2/2/2002 - Roma - NASCE IL COMITATO DI
PARLAMENTARI DELL'ULIVO "LA LEGGE E' UGUALE PER
TUTTI"
Si è costituito oggi a Roma il Comitato "La
legge è uguale per tutti", composto da parlamentari dell'Ulivo. Questo il testo
che annuncia la nascita del nuovo Comitato. "La legge è uguale per tutti. Noi
parlamentari della Repubblica crediamo che questo principio sia fondamento della
libertà dei cittadini. Scolpito nei nostri tribunali, esso viene oggi calpestato
da chi ha il governo del Paese. Vengono fatte leggi per salvare i potenti dai
processi in cui sono imputati; si intimidiscono i giudici che fanno il loro
dovere; si progetta il ritorno all'immunità parlamentare. Per difendere quel
principio, perché la giustizia sia al servizio dei cittadini, garantisca i loro
diritti e non dia spazio ai furbi; per testimoniare la nostra determinazione a
batterci fino in fondo per la democrazia e la legalità repubblicana; noi ci
costituiamo nel comitato "La legge è uguale per tutti" e invitiamo tutti ad
aderirvi e a manifestare con noi il 2 febbraio a Roma". ("Una volta un giudice
giudicò chi aveva dettato le leggi. Prima cambiarono il giudice; e subito dopo
la legge". Fabrizio de André, Sogno n.2)
Il Comitato ha deciso di indire
una manifestazione nazionale a Roma per il 2 febbraio alle ore 16 in piazza
Farnese.
Questi i parlamentari promotori del Comitato: Giuseppe Ayala,
Alessandro Battisti, Daria Bonfietti, Francesco Bonito, Renato Cambursano, Mario
Cavallaro, Nando dalla Chiesa, Loredana Depetris, Tana de Zulueta, Anna Donati,
Giuseppe Fanfani, Maurizio Fistarol, Elvio Fassone, Paolo Gentiloni, Roberto
Giachetti, Giovanni Kessler, Carlo Leoni, Marina Magistrelli, Pierluigi Mantini,
Roberta Pinotti, Gabriella Pistone,Vincenzo Siniscalchi, Albertina Soliani,
Patrizia Toia, Giampaolo Zancan . Il Comitato ha indicato il proprio portavoce
in Nando dalla Chiesa
9/2/2002 - San
Bonifacio (VR) - Pensando alla Pace/4: Esperienze di mediazione
interculturale
«ESPERIENZE DI
MEDIAZIONE INTERCULTURALE» è il titolo dell’incontro dibattito
organizzato dal «Forum delle comunità in dialogo» in collaborazione con 7
associazioni di volontariato dell’Est veronese e con il patrocinio del Comune di
San Bonifacio. All’incontro, che si terrà presso la Sala Civica “Barbarani” di
San Bonifacio alle ore 9,30, interverranno: Mauro Gonzo (Psicologo Ulss 5
Vicenza Ovest), Federica Cacciavillani (Centro Territoriale Permanente di San
Bonifacio), Maurizio Mazzi (Associazione «La Fraternità» di Verona, impegnata
nell'assistenza ai carcerati. Coordina Amedeo Tosi (giornalista).
10/2/2002 - Colognola ai Colli (VR)
- Ricordare padre Turoldo
Memoria di Padre DAVID M.
TUROLDO a dieci anni dalla morte. Domenica 10 febbraio 2002 ore
18,00 - 19,30 presso la chiesa romanica di Pieve di Colognola ai Colli
(VR)
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IN PRIMO
PIANO
APOCALISSE E NATIVITA' A
KOROGOCHO
di GIANFRANCO BETTIN
Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia, sociologo impegnato
nella solidarieta', racconta in questo articolo una visita a padre Alessandro
Zanotelli a Korogocho, la baraccopoli ai margini di Nairobi, in Kenia, in cui da
molti anni il missionario vive ed opera.
La donna arriva nel cuore della notte. Nessuno sta
comunque dormendo. Alcuni ragazzi, ubriachi e fatti di colla sniffata, hanno
fatto casino fino a poco fa, nei paraggi. Quando si sente bussare alla porta
della baracca, padre Alex chiede chi e' e capisce subito che si tratta di un
altro arrivo da Kybera, la baraccopoli sconvolta da giorni da una rivolta
violentissima. Korogocho e' grande, e non manca di persone generose, pronte ad
accogliere anche questa sfollata. Serve una coperta, pero', almeno quella. Alex
fruga nella baracca in cui vive da dodici anni - tre stanze, una cucina, una
specie di patio con un tetto in lamiera - e che adesso ospita anche noi, per
qualche giorno, e infine una coperta la trova. Per questa notte, la donna in
fuga, come le altre persone arrivate finora, avra' un riparo e un po' di caldo.
Le notti sono fresche, infatti, anche adesso che e' primavera avanzata. A
gennaio sara' estate, ma Nairobi e' pur sempre una capitale d'altopiano, a molti
metri sul livello del mare (il piu' vicino e' l'Oceano Indiano, sulla ricca e
stravolta costa orientale dell'Africa, paradiso dei fan di Malindi e di
riciclati e riciclatori di ogni sorta). La differenza tra il giorno e la notte
si sente: se durante il giorno fa caldo, o caldissimo, nelle baracche di fango,
cartone e lamiera, quando il sole tramonta la temperatura puo' scendere
bruscamente, anche nel dedalo di vicoli e stradine cieche, nell'immensa
baraccopoli disposta a schiena d'asino sulla collina, che ospita un numero
incalcolabile di persone. Nairobi avra' un milione di abitanti "normali", una
piccola parte dei quali benestante, dislocata in centro - tra grattacieli di
stampo occidentale - o nei blindati quartieri residenziali, ordinati e
verdissimi, dall'aria coloniale e old style, come quello in cui la vecchia casa
di Karen Blixen e' stata trasformata in un museo, dove non mancano, coi cimeli
autentici della grande scrittrice danese che vi visse tra il 1915 e il 1931, le
pacchiane reliquie del film multi-Oscar di Sidney Pollack con Meryl Streep e
Robert Redford. A questo milione di fortunati e di poveri "ordinari", si
affianca - anzi lo circonda - una massa di un altro paio di milioni, o forse
piu', che vive nelle baraccopoli, alcune delle quali battezzatesi "Soweto", in
onore dello slum sudafricano che fu teatro di una famosa rivolta. Le piu' grandi
di queste baraccopoli sono appunto Kybera e Korogocho. Nelle baracche, qui, si
paga l'affitto: deve essere uno dei pochi casi al mondo. Ci sono padroni anche
negli slums, e del resto chi li abita, a differenza di molte altre realta'
analoghe del mondo, non e' solo la componente piu' marginale della societa'
locale. Al sottoproletariato, agli sradicati di ogni sorta, a coloro che
praticano in mille modi l'arte di arrangiarsi, si affianca una massa di
lavoratori industriali o di addetti ai servizi, gente che lavora quindi niente
affatto ai bordi del sistema ma che non potrebbe pagare affitti normali e che,
dunque, e' costretta a vivere nelle baracche. Le baracche consentono a costoro
di restare in citta' e di lavorarvi, pochissimo pagati e ancor peggio trattati,
e dunque hanno un ruolo chiave, strutturale, nel sistema sociale e nella realta'
urbana di Nairobi. Il Kenya - "il pericoloso, decadente, saccheggiato e
indebitato Kenya", come lo descrive John le Carre' nel suo ultimo romanzo, Il
giardiniere tenace (Mondadori), una storia di delitti e intrighi di
multinazionali farmaceutiche ambientata proprio in questo paese tragico e
bellissimo - il Kenya e' un pezzo d'Africa insieme futuribile (nell'accenno di
metropoli moderna che Nairobi e') e primordiale, selvaggio nelle sopravvivenze
naturali, tutelate nei parchi e nelle riserve, a volte con misura e decisione,
altre volte in modo velleitario e/o pacchiano. Cosi', se si va nelle grandi
riserve e nei parchi immensi dove circolano i leoni e gli elefanti, le giraffe,
le antilopi e i rinoceronti e tutta l'altra fantastica fauna che vi abbonda
protetta, ci si sente un po' trepidanti, temendo di essere li' a far visita a
una fragile reliquia d'altre epoche, o a una vecchissima nonna un po' male in
arnese e che si potrebbe perdere da un giorno all'altro anche se, insomma, viene
abbastanza curata nella clinica o nell'ospizio in cui si trova.
Vite nel fango
Al contrario, il Kenya, l'Africa, che ti viene incontro
quando entri a Korogocho o a Kybera o nelle altre baraccopoli e' forse un
continente giovane o giovanissimo, un continente bambino addirittura, quantomeno
affollato di bambini, poco o mal nutriti, poco o mal vestiti, poco o mal curati
in ogni senso, se non da qualche eroe motivato. Come la protagonista del romanzo
di Le Carre'. O come, nella viva realta', Alex, e con lui i fratelli e le
sorelle di fede e tutti gli altri volontari che gli danno una mano e che
lavorano a progetti per prevenire o curare o lenire (soprattutto) malattie - a
cominciare dalla devastante Aids che implacabile miete vittime - a mitigare le
sofferenze della poverta', a costruire orgoglio e dignita', e coscienza
politica. Sono tutte attivita' e "missioni" cruciali nel lavoro di Alex
Zanotelli, quanto la cura delle anime, in senso letterale vorrei dire, cioe' la
presentazione e la spiegazione della Parola, legittimata da una piena
condivisione della vita altrui. Che e' la vita delle baracche, del fango e della
polvere di Korogocho, dei suoi stenti, della sua desolata poverta', delle sue
tensioni strazianti e sconvolgenti, sempre sul punto di esplodere, come questa
volta e' avvenuto a Kybera. Ogni sera, Alex porta questa Parola in una baracca
dove celebra la Messa. Con paramenti poveri, ma ricchi dei colori piu' belli
dell'Africa, accompagnato da strumenti musicali indigeni, in un kiswahili ormai
sperimentato e fluente, raduna intorno a se' la famiglia ospitante e le altre
che formano la piccola comunita' cristiana della zona (ve ne sono trentasei a
Korogocho, dedite alla cura della comunita', anima e corpo, e all'ascolto della
Parola).
La forza della testimonianza politica di padre Zanotelli, ben nota,
puo' forse offuscare il nitore del suo impegno di fede, ma basta vederlo
all'opera tra queste baracche e questi vicoli affumicati, tortuosi, rischiosi,
tra polvere, fango e rifiuti, per capire immediatamente che la dimensione di
fede resta centrale - che e' il centro vero, per molti aspetti - del suo
impegno. Eppure, cio' non riduce o depotenzia il suo concreto attivarsi in
favore di chi ha bisogno e la portata direttamente politica del suo agire e
parlare. Ci dice un ragazzo, un catechista, che "Alex e' molto importante per
l'Africa", e che ogni volta che va alla televisione kenyana a parlare - ogni
tanto gli capita - riesce a interpretare speranze e paure dell'intero
continente. Gli spiace molto che debba tornare in Italia, il prossimo anno.
Spera che padre Daniele, il giovane comboniano che lo sostituira', ne ripercorra
i passi. Per capire il bisogno vertiginoso di conforto e di rivolta, basta
ascoltare Thomas, che oggi ha perso due dita in un incidente di lavoro - faceva
il falegname - che gli costera' anche il licenziamento. Che se ne fa la
falegnameria di un uomo con qualche dito in meno? Thomas e' disperato, anche se
e' circondato dall'affetto dei tre figlioletti e della giovane moglie in una
catapecchia che, fra le poche, e' collegata, abusivamente, alla rete elettrica e
puo' perfino far funzionare un piccolo antiquato televisore in bianco e nero.
Questo minimo livello di benessere sara' spazzato via in poche ore dalla perdita
del lavoro, e tutti lo sanno. Per questo sono come schiacciati da una sventura -
e per questo, come puo', Alex cerca di confortarli (e di prestar loro concreto
aiuto, anche). Le altre due ragazze che visitiamo stasera sono invece malate di
Aids, come troppi qui e in tutta l'Africa, e la speranza sembra averle
abbandonate da molto tempo - e avere solo il volto di questi volontari che hanno
accettato di venire a vivere qui e di darsi da fare. Scuola, sanita', trasporti,
tutti i servizi essenziali costano troppo per quasi tutti, in questo paese: ci
si arrangia da soli, allora, o con l'aiuto di qualche strano eroe venuto da
lontano. Anche le altre visite saranno di questo tipo, salvo quelle che ci
portano alle sedi delle attivita' lavorative o di recupero (per bambini di
strada o ex prostitute) promosse in questi luoghi impervi socialmente ed
esistenzialmente, oltre che materialmente.
Natale in discarica
"Ce n'e' sempre una", scherza Alex, che per questo non
riesce quasi mai a giungere puntuale agli appuntamenti. Prima di arrivare alla
baracca dove avrebbe tenuto la messa, ieri sera, ha girovagato a lungo,
scoprendo ovunque - facendoci scoprire, per lui e' la norma - lo stesso carico
di dolore, solitudine, ingiustizia. E, naturalmente, di rabbia che cresce, che
monta, che esplode come a Kybera, o come nella provincia vicina, dove ci si e'
ammazzati per il diritto a pascolare e usare l'acqua dei pozzi. O come nelle
parole di due ragazzi, peraltro colti e riflessivi, niente affatto esagitati,
che discutendo dell'11 settembre e dell'Afghanistan (i giornali locali riportano
la notizia di arresti di presunti membri di Al Qaeda) ci dicono: "The Talibans?
They are a very good men. Osama? An idealist". E' un'Africa apocalittica, quella
vista da qui, che sembra fatta apposta per incupire ancor piu' l'immagine che ce
ne siamo fatti in Occidente: un continente ormai perduto e moribondo, oscuro.
Un'immagine che non piace affatto a uno dei principali viaggiatori e conoscitori
occidentali dell'Africa, Ryszard Kapuscinski, che contesta questa visione
nerissima e che, anzi, dichiara che la "prima cosa che ti colpisce dell'Africa
e' la luce" (Ebano, Feltrinelli). E ha ragione, davvero. "Mount Kenya", dice
l'hostess indicando fuori del finestrino. E' l'alba, appena spuntata, alle sei,
ed esattamente di fronte a noi dopo una notte di volo si staglia l'ombra solenne
e svettante, inconfondibile nel suo profilo frastagliato, della montagna piu'
alta dell'Africa dopo il Kilimangiaro. Oltre l'ombra, il cielo si infiamma di
luce viola rossa e gialla. La luce dell'Africa, che illimpidisce i cieli e gli
orizzonti, e che fa sentire piu' atroce la sconfinata ingiustizia che illumina.
L'Apocalisse attorno a cui riflettono le comunita' di Korogocho, insieme ad
Alex, e' invece quella biblica, letta e discussa attentamente in questo periodo,
con l'ausilio di interpretazioni come quella di Wes Howard-Brook e Anthony
Gwyther (L'Impero svelato, Emi, con prefazione dello stesso Zanotelli). Una
lettura che vede in questo "disvelamento" un manifestarsi della verita' intorno
alla struttura del mondo contemporaneo, letto sullo sfondo, e con la chiave
interpretativa, della vicenda di Roma imperiale. Apocalisse non come catastrofe
totale, quindi, ma come crisi di quelle strutture di oppressione e di
sfruttamento che sono alla radice anche della tragica condizione odierna di
miliardi di uomini e donne. E di bambini e bambini e bambini, viene da dire,
guardando alle strade e alle baracche di Korogocho, affollate di piccoli che ti
vengono incontro ripetendo sorridenti - sempre sorridenti! - "How are you? How
are you?" come un saluto e come una filastrocca. Bambini che quasi sempre vivono
solo con le madri - spessissimo abbandonate dai padri dei loro figli e scacciate
dalla stessa famiglia d'origine quando restano incinte - e che non di rado
vivono da soli, e da soli si arrangiano. Ci sono solo quelli come Alex ad
aiutarli, le scuole pubbliche costano troppo (le rette sono aumentate ancora,
del 30 per cento, lo scorso anno, provocando un nuovo crollo delle iscrizioni,
anche fra i ceti medi: cosi' restano sempre piu' spesso solo le opportunita'
educative fornite dai volontari, o dalle scuole delle varie sette cristiane o
musulmane che anche cosi' mirano a far nuovi adepti). Bambini ovunque, bambini
soli, come le loro madri, perfino piu' sole queste ultime: nella baracca accanto
a quella di Alex, che serve da centro di accoglienza per donne sole, un giovane
artista di Korogocho, che si firma Moses K., ne ha dipinto sulle pareti la "via
crucis", in parallelo a quella di Cristo, dal momento in cui restano gravide
all'abbandono alla vita sulla strada, in prigione, e fino alla morte e -
speranza e fede - alla resurrezione. Se ci sara' resurrezione, infine, nessuno
puo' dire, anche se la fede che si vede all'opera qui, e che risuona nelle
parole di uno come Alex, lascia scossi, sconcertati, felicemente e
drammaticamente provocati. Quel che e' certo e' che, di sicuro, c'e' nativita',
e non solo perche' nascono bambini comunque, di continuo, e neanche solo perche'
e' Natale. Perche', piuttosto, in questo nesso tra Apocalisse - catastrofe e
disvelamento - e Nativita' - rinascita e speranza, opportunita' - sembra imporsi
ogni giorno di nuovo la sfida della vita, e quindi dei suoi diritti e della sua
energia insopprimibile. La veglia di Natale di Korogocho quest'anno e' stata
fatta sulla discarica - a "Mukuru" - dove ogni giorno migliaia di persone
contendono agli uccelli rapaci e ai topi, e ai propri rivali umani, i rifiuti.
Rifiuti da riusare, riciclare, rivendere, o di cui cibarsi. Col popolo della
discarica, a mezzanotte, Alex ha detto, nella lingua di Korogocho e di tutta
l'umanita' piu' consapevole "Mtoto Amezaliwa Yesu Amezaliwa Mukuru": un bambino
nasce, Gesu' nasce, nella discarica.
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SOLIDARIETA'
VOTA ANCHE TU
!
La CNN sta effettuando un sondaggio in cui chiede se si debba o meno
inviare degli osservatori internazionali in Israele e nei territori
palestinesi.
Andate all'indirizzo http://home.netscape.com/ex/shak/international/packages/mideast/ e
votate sì in basso a destra! Inviate questo messaggio a tutti gli indirizzi che
avete. La percentuale è attualmente di 33 % "sì" e 67 % "no". Votiamo e facciamo
votare per ribaltarla! Facciamo sentire che esiste un'opinione pubblica a favore
dell'invio di osservatori al fine di proteggere la popolazione civile. Da tempo
i responsabili palestinesi e il movimento per la pace israeliano lo reclamano.
La richiesta ci è stata fortemente confermata durante la missione Action for
Peace "Capodanno in Palestina" nei giorni scorsi e abbiamo potuto verificare
direttamente come la situazione lo richieda davvero viste le gravissime e
disumane violazioni dei più fondamentali diritti umani quotidianamente
perpetrate.
Legge 20 luglio 2000, n.
211
"Istituzione del "Giorno della
Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e
dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del
31 luglio 2000
Art. 1.
1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei
cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la
Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione
italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la
prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi,
si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno
salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2.
1. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo
1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di
narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni
ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e
politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia
la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in
Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.
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MASSMEDIA e TAM TAM
vari
SITI DA
VISITARE
3) Notiziario femminile www.femmis.org ."Femmis",
Feminine missionary information service, e' il notiziario telematico
femminile promosso dalle Missionarie Comboniane (Pie Madri della
Nigrizia). Femmis e' un servizio informativo in sinergia con tutti e tutte
coloro che, come noi, sono sensibili alla situazione femminile nel mondo. La
notizia vista e scritta da donne che fanno dell'informazione senza esclusioni,
la loro missione. La formazione di donne, protagoniste della loro informazione.
Femmis offre ogni giorno: Una frase, un proverbio, una ricetta, un detto sulla
donna e altro. Ogni settimana: Una foto, un profilo di donna e un articolo
d'attualita'. Ogni mese: Una rassegna stampa, notizie sul mondo femminile e un
dossier della rivista "Raggio". Links a siti e bibliografia femminile. Femmis e'
membro dell'associazione WIN (Women's International Network).
immagini
e métissages
cinema
e confluenze interculturali - Venezia,
Videoteca Pasinetti, 22 gennaio – 26 marzo 2002
E’
uno sguardo, quindi un’analisi e un approfondimento, su quell’universo complesso
e avvincente di contaminazioni, sincretismi, ibridazioni e ibridità, confluenze
e mélanges, insomma métissages. La rassegna presenta una selezione di film –
lungometraggi e cortometraggi di fiction e documentari - che interpreta
attraversamenti e compenetrazioni tra codici culturali distinti, sconfinamenti e
interferenze tra molteplici configurazioni di valori, comportamenti, modi di essere, nel contesto di un
Mediterraneo storicamente ricco di feconde itineranze. La rassegna nasce nell’ambito del Master
europeo in “Mediazione intermediterranea: investimenti e integrazione”,
coordinato dall’Università Ca’ Foscari, Dipartimento di Studi Eurasiatici e si
avvale della collaborazione del Comune di Venezia – Ufficio Attività
Cinematografiche e anche dell’Associazione Veneziana Albergatori. Grazie inoltre
alla Délégation d’action culturelle de l’Ambassade de France à Venise e
all’Associazione culturale italo-francese/Alliance française è stato possibile
organizzare un intervento del critico cinematografico André Videau alla
presentazione della rassegna, il 29 gennaio prossimo, all’Auditorium
S.Margherita (ingresso libero). Le altre proiezioni si svolgono alla Videoteca
Pasinetti alle ore 16 e alle 21 di ogni martedì (programma e presentazione al
sito www.unive.it/migrante). L’ingresso alla
Pasinetti è riservato ai soci (la tessera costa 13 euro). Oltre che agli
studenti del Master MIM e ai soci ACIF. (Laura Cappellesso)
OMAGGIO A PADRE DAVID MARIA
TUROLDO
L'intervista che segue è stata pubblicata dal mensile Nordest
nell'ottobre 1985.Un messaggio di speranza e
di pace
Due ottobre, ore 17.00.
Incontriamo padre David nella casa di don Adami. Pensavamo di averlo finalmente
tutto per noi. Invece è di là, affaccendato come sempre: articoli, interviste e
incontri, sempre tanti incontri con persone che vogliono anch'esse accoglierlo,
ascoltarlo, parlargli un attimo. Ogni volta così. Poi appare sulla soglia e
ritroviamo improvvisamente un uomo di 69 anni, rughe e acciacchi gli scavano il
volto. Eppure è ancora lui, la voce che rumina e tuona è la stessa,
inconfondibile, e ci rinfranca. E' stata una conversazione tra amici, ci ha
ascoltato con pazienza e parlato con franchezza. Non volevamo noi fargli pesare
troppo il tempo con i nostri eterni problemi. Ma è grazie a uomini come lui se
la speranza è ancora viva tra questi giovani che affollano il sagrato della
chiesa di San Zeno per ascoltarlo. E ascoltare le poesie dalla sua viva voce, la
stessa sera, non è stato facile, troppo forte la commozione e l'impatto con le
nostre coscienze. Nessun grido, stavolta. Soltanto un canto, ora amaro ora
dolcissimo, che redime il tempo e lo salva dall'usura degli
uomini.
Abbiamo pensato di
pubblicare integralmente l'intervista, come omaggio a Turoldo e a tutti i
lettori che con noi condividono il suo biblico messaggio di speranza e di
pace.
Grazie,
David.
Giuseppe
Zambon
Eliano
Zigiotto
Perché poeti nel tempo
della miseria? Che senso ha evocare/invocare la Parola quando le parole vivono
pellegrine in una terra di nessuno?
La parola è creatrice, la parola è
virtù e potenza. Cristo è la parola vivente, non si può fare senza la parola.
Anzi, è nel tempo della morte, nel tempo del silenzio, che è urgente la parola.
Credo che sarà una parola a salvarci nella misura in cui è una parola vera e
autentica detta nel tempo giusto, "opportune importune" dice la Bibbia, che
opportunamente e inopportunamente sprona, richiama, sferza, grida. La voce che
grida nel deserto è sempre stata leale. Anzi più si fa deserto, più è
necessaria.......Sai, cosa - qui è necessario dire "la" parola, invece di molte
parole. Qui è necessario arginare il fiume delle parola, cominciare per esempio
a richiamare i politici a fare un discorso che sia identificabile, che sia
verificabile, perché tutti i politici parlano e fanno lo stesso discorso: tutti
parlano di pace e intanto ti fanno le guerre stellari; tutti parlano di
giustizia e poi ti danno le stangate sui poveri e saranno sempre i poveri a
pagare le tasse; parlano di socialismo e invece non c'è nulla di socialismo. Si
tratta allora di riscoprire l'autentica parola contro il mare delle parole e
quindi a maggior ragione è necessario il poeta, è necessario il profeta, è
necessaria la voce che grida nel deserto. Anzi, senza di questo, siamo
perduti!
Certo, l'impresa è improba, il
compito è sempre più difficile e rischi di non essere creduto, anche tu puoi
franare nel mare delle parole ed essere una parola fra le tante. Tuttavia, a
maggior ragione, devi uscire dalla maturazione del silenzio. Mi viene in mente
quel monaco che stava sempre sulla collina per ritrovare il senso della
contemplazione e del silenzio - ma è un altro silenzio, questo, è un altro modo
di essere presente. Dice la leggenda che in un monastero c'era un monaco murato
da anni e anni dentro una cella che viveva in contemplazione assoluta e in
assoluto silenzio. Sennonché un giorno scoppiò un immenso incendio che stava per
avvolgere tutto quanto il monastero. I confratelli non sapevano come avvisare il
monaco che viveva da eremita. Finalmente, attraverso urla e grida, si son fatti
sentire " Padre, padre, il monastero brucia" e il Padre uscì calmo e sereno,
pronunciò una sola parola e le fiamme si ritirarono. Era la parola maturata in
anni di silenzio che spense l'incendio. Forse forse, noni non abbiamo ancora
maturato la vera parola per spegnere l'incendio che tutti ci minaccia. Ho paura
che siano troppe le parole, ma nessuna maturata in questo profondo
silenzio.
E' ancora tempo di
monaci?
Sì, anzi è sempre più tempo di
monaci. Vedi, il monaco è contemplativo. Il contemplativo in antico era colui
che possedeva uno strumento per misurare il valore delle cose. Questo strumento
era come un quadrato e l'aruspice si concentrava nel centro che era attraversato
da fasce di linee convergenti: era uno strumento per la concentrazione del
pensiero. Poi, perché l'aruspice non fosse disturbato, ecco che allargano lo
spazio e fanno su di lui una specie di riparo. Attraverso quello strumento egli
veniva a conoscenza dell'altezza, della profondità, della larghezza, cioè della
misura delle cose. La contemplazione è lo strumento per misurare il valore delle
cose, il senso delle cose. Ho paura che noi abbiamo perso questo strumento della
contemplazione e allora non sappiamo più misurare le cose. E così stimiamo
importanti cose che non hanno invece alcuna importanza e consideriamo di nessuna
importanza cose invece importantissime. Come dice Bonhoeffer, le verità ultime
che diventano le penultime e le penultime che diventano ultime, e quindi è
spostato tutto quanto l'asse della vita, ti copri di idoli e non hai mai il
senso ultimo delle cose, il senso dell'assoluto. Il monaco è quello che ha (o
dovrebbe avere) ancora lo strumento della misura delle cose, lo strumento della
contemplazione.
Si può essere monaci senza
chiesa?
Si capisce! Il monaco non è quello
che ha o non ha una chiesa, il monaco è quello che cerca continuamente
l'assoluto. Non è tanto quello che vive solo, perché io posso essere monaco
nella battaglia - "Monacus in proelio et milis in castro" dice un detto
latino, il monaco è quello che cerca il valore ultimo delle cose. Si chiama
monaco perché ha solo Dio, non perché sta solo.
C'è malessere nelle
parrocchie e molti cristiani vivono ancora alla ricerca del senso ultimo delle
cose, però fuori della Chiesa.
Va bene, possono avere tante
ragioni e comunque sono cose su cui riflettere, perché non tutti i praticanti
sono credenti e non tutti i credenti sono praticanti. La fede non combacia mica
con la chiesa, la chiesa non combacia mica con la fede, o comunque non la
esaurisce.
Ma può vivere un cristiano
senza chiesa?
Ma il cristiano è per se stesso uno che
non sta bene finché non sta bene suo fratello. Il borghese invece,
ideologicamente borghese, è quello che se ne infischia del fratello, basta che
stia bene lui solo. Quindi uno è individualista e l'altro è comunitario. L'uomo
stesso e comunitario, la vita è sempre un rapporto e tanto più un cristiano deve
essere sempre più un comunitario, qualunque cristiano. Non confondiamo adesso il
fatto chiesastico, che è un fatto storico preciso, con il fatto comunitario:
sono due aspetti ben diversi.
Insomma, non è una novità. Posso dire che
ho avuto migliaia di volte anch'io la tentazione di andarmene. Soltanto,
andarmene dove? e per che cosa? C'è della gente che sbatte la porta e va fuori,
io invece sbatto la porta e sto dentro. Ma appunto proprio perchè non mi
soddisfa essere dentro, cerco di rimediare le cose. Prima di tutto perché non
sono mai soddisfatto di me stesso, perché poi bisogna sempre cominciare da sé
stessi. Chi può dire di essere in linea, insomma, di essere coerente, di essere
ai propri occhi rispettabile? Io ho talmente davanti a me i miei limiti, che
prima di occuparmi dei limiti degli altri ne ho abbastanza dei miei. Ma questo
vale per me! E non basta soltanto avere la fede, bisogna avere anche la fedeltà.
Io dico che la fedeltà è sempre la corona di spine intorno al capo di Cristo, è
la fedeltà che ti porta sulla croce. Perciò io sono contento di avere non
soltanto la fede, ma anche la fedeltà, e di starmene dentro. Detto questo, che
vale per me, posso capire gli altri. E anche da questi che se ne vanno perchè
non trovano risposte, io voglio trarre motivo per dire, beh, cerchiamo di
cambiare e di renderci più credibili.
Come vedi il movimento per la
pace.....
E' un segno dei tempi. Per me sono segni
dei tempi il movimento per la pace, la liberazione della donna....Naturalmente
vanno capiti, vissuti, interpretati. Anzi, vuoi che ti dica - saremo giudicati
tutti sul crinale della pace e della giustizia, tutti, chiesa o non chiesa,
tutti! Soltanto l'incoscienza può permetterci di vivere un po' tranquillamente.
Tant'è vero che in uno scritto intitolato "Gufi come angeli - i gufi sono
l'immagine dei monaci che vegliano nella notte: perciò i gufi hanno quegli occhi
grandi, per vedere nella notte e avvertire gli uomini dell'imminente distruzione
- dicevo: "O uomo, beata incoscienza ti assista!" Solo nell'incoscienza si può
vivere tranquillamente sotto questi regimi politici criminali, come dice un
documento della chiesa: gente che pensa alle guerre stellari, a sempre nuovi
armamenti, quando ci sono tonnellate di tritolo per ogni individuo nel mondo;
gente che consuma tutte queste forze, tutte queste ricchezze per la distruzione
e sempre più spietatamente per uccidere, quando ci sono uomini che muoiono per
fame, quindi consumando i beni che sono dei poveri. Ma queste sono follie!
Queste sono criminalità! Soltanto l'incoscienza può permetterci di vivere
tranquillamente. Anzi, io non accetto nessuna di queste politiche se non sono
politiche di pace. E il movimento per la pace è il movimento più profetico che
ci sia, è il campanone che suona e suona da tutte le parti. Perché io posso
essere sì un cristiano, ma mi metterò sempre con quelli che cercano la pace,
comunque, senza paura di strumentalizzazioni. Non c'è mai nessuno che sia così
strumentalizzato come un cristiano, e nessuno come un santo.....pensa a
Sant'Antonio! Per questo io non riesco assolutamente
a pensare un cristiano che non sia per la pace, comunque e con chiunque è per la
pace!
Come hai trovato le poesie dei
ragazzi di Monteforte che hanno partecipato al concorso di Desio? (vedi Nordest
n. 7/1985)
Sono molto contento di essere stato
insieme con Spinella e Porta nella commissione incaricata di premiare le poesie
per la pace in una manifestazione indetta dalla biblioteca comunale di Desio
(Mi). E devo dire che abbiamo immediatamente concordato di dare il premio alla
classe di Monteforte, perché siamo stati subito colpiti dalla levatura dei
testi, dalla limpidezza, dalla coralità, veramente una cosa esemplare! E questo
ci è parso come un fatto molto educativo. Anzi, è dalla scuola che bisognerebbe
cominciare, a partire dalle elementari, direi quasi dal seno materno, a essere
educatori della pace e per la pace. Ci siamo letti i testi scritti dai ragazzi
con vera gioia e questo lo puoi dire ai tuo scolari. Ve ne
ringrazio!
La Rosa Bianca con
Borrelli
Nell’isola di Utopia, immaginata nel 1516 da Thomas More
(Tommaso Moro), non sono assolutamente ammessi avvocati, perché le cause non
devono venir trattate "con astuzia" o con "cavillose discussioni di legge". More
era il più grande avvocato di Londra, la testa più acuta d’Inghilterra. Poi
divenne primo ministro, infine martire della fede per mano del suo re, Enrico
VIII. Scrivendo, con una notevole dose di ironia, della società buona immaginata
sulla sperduta isola di "Utopia", More criticava la società del suo tempo e in
particolare il suo sistema politico-giudiziario, dove le troppe e intricate
leggi, e i raggiri dei furbi, impedivano di arrivare alla verità. Che direbbe
oggi, di fronte al processo Sme-Ariosto, esempio luminoso e terrificante di
raggiro da parte dei furbi? Di fronte all’avvocato-parlamentare Previti che è
riuscito per anni a non presentarsi in tribunale? Di fronte al capo del governo
Silvio Berlusconi che utilizza il ministro della giustizia per trovare tutti i
cavilli di legge possibili per impedire che si svolga un processo nel quale lui
stesso, Berlusconi Silvio, è imputato? Forse More dovrebbe constatatare
amaramente che, cinque secoli dopo, sono addirittura aumentate l'arroganza e la
spudoratezza.Berlusconi e Previti sono accusati di aver comprato dal magistrato
Renato Squillante una sentenza in loro favore nella vendita della società Sme.
Un'accusa gravissima. Ma invece di favorire il rapido svolgimento del processo
per liberarsi al più presto dall'onta, lo bloccano utilizzando mezzi e parole
che in un paese civile provocherebbero una sollevazione generale. Purtroppo la
sollevazione non c’è. Storditi dalle televisioni, rimpinzati di benessere, gli
italiani assistono allo scontro come ad una partita di calcio. Come se non fosse
in gioco la loro libertà, il senso stesso della democrazia che ha il suo
fondamento nell’uguaglianza di fronte alla legge. Qualcuno dice che la vicenda è
troppo complicata. No, no, si capisce bene se si vuol capire. Tutto è
terribilmente chiaro: chi ha il potere vuole impedire di essere giudicato.
Perciò cambia le leggi (vedi rogatorie svizzere e diritto societario, primi atti
del Parlamento), così certi processi a suo carico non si possono più fare;
intimidisce i giudici e costruisce campagne di diffamazione a loro danno usando
le televisioni di cui dispone; prende le distanze dal contesto europeo, che lo
vincolerebbe a più rigorose norme in materia giudiziaria; si dichiara vittima di
persecuzioni.Il potente si fa beffe della legge. Lui è la legge. Lui è il
diritto, l’economia, la finanza, la pubblicità. Lui è il governo, il parlamento,
la politica interna, la politica estera. Lui è la verità che ogni giorno
diffonde tra il popolo battendo la grancassa mediatica. Questo è il
funerale della democrazia. Il 17 febbraio prossimo saranno dieci anni
dall’arresto di Mario Chiesa che inaugurò la stagione di Mani pulite. Triste
anniversario se non sarà l’occasione per svegliarsi, per tornare a farsi
sentire, scrivendo, protestando, togliendo la fiducia, se disgraziatamente
gliel’abbiamo data, al nuovo padrone. Non passerà molto tempo che, come per gli
anni di Tangentopoli, ci si vergognerà di questa stagione. Dei silenzi, delle
complicità, delle vigliaccherie che hanno accompagnato i colpi mortali allo
stato di diritto inferti dal nuovo padrone e dalla sua servitù. Anni dove si è
continuato a vivere come sempre, come se nulla fosse, ciascuno facendo il suo
mestiere, occupandosi dei suoi affari e dei suoi cari, come sempre accade nei
più nefasti momenti della storia. Chi a studiare, e a curare libri e carriera,
come tanti silenziosi professori universitari; chi a comprare e a vendere, come
tanti imprenditori, per nulla sgomenti che l’imprenditoria al potere dimostri la
sua massima capacità nel raggiro, e non nella competizione leale; chi a curare
scuole private e otto per mille, in mancanza di concordati da firmare, come
buona parte della gerarchia cattolica italiana, che considera un peccato di
gioventù il proprio documento "Educare alla legalità", del 4 ottobre 1991, che
anticipò Mani pulite e che sferzò la pigrizia e l’ignavia di tanti cattolici.
Chini sul proprio particulare, si lascia che a sbrigarsela con i colpi mortali
allo stato di diritto siano i giudici. Supplenti, ieri come oggi, di una società
senza spina dorsale, capace di emozioni e indignazioni tanto passeggere quanto
opportunistiche: basti vedere il tradimento verso Mani Pulite della Lega Nord e
di Alleanza Nazionale, ma anche di una bella fetta della sinistra nella stagione
infelice della bicamerale di D’Alema. Dieci anni dopo, è tempo di
tornare eretti. Giustamente Saverio Borrelli, nel suo ultimo discorso
da Procuratore generale, ha invitato a resistere sulla linea del Piave della
legalità. Resistere, resistere, resistere, tre volte resistere. Di fronte a
questo accorato appello, Thomas More di certo tirerebbe un respiro di sollievo:
non tutto è definitivamente perduto. Giovanni Colombo e Vincenzo
Passerini (Milano, 12 ottobre 2001: Giovanni Colombo è Presidente
nazionale della Rosa BIanca e consigliere comunale di Milano; Vincenzo Passerini
è consigliere provinciale del Trentino Alto Adige)
I POLI TERRESTRI STANNO CAMBIANDO LA LORO RISPETTIVA
POSIZIONE
Vorrei farvi partecipare ad una discussione in corso su eventi che hanno
mutato non solo la vita sociale, economica della società umana ma anche la
geografica dei sui territori e la qualità della vita sul pianeta. Sembra infatti
che non siano in corso solo grandi mutamenti nell'assetto strutturale della
società come tale ma anche nell'assetto strutturale della Terra stessa. I
cambiamenti climatici in corso, le anomalie stagionali, e le inversioni di
tendenza del clima per molti sono da mettere in relazione con un fenomeno poco
conosciuto ma che sembra essere avvenuto diverse volte nel passato: 'Lo
spostamento dei poli terrestri', geografici e quindi anche magnetici. Gli
scienziati hanno predetto lo spostamento dei poli fin da 1911 e quando Einstain
venne a sapere di questa ipotesi disse: "Questa idea mi elettrizza. E' di
estrema importanza per tutto ciò che è in relazine alla storia della superficie
terrestre". In particolare il 31 maggio del 1986, P.R. Sarkar nel suo discorso
inaugurale dell'associazione internazinale Rinascita Universale, ha parlato sul
tema: "I poli si scambiano le rispettive posizioni". Con molta intuizione e
acume intellettuale ha indicato che profondi cambiamenti dalle vaste conseguenze
sono iniziati a livello dei poli terrestri. Questi cambiamenti avranno
conseguenza profonde su tutte le forme di vita, sull'elettromagnetismo
terrestre, sulla mente umana e sullo sviluppo di qualità spirituali. Il problema
che con tale spostamento dei poli sono previste catastrofi geologiche di vasta
portata in tutto il mondo e l'inizio di una nuova era glaciale. Questo è
successo nel passato, ricordiamo i mammouth congelati in Siberia
con vegetazione tropicale ancora nello stomaco, segni di ghiacciai sulle
Ande del Centro America ...
Tutto si muove - dice Sarkar - e anche i poli. "Nell'emisfero orientale il
polo nord si muove da nord a sud, mentre nell'emisfero occidentale il polo sud
si muove da sud a nord e non si può essere certi che la loro distanza relativa
non cambi". Vi sono evidenze scientifiche con analisi effettuate da Ac. Ratnesh,
dal gennaio 1984 al luglio del 1987, 31 mesi, in collaborazione con
l'Istutito dell'Ora di Parigi, per determinare lo spostamento relativo dei poli
terrestri rispetto all'asse di rotazione. Vi è infatti un movimento sia lineare
di spostamente dell'asse che rotatorio che determina due coni con base al
polo sud e polo nord (Chandler wobble). Questo movimento di scostamento
(16 mt dall'asse ideale) dell'asse geografico di rotazione della Terra è
aumentato significativamente dal 1990, raddoppiando la sua velocità di
spostamento e le dimensioni dello spostamento stesso. Vi sono diversi autori
(tra cui Michael Towsey) che sostengono che il cambiamento dei poli terrestri è
stata una componente normale della storia della Terra e della evoluzione umana e
biologica. In queste discussioni si affronta il tema dell'idea
catastrofica ed uniformistica dell'evoluzione. In questo caso si è
affermato che la storia viaggia tra questi due momenti, grossa catastrofe
iniziale a cui segue un lungo periodo di uniformismo ed espressione della nuova
situazione evoluzionistica.Un bel grattacapo per i nostri scienziati. "The
Shifting of Poles", Renaisssance Universal (fonte: Tarcisio Bonotto - Proutist
Universal Italia -
www.prout.it &
www.proutworld.org)
GENERALI: IN CINA, SCELTO UN
PARTNER CHE ALIMENTA LA GUERRA IN
SUDAN
Mentre
il mondo finanziario - imprenditoriale italiano saluta come un successo lo
sbarco in Cina delle Generali assicurazioni, frutto dell’entrata del Paese nel
WTO, la Campagna Italiana per la Pace e il Rispetto dei Diritti Umani in Sudan
esprime preoccupazione e riserve. Il partner scelto dalle Generali per la joint
venture è quella stessa China Petroleum impegnata in modo massiccio
nell’estrazione del greggio in Sudan.
Come è stato più volte sottolineato dalle maggiori ONG internazionali e dalla
Chiesa sudanese, l’estrazione di greggio in Sudan è un fattore di inasprimento
del conflitto in atto da quasi vent’anni nel paese, che ha già portato alla
morte di oltre due milioni di persone. L’attività estrattiva fa in modo che
siano sempre di più i profughi e i rifugiati e provenienti da quelle aree.
Inoltre i proventi del petrolio vengono in gran parte utilizzati per l’acquisto
di armi da parte del governo sudanese. La Cina è il principale fornitore di armi
al governo di Khartoum. La China Petroleum è la principale impresa straniera
impegnata nello sfruttamento del petrolio sudanese, detenendo il 40% dei diritti
di sfruttamento dei blocchi di estrazione1, 2 e 4 e l’intera concessione del
blocco 6. Nei mesi scorsi un ampio cartello di realtà europee impegnate in Sudan
hanno dato vita all’iniziativa Peace first! con cui si chiede di fermare
l’estrazione di petrolio fino quando non ci sarà rispetto dei diritti umani e
pace. La Campagna Italiana per la Pace e il Rispetto dei Diritti Umani in Sudan
invita pertanto Generali a chiedere garanzie al nuovo partner finanziario circa
gli effetti sinora deleteri della propria azione in Sudan. La Campagna Italiana
per la Pace e il Rispetto dei diritti umani in Sudan, promossa da ACLI, Amani,
ARCI, Caritas Italiana, CESPI, Cuore Amico, Manitese, Missionari Comboniani,
Nigrizia, Pax Christi, Raggio, dal 1995 sostiene gli sforzi della società civile
sudanese per il raggiungimento di una pace giusta e duratura nel più grande
paese africano. (Segreteria Campagna Sudan 02/29417030 segreteria@campagnasudan.it)
MINE: il terreno minato fa crescere
i costi
Ogni 20 minuti nel mondo esplode una mina. Le vittime sono 26mila l'anno,
ma si contano mutilati gravi a decine di migliaia: il 30% delle mine determina
la perdita di uno o più arti, per un totale di oltre 250mila handicappati. Gli
ordigni anti-uomo hanno inoltre uno straordinario rapporto costo-efficacia: a
parte i danni procurati, rendere inoffensiva una mina da 3-30 dollari ne costa
tra 300 e 1.000. Eliminare gli oltre 100 milioni di mine ancora attive nel
mondo, secondo stime Onu, costerebbe almeno 35-50 miliardi di dollari e
richiederebbe, agli attuali blandi ritmi di sminamento, ben 1.100 anni. Infatti,
malgrado le continue campagne contro la fabbricazione e l'uso, le 100mila mine
rimosse ogni anno sono sostituite da altri 1,5-2milioni.
In questa classifica dell'orore l'Afghanistan ha un triste primato, con 10
milioni di mine, quasi tutte collocate negli anni 80 dall'allora regime
filosovietico e dalle truppe dell'Urss, cui si aggiunge una parte degli ordigni
lanciati dagli aerei Usa nella recente guerra ai Taliban: dal 10 al 30% delle
bombe, specie le famigerate cluster, è inesploso. Mine o bombe, secondo l'Onu,
coprono l'11% dei 647mila km2, una superficie enorme se si considera che quasi
il 40% del Paese è costruito da montagne pressoché inacessibili. Ciò causa sia
un altissimo numero di vittime e feriti, sia un costo economico assai elevato.
Si calcola infatti che, a parità di condizioni di partenza (rese di raccolti,
tipo di sementi, , uso di fertilizzanti) il Paese potrebbe avere una produzione
agricola doppia se fosse privo di mine, perché sarebbe coltivata una superficie
assai maggiore.
A ciò va sommato il costo socio-economico dei sopravvissuti. Riabilitare un
mutilato a una gamba richiede tremila dollari, cifra enorme per il potere
d'acquisto locale. Per un bimbo significa rifare l'arto ogni sei mesi per
adeguarlo alla crescita. Occorre poi tenr conto dei costi delle campagne
d'informazione per avvertire le nuove generazioni dei rischi delle mine. Quanto
denaro richiederà sminare il Paese? La Conferenza per la ricostruzione
dell'Afhanistan, tenutasi a tokio a metà mese, stima il costo della bonifica in
5-600 milioni di dollari in 7-10 anni. Non è ancora chiaro chi finanzierà
l'operazione. Paolo Migliavacca (Il Sole 24 ore 24/12/01)
I FONDAMENTI IDEOLOGICI DELLA GUERRA
MONDIALE IN CORSO
di Giulio Girardi *
Per cercare di capire cio' che sta accadendo dopo l'11 settembre nel mondo,
e quale sia in particolare il senso di questa guerra, per capire cio' che sta
cambiando e cio' che non sta cambiando nella storia, vorrei tentare una strada,
quella di esplorare le ideologie cui si ispirano i protagonisti, che sono il
potere americano con i suoi alleati, impersonato da George Bush, e
l'integralismo islamico, impersonato da Osama Bin Laden. Richiamando
l'attenzione sui fondamenti ideologici della guerra, non intendo certo
considerarli come la sua spiegazione adeguata. Il ruolo dei fattori economici e
politici rimane in essa decisivo, ma l'esplorazione delle ideologie mi pare
importante per capire il corso oggettivo della guerra ed il consenso popolare
che la sostiene dalle due parti. Tale esplorazione dovrebbe permetterci di
capire perche' grandi masse umane si stiano affrontando ed uccidendo, perche'
nei due campi vi siano gruppi numerosi disposti a rischiare la vita per la loro
causa. Ma questo apporto mi pare interessante anche per una ragione opposta:
esso dovrebbe consentirci di cogliere non solo cio' che i combattenti dei due
campi credono, ma anche le ragioni per cui essi non credono alle realta' che ad
un osservatore esterno sembrano evidenti. Perche', in altre parole, analisi e
valutazioni che ad un osservatore esterno sembrano evidentemente errate, possano
contare su un consenso cosi' massiccio. Vogliamo cioe' riferirci alle ideologie
nel loro duplice significato di illuminazione della realta' e di occultamento di
essa. E' un problema epistemologico, dicevo, all'apparenza astratto, ma in
realta' estremamente concreto perche' in questo e' uno degli aspetti piu'
decisivi di questa guerra, ossia il consenso maggioritario col quale nonostante
le stragi di innocenti che va perpetrando e' stata accolta da una parte e
dall'altra. Problema quindi politicamente e tragicamente centrale: quello della
complicita' delle vittime con i loro carnefici. Questo approccio costituisce
inoltre la premessa da cui partire per affrontare la domanda a mio parere
decisiva: e' inevitabile, come si afferma da tanto, sia in occidente sia
all'interno dell'integralismo islamico, schierarsi da una parte o dall'altra? E'
inevitabile, come si afferma in occidente, schierarsi con la democrazia o con il
terrorismo, con la civilta' o con la barbarie? Oppure esiste una via
alternativa? E in tal caso quale ne e' il contenuto positivo? Se poi come mi
sembra evidente le due ideologie di cui siamo in presenza assolvono l'una e
l'altra una funzione di occultamento e deformazione della realta', si impone la
domanda: esiste un punto di vista sulla storia che consenta di avvicinarsi
maggiormente alla realta', dissipando le nebbie dell'ideologia? Finalmente,
l'esplorazione dei fondamenti ideologici della guerra e del consenso di cui essa
gode, e' il necessario punto di partenza di qualunque strategia alternativa.
Contestare la guerra significa in primo luogo sradicare il consenso popolare su
cui essa poggia, e rafforzare il grido insurrezionale della coscienza mondiale
contro di essa. Ritengo quindi che su questo tema dovrebbe essere richiamata con
forza l'attenzione del Forum Mondiale di Porto Alegre. Tenteremo quindi di
analizzare il punto di vista del potere nordamericano ed occidentale e il punto
di vista dell'integralismo islamico, per poi interrogarci sulla possibilita' di
un punto di vista alternativo.
Il punto di vista del potere nordamericano
e' evidentemente quello che domina il sistema politico ed informativo mondiale.
Esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle autorita' degli Usa, del
governo e delle camere, degli alleati occidentali, della Nato, etc. Per quanto
ci riguarda direttamente esso si esprime negli sforzi e nelle decisioni delle
autorita' italiane, della presidenza della Repubblica, del governo e delle
camere. Alle ragioni oggettive che certamente fondano questa scelta di campo, si
aggiunge la convinzione che solo facendo proprio il punto di vista dei grandi
sara' possibile per l'Italia sedersi oggi e domani al tavolo dei grandi, e sara'
possibile al governo oggi in carica conquistare in Italia e all'estero la
credibilita' che finora gli e' mancata. Questo punto di vista viene assunto ed
argomentato da gran parte dei mezzi di comunicazione di massa degli Usa e dei
Paesi alleati. Esso e' condiviso dalla grande maggioranza del popolo americano e
dagli altri popoli occidentali, tra i quali il nostro. Ed e' questo largo
consenso che consente alle autorita' di procedere con tanta sicurezza. Cio' che
considero particolarmente importante e preoccupante, e' il fatto che questo
punto di vista sia condiviso anche da quasi tutti i partiti e movimenti di
sinistra, i quali hanno capito che solo allineandosi alle scelte del potere
nordamericano ed occidentale sul tema della guerra e del terrorismo, come su
quello della globalizzazione, potranno rimanere al potere nei loro paesi, o
riconquistarlo se lo hanno perduto, anche se queste scelte provocano per la
sinistra e per molti dei suoi militanti, una drammatica crisi di identita',
un'angosciosa serie di interrogativi sul significato della loro militanza. Ma
vogliamo esplorare un poco piu' da vicino il punto di vista del potere
nordamericano nei confronti del terrorismo. Lo faro' prendendo come punto di
partenza il discorso pronunciato da George W. Bush il 20 settembre, nel quale il
presidente formulo' la sua dichiarazione di guerra al terrorismo e ne illustro'
il senso. Molti commentatori hanno subito qualificato questo discorso come il
piu' importante della presidenza Bush. La BBC lo ha considerato addirittura il
piu' significativo di un presidente americano dopo la seconda guerra mondiale.
Qualche aspetto saliente del discorso. Alla comunita' internazionale Bush
rivolse un ammonimento categorico: in questa guerra non e' possibile
neutralita', o con noi o con i terroristi. Peraltro sappiamo che Dio non e'
neutrale. La definizione dell'obiettivo della guerra implica l'identificazione
del nuovo nemico principale: nell'immediato esso veniva indicato nel milionario
saudita Osama Bin Laden e nella rete terroristica internazionale che egli dirige
e finanzia, Al Qaeda. Ma la guerra intende colpire tutte le organizzazioni
terroristiche del mondo e i governi che le appoggiano. Bush caratterizza queste
organizzazioni come una rete, termine che attribuisce loro una certa unita' e
coordinazione mondiale, riconoscendo al tempo stesso che esse non sono
facilmente localizzabili. Si comprende cosi' perche' questa guerra sara' diversa
dalle altre, in cui il nemico era uno stato, o un insieme di stati chiaramente
organizzati. Si comprende anche perche' sara' prevedibilmente assai lunga. In
questo discorso Bush evita il termine crociata che aveva usato precedentemente,
ma non evita di satanizzare il nemico. Si tratta per lui di assassini, eredi di
tutte le ideologie assassine del secolo XX. Sacrificando vite umane per servire
le loro visioni radicali, abbandonando tutti i valori eccetto la volonta' di
potenza, essi seguono il cammino del fascismo, del nazismo e del totalitarismo,
e seguiranno il loro cammino anche nel sepolcro della storia della menzogne
fallimentari. Quale il motivo di un comportamento cosi' abietto? Bush non si
preoccupa molto di approfondire una questione cosi' importante. La sua riposta
e' assai semplice: la loro motivazione, oltre la volonta' di potenza, e' l'odio,
l'odio della democrazia e delle liberta'. Essi odiano cio' che vedono in questa
camera, un governo democraticamente eletto, ci odiano per le nostre liberta'.
Sebbene Bush abbia escluso espressamente che il nemico degli Usa e
dell'Occidente siano i musulmani, ed abbia evitato di caratterizzare la guerra
come una crociata, la sua dichiarazione di guerra e la sua caratterizzazione
etica del nemico, banda di assassini mossi dall'odio, dall'invidia e dalla
volonta' di potenza, imprime alla guerra il carattere di un conflitto mondiale
fra il bene e il male, che prolunga ed attualizza quello del secolo XX con il
comunismo ateo, considerato il regno del male, un conflitto tra il bene e il
male, tra la civilta' e la barbarie, la liberta' e il totalitarismo, nei
confronti del quale tutti i popoli e tutte le persone del mondo sono chiamati a
schierarsi. Proclamando poi che Dio non e' neutrale, Bush afferma solennemente
che il punto di vista di Dio coincide con il suo, e con quello del potere
occidentale. Questa convinzione permettera' agli strateghi della guerra di
denominarla in un primo tempo giustizia infinita. In tale prospettiva quindi, il
conflitto non e' solo etico, tra bene e male, ma e' anche religioso, tra Dio e i
suoi nemici. La parola crociata e' scomparsa, ma la sostanza del suo significato
rimane intatta. Nei confronti del terrorismo islamico e' esplosa unanime la
condanna, non solo da parte degli Usa e degli stati occidentali ed arabi che
hanno aderito alla guerra, ma anche di quelle minoranze che in tutte le parti
del mondo, contestano la validita' della guerra come risposta al terrorismo.
Solo quindi un atteggiamento settario puo' qualificare i fautori del rifiuto
della guerra come conniventi con il terrorismo. Ma e' comprensibile la domanda
che i fautori della guerra rivolgono a quanti ne contestano la validita': qual
e' allora la vostra risposta al terrorismo? Il presupposto alla domanda e' molto
chiaro: per rispondere al terrorismo altre vie diverse dalla guerra non
esistono. Si tratta comunque di una domanda molto esigente, alla quale non
possiamo certamente sottrarci, e che ci impegna a porre in atto un'ampia ricerca
popolare partecipativa.
Ma tale ricerca deve partire da una analisi
approfondita del terrorismo islamico e delle sue ragioni. Infatti solo
comprendendo la sua natura e la sua genesi potremo decidere come combatterlo con
efficacia. I dirigenti nordamericani ed occidentali, non hanno finora compreso
la vitale importanza di quest'analisi per elaborare una strategia adeguata di
risposta. Per cogliere il senso che Bin Laden e i suoi seguaci attribuiscono
alla loro lotta e' necessario partire dall'analisi che essi compiono della
politica nordamericana e quindi dell'attivita' occidentale di cui essa e'
l'espressione. Questa analisi si incentra su una vigorosa ritorsione del
terrorismo contro gli Usa ed il loro complice principale, lo stato d'Israele.
Gli americani ci accusano - dice Bin Laden - di essere terroristi. Ma sono loro
i piu' grandi terroristi della storia. Ovunque volgiamo lo sguardo, vediamo gli
Usa come leader del terrorismo e del crimine nel mondo. Gli Usa non considerano
un atto di terrorismo lanciare una bomba atomica in un paese lontano migliaia di
miglia. Quelle bombe sono state gettate contro intere popolazioni, comprese
donne, bambini e anziani. E ancora oggi in Giappone rimangono tracce di quelle
bombe Ma il terrorismo e l'imperialismo nordamericano che Bin Laden denuncia con
particolare virulenza e' quello di cui sono vittime innumerevoli paesi islamici.
Nei loro confronti l'imperialismo nordamericano rappresenta una fatidica
incursione, essi sono vittime di aggressione militare, di sfruttamento e
usurpazione economica, di attacchi all'egemonia e ai valori dell'Islam. E'
chiaro, dice, che non esiste alcun dovere piu' importante che respingere il
nemico americano fuori dalla Terra Santa. Non c'e' altro dovere dopo la fede che
combattere il nemico che sta corrompendo la vita e la religione. Se non c'e'
altro modo di cacciare il nemico tranne una mobilitazione collettiva di tutti i
musulmani, allora i musulmani hanno il dovere di ignorare le insignificanti
differenze che sussistono tra loro. Sono queste incessanti aggressioni
perpetrate dall'imperialismo nordamericano ed ebraico, non la liberta' e la
democrazia, che secondo Bin Laden generano nei musulmani risentimento e odio e
quindi l'esplosione del terrorismo. L'ostilita' che l'America continua a
dimostrare contro i musulmani ha avuto come reazione una crescita d'odio contro
l'America e l'Occidente. Se il governo americano e' serio quando dice di voler
fermare gli attentati all'interno del territorio degli Usa, allora che la
smetta di provocare i sentimenti di un miliardo e duecento milioni di musulmani.
Allora questa reazione non si puo' caratterizzare come antiamericanismo, ma come
antimperialismo e piu' precisamente come antimperialismo
islamico.
Confrontando dal punto di vista degli oppressi e delle oppresse
come soggetti alternativi, i due progetti storici che ho cercato di
caratterizzare, mi colpiscono nel loro rapporto due aspetti che sembrerebbero
contrastanti. Da un lato essi sono radicalmente opposti tra loro. Dall'altro
presentano tra loro profonde affinita'. La contrapposizione tra i due progetti
e' scontata, dato che essi ispirano i due campi nemici della guerra.
Sorprendente e sconvolgente e' invece constatare la profonda affinita' tra
i due nemici mortali e, chiamiamoli con il loro nome, tra i due opposti
terrorismi. Constatazione che mi sembra importante anche per scoprire le vie
dell'alternativa. Nella prospettiva di Bin Laden infatti gli aggressori
diventano vittime e le vittime aggressori. Terroristi non sono piu' gli islamici
ma i nordamericani. Difensori della liberta' e di giustizia infinita non sono
piu' gli occidentali ma gli islamici mobilitati. Gli eroi e martiri della guerra
non sono i soldati occidentali o i pompieri di New York, ma i giovani musulmani
che sacrificano la vita per la causa, in particolare quelli impegnati in
attacchi suicidi. I valori etico- politici chiamati ad affermarsi su scala
mondiale non sono piu' quelli occidentali e cristiani, ma quelli islamici. Alla
coalizione internazionale convocata dagli Usa e costruito intorno all'occidente
si contrappone la comunita' degli stati islamici fedeli alla loro religione. La
condanna non colpisce piu' gli stati che ospitano terroristi, ma quei paesi
islamici che difendono gli Usa, che ospitano le loro truppe, che combattono al
loro fianco contro altri paesi islamici e tradiscono quindi la loro religione.
Il regno del bene diventa regno del male e viceversa. Dio stesso cambia campo
passando dallíoccidente all'islam. Sono i musulmani e non piu' i nordamericani a
dichiarare che in questa guerra Dio non e' neutrale, che "Dio e' con noi".
D'altro lato si riscontrano tra i due approcci profonde e sconvolgenti
affinita'. Gli uni e gli altri si considerano aggrediti e quindi vittime. Gli
uni e gli altri si considerano impegnati a combattere il terrorismo. Gli uni e
gli altri demonizzano il loro nemico e lo pongono come terrorista, come
assassino, anzi come satanico. Gli uni e gli altri ritengono di essere difensori
della liberta' e della giustizia contro gli oppressori, di rappresentare quindi
il regno del bene e di essere in guerra contro il regno del male. Gli uni e gli
altri pensano che l'attacco sferrato contro un membro della loro alleanza
deve essere percepito da ciascuno come sferrato contro di lui e provocare di
conseguenza la sua reazione militare. Gli uni e gli altri ritengono di stare
combattendo una guerra giusta, anzi una guerra santa. Gli uni e gli altri
perseguono per volere di Dio un progetto imperialista, l'instaurazione
cioe' di un ordine mondiale egemonizzato dai loro valori. Gli uni e gli altri
ritengono che il loro "destino manifesto" di egemonizzare il mondo, possa e
debba prevalere sul diritto di ogni popolo all'autodeterminazione. Gli uni e gli
altri ritengono che il fine da loro perseguito giustifichi tutti i mezzi, in
particolare il ricorso alla violenza militare ed economica. Ritengono pertanto
che sia giusto sacrificare alla causa anche le vite di tantissimi innocenti,
comprese quelle di donne e bambini. Gli uni e gli altri pongono tutti i paesi
del mondo di fronte a questo dilemma: o con noi o contro di noi, non vi e'
alternativa. In una parola esiste un pensiero unico imperniato sul diritto del
piu' forte, che accomuna il progetto storico occidentale e quello
dell'integralismo islamico. Tra i due progetti imperiali allora e' inevitabile
la scelta? Se i due progetti storici che si scontrano sono l'uno e l'altro
imperialisti e terroristi non e' per nulla evidente che sia ineludibile la
scelta di campo fra di essi. E' anzi ineludibile dal punto di vista degli
oppressi e delle oppresse la necessita' di respingerli entrambi. Respingerli, ma
in nome di che cosa? In nome di quale punto di vista? Di quale strategia? Di
quale progetto?
Al punto di vista degli oppressori dei due campi stiamo contrapponendo
proprio il punto di vista degli oppressi e delle oppresse che emergono in tutto
il mondo alla coscienza e alla dignita' di soggetti alternativi. Punto di vista
che e' stato in realta' la nostra bussola in questa analisi e deve continuare ad
esserlo nell'elaborazione della strategia. Punto di vista che fonda una cultura
alternativa a quella dei due imperialismi, una cultura cioe' della nonviolenza
liberatrice, di una nonviolenza intesa nel suo significato positivo e creativo,
capace quindi di scoprire e valorizzare la forza del diritto, della verita',
della giustizia, della solidarieta' e dell'amore. Capace quindi di scoprire e
valorizzare le risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle
oppresse. Se quindi all'origine del terrorismo islamico vi e' l'immensa collera
e la profonda umiliazione provocata dall'aggressione americana nei paesi
islamici, e' evidente che scatenando nuove guerre contro paesi islamici non si
sradica il terrorismo, ma lo si alimenta ed estende tragicamente. La risposta
valida al terrorismo islamico e ad altri terrorismi antioccidentali, puo'
consistere solo nell'estirpare le radici, cioe' il progetto e la pratica
imperialista dell'occidente, nel porre cioe' le basi di una civilta'
alternativa. Paradossalmente quindi la risposta valida la stanno dando i
movimenti impegnati nell'elaborazione dell'alternativa alla globalizzazione
neoliberale. Movimenti che il potere occidentale denuncia appunto come
terroristi e che reprime violentemente. Ma nell'immediato il nostro compito
prioritario e' quello di invertire la tendenza storica rafforzando
l'insurrezione e la ribellione della coscienza popolare, che sta gia' scuotendo
e sconvolgendo il mondo. Che sta sconvolgendo quel consenso che rende possibili
le stragi perpetrate dal neoliberalismo e dalla guerra. Il terrorismo ci obbliga
anzitutto a prendere coscienza piu' accuratamente della minaccia di morte che
per la gran parte dell'umanita' e per la stessa madre terra, proviene non tanto
dal terrorismo antioccidentale, quanto dal terrorismo scatenato dall'economia e
dalla politica neoliberale. Peraltro l'insurrezione della coscienza popolare non
ha come oggetto solo minacce di morte, ma anche potenzialita' di vita e di
speranza. Vorrei in parte contraddire e in parte integrare il punto di vista a
questo riguardo di Giulietto Chiesa. Questa presa di coscienza implica infatti,
particolarmente per merito dei popoli indigeni, la riscoperta e la
riaffermazione del diritto di tutti i popoli e di tutte le persone
all'autodeterminazione solidale. Diritto la cui affermazione si contrappone
frontalmente alla logica neoliberale, imperniata sull'autodeterminazione del
capitale finanziario transnazionale. Diritto la cui affermazione si impone
quindi come l'anima di una civilta' alternativa nonviolenta e di una strategia
nonviolenta per costruirla. Ma l'insurrezione della coscienza popolare che siamo
chiamati ad accendere, implica anche la scoperta e la valorizzazione delle
risorse intellettuali, morali e politiche degli oppressi e delle oppresse di
tutto il mondo per la costruzione di una nuova civilta'. Risorse troppo spesso
ignorate, sottovalutate e persino soffocate dalle stesse organizzazioni
popolari, dalle stesse organizzazioni di sinistra, vittime quasi sempre di
quell'autoritarismo che denunciano nel sistema vigente. Autoritarismo della
sinistra che a mio parere e' una delle ragioni principali della nostra mancanza
di creativita' e delle nostre sconfitte storiche. Perche' su queste risorse e
sulla loro valorizzazione si fonda la convinzione che ispira la nostra
mobilitazione, che ci autorizza ad affermare che un altro mondo e' possibile.
Solo ritrovando la fiducia nelle risorse inesplorate degli oppressi e delle
oppresse, solo valorizzando a fondo queste risorse nelle nostre organizzazioni,
nella nostra ricerca, nella nostra lotta, potremo affermare con fondamento che
una nuova storia e' possibile, che una nuova storia costruita dagli esclusi e
dalle escluse di ieri e' gia' cominciata. (*) Giulio Girardi è uno dei piu'
importanti teologi e filosofi della liberazione.
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ZOOM
ASSOCIAZIONI
Corso
di Formazione del Movimento
Nonviolento
“Elementi
di Nonviolenza” Ciclo
di 7 incontri.
Gennaio-febbraio-marzo-aprile 2002
Mercoledì
30 gennaio: MOHANDAS K. GANDHI: “La forza
della Verità”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione filmati originali
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con
Alfredo Mori, del Centro per la Nonviolenza di Brescia
Lunedì
11 febbraio:
GIUSEPPE G. LANZA DEL VASTO: “Una vigna per
vela”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione filmati originali
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con
Beppe Marasso, del Centro Sereno Regis di Torino
Mercoledì
27 febbraio: LEV
TOLSTOJ: “La non-resistenza al male”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione film
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con
Emilio Butturini, Preside all’Università di Verona
Lunedì
11 marzo:
MARTIN LUTHER KING: “L’efficacia
dell’azione”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione film
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con
Sergio Bergami, del Mir di Padova
Mercoledì
27 marzo:
ALDO CAPITINI: “Il potere di tutti”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione filmati originali
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con
Daniele Lugli, del Movimento Nonviolento di Ferrara
Mercoledì
10 aprile: Don
LORENZO MILANI: “L’arte della parola”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione film
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con Don
Rino Breoni, Abate di San Zeno Maggiore in Verona
Lunedì
22 aprile:
ALEXANDER LANGER: “Tradire la propria parte”
Ore 18 –
19,30 Lettura collettiva guidata e
proiezione filmati originali
Ore 21 –
23,00 Incontro dibattito con Edi
Rabini, della Fondazione Langer di Bolzano
Tutti
gli incontri si svolgeranno alla Casa per la Nonviolenza, in via Spagna 8 a
Verona. L’iscrizione all’intero ciclo è di € 25,00. L’iscrizione ad un solo incontro è di €
5,00. Il numero degli iscritti è limitato a 40. Ai partecipanti verrà fornito
materiale didattico. Al termine del ciclo verrà rilasciato un attestato di
frequenza. Il Corso è coordinato da Mao Valpiana, Direttore della rivista Azione
nonviolenta.
INFO: Movimento
Nonviolento - Via Spagna 8, 37123 Verona - Tel.
0458009803 - Fax 0458009212 - Email: azionenonviolenta@sis.it
- Sito internet: www.nonviolenti.org
1° MASTER SULLA FINANZA DI
FRONTIERA
LOTTA
ALLA POVERTA’
“1°
MASTER SULLA FINANZA DI FRONTIERA”
10
POSTI RISERVATI AD ASSOCIAZIONI DEL SUD IMPEGNATE NEL MICROCREDITO.
Partirà
a Milano nel mese di Marzo 2002 il primo Master di specializzazione in
Microfinanza, organizzato dal CIPSI, Coordinamento Nazionale che associa 30 ONGs
di Cooperazione Internazionale, e dalla Fondazione Giordano dell’Amore, in
collaborazione con le Facoltà di Economia di altre Università italiane e
straniere. Rosario Lembo, Presidente del CIPSI ha dichiarato: "In un mondo in
cui la Microfinanza è sempre più rilevante, con questa iniziativa vogliamo
sostenere lo sviluppo di uno strumento che promuova attività produttive gestite
direttamente dai protagonisti del Sud del Mondo, per contribuire in modo
efficace alla crescita delle economie ancora oggi deboli a causa del debito
estero e delle conseguenze della globalizzazione". L’idea di avviare il primo
Master di specializzazione in Microfinanza nasce dall’esigenza di rafforzare un
fenomeno in costante aumento a livello mondiale e dalla crescente necessità di
formare quadri qualificati, sia al Nord che al Sud, nella gestione di crediti o
Fondi Rotativi. Si tratta di un corso post-universitario con l’obiettivo di
rafforzare le competenze professionali di chi, come operatore del mondo della
cooperazione, si occupa di promozione di intermediari finanziari e della loro
capacità di rispondere ai bisogni della popolazione nei Paesi in Via di
Sviluppo, ma anche di coloro che nel Sud del Mondo intendono gestire
direttamente strumenti di microfinanza. Nonostante i finanziamenti e le
strategie messe in atto dalle principali Agenzie delle Nazioni Unite e da parte
di molte cooperazioni, esistono ancor oggi nei Paesi in Via di Sviluppo segmenti
della società civile che incontrano difficoltà di avvicinamento al mondo
bancario cosiddetto "ufficiale" e che non hanno accesso ai "normali" strumenti
finanziari. Si tratta di operatori di minore dimensione, sia urbani che in
ambito rurale. E’ per questo motivo che nel corso degli ultimi anni sono venute
crescendo forme di "intermediazione" particolarmente efficaci nel soddisfare le
esigenze della clientela marginale: e tra queste rientrano gli intermediari
operanti nell’ambito della microfinanza, cioè in quel segmento della cosiddetta
Finanza di Frontiera che punta a consentire l’accesso al credito e la promozione
di attività produttiva da parte di segmenti della società civile non toccati dal
mondo bancario. Il Master, dal contenuto sicuramente innovativo, prevede una
prima parte teorico-introduttiva che tratterà le maggiori strategie, gli attori
e le teorie che giustificano il contributo dell’intermediazione finanziaria allo
sviluppo. Il corso affronterà poi in maniera più specifica temi quali,
l’Economia dello sviluppo e gli attori del processo di sviluppo, gli
intermediari finanziari nelle economie in via di sviluppo e la cooperazione
internazionale. Il corso prevede poi una parte pratica di stage che potrà essere
svolta direttamente presso Agenzie internazionali e progetti di sviluppo
realizzati da ONGs operanti nel settore della microfinanza e del microcredito.
Il Master a carattere residenziale (5 mesi di permanenza in Italia presso la
Fondazione Giordano dell’Amore e circa 45 gg di stage sul campo presso ONG che
gestiscono progetti di microcredito) si svolgerà in lingua inglese, terminerà
nel mese di novembre 2002, e prevede l’ammissione di 30 persone, di cui 20
residenti in Italia o Europa e 10 provenienti da associazioni e partners del Sud
impegnati nella gestione di attività di microcredito. A fine corso a tutti i partecipanti che
avranno superato gli esami verrà rilasciato un Master o attestato di
specializzazione in Microcredito. L’ammissione al corso, che ha un livello
post-universitario (Master), avviene sulla base di un bando e tramite l’invio di
una scheda di ammissione, entrambi consultabili o scaricabili sui siti del CIPSI
www.cipsi.it e
della Fondazione
G. Dell’Amore : www.fgda.org
. Le
candidature dovranno pervenire entro il 31 gennaio 2002. La documentazione
potrà, inoltre, essere richiesta a: CIPSI tel. ++39 02 48703730; cipsi@cipsi.it -
FONDAZIONE GIORDANO DELL’AMORE ++39 02 8135341 training@fdga.org
"... anch'io a
Kisangani!"
"... anch'io a Kisangani!", azione internazionale nonviolenta
di pace in Africa: 3 - 8 aprile 2002. Partecipazione al Simposio
Internazionale per la Pace in Africa (Sipa 2) "Liberons la paix". Kisangani,
Repubblica Democratica del Congo.
Carissimi, Come vi avevo preannunciato nelle mie email
precedenti, quest'anno siamo particolarmente impegnati come movimento Pax
Christi a promuovere e a sostenere la costruzione di un "evento" di pace
rivolto a tutta l'Africa, in continuita' con l'azione di pace dello scorso anno
"anch'io a Bukavu" che ha dato come voi saprete risultati ampiamente positivi.
Il nuovo progetto "anch'io a Kisangani" ha bisogno di uno slancio superiore a
quello di "anch'io a Bukavu", proprio a causa del clima creato dal contesto di
guerra dell'Occidente. Siamo in controtendenza: le torri gemelle e quel che ne
e' seguito hanno monopolizzato tutto, ma noi continuiamo a fare storia
mantenendo la solidarieta' con le vittime, tutte, anche quelle anonime e
dimenticate e vogliamo tenere i fari dell'informazione e dell'attenzione
internazionale accesi sui poveri. A Kisangani vorremmo che quante piu' persone
possibili da tutt'Europa incontrassero i rappresentanti della societa' civile
della regione dei Grandi Laghi per ascoltarli, affiancarli, farsene portavoce,
dando anche alla nostra azione e ai nostri rapporti maggiore continuita' e
concretezza. Partendo dalla situazione concreta dei Grandi Laghi e' come se
tutta l'Africa ci interpellasse. Kisangani e' una citta' martire dove tutti gli
eserciti si sono scontrati, al centro delle contraddizioni di tutte le parti
attualmente in conflitto. Rimangono le difficolta', le incertezze, le
precarieta' africane di sempre. Anche questa volta alla volonta' e alla
determinazione, si contrappongono le condizioni di grande lacerazione della
popolazione locale e la particolare difficolta' di comunicazione tra Kisangani e
l'Europa. C'e' poi da aggiungere che anche quest'anno dipendiamo da una
condizione logistica importante: a Kisangani ci si arriva solamente con l'aereo.
L'aeroporto e' attrezzato anche per voli internazionali, ma e' chiuso da tempo
per questi voli. Attualmente vi arrivano aerei privati da trasporto e gli aerei
della Monuc (Onu). Mons. Monsengwo, l'arcivescovo di Kisangani, si e' gia'
attivato per avere l'agibilita' politica per il Simposio Internazionale per
l'Africa (Sipa 2). Per questo vi chiedo non solo di aderire, ma di farvi
promotori in prima persona del progetto, partecipando magari al Convegno
internazionale di Ancona "Dalla schiavitu' degli aiuti alla liberta' dei
diritti" dal 22 al 24 febbraio prossimi e al Sipa 2 "Liberons la paix" a
Kisangani dal 3 all'8 aprile 2002.
Vi elenco una serie di indicazioni utili
per mettere in rete il vostro impegno insieme a quello di tutti:
1. Divulgare
il progetto a quante piu' persone possibili: amici, associazioni ed enti locali,
comunita' ecclesiali, giornalisti;
2. Ottenere adesioni di personalita' di
tutti i campi e possibilmente la loro presenza e partecipazione a
Kisangani;
3. Sostenere il progetto raccogliendo anche finanziamenti e
organizzando momenti di informazione e sensibilizzazione;
4. Partecipare al
convegno sull'Africa ad Ancona. La segreteria dei "Beati i costruttori di pace"
si fa carico della parte di progetto che riguarda Kisangani, mentre per il
convegno di Ancona referente e' "Chiama l'Africa". A fine messaggio ci sono
tutti i rifermenti con gli indirizzi.
A meta' settimana saranno pronti
locandine e depliants di "... anch'io a Kisangani", da richiedere alle
rispettive segreterie. Sul sito internet:
www.paxchristi.it, ci sono tutti i programmi
e le informazioni che possono servire e nei prossimi giorni si potranno
scaricare i pieghevoli per una migliore vostra diffusione.
- Segreteria del
convegno di Ancona: Chiama l'Africa, via Baldelli 41, Roma, e-mail:
info@chiamafrica.it, fax: 065417425, tel.
065430082; Chiama l'Africa, via Cavestro 14/A, Vicomero, e-mail:
muungano@libero.it, tel. 0521314263.
-
"Beati i costruttori di pace", via Antonio da Tempo 2, 35131 Padova, tel.
0498070522, tel./fax: 0498070699, e-mail:
beati@libero.it, sito:
http://www.beati.org, c/c postale n. 13752357,
c/c bancario n. 369123L Cassa Risparmio PD/RO - Abi 6225 - Cab 12183.
GLI INCONTRI DEGLI AMICI
DELLA BICICLETTA DI VERONA
Prosegue anche quest'anno "VIAGGIANDO IN BICICLETTA NEL
MONDO", la serie di proiezioni diapositive sul cicloescursionismo illustrate dai
protagonisti organizzata dall'associazione "Amici della Bicicletta" di Verona.
L'iniziativa è patrocinata dalla Commissione Cultura della Prima Circoscrizione
del Comune di Verona e si pone l'obiettivo di far conoscere ai veronesi la
pratica del turismo in bicicletta, da quello più "estremo" a quello per
famiglie, fornendo degli spunti per trascorrere una vacanza originale,
rilassante e in sintonia con l'ambiente.Questo il programma completo
dell'iniziativa:
Venerdì 15 febbraio "Due itinerari nel Sud della Germania:
'In Baviera Orientale con bebè' e 'La Valle del Reno da Sciaffusa a Magonza";
Venerdì 1 marzo: "Da Cartagine alle piramidi: 4.500 Km in bici alla riscoperta
dei siti archeologici del Nordafrica"; Venerdì 22 marzo: "Le culle
ghiacciate delle follie d'acqua. Un viaggio sulle Alpi "; Venerdì 5
aprile:"Abbiamo pedalato per vent'anni - Serata speciale in occasione del
ventennale degli Amici della Bicicletta"; Venerdì 19 aprile:"In cammino
verso le stelle del campo. In bici fino a Santiago de Compostela". La
proiezione, come tutte quelle della serie, sarà ad ingresso libero e si terrà
presso la Sala Lodi di Corte del Duca, in via San Giovanni in Valle 13/b a
Verona, con inizio alle ore 21.
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PAROLE IN
LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
Vincenzo
Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,
una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto
nel carcere di Pavia, ristretto da ventinove anni e condannato all’ergastolo
“FINE PENA MAI”. Da otto anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno in
art.21, da due anni e mezzo è in regime di
semilibertà svolgendo attività di tutor-educatore presso la Comunità
“Casa del Giovane “di Pavia. Per dieci anni è stato uno degli animatori del
Collettivo Verde del carcere di Voghera, impegnato in attività sociali e
culturali con le televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie,
Università, Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola, Circa venti le collaborazioni a tesi di
laurea in psicologia e sociologia; E’titolare di alcune rubriche mensili su
riviste e giornali, laici e cattolici; altresì su alcuni periodici on line di
informazione e letteratura laica, e su periodici cattolici di vescovadi italiani; ha conseguito circa
80 premi letterari; ha pubblicato sette libri di poesia, di saggistica sul
carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia; “Non mi inganno” edito
da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans” edito da Ibiskos di Empoli;
“Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“
edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del
Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita”
edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della
“Casa del Giovane” di Pavia.
CONDANNATI A
RIEDUCARE
CARCERE E
COMUNITA’
In questi
ultimi tempi nei riguardi del carcere si ascoltano frequenti analisi, per tentare di rendere questo pianeta
sconosciuto non solo più vivibile per chi vi è ristretto, senza dimenticare
chi vi lavora, ma anche più consono
alle aspettative dettate da una Costituzione che non è carta straccia, ma la
carta magna dei diritti e dei doveri di ogni cittadino, sia esso libero che
detenuto.
COMUNITA’
DI STATO
Ci sono da una parte
le opzioni espresse da chi vorrebbe decarcerizzare, depenalizzare, legalizzare.
Mentre dall’altra sponda si chiede di incrementare l’edilizia penitenziaria
e abbassare il livello di
fatiscenza delle strutture. Poche invece le prese di posizione per elevare lo
spazio di vivibilità all’interno degli istituti, per la rielaborazione di pene più umane per rendere meno incresciosa la recidiva, e più
effettiva la richiesta di certezza della pena. Le ultime novità stanno nella
creazione di carceri gestite da eventuali titolari di comunità, prigioni
parastatali con regole e norme ad hoc. E poi ancora alcune richieste di adottare
un detenuto, lavoro socialmente utile, ecc.ecc.ecc. Riguardo
alla comunità di Stato per detenuti, indipendentemente dalle insegne o dalle
etichette che si apporteranno, si tratterà di un carcere per tossicodipendenti,
in territorio Italiano, con una legislazione vigente in tutti le prigioni della
penisola. Ciò che colpisce è l’imbocco di un’avventura per niente conosciuta, se
non per ciò che dal privato penitenziario ci soggiunge dal paese del
sogno…americano. Un mondo carcerario che è davvero un inferno, dove nulla e
nessuno è risparmiato. Sovviene una doppia riflessione, è sempre positivo
elaborare un nuovo progetto per tentare di migliorare le condizioni del carcere
italiano, soprattutto delle persone detenute, per quella umanità ferita dalla
droga. E’ chiaro che in questo senso il discorso appare più che accettabile. Lo
è un po’ meno quando la riflessione scava al di sotto del primo strato
dell’iniziativa, la quale non ha solo abiti mentali sociali, ma anche politici.
Allora diventa pressante la domanda: perché non investire quel denaro per spazi, sì, all’interno di una
prigione, ma finalmente idonei al ripristino della propria dignità, autostima e
crescita personale. Spazi adibiti allo studio, al lavoro, a quella
risocializzazione che è sintesi di una rieducazione che non ha più da regalare
misere parole né sconti pietistici, affinché chi esce da una galera non abbia a
ritornarvi…per una specie di nemesi
precostituita. Investimenti in risorse umane qualificate e qualificanti,
per capacità e per forze in campo…finalmente sufficienti, a mantenere alto il
senso di salvaguardia della collettività attraverso l’accompagnamento
individuale in microgruppi facenti parte il macrogruppo. Tutto ciò porta a
sottolineare ulteriormente quella domanda iniziale; perché non investire davvero
in quanto già c’è, in quanto già è scritto nelle circolari ministeriali, negli
intendimenti del Dipartimento e del Ministero, quindi in quelle sezioni o
strutture cosiddette “a sorveglianza attenuata”dove gli strumenti e le risorse
impegnate non possiedono astrattezze, ma rimangono tutt’ora relegate in un
angolo, perché poco condivise e perché osteggiate da pseudo furbizie politiche.
Forse sono figlio della mia storia, dei miei trent’anni passati dietro le
sbarre, ma conosco il dazio da pagare per il male fatto agli altri, una pena che
affligge, punisce e separa dalla collettività. Una pena che sancisce la fine di
un tempo che non passa mai, un tempo che non esiste. Che non ti assolve. Come
detto molte sono le idee per trasformare in meglio il carcere, mi pare però
che le stesse comunità, se
non ancora del tutto preparate a questo nuova sfida, che appare ravvicinata se
non vogliamo davvero che il carcere divenga lo strumento di ogni conflitto
sociale, da tempo sono già luoghi
di esecuzione della pena, infatti dove io svolgo la mia attività di tutor nella
comunità “Casa del Giovane” di don Franco Tassone a Pavia, ciò avviene con persone agli arresti
domiciliari, in affidamento, in misura alternativa al carcere ecc. Forse sarebbe
il caso di investire veramente di più in quelle comunità che hanno costruito
negli anni sul campo la loro credibilità, professionalità, progettualità e
capacità di accompagnare l’altro in difficoltà. Quelle comunità-strutture che
sono palestre di vita, le quali invitano a espellere le tossine a chi non regge
più il passo, e parallelamente
consentono una corretta applicazione della sanzione nella ricostruzione di identità perdute o
peggio mai individuate. Investire in quelle aree pedagogiche peraltro esistenti
nel carcere, perché la politica dell’esclusione non possiede strumenti di
ricomposizione per il reato commesso, né di cambiamento e riconciliazione,
allora lo sforzo sta nella ricerca di una dimensione che non possa coincidere
solamente con la fisicità della segregazione, o con un modello culturale basato
sull'emarginazione e su una condanna che diviene alterazione del tempo e dello
spazio, persino dei sentimenti. Qui non si tratta di eccedere nel garantismo in
favore dei detenuti, a discapito della tranquillità dei cittadini liberi,
vittimismi e pietismi fanno male a entrambi. E’ sorprendente come a
volte l’incontro con gli altri, ci conduce sul sottile confine che delimita la
scelta di rinnovarsi, di cambiare, ricorrendo alle proprie forze, alle proprie
energie per tentare di recuperare non solo nel trascendente della fede, che ogni
individuo professa, ma fors’anche e soprattutto su ciò che in ciascuno incombe:
la responsabilità di "ritrovare e ricostruire se
stesso".
IL
CARCERE CHE ANCORA NON C’E’
C’è
necessità di un ripensamento
culturale che affermi la giustezza di un principio, il quale non è filtrato da scuole di pensiero o
strumentalizzazioni ideologiche, in carcere esiste un prima e un durante e un
dopo, più il carcere recupererà persone, più il problema della sicurezza sarà
soddisfatto, contrariamente a ciò che si è cercato di fare passare come
principio sofistico. Un carcere che
umilia, che destruttura senza preoccuparsi di ristrutturare, porterà ad una delinquenza ancora più
agguerrita, ad una insicurezza maggiore di quella vissuta nei nostri tempi.
Occorre davvero fare camminare insieme con equilibrio e senza dimenticanze la
funzione di salvaguardia della collettività e quella di recupero fattivo delle
persone detenute. In questo ultimo periodo non si fa che parlare di eliminare le
vecchie fortezze penitenziarie perché fatiscenti e inumane. Non so perché ma ciò
mi fa pensare a quella Edilizia
Penitenziaria nata in epoca emergenziale: privilegiando criteri tecnologici di
neutralizzazione e incapacitazione. Per cui se questa è l’ottica mi chiedo dove
potrà estrinsecarsi l’aspetto di
carattere trattamentale-rieducativo, risocializzante, di recupero del
detenuto.
Contraddizione questa, che
coinvolge non solo il recluso, in
quanto anello più debole (e quindi doppiamente prigioniero del meccanismo
perverso che genera il carcere così com’è), ma anche l'Operatore Penitenziario,
perchè volente o nolente, egli verrà a trovarsi in una posizione conflittuale
rispetto alla consegna che la Costituzione e l’Ordinamento Penitenziario gli conferiscono. Mandato il suo che
striderebbe fortemente in una situazione di sbilanciamento sul versante della
sola sicurezza. Infatti l’Operatore Penitenziario ha nelle sue funzioni peculiari il fornire
supporto per quell’auspicata risocializzazione dei detenuti, i quali sono soggetti a
osservazione e trattamento, ma che a causa del sovraffollamento, dell'esiguo
numero di operatori poco possono essere seguiti. Per cui questo importante mediatore
relazionale si troverà anch'esso prigioniero dell'impossibilità di ben operare,
di inventare tempi e modalità di esecuzione. Costruire nuove carceri? Si dice
che lo si farà ragionando con il criterio di un paese moderno, ossia all’insegna
della sicurezza e del recupero, eppure il personale addetto al trattamento
rieducativo continua a mancare, gli istituti obsoleti nati nelle città vengono
lentamente smantellati, e quelli nuovi piazzati nelle periferie sempre più
remote… a dire dei tecnici per una impossibilità logistica. Ma così il luogo per
eccellenza più separato, escluso, ghettizzato, diventa lo spazio più facile da
rimuovere culturalmente. Se il carcere che si vuole fare nascere non avrà spazi di risocializzazione,
perché costruito su un ragionamento di solo contenimento del fenomeno criminale,
se gli spazi in questione verranno immediatamente occupati per la troppa
abbondanza di carne umana, mi sembra
chiaro che continuerà a venire meno la funzione stessa della pena e cosa
ben peggiore aumenterà la recidiva e la società si ritroverà in seno uomini
ancora più incalliti di quando sono entrati, peggio uomini ritornati bambini
incapaci di fare scelte responsabili. In questo senso assume grande rilievo
l'impegno di ognuno, ciò
alimentando processi ripetuti di relazioni e interazioni, affinché sia possibile
un cammino di crescita individuale attraverso la sinergia di quattro poli
convergenti: Magistratura, Istituzione Penitenziaria, Società e Detenuti.
Se solo
una di queste componenti viene meno tutto il progetto è destinato a fallire. Lo
stesso dibattito sulla Giustizia e in questo caso sulla pena e sul carcere è
costantemente avvelenato dal flusso comunicazionale non sempre corretto e leale.
Per cui il bene e il giusto che si riesce a fare in una galera, nelle persone
ricondotte al vivere civile, premessa per ogni conquista di coscienza, rimangono
ultimi e dimenticati, rispetto al male commesso dai pochi. Di conseguenza
rivendicare la propria dignità, ognuno per sua parte e nel proprio ruolo, sfugge
a ogni regolamentazione giuridica e umana, ciò per una politica contrapposta e
distante che disgrega e annienta quei “ponti di reciproco rispetto “a fatica
mantenuti insieme. Ci sono molte idee in pentola, personalmente mi limito
a ribadire che affrontare il cambiamento è una necessità, come affrontarlo è una
sfida per l’Amministrazione Penitenziaria, per i detenuti, per l’intera società.
Se il carcere permarrà o scivolerà in un sistema chiuso, esso gestirà i problemi
del cambiamento e dell’aggiornamento tentando di mantenere lo status quo
ripiegandosi su stesso; se invece diverrà
un sistema di detenzione aperto agli ideali nuovi e possibili, allora
diverrà anche un luogo di reale testimonianza.
Altrettanto bene so che è innanzitutto al detenuto, che viene chiesto
doverosamente di essere all'altezza del servizio offerto ( e sarebbe bene
intenderlo come una conquista di coscienza e non solo come una mera possibilità
statuale ), ma questa prigione costantemente costretta a vivere del suo, a
rigenerarsi di una speranza pressochè spenta, rafforza la separazione tra il carcere e la società. Allora
come può una società non sentirsi chiamata in causa, non avere la consapevolezza
che è suo preciso interesse occuparsi di ciò che avviene o non avviene dentro un
carcere? Perché volenti o non
volenti, esiste un dopo e questo dopo positivo dipende da un durante solidale
costruttivo e non indifferente. Qualunque sia il fondamento che si vuole
assegnare alla morale della pena,
qualunque sia il peccato di ognuno,
un punto è condivisibile e irrinunciabile: non ci sono contributi “unici” da
dare, né costruzioni di prigioni utopistiche, non c’è neppure da inventare una
nuova tavola di valori. C’è solamente bisogno di riempire di contenuti adeguati
quel che viene chiamato il bene e il giusto, perché inutile negarlo il carcere è
primariamente un male profondo, e se non sarà inteso come ripristino di un senso
di giustizia e di possibilità a riacquistare la propria dignità, esso sfibrerà gli uomini ristretti
rendendoli insensibili alla necessità di ricucire quello strappo dolente causato con il proprio
comportamento.
Vincenzo
Andraous (Carcere di Pavia, e tutor della “Casa del Giovane“ di don Franco
Tassone a Pavia) gennaio
2002
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Progetto Sorriso El
Salvador
«Progetto
Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador
avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle
popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura
di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per
INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per
versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il
conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305
- intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b
- 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso".
Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio
"Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni
bancarie.
\ | /
(@
@)
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SORRISI &
CEFFONI
FEMMINISTE (by
Luisita)
Ad una riunione di femministe di tutto il mondo, parla la delegata tedesca:
"Un pò di tempo fa ho detto a mio marito: "Franz, non cucino più!". Il primo
giorno non ho visto niente di nuovo, il secondo nemmeno, ma il terzo Franz
ha preso le salsicce, i crauti e ha cucinato per tutti. "Applausi
Scroscianti nella sala.
Parla la delegata francese: "Alcuni mesi fa ho
detto al mio Jean Paul:" Non farò più il letto!" Il primo giorno non ho visto
niente, nemmeno il secondo, ma il terzo Jean Paul ha rifatto il letto" Applausi
fragorosi.
La delegata americana:"Io ho detto a Johnny: "Non preparerò
più la colazione!" Il primo giorno non ho visto niente, nemmeno il secondo, ma
il terzo Johnny ha preso uova, bacon e succo d'arancia e ha preparato la
colazione per tutti!" Ovazione!
É il turno della delegata italiana:
"Io ho detto a Carmelo: "Carmelo non stiro più!" Il primo giorno non ho visto
niente, il secondo nemmeno, il terzo giorno ho ricominciato a vedere un po'
dall'occhio destro".
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Pensieri
@ltri
In realta' sappiamo che al mondo si produce tanto da
poter dare a ciascuno
non solo 200 kg di cereali all'anno ma anche un etto al
giorno di carne o
pesce: e che, se c'e' gente che muore di fame, e' soltanto
perche' non c'e'
uguaglianza, e i ricchi tolgono il cibo ai poveri. (Laura
Conti)
- - -
La natura paradossale dell'attuale integrazione
globale dell'economia
mondiale, attraverso la trama delle speculazioni e dei
prestiti, e' che
questa si serve di mitiche formulazioni su computer e
tabelloni elettronici,
ed e' capace di distruggere in un attimo le economie
reali di interi paesi.
(VANDANA SHIVA)
Porto Alegre (Brasile)
Forum Sociale Mondiale 2002 - dal 31 gennaio al 5 febbraio
2002