del commercio, per chiedere un impegno anche da parte degli operatori economici del settore verso la trasparenza, nel loro stesso interesse. E' indispensabile che l'Italia adegui la sua legislazione a quella internazionale che verra' approvata durante la prossima Assemblea generale dell'ONU e - ci auguriamo- resa obbligatoria dal Consiglio di Sicurezza. Greenpeace, Amnesty International, Azione Aiuto, Banca Popolare Etica, Legambiente, Mani Tese, WWF, chiedono al Governo italiano di appoggiare - tramite la delegazione all'ONU- la decisione di un efficace sistema di controllo e di introdurre quanto prima severe regole anche in Italia.
 
Verona - FAGIANI NEL MONDO (Legambiente): PROGRAMMA 2002 

Cari amici, è da un po’ di tempo che non ci sentiamo e sentivamo proprio la necessità di scrivervi due righe. Le attività del circolo proseguono sui temi su cui ci siamo sempre impegnati e dedicati. Solidarietà: nell'ambito della campagna nazionale di Legambiente in favore di Emergency per la raccolta fondi per i punti di primo soccorso in Afghanistan, abbiamo contribuito con l'organizzazione della cena di autofinanziamento del 15 dicembre 2001 a Corte Molon, con una somma di € 1500. Cogliamo l'occasione per ringraziare le cooperative Primavera, La Buona Terra, La Macina, coop. 8 Marzo Cà Verde e il panificio Ceres per il prezioso contributo, tutti i partecipanti e quanti si sono adoperati per la buona riuscita dell'iniziativa. In marzo organizzeremo una cena di raccolta fondi per sostenere il ciclo d'istruzione di alcuni bambini brasiliani nella città di Goya. Attività: Quest'anno da marzo ad aprile continueremo con la rassegna " C'è mondo fuor di queste mura…viaggi e assaggi nel sud del mondo "  in memoria dell'amico Walter Pedrotti, ideatore ed organizzatore. La rassegna si svolgerà in cinque serate con la presentazione di racconti di esperienze di viaggio nelle terre di  Eritrea, Etiopia, Nicaragua, Palestina, Pakistan, Marocco e Algeria e sarà organizzata con il contributo della VI Circoscrizione di Verona, e la collaborazione del Centro Territoriale Permanente Formazione Età Adulta scuola "G. Carducci ", Nigrizia (rivista dei Comboniani), il Coordinamento Turismo Responsabile Verona e la Cooperativa Buona Terra. Inoltre abbiamo organizzato una serie di escursioni naturalistiche per cercare di stare un po’ più a contatto con la natura, promuovere dei momenti di approfondimento e divertimento in luoghi di interesse ambientale e culturale. Dal 25 luglio al 5 agosto saremo impegnati all'interno della festa dell'unità di Quinzano con  attività culturali.  AAA cercasi idee, consigli, appoggio e collaborazioni . Vi ricordiamo che per chi avesse l'intenzione di promuovere iniziative, progetti di aiuto, solidarietà e  cooperazione con i paesi in via di sviluppo, il circolo è disponibile ad organizzare attività di sensibilizzazione di  nuove proposte.  Ci farebbe molto piacere che partecipaste direttamente con delle vostre idee  all'organizzazione delle attività del circolo. Per chi fosse intenzionato, il circolo si dà appuntamento ogni primo martedì del mese dalle ore 19 alle ore 20.30 presso la sede di Legambiente  in via Bertoni, 4 a Verona. Non dimenticate che per partecipare alle nostre iniziative sarebbe "cosa buona e giusta" tesserarsi al circolo dei Fagiani nel mondo. Vi ricordiamo che potete consultare i nostri programmi sul nostro sito alla  pagina: web.tiscali.it/fagianinelmondo/, inoltre potete scriverci al nostro indirizzo di posta elettronica: fagianinelmondo@libero.it Informazioni ed adesioni: Marinella  tel. 0458032387 - Federico tel.045549841  - Agostino   tel. 0458340215 - Sandro    tel.045532946 (Federico Carazzolo) PROGRAMMA:  SABATO 23 MARZO: " Auguri e solidarietà "  cena Fagiani alla casetta di Quinzano,  autofinanziamento per il progetto " Bambini brasiliani di Goya ". Iscrizioni entro il 18 marzo;  GIOVEDI' 28 MARZO, 4 E 11 APRILE: "C'è mondo fuor di queste mura…viaggi e assaggi nel sud del mondo " (…in memoria di Walter Pedrotti). Rassegna di diaporacconti presso la scuola " G. Carducci " . Via Betteloni, Verona. Seguirà programma dettagliato.  DOMENICA 14 APRILE: "Fioriture, faggette, navi e radure" Escursione con splendide vedute sul lago di Garda e sull'anfiteatro morenico di Caprino. Ritrovo: ore 8,30, in via Cà di Cozzi (B. Trento  parcheggio al lato del provveditorato) Difficoltà: media; durata: 6-7 ore; iscrizioni entro 11 aprile.Nei prossimi numeri de «il GRILLO parlante» proporremo i successivi appuntamenti.

Brescia - Disarmiamo EXA 2002 

Cos'è Exa 
Exa è la più grande esposizione al mondo di armi sportive, da caccia e da tiro, comuni da sparo; si svolge annualmente a Brescia e nel 2002, dal 13 al 16 aprile, se ne terrà la ventunesima edizione. Exa si propone propagandisticamente come un evento tutto centrato sull' "idilliaca" passione per le armi da caccia, sportive, da collezione; in realtà, scorrendo la lista degli espositori dell' ultima edizione della mostra (e di quelle precedenti), si potrà comprendere come dietro la facciata dell'esposizione di armi sportive si nasconda una realtà diversa e ben più complessa. Grandi industrie che espongono a Exa destinano una parte rilevante della loro produzione alle armi da guerra, alle armi leggere e di piccolo calibro, alle dotazioni antisommossa, a sistemi di addestramento per operatori alla sicurezza. Per comprendere quale sia la vera movimentazione di affari promossa da Exa basta citare alcuni dei maggiori espositori: primo tra tutti la Beretta, industria armiera bresciana con una storia plurisecolare, il cui profilo è quello di un' industria fondamentalmente militare in grado di convertirsi almeno in parte al civile. La Beretta deve la propria fortuna alla prima guerra mondiale, e poi alle grandi forniture militari del periodo dell'espansione "imperiale" fascista; dopo una rapida riconversione postbellica ai fucili da caccia, la Beretta tornò alle commesse governative con l'adesione dell'Italia alla Nato. Oggi la Beretta dichiara ufficialmente un fatturato militare pari soltanto al 25-30% della sua produzione, ma non è azzardato ipotizzare che nel 2000 la produzione militare abbia raggiunto il 40-50%, valutabile in 250-300 miliardi, del fatturato consolidato, e che almeno la metà sia stata prodotta in Italia e da qui esportata. E poiché queste cifre sono lontanissime da quelle ricavabili sulla base delle autorizzazioni all'esportazione, si può ragionevolmente affermare che il gruppo Beretta aggira di fatto, anche se probabilmente del tutto legalmente, la legge 185/90, che sancisce il divieto di esportazione di armi verso paesi in stato di conflitto, in via di sviluppo, e verso quelli i cui governi sono responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo. 
Oggi la Beretta ha assunto una struttura multinazionale, con fabbriche negli Stati Uniti, in Turchia, Grecia e Spagna, e rifornisce le forze armate italiane, l'esercito degli U.S.A., l'aeronautica francese, e numerosi altri paesi. Ma all'esportazione di armi da guerra vere e proprie aggiunge quella delle cosiddette armi leggere o di piccolo calibro (rivoltelle e pistole a carica automatica, fucili, fucili mitragliatori, fucili d' assalto e mitragliatrici leggere), che sfuggono ai divieti della legge 185 ma che sono quelle più frequentemente usate nei vari scenari bellici, e che provocano il maggior numero di vittime, specialmente tra le popolazioni civili. La Beretta, per le sue dimensioni, rappresenta l'esempio più eclatante tra i fabbricanti italiani di strumenti di morte che utilizzano Exa come vetrina per promuovere la propria produzione, ma in scala ridotta valutazioni analoghe possono farsi per altri espositori, come la Benelli, la Franchi, la Breda, ecc. Sono poi presenti colossi internazionali dell' industria armiera, anche bellica, come Browning, Winchester, Colt, Smith & Wesson, Ruger. 
Accanto a questi, altri produttori espongono a Exa strumenti ad alta tecnologia e dotazioni in uso alle forza antisommossa delle polizie di paesi "democratici" e non; si va dalle cosiddette "armi meno che letali" ai gas lacrimogeni, dalle munizioni speciali agli spray irritanti, ecc. Gli espositori di Exa, quindi, coprono tutta la vasta gamma degli impieghi della produzione armiera. 

Perché siamo contro Exa 
Exa rappresenta dunque una vetrina per alcune tra le più importanti fabbriche d' armi al mondo; promuove l'uso delle armi a scopo ludico, sportivo, di difesa, ma costituisce occasione d'incontro e di affari anche per tipologie di armi a uso bellico e antisommossa. Le ragioni per boicottare Exa sono quindi molteplici e attraversano diversi temi tutti interni alla dimensione della globalizzazione capitalista. 
E' intuitivo e di tutta evidenza il collegamento tra industria armiera e scenari bellici. Alcune delle industrie che espongono a Exa producono vere e proprie armi da guerra (Beretta, Breda, Franchi, ecc.); molte producono le cosiddette armi leggere e di piccolo calibro che, pur non destinate in senso stretto a uso bellico, di fatto, attraverso esportazioni illegali o triangolazioni che eludono la legge, alimentano gli scenari di guerra che provocano ogni anno oltre 150.000 morti, per lo più tra la popolazione civile. Nel luglio 2001 l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha tenuto a New York una conferenza sul commercio illegale delle armi leggere e di piccolo calibro, definite dal Segretario Generale dell'O.N.U. Kohi Annan, "armi di distruzione di massa". Sono stati rimarcati gli effetti nefasti dell'accumulazione e della diffusione di armi leggere e di piccolo calibro di uso militare, e forniti dati che illustrano tutta la portata devastante del fenomeno. Nell'ultimo decennio, due milioni di bambini sono stati uccisi in conflitti dove sono state usate armi di piccolo calibro e cinque milioni sono diventati disabili. Si stima che soltanto in Afghanistan vi siano circa dieci milioni di armi di piccolo calibro; sette milioni in Africa Occidentale, circa due milioni in America Centrale. 
Amnesty International fornisce dati, relativi all'anno 2000, secondo i quali l'Italia è il terzo paese esportatore di armi di piccolo calibro (dopo U.S.A. e Gran Bretagna), con valori che superano i trecento milioni di dollari. Tra i destinatari delle esportazioni legali di armi e munizioni si trovano Stati coinvolti in conflitti, tra cui India, Pakistan, Eritrea e Etiopia, l'Uganda, la Sierra Leone, il Congo, l' Algeria. Molti dei paesi destinatari sono teatro di violazioni dei diritti umani, come Turchia, Arabia Saudita, Cina e Indonesia. Si sottraggono invece a ogni controllo i traffici illegali, che nella maggior parte dei casi hanno all' origine un trasferimento legale e poi, attraverso triangolazioni tra Stati e intermediazioni di organizzazioni criminali e trafficanti senza scrupoli, sfuggono agli embarghi e fanno perdere ogni traccia di sé. 
Le armi leggere e di piccolo calibro sono le armi delle guerre moderne, provocano l'esacerbazione dei conflitti e rendono più difficili le soluzioni diplomatiche, ma aumentano anche il tasso di criminalità e le violazioni dei diritti umani. Exa quindi, dietro la facciata rassicurante che attira decine di migliaia di visitatori ogni anno, nasconde il suo vero volto di vetrina dei fabbricanti di strumenti di morte. 
Disarmare Exa significa anche colpire la finanza armata: le connessioni tra finanza ufficiale e paradisi fiscali, le banche che finanziano il traffico d' armi internazionale, gli Stati che destinano quote importanti del loro p.i.l. alle spese militari, sottraendole alla spesa sociale; le lobbies e i potentati che influenzano scelte politiche, gravide di effetti distruttivi sullo scenario internazionale. La produzione e l'esportazione di armi, sia legale che illegale, ha bisogno di grandi capitali e di servizi finanziari che solo le banche possono offrire, di modo che gli istituti bancari destinano i risparmi dei cittadini anche a finanziare operazioni bancarie che generano morte. Nell'anno 2000, secondo i dati forniti dal governo, sono state autorizzate esportazioni di armi a uso bellico dall'Italia per oltre 1.500 miliardi di lire, e quasi la metà degli importi autorizzati si riferiscono ad esportazioni verso Sudafrica, Turchia, Nigeria e India. Circa il 70% delle esportazioni ufficiali di armi leggere, quindi considerate "per uso civile", ha invece avuto come destinatari paesi del sud del mondo: tra gli altri, paesi come Libano, Congo, Marocco, Algeria, Burkina Faso, Mauritania, Camerun, Senegal, India, Kenia, ecc. Le spese militari sottraggono alla spesa sociale quote importanti dei p.i.l. di tutti i paesi, somme ingenti che anziché essere destinate all'utilità pubblica servono a fornire gli eserciti e le polizie di sempre più sofisticati strumenti di morte. 
Ma attraverso le esportazioni di armi verso i paesi in via di sviluppo, si alimenta e perpetua il loro debito, e quindi la loro dipendenza, nei confronti degli Stati industrializzati, con la conseguente impossibilità di sviluppare economie destinate a soddisfare in primo luogo i bisogni primari dei cittadini, di promuovere e finanziare progetti in materia di salute, alimentazione, istruzione. 
Disarmare Exa significa anche promuovere un modello di sviluppo sostenibile per l'ambiente, perché l'esercizio della caccia impoverisce il patrimonio faunistico del nostro pianeta, alterando l'equilibrio dell' ecosistema e provocando ogni anno la morte inutile di centinaia di milioni di esseri senzienti. La scomparsa e il rischio di estinzione di diverse specie animali sono anche conseguenza della caccia, oltre che della distruzione del loro habitat naturale. 
Disarmare Exa, insomma, significa pensare alla costruzione di un mondo diverso, in cui le risorse oggi utilizzate per procurare morte, distruzione, danno ambientale, possano essere destinate a utilizzi socialmente utili; in cui le fabbriche d' armi possano essere riconvertite ad altri cicli produttivi; in cui la guerra sia bandita per sempre. 

Exa nella guerra globale 
Nell'ultimo decennio i grandi potentati economici e finanziari transnazionali, gli apparati militari-industriali, i principali governi del mondo sempre più frequentemente hanno fatto ricorso alla guerra per risolvere i conflitti, per imporre la loro pace, i loro interessi nei punti di crisi e di rilevanza strategica del pianeta. E dopo la strage terroristica dell'11 settembre alle Twin Towers la guerra sembra diventare ormai, sempre più, la forma stessa del dominio, sanguinosa e devastante, terribile nella sua concretezza, fatta di bombe, pallottole, distruzione e morte per le popolazioni civili. Va imponendosi una sorta di stato di guerra permanente sull' intero pianeta. Le azioni belliche, attuabili ovunque in qualsiasi momento, diventano normalità nel governo sui popoli. Lo schema amico-nemico e la guerra squalificano ogni iniziativa di mediazione politica tra istanze complesse legittime e differenti, e cercano invece di garantire nel Nuovo Ordine Mondiale neoliberista la concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di pochi a discapito della gran parte dell'Umanità, del diritto universale ad una vita dignitosa. 
Teatro di operazioni militari sono oggi l'Afghanistan e la Palestina, prestissimo potrebbero essere la Somalia, l'Iraq, forse di nuovo i Balcani. E anche le forze armate italiane, con un consenso ampiamente maggioritario in parlamento, ma non fra i cittadini, sempre più sono impiegate in queste azioni di guerra con un ruolo attivo importante. Nel bilancio pubblico gli stanziamenti del governo per le spese militari sono in costante aumento. 
All'interno degli stessi Paesi più ricchi, lo stato di guerra porta con se l'ampliarsi dell'esclusione dalla sfera dei diritti, dei servizi e delle tutele sociali, nonché l'adozione sempre più frequente di misure e metodi autoritari, apertamente repressivi, per colpire il dissenso e la protesta democratica. 
E' in questo scenario che si pone, nell'anno 2002, l'esposizione di Exa, la cui rilevanza economica e commerciale -come abbiamo visto- va ben al di là della realtà bresciana. Ed è in questo scenario che Exa si rivela più che mai, nei marchi degli espositori di armi leggere per ogni uso, nel logo accattivante che la pubblicizza, nella propria stessa esistenza, un veicolo per alimentare, foraggiare, legittimare, rendere senso comune accettato e persino bello ("sportivo") proprio la guerra, i suoi strumenti e chi sulla guerra realizza profitti a palate. Senza guerra non ci sono produzione e vendita di armi. Senza produzione e vendita di armi non c'è guerra. E' tutto qui, in fondo, il gioviale happening di Exa. 

Proposta in progress 
Ma noi, uomini e donne comuni, di Brescia, di Genova, di Assisi, di Porto Alegre, noi che pensiamo possibile la globalizzazione della pace e dei diritti, e non del dominio di pochi sull'intero pianeta, siamo parte dell'umanità contro la quale i potenti scatenano e fanno combattere le guerre. 
Ebbene, chi si oppone alla guerra nei mille modi possibili, senza se e senza ma, chi è per la pace, chi non vuole lasciarsi arruolare, chi diserta e disobbedisce, chi non collabora, chi vivendo ogni fede sa che nessuna guerra si può scatenare in nome di Dio, chi non è d'accordo ma non sa che fare, chi crede possibile un altro mondo senza armi, chi non ci crede molto ma vede che questo mondo è simile al peggiore possibile. invitiamo tutti questi uomini e donne e molti di più, come noi e diversi da noi, a condividere, fra tantissimi soggetti collettivi, politici, associativi, sindacali, studenteschi., singoli individui, con provenienze, percorsi, sensibilità, pratiche, domande, impegni quotidiani, obbiettivi grandi e/o immediati differenti. un semplice scopo comune: dire no a Exa. Dirlo in molti modi pacifici, pubblici, chiari, comprensibili, con creatività, allegria e radicalità. Affermare che questa mostra di prodotti che servono ad uccidere è semplicemente illegittima, ingiusta, perché di quei prodotti chiunque può diventare e diventa vittima innocente. 
Exa non è figlia legittima di Brescia, non è un fiore all'occhiello dell' "intraprendenza e dell'operosità" dei bresciani. E Brescia non è la città dei produttori e dei mercanti di strumenti di morte. La stessa tradizionale "vocazione armiera" della Valle Trompia è l'esito di scelte politiche ed economiche, non un dato naturale incontrovertibile, certo non è l' unico modello di organizzazione dei rapporti sociali che possa dare identità e lavoro alle popolazioni di quel territorio. Siamo convinti che la sicurezza dell' occupazione e del reddito per i lavoratori oggi impiegati in quel settore non debba essere messa a rischio, ma è altrettanto certo che i percorsi della riconversione dell' industria bellica, pur difficili e realizzabili in tempi lunghi, non siano affatto impraticabili. 
Per altro, importanti scelte di delocalizzazione produttiva verso regioni del mondo dove il costo del lavoro è più basso negli ultimi anni sono state compiute anche dalla Beretta, e questo, con l' intensificarsi della competizione sul mercato mondiale, dimostra che persino in Val Trompia la produzione armiera non è sinonimo di garanzia occupazionale e che anche in questo ambito della manifattura bresciana prevale la tendenza alla riduzione di manodopera. Dunque, un serio percorso di riconversione al civile dell' industria bellica valtriumplina e di reinserimento degli addetti in altri settori lavorativi può rappresentare non solo una possibilità per porre fine alla produzione di armi ma anche, in prospettiva, una concreta necessità di garanzia dell'occupazione e del reddito per gli operai di quelle imprese a rischio di disoccupazione. 
Da anni sono moltissimi e sempre di più i bresciani attivi nella solidarietà reale, in mille iniziative che vedono la società civile locale sostenere in modo concreto le popolazioni colpite dalla distruzione portata in ogni parte del mondo anche dalle armi che da Brescia vengono vendute a qualsiasi acquirente. L' impegno fattivo di molti bresciani in questi anni nella cooperazione alla pace nella ex Jugoslavia, a supporto delle popolazioni civili, per il ripristino del legame sociale devastato dalla guerra etnica, è solo uno degli esempi. E' questo il vero fiore all'occhiello che già da molto tempo ha fatto conoscere i cittadini bresciani ai cittadini di tutto il mondo, non certo la produzione di guerra che riempie le tasche di pochi industriali e banchieri. 
Esprimere questa solidarietà con coerenza e concretezza, dire no alla guerra non può non significare anche sollevare e affrontare al più presto il grave problema che è Exa, chiedere che la mostra delle armi leggere smetta di esistere. 
Exa e il suo "palcoscenico", la rilevanza nazionale ed europea, la visibilità, oltre che la gravità, di questo evento, rappresentano anzi un'opportunità grande che la società civile, il movimento contro la guerra e per i diritti globali può cogliere, per dare ulteriore legittimità ed efficacia concreta alle proprie ragioni e alla preziosissima pratica quotidiana della solidarietà e delle azioni di pace. 
Anzitutto, chiediamo con forza ai promotori dell'esposizione una moratoria, cioè di rinunciare almeno all'edizione di quest'anno di Exa. Crediamo che nella situazione di guerra in atto tale decisione sia doverosa come gesto minimo indispensabile di assunzione di responsabilità, di buon gusto e senso civile, di rispetto per l'Umanità martoriata dall' effetto dei loro prodotti.  Ma temiamo che i produttori e mercanti di pistole, fucili, mitra, così come le società finanziarie e le banche ad essi collegate, siano più preoccupati di non correre il rischio - rinunciando all'expò 2002 - di una qualche flessione del giro d'affari che attraverso

Exa si alimenta 
Facciamo appello allora a tutti i soggetti interessati, di Brescia e non di Brescia, a partecipare e a promuovere insieme a noi una serie di iniziative di critica forte, pacifica e radicale ad Exa, dal 13 al 16 aprile prossimi. Immaginiamo e proponiamo uno scenario articolato e complesso di iniziativa, che abbia la maggior efficacia possibile sul piano politico e comunicativo e che si dispieghi, nelle settimane e nei mesi a venire, a partire da ora e poi soprattutto nei giorni dell' esposizione, in momenti di informazione (volantinaggi, articoli di giornale, conferenze stampa, predisposizione di un apposito sito internet...), di approfondimento, di discussione, di mostra e proiezione video, di spettacolo teatrale e musicale, di incontro (in primo luogo con i lavoratori e con gli studenti), di manifestazione di strada e di azione diretta che coinvolgano tanto la città e il suo centro storico, quanto la zona immediatamente a ridosso dello spazio espositivo, alla periferia est di Brescia. 
Intendiamo promuovere nei giorni di Exa un forum di approfondimento, di discussione e proposta, al quale abbiamo l'ambizione di dare rilevanza nazionale, sulla produzione bellica, sui percorsi possibili della riconversione dell' industria armiera, sulle pratiche reali di costruzione della pace e di rifiuto della guerra. Compiremo azioni di informazione e denuncia riguardanti le banche armate. 
Almeno due, in giorni diversi, dovranno essere i momenti di presenza di massa nella zona della mostra. In uno dei due giorni dell'apertura dell'esposizione al pubblico l'uno. In uno dei due giorni dell' accesso alla mostra per i soli operatori l'altro. L'obbiettivo specifico da condividere che proponiamo in questi due momenti è "assediare" fisicamente il luogo della mostra, isolare all' interno degli stand gli operatori del settore e ostacolare concretamente il normale svolgimento dell'esposizione, senza creare frizione con il pubblico dei visitatori. E' evidente che tale proposta, solo abbozzata, dovrà essere specificata nelle prossime settimane. 
Del resto lo scenario e le proposte che iniziamo qui a delineare sono volutamente generici, proprio per consentire a tutti i soggetti interessati di portare il loro contributo alla stessa elaborazione del calendario delle iniziative. Iniziative, anche quelle di strada attorno alla zona fieristica, che speriamo molteplici, che crediamo possano e debbano avere modalità e forme le più diverse, pacifiche, non violente, di disobbedienza civile e sociale, che non comportino danno a persone e cose, che abbiano come prerogative irrinunciabili la chiarezza, la radicalità, la pubblicità e l' efficacia comunicativa, e siano mosse dall'obbiettivo condiviso da tutti i promotori: criticare, delegittimare, ostacolare Exa. 
Pensiamo le giornate di Exa non come un punto d'arrivo, ma come un passaggio imprescindibile per rilanciare anche nella provincia di Brescia l'opposizione alla guerra e alla produzione bellica, per la riconversione delle fabbriche d' armi. In tal senso, consideriamo importante arrivare anche attraverso le giornate della contestazione ad Exa alla creazione di un osservatorio permanente sulla produzione ed il commercio di armi leggere. 
Proponiamo l'inizio di un lavoro lungo, difficile, ma irrinunciabile e importante, per disarmare Exa, per bandire la guerra e le sue armi da Brescia. Comincia adesso. (Brescia Social Forum)

Legnago (VR)- CORTOMETRAGGI

ARCI di Legnago informa che anche quest'anno ritorna "VICOLO CORTO" Rassegna Internazionale di Cortometraggi. La manifestazione è effettuata con il contributo della Regione Veneto, oltre che ai Comuni di Padova, Ferrara, Legnago, Cerea, Modena, Jesi, e Massa Carrara. Hanno partecipato alla realizzazione, Arci-Ucca in collaborazione con il Ministero da Cultura do Brasil-Funarte-Departamento Cinema e Video/CTAv, Associacào de documentaristas e curtametragistas Nacional, L'università di Padova - Dipartimento di Romanistica, cattedra di lingua e letteratura portoghese e brasiliana. Per questa IV edizione abbiamo scelto "opere dal Brasile" con un titolo, Amanhà (domani) tema conduttore del Festival. I "corti" sono 23 per un totale di circa 5 ore suddivisi nelle varie serate. Il Brasile e i brasiliani sono stati storicamente ed ancora lo sono, maestri per scelta e per forza nell'arte di vivere con un domani a credito. "Apesar de vocè amanhà ha de ser outro dia" - "Malgrado te domani sarà un altro giorno" cantava Chico Buarque. Le sedi delle proiezioni per il nostro Comitato saranno il Cinema Mignon di Cerea vr (via Canonica 4) nei giorni 14, 15, 16 marzo dalle ore 20,45 e il Centro Ambientale Archeologico di Legnago (via Fermi) nei giorni 16, 17 marzo sempre dalle 20,45. Presto vi daremo tutte le modalità d'iscrizione che anche quest'anno sarà, nonostante le difficoltà, gratuita e i programmi degli eventi collaterali al Festival (Convegno sul cinema brasiliano, Mostra fotografica sul Brasile, concerto e presentazione dell'ultimo disco dei "I TA PUA" (musica brasiliana), visita gratuita al museo). Visti i posti limitati (le sale sono molto piccole) invito fin da ora ad accreditarsi, solo le persone interessate. Per qualsiasi informazione potete chiamare il nostro Comitato o mandare una mail ai seguenti indirizzi: Tel. 0442/26053; Fax 0442/628763; e.mail legnago@arci.it

Verona - SOSTEGNO ALLO STUDIO DEI FIGLI: laboratori formativi per genitori

Il Centro Pedagogico per l’Orientamento e la Formazione di Verona organizza per i genitori che intendono migliorare le metodologie per il sostegno  allo studio dei figli  e l’efficacia dell’intervento educativo,  due corsi di formazione che si svolgeranno presso la sede del Centro, in via Regaste S. Zeno 17, Verona. I corsi «Debito Formativo» per i genitori di studenti di scuola superiore e «Uffa! Devo fare i compiti!» per genitori di ragazzi di scuola elementare e media si svolgeranno al mattino ed al pomeriggio di sabato. Per informazioni ed iscrizioni: Tel. 045 8031301/8070740 – E.mail: segreteria@cpdonbosco.it

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PAROLE IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(vincenzo.andraous@cdg.it- Tel. 0382 3814417)
Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,  una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventinove anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da otto anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno in art.21, da due anni e mezzo è in regime di  semilibertà svolgendo attività di tutor-educatore presso la Comunità “Casa del Giovane “di Pavia. Per dieci anni è stato uno degli animatori del Collettivo Verde del carcere di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università, Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola,  Circa venti le collaborazioni a tesi di laurea in psicologia e sociologia; E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, laici e cattolici; altresì su alcuni periodici on line di informazione e letteratura laica, e su periodici cattolici di  vescovadi italiani; ha conseguito circa 80 premi letterari; ha pubblicato sette libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia; “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”   edito da Ibiskos di Empoli; “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia.

EREDITA' SCARLATTE

Sono in questa comunità “Casa del Giovane“ da tempo ormai, e mi accorgo che c’è sempre qualcosa da imparare, da rielaborare e tenere ben a mente. Anche quando i percorsi, i metodi, le dinamiche sono tutte al loro posto, c’è un lampo che attraversa il nostro passo, e ci obbliga a fermarci per riflettere. Molti sono i minori accolti in queste strutture, e molti sono coloro che accompagnano i loro passi, con attenzione e capacità intuitive, che a volte “servono“ più delle competenze acquisite con lo studio delle tecniche educative. Certo è  difficile comprendere il disagio che li avvolge, ancor più esplicare metodi educativi risolutivi, perché ogni persona è un mondo a sé, allora intervenire diventa “scienza della mente e del cuore”., e non sempre è facile riuscire dove la vita non è stata ancora vissuta, ma è stata incredibilmente lacerata fin dal suo sorgere. Le storie che incontro sono pezzi di vita che sbarrano la strada, bussano alla porta della ragione per tentare di sfiorare finalmente un senso, quel senso che i giovanissimi prendono a calci, per reazione all’indifferenza o all’incapacità dell’altro di farsi carico delle sofferenze che sono state loro imposte, in famiglia, nella scuola, da un mercato che disconosce il povero e annichilisce il ricco. E’ un’umanità adolescenziale che cresce piagata per non avere avuto possibilità di scelta, se non quella di fuggire lontano da un reale sotto vuoto spinto. La nostra è una società che etichetta, che ingabbia, che modella a proprio uso e consumo, per poi gettare via l’involucro usato o avariato. E’ una società che allunga il passo, che ha memoria corta, una società che recita, sì, il Padre Nostro, ma lo fa meccanicamente per non sentire l’importanza di quelle parole, né gli impegni assunti con quella preghiera. Baby gang-branco-baby assassini- è roba che riguarda gli altri, perché “tanto ai miei figli non accadrà mai”. Qualcuno ha detto che, finchè i bambini non saranno intesi come figli di tutti, essi saranno destinati a scontrarsi, e soccombere, con gli interrogativi di questa esistenza. Forse non è neppure il caso di polemizzare sulle varianti che generano disagio, per intenderci, sulla povertà che  alimenta il conflitto, sui distacchi perpetrati in famiglia, sull’uso e abuso dell’agio. Lutrec è un ragazzo che non somiglia per niente ad un uomo, è un giovanissimo con gli occhi di cerbiatto. Non è neppure un bambino, è un adolescente che non cede metri al tempo, mentre rimane fermo ad aspettare. Ricordo quando l’ho visto arrivare in comunità: un uragano, un tir senza comandi, una valanga che tutto travolge e sconvolge.  Impotenti di fronte a tanto furore. A ben guardare, Lutrec è davvero fin troppo giovane per essere così reattivo e diretto nello scontro fisico, quanto evasivo nel pagare pedaggio al gioco delle verità. Nei primi tempi non ha fatto altro che provocare, offendere, cercare guai con i coetanei, con gli adulti, persino con Dio. In che modo seguire e accompagnare un piccolo Attila, un distruttore di pazienze e speranze? Come evitare di reagire allo stesso modo, o peggio, guardare da un’altra parte? Ma in Lutrec non c’è un disturbo della personalità, né una patologia esistenziale, c’è il rischio della sconfitta, per non esser stati capaci di intervenire con scienza e coscienza. Dietro la maschera del duro c’è un’intelligenza viva, lucida e creativa. Dietro quella maschera indossata a difesa ed offesa, c’è il peso delle tragedie vissute, del dolore incamerato e mai elaborato, delle sofferenze accatastate e mai del tutto superate. Lutrec non conosce ancora la propria storia, la propria dimensione, il proprio spazio e tempo, rifiuta i ruoli all’intorno, porta addosso un’eredità mai voluta né condivisa. Non ha deficit cognitivi, né turbe emotive strutturali, alla sua età, è stravagante per monopolizzare l’attenzione, ricorda ma non accetta le assenze eterne, né i rifiuti delle presenza rimaste. Lutrec è un respiro ansioso, che sente la minaccia del rifiuto e dell’abbandono. Osservandolo, ho pensato quanto siamo tutti dottorandi di filosofie comportamentali astratte, a tal punto da ingabbiarlo in una serie di mancanze, che hanno prodotto  l’otturazione delle intercapedini ove stanno in embrione i mondi futuri. Riflettendo con parsimonia di giustificazioni, ma con maggiore onestà intellettuale, si potrebbe sostenere che le negatività messe in atto da Lutrec non sono altro che la esplicitazione di una superficialità verso la propria persona e i propri sentimenti: frutto di un modello genitoriale per lo meno indeguato. Ecco allora la sua paura, la sua sfiducia in se stesso e negli altri, la sua convinzione di non valere qualcosa, né di poter fare cose significative per il proprio futuro. E questa percezione genera diffidenza, disimpegno, alimenta solo l’attenzione al “tutto e subito, qui e ora “. Mi rendo conto che esprimo sensazioni dettate dalla mia vista, dal mio udito, mancanti di una competenza scientifica, ma penso che si diventa responsabili se e quando si esercitano responsabilità reali, seppure appropriate all’età. Non certamente attraverso una conduzione educativa assistenziale, fatta di tante cose date gratis, e di un po’ di regole ( sì, necessarie, ma che possono generare dipendenza, e quindi assuefazione al “ tanto mi dà tanto”, perché in questa ottica verrebbe a mancare la vera responsabilizzazione, quella basata sulla fiducia, sulla tecnica dialettica che non consente agli interlocutori di barare. Don Enzo Boschetti, fondatore della Casa del Giovane, ci ha insegnato che “si educa e rieduca solo con l’amore e la fiducia…”: questo è il solo modo per andare incontro alle solitudini che devastano il mondo giovanile, alle incapacità di trasformare relazioni interpersonali conflittuali, in relazioni vere, che servano ad elevare anima e cervello, quindi a costruire nuove convivenze e comunità. (Vincenzo Andraous - Carcere di Pavia e tutor comunità Casa del Giovane di Pavia - Febbraio 2002).

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Progetto Sorriso El Salvador

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.

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RICORDO
 
La sua lunga carriera era iniziata nel primo dopoguerra, quando diresse un sanatorio vicino a Lavarone. Diresse l’ospedale di Borgo Trento
 
Angelo Barbieri, una vita spesa al servizio della sanità
 
Protagonista di battaglie condotte con il Tribunale del malato e Veneto Salute, si è spento a 79 anni
 
A 79 anni di età, dopo una lunga malattia, è morto domenica 17 febbraio il dottor Angelo Barbieri. Molti lettori collegano il suo nome alle coraggiose battaglie portate avanti prima in nome del «Tribunale del malato» e poi di «Veneto salute», associazioni di cui il medico veronese fu per lunghi anni l'autorevole e infaticabile portabandiera. Ma oltre a questo, Barbieri aveva contribuito allo sviluppo della moderna sanità in una lunga carriera iniziata sin dal primo dopoguerra. Nel 1946 diresse un sanatorio vicino a Lavarone, dove poi restò fino al 1950 come medico condotto. Si trasferì poi ad Ancona, dove divenne il responsabile dell'Inam fino al 1965. Successivamente fu nominato direttore sanitario degli ospedali di Thiene, Bussolengo, Desenzano, Chioggia e Verona, dove diresse l'ospedale di Borgo Trento nel 1984. Partì con lui il primo progetto di ristrutturazione dell'ospedale civile. Esperto di organizzazione e amministrazione sanitaria, coordinò sia l'apertura degli ospedali di Desenzano e Chioggia, sia la ristrutturazione degli ospedali di Montecchio, Arzignano, Villafranca e Castiglione delle Stiviere.
In pensione dal 1990, il dottor Barbieri era stato poi nominato, nel 1993, amministratore straordinario dell'Unità sanitaria locale e del Policlinico di Padova.
Molto attivo e dinamico nella collaborazione con gli organi legislativi nazionali, autore di apprezzati saggi su riviste scientifiche, Barbieri aveva redatto piani di riforma sanitaria che avevano, con straordinario anticipo, elaborato la filosofia - oggi attualissima - di integrazione fra ospedale e territorio.Questa straordinaria competenza non appannò mai la sua vocazione, quasi una viscerale passione, a difendere il malato, a tutelarne i diritti, a porre freno a quei piccoli e grandi abusi che, dietro le pareti di ogni ospedale, per uno squilibrato rapporto di poteri e di convenienze duro a morire, si viene talvolta a creare. Così anche da malato, stavolta lui stesso, onorò l'impegno e, a dispetto del male che pure lo affliggeva, non mancò di denunciare disservizi, suggerire rimedi e proporre alternative con l'autorevolezza della sua prestigiosa carriera professionale. Fino all'ultimo. (Danilo Castellarin)

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Pensieri @ltri 

RIMANERE INSIEME
(una chicca di saggezza dallo Zambia)
 
Un uomo aveva quattro figli, che litigavano sempre tra loro, anche solo per sciocchezze. ci soffriva tanto, anche perchè cominciava ad invecchiare, per cui temeva il peggio per la sua famiglia. decise, così, di fare un ultimo tentativo perchè la smettessero. Li chiamò tutti e quattro e li fece sedere in fila indiana. Poi portò un fascio di rametti ben legati insieme e lo diede al figlio più piccolo. "Prova a spezzare tutto il fascio in un colpo solo", gli disse il povero vecchio. Il ragazzo ce la mise tutta, ma non ci riuscì.
Allora il padre passò il fascio al più grandicello, poi al secondogenito  e  infine al più grande dei figli... Ma per quanto ci provassero, facendo leva col ginocchio e gonfiando le vene nello sforzo, fallirono tutti la prova.
Con un mesto sorriso, il vecchio prese allora un coltello e, recisa la corda che teneva i bastoncini uniti insieme, cominciò a passarli -uno alla volta- al figlio più piccolo, ordinandogli: "Spezzalo, adesso!". Manco a dirlo, il bambino lo spezzò, senza sforzo alcuno. "Spezza anche questo... e questo ancora..." Quando il bimbo ebbe finito di spezzare tutti i rametti, il vecchio commentò:
"Figli miei, se sarete uniti come quel fascio, che nessuno di voi è riuscito a spezzare, nessun nemico potrà mai farvi del male! Ma se vi dividerete, sarete preda di chiunque vi vorrà male, come rametti che anche un bimbo può spezzare!"
 
VOLTAIRE
Non sono daccordo con quello che dici e fai ma mi batterò fino alla morte affinchè tu abbia il diritto di dirlo e farlo. (Voltaire)
 
Io sono nata a Kandahar 22 anni fa

Questo messaggio è una preghiera. Pochi decidono per tutti, in questo mondo. Gli altri tacciono e subiscono. Siamo tutti uguali, il sangue scorre rosso, il dolore si esprime in grida e lacrime. Per tutti. Io sono nata a Kandahar 22 anni fa, sono stata in Italia per quasi tutta l'infanzia e di questo non smetterò mai di ringraziare mio padre che ha voluto che io vedessi un mondo diverso di pace, poi sono tornata in Afghanistan, dove c'era tutta la mia gente. Ho conosciuto gli italiani, sono come noi. Ho amato la capacità degli italiani di capire, di non giudicare, di commuoversi. Così a questo popolo che ho amato invio la mia preghiera. In Italia c'è la mafia che si è diffusa come un cancro in tutto il mondo, facendo male e tanto. Sono felice che nessuno per questo abbia mai pensato di bombardare l'Italia, di darla da governare a stranieri, di riempirla di bombe, mine e pianto. Sono felice perché la mafia non avrebbe perso mentre gli italiani avrebbero visto i loro sogni trasformarsi in orrore e incubi. Ero a Kandahar quando sono cominciati i bombardamenti occidentali. Ero là con il mio bimbo e il mio giovane uomo. E così il mio giovane uomo è andato a combattere. Non volontario, non terrorista. E' partito perché i giovani ragazzi vengono arruolati dagli eserciti in tutto il mondo quando c'è guerra. Aveva 20 anni e se n'è andato senza guardare il suo bimbo che piangeva. Forse immaginava che non l'avrebbe visto più, non voleva ricordarlo in lacrime. Cadevano le bombe l'ultima volta che l'ho visto vivo, il rumore era assordante e la gente gridava e correva in cerca di rifugi che non ci sono. Così non so se ha sentito il mio saluto. L'ho accompagnato per alcuni metri lungo la strada e per una volta ho gioito di indossare il burqa. Non ha visto lacrime ed erano tante, ha portato il mio ricordo mentre gli dicevo che nessuna bomba e nessun nemico può uccidere chi è protetto da un amore grande, come il mio per lui. Ma l'amore in Afghanistan ha perso da tempo. E il mondo è piccolo e se l'amore perde, perde per tutti. La notte ho stretto forte il mio bimbo che non dormiva più. Chiedeva perché ma io non so che rispondergli. Non si può dire a un bimbo che il mondo odia il terrorismo che significa uccidere gli innocenti e così, per risposta, bombarda noi. Tutto quello che quella notte, quella dopo e quelle prima gli dicevo era "mamma è qui con te,  non piangere, mamma è qui con te". E ora vorrei morire perché in una di quelle notti da incubo la casa è esplosa su noi abbracciati. E che ha potuto fare mamma per il suo bimbo? Gli avevo promesso protezione, la bomba è caduta e lui nel terrore mi ha guardata come a ricordarmi la promessa. Non ha urlato, questo lo ricordo. Io l'ho fatto ed era un grido animale che mi risuona nelle orecchie in ogni istante, sono saltata sul corpo del mio piccolo come un'aquila sulla preda. Sentivo del sangue scivolarmi lungo le gambe e tra il dolore e l'angoscia non capivo di chi fosse, continuavo a pregare Dio che fosse il mio, a implorarlo che fosse il mio. Non lo era. Come vorrei spiegare a tutte le mamme. ma le mamme, lo so, non hanno bisogno di altre spiegazioni. Alzi gli occhi al cielo e vorresti solo morire, perché tutto il resto non importa, perché non c'è niente che può consolarti, perché la morte è nulla per una madre quando ha suo figlio che grida tra le braccia. Ho chiesto a Dio di mandare un'altra bomba a uccidermi, sentivo di non farcela. Invece stavo già correndo, cercando aiuto, tra le bombe e le fiamme e altre mamme con fagottini sanguinanti tra le braccia. Il mio bimbo vivrà senza le gambe, urla tutto il giorno, si lamenta tutta notte. Ho affidato la mia lettera a un'amica che è corsa via per salvare i suoi, io da qui non posso scappare, il mio bambino è steso in un letto. Aspettiamo la fine, le bombe continuano a cadere e io spesso chiedo ad una di colpirci per non vedere il resto, per non dover dire a lui che gli ho dato una vita senza futuro, per non dovergli dire che lo aspetta solo il dolore. Spero che ci colpisca e ci porti via insieme, in un posto nel quale io possa proteggerlo, solo questo sarebbe il mio Paradiso. Ho affidato così la lettera a un'amica che è scappata in Europa. E' per gli italiani, popolo che ho amato e nel quale credo ancora. Non credo che nessuna delle belle persone che ho incontrato lì da voi avrebbe voluto pagare con le sue tasse la bomba che ha tolto le gambe e la speranza a mio figlio. Eppure quella bomba l'avete pagata voi, tutti voi, togliendo i soldi alle pensioni dei vostri vecchi o i soldi per i vostri malati e dandoli invece per colpire i nostri bimbi. Se favorire involontariamente chi uccide innocenti è terrorismo allora gli italiani sono terroristi? Non lo sono, come non lo sono io. Siamo le vittime di questa guerra. Non cestinate la mia preghiera, voglio immaginare che esiste una speranza, che chi non ha soldi o interessi possa dire non uccideteci più. Non cestinate la mia speranza. Penso che magari se ci stringiamo tutti potrebbe non succedere più e altri bimbi come il mio correranno ancora, con le loro  gambe, davanti ai loro genitori orgogliosi. Vi prego mandate a tutti questa mia. Spedite a tutti la mia storia, che almeno a qualcun altro possa servire, ho in mente questa lettera mentre sto vicino a mio figlio aspettando. Quando cadrà Kandahar pensate anche a noi. Anna.
 
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