il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996
Direttore Responsabile ed Editoriale: Amedeo Tosi
Redazione:  località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (VR)

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tutta ed esclusiva dei rispettivi autori. il GRILLO parlante ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli a cura della Redazione e di quelli non firmati.
 
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PROVERBIO
«È meglio essere poveri nella libertà piuttosto che sudditi nell'opulenza»
(Patrice Emery Lumumba, eroe dell'indipendenza dell'ex Congo belga)

 
Appuntamenti da non perdere
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14/1/2002 - Legnago (VR) - Incontro con Marco Revelli
 
Il LEGNAGO SOCIAL FORUM organizza per Lunedì’14 gennaio ore 20,45, presso SalaCivica (Palazzo di Vetro) di Legnago un incontro-dibattito sul tema: «Dopo Genova, dopo New York, verso Porto Alegre: Quale mondo è in costruzione?». Sarà una serata di dibattito sulla nuova fase della globalizzazione che si è aperta dopo Genova e dopo New York. Un momento di riflessione e confronto per costruire una nuova agenda del movimento. Interverrà Marco Revelli, professore di Scienza della Politica all’Università del Piemonte Orientale; tra i suoi libri “Oltre il Novecento”, “La sinistra sociale” , “Le due destre”.
 
 
16/1/2002 - Montecchio Maggiore (VI) - Spettacolo a favore di Emergency 

Mercoledì 16 gennaio 2002 alle ore 21.00, “Kamille va alla guerra”- spettacolo teatrale per Emergency presso il Cinema Teatro S.Pietro di Montecchio Maggiore (VI)

 
 
17/1/2002 - Montecchio Maggiore (VI) - Storia e cultura del popolo islamico

Giovedì 17 gennaio 2002 alle ore 20.45, presso l'aula magna A. Manzoni, via Lorenzoni 2, Montecchio Maggiore (VI),  conferenza-dibattito sulla storia e cultura del popolo islamico. Relatori  Elisabetta Bartuli e Top Niang. 

 
18/1/2002 - San Bonifacio (VR) - Marcia per la pace
 
«Non c'è pace senza giustizia; non c'è giustizia senza perdono» (Giovanni Paolo II). Venerdì 18 gennaio, la scuola di preghiera del Vicariato di San Bonifacio propone una MARCIA PER LA PACE. Si tratta di un'occasione d'incontro, di preghiera, di silenzio, di ascolto. Percorrendo insieme un tratto di strada nel centro di San Bonifacio, aiutati da alcune testimonianze. Guiderà la riflessione Sergio Paronetto (Pax Christi). Si partirà dal piazzale del Centro Commerciale alle ore 20,30. L'invito è rivolto a tutti, in particolare ai giovani del vicariato di San Bonifacio.
 
 
19/1/2002 - San Bonifacio (VR) - Pensando alla Pace/4 : Legislazione, diritti e doveri del cittadino migrante

«LEGISLAZIONE, DIRITTI E DOVERI DEL CITTADINO MIGRANTE» è il titolo dell’incontro dibattito organizzato dal «Forum delle comunità in dialogo» in collaborazione con 7 associazioni di volontariato dell’Est veronese e con il patrocinio del Comune di San Bonifacio. All’incontro, che si terrà presso la Sala Civica “Barbarani” di San Bonifacio alle ore 9,30, interverranno: Enrico Varali (Cestim - Centro Studi Immigrazione di Verona) e Marta Farfan (Inas-Cisl Roma). Coordina Amedeo Tosi (giornalista). Nel corso dell’incontro sarà presa in esame la normativa vigente sull’immigrazione sia per quanto concerne gli ingressi sia la permanenza nel nostro Paese e l’ottenimento della cittadinanza. 

21/1/2002 - Verona - Chiese in dialogo. Incontro con Bettazzi
 
Lunedi 21 gennaio, ore 20.45 Presso la Sala Convegni della Cassa di Risparmio, Via Garibaldi, 2 (Verona), la COMMISSIONE DIOCESANA “ECUMENISMO E DIALOGO” e la CHIESA VALDESE ‑ SAE. (segretariato attività ecumeniche) promuovono una conferenza sul tema: “LA PACE INTERPELLA LE CHIESE NEL DIALOGO ECUMENICO”. Relatore: LUIGI BETTAZZI, Vescovo emerito di Ivrea.
 
 
21/1/2002 - Verona - Incontro di Pax Christi
 
Lunedì 21 gennaio alle ore 21, presso il Centro Missionario Diocesano di Verona, via Duomo 18/a, si terrà l'incontro mensile di Pax Christi sul  messaggio del Papa del 1 gennaio 2001: "pace giustizia e perdono". E sulla preghiera delle religioni per la pace del 24 gennaio. Seguendo le indicazioni originarie del movimento (preghiera, studio e azione) ognuno potrà mettere in comune tutto ciò che gli interessa esporre, seguendo la traccia trinitaria proposta partendo dalle sue esperienze e/o dalle sue ipotesi di lavoro  per la pace a Verona e in Italia. Introdurrà l'incontro Sergio Paronetto.
 
 
24/1/2002 - San Bonifacio (VR) - Infanzia e adolescenza
 
«Infanzia e adolescenza: i problemi di età difficili e le loro soluzioni» è il tema della conferenza che si terrà presso la Sala Civica “Barbarani” di San Bonifacio, ore 20,30. All’incontro, patrocinato dal Comune di San Bonifacio e dalla Provincia e organizzato dal Centro di Terapia Strategica, interverranno: Stelio Verginella, del Centro di Terapia Strategica e Anna Rita Masin.
 
 
10/2/2002 - Colognola ai Colli (VR) - Ricordare padre Turoldo
 
Memoria di  Padre DAVID M. TUROLDO a dieci anni dalla morte. Domenica 10 febbraio 2002 ore 18,00 - 19,30 presso la chiesa romanica di Pieve di Colognola ai Colli (VR)
  
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IN PRIMO PIANO

La terra trema

Con la guerra afghana, Bush ha saziato la sete di vendetta degli americani e allargato a dismisura l'influenza degli Usa in Asia. Il prezzo è stato il grande ritorno in campo della Russia

di GIULIETTO CHIESA

" They have done a good job". Un amico americano, sicuramente liberal, riassumeva così la situazione bellica in Afghanistan dopo il definitivo massacro dei taliban e di Al Qaeda. "Loro" erano e sono il team di George W. Bush, primo Imperatore del XXI secolo. E unico. In effetti alcuni obiettivi, anche se non tutti, sono stati raggiunti. E cercherò qui di spiegare in cosa consistono. Tra questi, tuttavia, non c'è la vittoria contro il terrorismo internazionale. Del resto essa non poteva esserci poiché la guerra, iniziata il 7 ottobre 2001, non può concludersi così in fretta. Altrimenti verrebbero contraddette le previsioni del vice-imperatore Dick Cheney, secondo cui essa durerà ben oltre l'aspettativa di vita della presente generazione.
Il primo obiettivo raggiunto è la vendetta. Il numero dei taliban e degli arabi annientato è e rimarrà sconosciuto ma, mettendo insieme tutte le notizie ufficiose provenienti dal campo dei vincitori (altre notizie non abbiamo, essendo quelle del nemico, per definizione, false), possiamo calcolare che almeno 20.000 uomini siano stati uccisi nei bombardamenti, nei combattimenti, nelle stragi che hanno accompagnato la vittoria, nei massacri di prigionieri (non si fanno prigionieri in questa guerra). Un rapporto di cinque contro uno, se si assume che il numero dei morti nell'attacco dell'11 settembre si aggiri attorno ai 4000. Un rapporto certo inferiore a quello delle rappresaglie naziste della seconda guerra mondiale, ma comunque tale da soddisfare i requisiti della proclamazione di guerra ("la nostra causa è giusta, la nostra causa è necessaria", ha detto George Bush) e l'ira del consumatore americano.

Per quanto concerne le vittime civili, esse - com'è noto - non erano un obiettivo e sono, per definizione, collaterali. Come tali esse non sono state né fornite, né indagate, e dunque non le conosceremo mai. Anche perché, quando qualcuno comincerà a contarle, l'Afghanistan sarà già sparito dalle prime pagine dei giornali e dei notiziari televisivi, e dunque non varrà la pena occuparsene.
Il secondo obiettivo raggiunto è la profonda modificazione delle linee di demarcazione dell'influenza degli Stati uniti in tutta l'Asia, particolarmente nell'Asia Centrale. Al termine della guerra afghana gli Stati uniti si sono assicurati il controllo diretto di almeno quattro delle repubbliche ex sovietiche collocate tra il Medio Oriente e l'area del Mar Caspio. Per la precisione la dipendenza di Georgia e Azerbaijan - entrambe guidati da ex membri del Politburò del Pcus - era già un dato di fatto prima dell'inizio della guerra afghana. Ma ora essa è sancita poco meno che ufficialmente e, comunque, ben nota a tutte le cancellerie diplomatiche. In altre epoche sarebbe stato detto che la Georgia di Eduard Shevardnadze e l'Azerbaijan di Geidar Aliev erano diventate due colonie degli Stati uniti, ma ora si usano espressioni più soft. Si aggiungono ora al bottino di guerra l'Uzbekistan di Islam Karimov e il Turkmenistan di Saparmurad Nijazov. Nel primo di questi due stati gli Usa hanno installato una base militare permanente. Del secondo nulla si sa con precisione, anche perché Ashkhabad, la capitale, è impenetrabile agli stranieri, in particolare ai giornalisti. Tuttavia buone fonti (russe) affermano che Turkmenbashì (il padre di tutti i turkmeni, come Nijazov ama farsi chiamare) avrebbe consegnato in mani americane l'aeroporto ex strategico - fu strategico per i sovietici nel corso della loro guerra afghana - di Mary, e forse anche quello di Charzhou. Naturalmente Nijazov si è anche dichiarato disponibile ad ospitare i terminali dei futuri oleodotti e gasdotti per il trasporto dell'energia dall'area del Caspio al Golfo Persico. Progetto che, come vedremo meglio più avanti, risale alla metà degli anni '90 ed è strettamente connesso alla nascita del regime dei taliban.

In poco meno di tre mesi l'amministrazione Bush ha disegnato una Yalta asiatica, rimodellando a suo vantaggio tutti i rapporti geo-politici continentali. La nuova superguerra contro il terrorismo internazionale sta pagando ottimi dividendi. E tutto lascia intravvedere che anche le fasi future della superguerra saranno accompagnate da analoghe modificazioni geo-politiche in altre aree del pianeta. Ciò varrà per l'area della Palestina, dove Israele ha cominciato, con l'appoggio di Washington, la guerra per la liquidazione dello stato palestinese, avendo in vista il rilancio del progetto di un grande stato ebraico. La liquidazione di Arafat è la via per questo disegno, che chiuderà ogni via per un negoziato. Ciò varrà per l'Iraq, dove la fine di Saddam Hussein porterà all'instaurazione di un protettorato statunitense e all'installazione di basi americane, analogamente a quanto fu fatto con l'Arabia Saudita dopo la guerra del Golfo del 1991.
Altrettanto vasti rimodellamenti di influenze a vantaggio degli Usa accompagneranno le previste guerre in Somalia e Sudan. Tutto lascia pensare che la nuova guerra asimmetrica e planetaria non si limiterà allo sterminio sistematico delle tentacolari propaggini della piovra di Al Qaeda. A Washington sanno che ciò non basterà a eliminare il pericolo, anche nell'ipotesi di un successo totale delle operazioni di polizia. Infatti la tensione sociale nel pianeta - già dilatatasi spasmodicamente nell'ultimo ventennio - è destinata anch'essa a crescere di pari passo con il rilancio (in chiave keynesiana e militare) della globalizzazione americana. E dunque si pone fin d'ora il problema della moltiplicazione di basi e presidi permanenti degli Stati uniti in tutte le aree del pianeta in cui sarà possibile prevedere il risorgere della minaccia agl'interessi economici e politici americani.

Ciò detto occorre tuttavia dare un'occhiata al rovescio della medaglia del "good job". La Grande Yalta asiatica implica l'esistenza di una partner-avversario cui concedere parte del bottino. Questo partner-avversario è la Russia. Che è rientrata in gioco dopo il lungo limbo decennale in cui la sua debolezza oggettiva (e l'assoluta subalternità di Eltsin agli interessi americani) l'avevano relegata. Paradossalmente è stato proprio l'Imperatore a richiamare la Russia nel grande gioco. Per ragioni di necessità, costretto a pagare un prezzo che potrebbe rivelarsi perfino più salato di quanto appaia oggi. Occorreva la Russia, la sua solidarietà, per mostrare al mondo la Grande Alleanza contro il terrorismo internazionale. L'esistenza stessa di una Grande Alleanza forniva infatti la prova apparentemente inconfutabile della legittimità morale della guerra afghana. Per ottenere l'appoggio di Mosca l'amministrazione Usa non ha lesinato sforzi e impegni, come dimostra la frequenza febbrile dei contatti, viaggi in Russia, missioni diplomatiche, concessioni di vario genere, dispiegate dal poker d'assi Bush-Cheney-Rumsfeld-Powell.
Vladimir Putin ha assecondato molto abilmente questo abbraccio multiplo offertogli da Washington. Lo ha perfino anticipato offrendo, per primo, addirittura più tempestivo di alcuni alleati occidentali, condoglianze e solidarietà dopo la tragedia dell'11 settembre. Da quel momento si è avuta l'impressione di una totale sintonia tra Mosca e Washington. Impressione che è stata accresciuta da un impegno davvero totale, spasmodico, ossessivo, unanime (al punto da far sospettare un ordine di scuderia) di tutta l'informazione occidentale nel confermare quella sintonia.
In realtà abbiamo assistito all'inizio di una serrata (e a tratti molto rude) trattativa tra Stati uniti e Russia per ridefinire i loro reciproci rapporti e per ridisegnare - appunto - la carta asiatica alla luce cruda dell'11 settembre. Il presidente russo ha trattato con grande maestria, specie se si tiene conto che le carte che aveva in mano non erano né molte, né decisive. Il primo a sapere che la Russia è debole, è proprio lui. Così Vladimir Putin ha giocato a carte scoperte, mettendo sul tavolo del ranch texano di Bush, tutto intero, il quadro del contenzioso tra Russia e Stati uniti. Si è dunque negoziato su molte questioni contemporaneamente. Ci si è lasciati con una stretta di mano perché ciascuno dei due ha ritenuto (o ha finto di ritenere) di avere conquistato qualche vantaggio. Putin ha subito ottenuto la fine di ogni ingerenza esterna sulla Cecenia. Cioè sia la fine dell'aiuto ai ribelli ceceni, fino a ieri abbondantemente fornito, attraverso la Georgia e l'Azerbaijan, dai servizi segreti turchi con la benedizione della Cia, sia la fine delle periodiche lamentele occidentali in tema di violazione dei diritti umani in Cecenia. D'ora in poi, e per qualche tempo, il silenzio dell'Occidente è garantito.

Putin, dal canto suo, ha inghiottito la perdita delle due repubbliche ex sovietiche di Uzbekistan e Turkmenistan, dopo aver dovuto subire, senza poter fare quasi nulla, quella di Georgia e Azerbaijan. Ma ha ottenuto, in cambio, l'assicurazione che l'area d'influenza russa su Armenia, Kazakhistan, Kirgizia, Tajikistan sono sarà minacciata nell'immediato futuro. La Russia compie una cospicua ritirata strategica da una parte dell'Asia Centrale, riconoscendo implicitamente la rivendicazione americana sull'area, già proclamata da Clinton come "area d'interesse vitale per gli Stati uniti d'America". E' probabile che Mosca consideri questa ritirata come temporanea, o tattica, ma essa, per quanto dolorosa, rappresenta un riconoscimento dei rapporti di forza reali.
Tanto più ferma, di conseguenza, è stata la posizione di Putin in tema di regolamento politico della situazione afghana dopo la definitiva liquidazione del regime talibano. Non era certo sfuggita a Mosca la lunga operazione pakistano-saudita-statunitense il cui obiettivo avrebbe dovuto essere la creazione di una serie di oleodotti e gasdotti in grado di portare le immense risorse energetiche del Mar Caspio agli utilizzatori occidentali attraverso l'Afghanistan.
L'operazione, iniziata nei primi anni '90, aveva visto, come protagoniste, due importanti compagnie petrolifere, la Unocal Corp. (americana) e la Delta Oil (di proprietà del sovrano saudita). Entrambe avevano soppiantato la minuscola compagnia petrolifera argentina Bridas nei rapporti con il satrapo turkmeno Saparmurad Nijazov (che avrebbe dovuto assicurare il terminale nord di oleodotti e gasdotti) e con i mujaheddin afghani (che si pensava di poter mettere d'accordo in cambio di molto denaro), che avrebbero dovuto smettere di combattersi, garantire un futuro relativamente tranquillo all'Afghanistan e consentire il passaggio degli oleodotti verso il sud, verso il Golfo Persico.

Operazione strategica a doppia valenza: economica e politica. Da un lato avrebbe consentito una soluzione molto economica per il movimento di ingenti quantità di energia verso le grandi economie occidentali. Dall'altro avrebbe permesso di bypassare la Russia, sottraendole al tempo stesso principesche royalties e l'influenza sull'intera area centro-asiatica. Quest'ultimo aspetto era in stretta connessione con il progetto strategico (sostenuto da influenti circoli di Washington) di indebolire ulteriormente la Russia fino a un suo completo collasso, la sua trasformazione in "confederazione debole", infine la suddivisione in tre stati (Russia europea, senza il Caucaso del Nord, Siberia Occidentale e Estremo Oriente). Il progetto fallì per l'impossibilità di mettere d'accordo le fazioni afghane. Al suo posto venne deciso di "pacificare" l'Afghanistan mediante un nuovo regime, costruito artificialmente dall'esterno. Il movimento dei Taleban era nato così, tra il 1994 e il 1995, mediante il finanziamento saudita delle madrassas (scuole coraniche) e il massiccio intervento dei servizi segreti pakistani, che fornirono istruzione, comandi, intelligence per la guerra contro i mujaheddin. Decine di migliaia di studenti coranici vennero così formati a una nuova Jihad, addestrati, armati e trasportati in Afghanistan dai campi profughi della North-West Frontier. In meno di due anni, con armi e fiumi di dollari, i Taleban del mullah Omar conquistarono o comprarono quasi tutti i comandanti militari ex mujaheddin, costrinsero gli altri alla fuga, e s'impadronirono del 90% del territorio del paese. Era il 1996 quando arrivarono a Kabul. Ma la Russia non era rimasta con le mani in mano. I militari e i servizi segreti russi avevano riempito il vuoto politico del presidente Eltsin. Resisi conto che l'operazione taliban era diretta a colpire a fondo gl'interessi russi, avevano cominciato a sostenere e armare l'unico antagonista afghano rimasto sul terreno a contrastare la travolgente avanzata dei taliban: il tagiko Ahmad Shah Massud, trincerato nella fortezza naturale della Valle del Panshir.

Il fallimento dell'operazione taliban era stato figlio della spregiudicatezza di Mosca, pronta a sostenere colui che era stato il suo acerrimo nemico durante gli anni dell'intervento sovietico in Afghanistan. Ma ora Vladimir Putin aveva le sue rimostranze da fare a George Bush. E una proposta: vi diamo l'appoggio politico necessario per liquidare i taliban, che nel frattempo sono divenuti pericolosi anche per voi. Ma a condizione che il futuro governo dell'Afghanistan sia concordato con noi. E a un'altra condizione: che il futuro uso delle risorse strategiche del Caspio sia gestito assieme alla Russia e non contro la Russia.
Alla luce degli eventi successivi sembra di poter dire che l'accordo raggiunto nel ranch del Texas, tra Bush e Putin, non fu né chiaro, né completo. Gli Usa devono soddisfare le esigenze del generale Musharraf, pericolante e infido, mentre la Russia ha tutto l'interesse a sostenere fino in fondo le richieste dei tagiki eredi di Massud. E tra tagiki e Islamabad non c'è pacificazione possibile, poiché l'assassinio di Massud è opera di Osama bin Laden non meno che dell'Inter Service Intelligence pakistana. Si spiega così perché i tagiki sono entrati a Kabul per primi, contro l'avvertimento di Bush, impadronendosi di fatto del potere, certo d'accordo con Mosca, senza aspettare il via libera americano. E si spiega così anche l'arrivo a Kabul, di nuovo per primi, del contingente russo: secondo il proverbio "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio". Che nella versione russa suona: "abbi fiducia, ma prima verifica" (doveriaj, no proveriaj).

Ciò che succederà, a Kabul e dintorni, nei prossimi mesi, dovrà essere letto in questa chiave, se si vorrà capire qualcosa. Putin non è disposto a regalare l'Afghanistan all'America. Né è disposto a lasciare che Washington decida da sola sul futuro dell'Asia Centrale e su quello delle risorse energetiche ivi contenute. E' vero che Mosca è relativamente debole, che non è più potenza globale. Ma è anche vero che nell'area in questione - il suo "cortile di casa" - Mosca è ancora molto forte, temibile, in grado d'influenzare molte situazioni. Ad esempio la tenuta di regimi come quello di Tashkent e quello di Ashkhabad può essere messa rapidamente a repentaglio se la Russia scoprisse di essere stata ingannata o colpita nei propri interessi. A Mosca non c'è più Eltsin, manutengolo degl'interessi occidentali. Putin, convinto assertore del capitalismo in Russia, è anche un altrettanto convinto fautore degli interessi nazionali russi. E, se non fosse sufficientemente convinto, dovrebbe fare i conti con quei settori dell'establishment russo che premono perché essi vengano difesi.
Sotto questa prospettiva occorre esaminare anche gli altri due temi che sono stati al centro dell'incontro di novembre nel ranch del Texas. Su entrambi non c'è stato accordo. Su uno si è registrata una modesta convergenza, sull'altro si è registrata una completa divergenza. Si tratta, rispettivamente, dell'allargamento a est della Nato, e del trattato Abm del 1972. Colin Powell - ma Donald Rumsfeld è di altro avviso - è disposto a concedere molto a una Russia che conceda molto. Per esempio anche un avvicinamento della Russia alla Nato, che le consenta di entrare in un organismo congiunto, da inventare ad hoc, in cui alla Russia sia perfino concesso qualche diritto in materia di decisioni collettive. Putin ha mostrato di essere interessato a una tale eventualità, riservandosi di decidere quando le cose si faranno più chiare e, soprattutto, quando a Washington si sarà deciso cosa s'intende regalare alla Russia. Niente di più.
Del resto Putin sa perfettamente che l'allargamento verso est dei confini della Nato sarà deciso indipendentemente dalla Russia e, quindi, sa che il proprio spazio di manovra è segnato dai rapporti di forza concreti, che sono a suo svantaggio. Per questo non strilla, non si agita, non dà in escandescenze (come amava fare Eltsin) quando lo si chiude in angolo: aspetta il momento in cui potrà far valere la sua forza. D'altro canto la vicenda afghana, cioè l'inizio della guerra infinita, sembra dire che Washington non ha più molto bisogno della Nato. Ha deciso di fare da sola, al più con l'aiuto dell'Inghilterra. Pensa di potere e di dovere farcela da sola, senza impacci, senza remore. La Nato avrà, sempre di più, un valore politico diplomatico. In quel tipo di Nato la Russia potrebbe anche essere ammessa. Entrarvi, per Putin, equivarrebbe a una soddisfazione simbolica. Anche questo ha capito.

L'unica cosa, non da poco, che Putin ha ottenuto in Europa, è stata una tregua dell'offensiva americana contro la Bielorussia di Lukashenko. Washington aveva - ed ha - come obiettivo di rovesciare il presidente bielorusso. Ma dovrà ora dilazionare questo obiettivo per non creare altri problemi con Mosca. Minsk può aspettare. Il "modello Belgrado", della sovversione finanziata dall'esterno, delle minacce-promesse in cambio del rovesciamento del leader nazionale di turno, usato con successo contro Milosevic, per ora non si ripeterà.
La completa divergenza c'è stata soltanto in materia di "scudo stellare". Qui Bush non poteva concedere nulla. La filosofia "unilaterale" di Cheney, Rumsfeld, Rice non ammette deroghe, con o senza il terrorismo internazionale. L'America è l'unica superpotenza rimasta. Come tale non si sente più tenuta a negoziare con chicchessia. Al massimo, quando lo riterrà opportuno, potrà comunicare agli altri le sue decisioni sovrane. A questo si deve solo aggiungere che lo "scudo stellare" (cioé la militarizzazione dello spazio) diventa ora essenziale per il dominio globale del pianeta. E che i 100 miliardi di dollari necessari per realizzarlo saranno anche un utile strumento "keynesiano" per rimettere in moto la disastrata new economy.


Come ha scritto il Financial Times pochi giorni dopo la tragedia delle Twin Towers, "tutti ormai dobbiamo essere di nuovo keynesiani". Anche a questo proposito Vladimir Putin non ha alzato la voce quando da Washington gli è stato comunicato, con i regolamentari sei mesi di anticipo, che gli Stati uniti si apprestavano a uscire dal trattato. Ha fatto rispondere dal suo ministro della difesa, laconicamente, che la Russia comincerà a installare sui suoi missili Topol non più una, ma dieci testate nucleari. La Duma ha annunciato che la messa in esecuzione degl'impegni del trattato Start-2 sarà sospesa e, nel frattempo, la Russia ha varato il sommergibile nucleare Ghepard: una nuova generazione capace di gareggiare con il meglio della tecnologia americana.
Detto in termini più concisi, è cominciata una nuova corsa al riarmo mondiale. Perché è del tutto evidente che la Cina sta accelerando il proprio sviluppo tecnologico-militare, poiché sa di essere stata già eletta a nemico principale quando l'attuale "clash of civilizations" contro il mondo islamico sarà terminato. Dov'è la "Grande Alleanza" contro il terrorismo internazionale, che fu sbandierata all'inizio della guerra, per giustificare la sua "inevitabilità" e la sua "legittimità"? Semplicemente non c'è mai stata.

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SOLIDARIETA'

 
IMPORTANTE
PER SAFIYA
 
Care amiche, cari amici, soltanto in queste ultime ore abbiamo saputo che Safiya sarà giudicata in appello lunedi prossimo: La tesi della difesa si baserà sia sul fatto che si é trattato di violenza carnale sia sul fatto che in ogni caso il reato sarebbe stato compiuto  prima dell'introduzione della sharia. Quanto al resto: il ministro federale nigeriano di grazia e giustizia, che aveva garantito che Safiya non sarebbe stata uccisa, è stato ammazzato il 23 dicembre scorso. ed è stato assassinato tre giorni fa anche il segretario particolare del presidente della Corte federale. Sono delitti "comuni" o episodi legati al durissimo (anzi: sanguinoso) conflitto in atto nel paese fra cristiani e musulmani? E' in questo clima che sarà esaminato l'appello di Safiya.
Persone autorevoli ci consigliano di scrivere SUBITO, e fare scrivere, nuovi appelli in favore di Safiya mandandoli questa volta per e-mail, data la ristrettezza dei tempi al seguente indirizzo http:www.nigerianmission.org/_vti_bin/shtml.dll/feedback.htm

Per chi è poco pratico di Internet e/o non conosce l'inglese, spiego: sulla pagima troverete la scritta: What kind of comment woud you like to send? Selezionate SUGGESTION... What about us do you etc: In  OTHER scrivete "Safiya Hussaini". Nel riquadro successivo scrivete WE WANT SAFIYA HUSSAINI ALIVE! Completate con i vostri dati e spedite. Ricordiamoci che nessuno farà quello che potremmo fare noi.
 

GARANTIRE SICUREZZA AI MAGISTRATI IMPEGNATI IN INCHIESTE CONTRO IL CRIMINE ORGANIZZATO

Uno dei problemi più gravi del governo Berlusconi e' sicuramente quello del mancato rinnovo delle scorte a tutela dei magistrati impegnati in inchieste contro il crimine organizzato, da Milano alla Sicilia. Alcuni di loro sono stati fotografati da giornalisti mentre affrontava il traffico cittadino privi di scorta. E' una situazione non più tollerabile da un paese che si dice civile e della quale riteniamo si debba far carico la società tutta, addossandosi le responsabilità relative alla spesa delle rispettive scorte. E' un invito questo che rivolgiamo a tutti gli italiani che hanno a cuore il problema di garantire sicurezza ai magistrati e ai così detti "testimoni di giustizia" che rischiano la vita per noi e della cui incolumità siamo moralmente responsabili. Dovesse mai venire aggredito o ucciso uno dei magistrati, e non sarebbe il primo, come la metteremmo con la nostra coscienza di persone oneste? Abbiamo bisogno di adesioni effettive e non di parole di solidarieta'. Versiamo quindi, uno, dieci, cento, mille euro, sul "Fondo straordinario di sostegno" presso la Banca popolare etica, sede di Padova, Piazzetta Forzate n. 2, c/c n. 511511, Abi 5018, Cab 12100. Questo conto sarà messo a disposizione anche del capo dello stato, massima autorità del Consiglio superiore della magistratura. Garanti dell'utilizzo del Fondo: Franca Rame, Dario Fo, Antonino Caponnetto, Milly Bossi Moratti, Luigi Ciotti, Alfredo Galasso, Rita Borsellino. Impegniamoci profondamente con il massimo delle nostre forze per questa giusta causa. Una copia di tale appello verrà inviata al Presidente della Repubblica ed ai Prefetti delle città interessate. Si attendono adesioni mediante e-mail all'indirizzo: info@antoninocaponnetto.it o via fax: 0552342713.

 

Legge 20 luglio 2000, n. 211

"Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000

Art. 1.

1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Art. 2.

1. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinchè simili eventi non possano mai più accadere.

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MASSMEDIA e TAM TAM vari 

SITI DA VISITARE 
 
1) Pedagogisti on line www.educare.it
2) RAC DIS GIO' 2002: News dall'Informagiovani di San Bonifacio http://infogiovani.interfree.it
3) Notiziario femminile www.femmis.org ."Femmis", Feminine missionary information service, e' il notiziario telematico femminile  promosso dalle Missionarie Comboniane (Pie Madri della Nigrizia). Femmis e' un servizio informativo in sinergia con tutti e tutte coloro che, come noi, sono sensibili alla situazione femminile nel mondo. La notizia vista e scritta da donne che fanno dell'informazione senza esclusioni, la loro missione. La formazione di donne, protagoniste della loro informazione. Femmis offre ogni giorno: Una frase, un proverbio, una ricetta, un detto sulla donna e altro. Ogni settimana: Una foto, un profilo di donna e un articolo d'attualita'. Ogni mese: Una rassegna stampa, notizie sul mondo femminile e un dossier della rivista "Raggio". Links a siti e bibliografia femminile. Femmis e' membro dell'associazione WIN (Women's International Network).
4) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
7) Da San Bonifacio... www.sanbonifacioonline.it
8) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
9) Il sito di Mario Lodi www.casadelleartiedelgioco.org
10) Società Aperta: www.societaperta.it
11) Gruppo Solidarietà: www.comune.jesi.an.it/grusol
12) Il paese delle donne http://www.womenews.net
13) Agenziastampa per i Consumi Etici e Alternativi www.consumietici.it
14) WWW.PROMISELAND.IT Il più grande network italiano dell'informazione etica.
 
 
E' IN VENDITA NEI NEGOZI DELLA LESSINIA E IN CITTA' IL FILM "La cattolica e l'ardito"

Velo Veronese, 1939, Anno XVII dell'Era Fascista. Lei, iscritta all'Azione Cattolica. Lui, iscritto al Partito Nazionale Fascista. Intorno a loro si dipana la vita in un paesino di montagna, in un'epoca di povertà, di slogan, di catechismi contrapposti, di adunate fasciste, da una parte, e di processioni cattoliche dall'altra. Il Sabato Fascista, le marce dei Figli della Lupa e dei Balilla; le esercitazioni di guerra degli Avanguardisti, le adunate delle Gioveni Fasciste e delle Massaie Rurali. Le scritte sui muri delle case: IL DUCE HA SEMPRE RAGIONE; DUCE E DIO. Ma anche il Catechismo di Pio X, in parroccchia, le confessioni, il tesseramento all'Azione Cattolica, il divieto per le ragazze di andare a ballare, perchè:"il ballo è la porta dell'inferno!". Le sirene della guerra imminente porranno fine a un crescendo, quasi drammatico, di esaltazione collettiva. Il film è tratto dallo spettacolo teatrale "La cattolica e l'ardito" di Alessandro Anderloni. Regia di Alessandro Anderloni. Una produzione: APS Video e Le Falìe. Durata: 80'. Per informazioni: giuliacorradi@libero.it     lefalìe@cimbri.it
 
 
Gino Strada Nobel per la pace

«la pagina» partecipa alla campagna per assegnare a Gino Strada il Nobel per la Pace 2002. Il chirurgo milanese, fondatore di Emergency, l'organizzazione umanitaria che da alcuni anni in Afganistan assiste le vittime della guerra, era già stato candidato quest'anno al Nobel poi assegnato al Segretario generale dell'Onu, Kofi Annan. Anche in queste drammatiche settimane Gino Strada è stato personalmente e disinteressatamente impegnato sul territorio afgano, soccorrendo feriti e salvando vite:
FIRMO ANCH'IO: Nome..., Cognome...,  Indirizzo..., Telefono..., Fax..., E-mail... Inviare a: la.pagina@libero.it
 
APPELLO DI ALCUNI INSEGNANTI ITALIANI PER UN DIALOGO DI PACE CON LE SCUOLE DEI VICINI PAESI ARABI E ISLAMICI
 
Agli  studenti e ai colleghi delle scuole medie inferiori e superiori, alle associazioni di volontariato che si occupano di educazione: aderite all'iniziativa di pace, proposta da un gruppo di insegnanti che collaborano al sito cooperativo www.didaweb.net Intendiamo lanciare un messaggio di pace alle scuole dei paesi arabi e islamici on line (rivolgendosi in primo luogo al mondo arabo e islamico mediterraneo che ci e' piu' affine). La scuola, noi pensiamo, deve essere un veicolo di pace e di rassicurazione reciproca tra le culture. Certo, esiste gia' un dialogo on line tra scuole nostre e loro (piu' i vari gemellaggi, non solo on line e per iscritto, ma con visite e conoscenza diretta); tuttavia ci sembra che questo sia un momento speciale in cui la fiducia reciproca e' scesa ai minimi storici. Dichiarazioni di Bush e Berlusconi (con smentite che sicuramente l'opinione pubblica araba e islamica non si e' bevuta), caccia all'arabo in grande in America, ma in piccolo anche in Europa e in Italia, sono fatti che richiedono una smentita da parte della gente comune, dei giovani in particolare. Dobbiamo rassicurare gli islamici dell'altra sponda del mediterraneo, nonche' dell'Albania e della Bosnia, del fatto che almeno alcuni di noi non ce l'hanno a priori con loro. La lettera dovrebbe essere firmata da classi, da singoli studenti e insegnanti, da associazioni di volontariato che si accupano dei giovani e da associazioni di categoria degli insegnanti e dei genitori. Tutte queste persone e gruppi potranno mandare la loro adesione a mediatori@didaweb.net Le scuole on line probabilmente sono ben poco rappresentative delle societa' cui ci rivolgiamo. Bisognerebbe partire on line, ma poi arrivare a creare il caso e a dargli risonanza, ed arrivare a scrivere a giornali di paesi islamici o a scuole non on line. Insomma, l'iniziativa potrebbe avere due generi di ricadute: far arrivare a molta gente un messaggio di pace (tra l'altro invitando i nostri corrispondenti on line a comunicare in giro la versione araba del nostro messaggio); specificamente, contribuire a promuovere ancora il dialogo interculturale on line tra studenti e classi dell'una e dell'altra "sponda" (in inglese o francese, on line o per posta ordinaria). Il gruppo del didaweb/mediatori

Ecco il testo dell'appello, che abbiamo gia' comunicato a diverse associazioni.
Ai fratelli e alle sorelle di religione musulmana impegnati nella scuola come studenti e come insegnanti Noi firmatari, che insegnamo o studiamo in numerose scuole sparse per l'Italia o che apparteniamo ad associazioni che si occupano dei problemi dell'educazione, vogliamo assicurarvi che nutriamo fiducia nel dialogo con voi e vi consideriamo amici e fratelli. Alcuni dei nostri media, dei nostri governanti e dei nostri concittadini italiani o europei, hanno mostrato, dopo l'attentato terroristico delle Torri Gemelle, un atteggiamento di diffidenza - e qualche volta di superiorita' o di ostilita' -  nei confronti del mondo musulmano, che noi non condividiamo affatto. Egualmente riteniamo ingiusto e inaccettabile che nella punizione dei colpevoli  del fatto criminale siano coinvolti numerosissimi innocenti e che le potenze occidentali abbiano continuato a condurre questa guerra contro gli innocenti nel mese del Ramadan, consacrato alla preghiera e al digiuno per i musulmani. I pregiudizi nei confronti dei musulmani ci sembrano tanto piu' ingiustificati in quanto vengono dall'occidente, che ha conquistato e colonizzato in tempi recenti gran parte dei paesi islamici e del mondo intero. Inoltre non si puo' dimenticare che il Fondo Monetario Internazionale, i governi e le grandi multinazionali dell'occidente da tempo hanno fortemente condizionato i prezzi e i mercati di tutto il mondo. Tuttavia la diffidenza e i pregiudizi della gente comune nei nostri popoli nascono anche dall'ignoranza e dalle esagerazioni o distorsioni dei media. L'uomo comune del nostro paese (e cosi' anche noi che vi scriviamo), non sa veramente come voi pensiate, ne' come voi preghiate Dio, ne' come voi viviate nella vita quotidiana, o come viviate l'esperienza della scuola. Questo messaggio e' quindi un invito al dialogo tra le singole scuole, le singole classi, gli insegnanti e gli studenti, nella convinzione che la conoscenza ci affratelli. Chi vuole entrare nella nostra rete per scambiare notizie, opinioni, immagini, o anche semplici saluti, puo' farlo scrivendo all'indirizzo elettronico mediatori@didaweb.net Ci fara' piacere se ci direte che cosa pensate del nostro messaggio. Eventualmente potrete dirci se siete interessati a proseguire il dialogo con una classe (e di quale eta' e tipo di scuola), o con singoli insegnanti o studenti. Vi suggeriamo, per cominciare, i grandi temi seguenti: 1) opinioni sul problema dei rapporti tra i popoli e le civilta'; 2) vita quotidiana nei rispettivi paesi; 3) la scuola e i suoi problemi; 4) navigazione internet e impiego dell'informatica a scuola; 5) insegnamento delle lingue straniere; 6) altri temi da voi proposti. Vi invitiamo infine a diffondere nelle scuole - e ovunque lo riteniate opportuno - il messaggio che vi inviamo in lingua araba. A quanti volessero entrare in contatto con noi per posta ordinaria in lingua inglese, francese o italiana, potrete dare gli indirizzi postali che sono disponibili in www.didaweb.net/mediatori/. Siamo desolati di non capire l'arabo e di poter offrire solo una corrispondenza nelle lingue occidentali. Tuttavia sappiamo che la grande tradizione culturale araba  ha permesso agli europei di leggere non solo i grandi filosofi Ibn Sina e Ibn Rushd, ma perfino il greco Aristotele. Speriamo che in un futuro non lontano tutti conoscano almeno un po' le lingue e le culture di tutti gli altri.
Con amicizia, un gruppo di insegnanti, di studenti e di volontari appartenenti a diverse scuole italiane, e ad associazioni non governative.
 
NOI DELLA DIAZ
 
Vi annunciamo la pubblicazione di "Noi della Diaz", libro-testimonianza sull'irruzione della polizia nella scuola Diaz/Pertini a Genova, nella notte tra il 21 e il 22 luglio. L'autore è Lorenzo Guadagnucci, giornalista del Resto del Carlino e collaboratore di AltrEconomia, che si trovava all'interno dell'edificio al momento del blitz. Per maggiori informazioni cliccate su http://www.terre.it/altreconomia/numero24/diaz.html
 
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INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI

 

La  TV deficiente e la lettura

 

La signora Franca Ciampi, che ha criticato la televisione  “deficiente” ed esortato i giovani a leggere, ha aperto una serie di riflessioni sul rapporto fra libri e televisione. E’ chiaro che la televisione , in mano a persone senza scrupoli e senza fini culturali e morali, ha eliminato il libro come pericoloso concorrente culturale, ignorandolo. Chi legge pensa, immagina, crea, si dà ritmi personali di godimento spirituale. La TV incanta, suggestiona, corre con ritmi così veloci  che non permette la riflessione critica, rende passivi, inerti sul piano creativo. C’è quindi chi considera libri e televisione incompatibili come linguaggi. Altri pensano che la televisione potrebbe, fra le tante merci che pubblicizza, inserire anche i libri. Ecco alcune proposte: a) introdurre nei vari giochi , quiz che si riferiscono ai titoli o ai personaggi di libri. b) tavole rotonde in cui esperti, autori, editori parlano dei libri come si fa per i film discutendone con attrici e  registi o con i campioni sportivi rievocando i loro goal. c) valutare le trasmissioni sui libri con  l’auditel, eliminando quindi  quelle che non raggiungono un sufficiente indice di ascolto. Con questa mentalità si potrà ottenere qualche superficiale curiosità sui libri più venduti, ma non si trasmetterà la passione per la lettura, che dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale a cui si riferiva la signora Ciampi. Il libro infatti non è una merce qualsiasi da pubblicizzare, è invece un mezzo che nutre  e sviluppa il pensiero, suscita sentimenti, libera il senso critico. Non è con i quiz o le chiacchierate nei salotti che possiamo formare il lettore, ma con la conoscenza dei testi. La TV, se vuole, può farlo, se  accetta la lettura nei suoi programmi, come dovrebbe fare una società veramente libera e civile. La soluzione è semplice come l’uovo di Colombo: la passione per la lettura deve iniziare dai bambini, con il modo più naturale: bravi lettori, che sanno usare la nostra bella lingua   così armoniosa rispettando virgole e punti, pause e toni di voce adeguati (il contrario della lingua televisiva, frettolosa e senza espressione), leggono ogni giorno una  pagina da un bel libro: una favola, una poesia, una leggenda o altro tratto dal patrimonio culturale di tutto il mondo. Durata: cinque-sette minuti, come “Il fatto di Biagi”, ma tutti i giorni, in orari adatti e prefissati. Voi che possedete o gestite le televisioni siate generosi, donate ai  bambini e anche a noi, il godimento di cinque minuti di arte narrativa per gustare la nostra lingua ora umiliata dai commentatori dei telegiornali. Se la vostra avarizia non ve lo permette, ci uniremo noi utenti per creare un fondo che ci permetta di comperare uno spazio pubblicitario di cinque minuti per donare a tutti i bambini un breve spazio per la conoscenza del mondo fantastico che la letteratura ho prodotto nella millenaria  evoluzione culturale. Ma sarebbe per voi, che vi esprimete per spot e non leggete più libri,  una vergogna perché con la TV “deficiente” create una nuova forma di analfabetismo. (Mario Lodi)  

 

 

Da Vespa a Costanzo il regime nasce in tv
Berlusconi si vanta di essere l'ideologo di questa fabbrica del consenso e della demagogia spettacolo
di GIORGIO BOCCA (la Repubblica, 21 dicembre 2001)

Cos'è il regime? E' il controllo dell'economia attraverso l'informazione da cui discendono il controllo della politica, della giustizia, dello spettacolo, dello sport, di tutto. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a due celebrazioni di regime: il lancio di un libro di Bruno Vespa e il ventennale del Maurizio Costanzo Show. Qual è uno dei segni rivelatori di un regime? La mancanza di ritegno, l'ostentazione pretoriana del privilegio, da Roma di Tigellino, da cronaca tacitiana. I massimi dirigenti della televisione non si accorgono che è un privilegio quello accordato a Bruno Vespa di presentare un suo libro in tutti i programmi a più alto ascolto, per una somma di minuti pubblicitari valutabili in miliardi di lire di pubblico denaro? Non se ne accorge il dottor Zaccaria che passa per un uomo della Margherita, cioè dell'opposizione? Non si accorgono i Fassino, i Bertinotti accorsi alla presentazione di Vespa o alla celebrazione del Maurizio Costanzo Show che stanno partecipando a una celebrazione del regime che nasce? Il regime nasce sotto la regia berlusconiana che è l'essenza della furbizia commerciale: corteggiare per cooptare, porgere la mano all'avversario per metterlo, consenziente in ginocchio. A Massimo D'Alema, a Fassino a Veltroni al buonismo Ds non è bastata la sconfitta elettorale e la consegna del governo a Berlusconi, continuano a dire che bisogna cercare l'accordo con i vincitori. Il regime chiama regime, il servilismo di regime diventa regola, si allarga, celebra i suoi trionfi. Il qualunquismo plebeo di Alberto Sordi che sembrava destinato all'oblio torna alla ribalta, viene ripresentato in televisione in coppia con Giulio Andreotti: i campioni dell'Italia baciapile, furbastra, dei medici della mutua, dei borghesi piccoli piccoli, di quelli che avevano paura, e lo ripetono, che i cosacchi arrivassero ad abbeverarsi nelle santiere di San Pietro. Presentati come modelli di saggezza civica. E citano anche la signora Ciampi che per Sordi stravede. Non lo sanno i Fassino, i Bertinotti, i D'Alema e altri personaggi della sinistra fantasma che Vespa è uno che ha tirato la campagna elettorale del centrodestra, che ha organizzato la mattanza di Di Pietro convocando tutti i ladroni di Tangentopoli? Non lo sanno che il salotto di Costanzo è il salotto del regime? Lo sanno benissimo ed è proprio perché lo sanno che ci accorrono. Ci chiediamo spesso il perché per un vizio illuministico, quando lo sappiamo benissimo questo perché. Perché i domatori della televisione, i signori dei talk show sono i rappresentanti e in parte i gestori del nuovo potere.
Berlusconi si è vantato, alla celebrazione di Costanzo, di esserne il suo ideologo, di averlo quasi inventato lui il Costanzo Show, la fabbrica del consenso, della demagogia spettacolo, del volemose bene condito con qualche barzelletta. La forza di Berlusconi è la sua autenticità, lui ai convegni dei potenti del mondo prende per un braccio Bush o Chirac e gli racconta una barzelletta. E così che ha messo assieme un impero dell'informazione ed è arrivato al potere, come dirgli che ha sbagliato? Ma sono i suoi avversari, è questa sinistra di ricotta che lo imita, lo blandisce e curva la schiena a nuove bastonate. La storia italiana è piena di questi perché, quella della sinistra in particolare. Perché ogni giorno cala le brache? Perché ogni giorno cade nelle trappole dell'avversario? Perché sta al gioco sin troppo evidente del regime che monta? Perché il regime è la nostra normalità, perché nei secoli ci siamo abituati a riverire il potere disprezzandolo, perché l'essere opposizione, l'essere minoranza lo viviamo come una vergogna, come un insulto alla nostra furbizia, arte dei servi. Guardare oggi la società italiana è come star sulla riva di un fiume quando arriva l'alluvione: gli argini resistono per qualche ora poi cade un albero, si stacca una pietra, rovina giù un blocco di terra, ti rendi conto che tutto è pronto per dissolversi, per sparire nella fiumana. L'irresistibilità del regime! Anche perché questo è un paese clericale educato alle unanimità clericali, pronto a sentire puzza di eresia di fronte a ogni minoranza, pronto ai «blocchi», quello liberale dei tempi giolittiani e poi il fascista del ventennio, e poi gli immobili schieramenti contrapposti della guerra fredda e ora la marea azzurra. Convinti che fuori dal regime non c'è salvezza, non c'è lavoro, non c'è modo di mantenere la famiglia, di aspirare a una carriera, a una elezione, a una direzione. Chi non è per il regime si accorge che il regime monta, e che lui sta diventando agli occhi dei concittadini un «uomo nero», uno che è meglio non frequentare, non citare. E neppure la sinistra resiste a questa emarginazione progressiva, si convince che andare a Porta a Porta o/a una delle altre fabbriche del regime sia un modo per resistergli mentre è il modo di farsi assorbire, digerire, corrompere. L'immagine non è tutto nella modernità? Chi non si fa vedere non è come morto? Chi non ha audience non è un fantasma destinato all'oblio? Può darsi, ma quando si perde si salvi almeno la dignità.

 

Cosa Nostra sempre più "nostra"

Intervista a Leoluca Orlando di Francesco Silvestri (Narcomafie)

Docente universitario , fondatore della "Rete", intelligenza inquieta e paradossale, Leoluca Orlando ha vissuto come sindaco di Palermo gli anni bui delle stragi di mafia e poi, da protagonista, quelli della "primavera di Palermo". Stagione certo straordinaria, di grande impegno civile e morale, forse un po’ mitizzata, certo passata. Perché chi oggi si mette a parlare di mafia rischia di incontrare sguardi annoiati o quell’ascolto rassegnato e paziente riservato a chi rincorre fantasmi privati, a chi torna ossessivamente sullo stesso argomento.

Onorevole Orlando, perché accade questo, perché oggi è sempre più difficile parlare di mafia? Io ho sempre sostenuto che esistono due modelli di mafia. Un modello che vorrei tanto chiamare americano, ma purtroppo devo chiamare "siculo-americano". È il modello della mafia monogenerazionale — dove il capomafia lavora perché il figlio faccia non il mafioso ma l’avvocato, il magistrato, il medico, come prova il fatto che le cinque famiglie mafiose di New York hanno nomi siculo-americani ma nessuna di queste ha come capo uno che abbia quel cognome. E un modello che possiamo chiamare "siciliano-siciliano": il figlio del boss mafioso fa il boss e non c’è una grande mobilità nei ruoli dei capi mafia. Ecco, questo modello, cui si è ispirata la mafia corleonese, è stato sostanzialmente sconfitto: ha giocato fino in fondo le sue carte con le stragi di Falcone e Borsellino e con gli attentati a Firenze, Roma e Milano e poi, nel ’93, ha chiuso la sua parabola. E questo certamente perché c’è stata una reazione delle persone oneste e delle istituzioni, ma anche perché c’è stata una reazione della mafia siculo-americana che aveva aiutato Buscetta. Non è un caso che Buscetta fosse un siculo-americano e non un corleonese.

Lei dice che Cosa Nostra americana ha spinto per un cambiamento della mafia siciliana? Certo, perché il comportamento di questi "selvaggi" rovinava il mercato, rovinava l’immagine. La mafia siculo-americana era collegata al nostro traffico di droga, al nostro traffico di armi, aveva gli stessi interessi della mafia che stava in Sicilia. È chiaro che un mafioso americano poteva fare in modo che il figlio diventasse un politico o un avvocato a condizione che la mafia non creasse allarme sociale. E in America la mafia non creava allarme sociale, di regola non uccideva magistrati, poliziotti e politici. Ma quando Cosa Nostra cominciò a uccidere e a fare stragi in Italia, per non rischiare di essere identificata con quel tipo di mafia la mafia siculo-americana studiò il modo di eliminarla.

Veramente questo non è mai venuto fuori dal punto di vista processuale… Ma guardiamo l’origine dei pentiti... Il vero primo duro colpo ai corleonesi, in chiave collaborativa, venne dai mafiosi siculo-americani — per intenderci dai gruppi che si riconoscevano in Bontade, Inzerillo, Badalamenti. I figli di Bontade, piuttosto che di Inzerillo, frequentavano le scuole migliori di Palermo: era un’operazione di riciclaggio rispetto al passato mafioso della famiglia. Con il ’93, con l’assassinio di padre Puglisi e l’arresto di Riina, la strategia stragista viene di fatto abbandonata. E a quel punto qualcuno dice che la mafia non c’è più. In realtà stiamo tornando ad un modello che è quello pre-corleonese, ovviamente adeguato ai nuovi tempi.

E in cosa consiste questo adeguamento? Bisogna rendersi conto che il panorama è cambiato: non soltanto per i colpi dati alla mafia, o perché ormai lo stragismo non era più utile rispetto agli interessi internazionali della mafia, ma anche per il fatto che progressivamente cala l’importanza della droga negli interessi di Cosa Nostra. Quindici anni fa era il business più significativo, oggi di droga non se ne parla quasi più: è sempre un affare molto importante, però il gruppo criminale che controlla il traffico di droga negli Stati Uniti d’America non sembra essere più quello siciliano o colombiano, ma quello messicano. C’è in parte uno spostamento di potere, in parte un cambiamento di interessi del potere. La mafia che controllava il traffico di stupefacenti controlla a mio avviso altri affari e lascia ai messicani il compito di occuparsi della droga, che è diventata un business considerato minore di fronte ad altri affari.

Che genere di affari? C’è il riciclaggio del denaro sporco, che richiede intelligence e preparazione tecnica. Ci sono le ecomafie. C’è il filone che riguarda l’utilizzo di risorse finanziarie legate ad interventi non collegati a guerre, cioè i grandi flussi finanziari che sostengono i paesi in via di sviluppo.

Sta parlando del meccanismo della globalizzazione? Qual è l’elemento di novità nell’economia mondiale? È che per la prima volta non c’è più la coincidenza tra il luogo della produzione e il luogo del comando. Quel modello è finito. Il luogo del comando può essere indifferentemente la "finanziarizzazione" o la telematizzazione. Se poi le due cose coincidono, si ha il massimo risultato: questo vale per l’economia legale, perché non dobbiamo pensare che valga anche per l’economia illegale? La mia opinione è che si stia operando un passaggio indolore dalla mafia corleonese a quella siculo-americana. Furono 48, credo, i familiari di Buscetta uccisi dai corleonesi mentre Buscetta parlava. Oggi noi abbiamo 1100 pentiti, ma da anni nessuno dei loro parenti viene non dico ucciso ma nemmeno schiaffeggiato!

E questo cosa sta a significare? Che in questa operazione c’è una regia. E la regia è l’eliminazione di tutte le tossine della mafia corleonese, perché questo potrà consentire a soggetti in giacca e cravatta, che parlano le lingue e che fanno affari, di comandare. Il passaggio dalla mafia vecchia alla nuova mafia nuova non è però ancora concluso: pur nell’attuale predominio del modello siculo-americano, permangono soggetti mafiosi di stampo corleonese.

Ma il tradizionale controllo del territorio che fine farà? La mafia continua ancora a controllarlo in due modi, uno antico e uno moderno. Quello antico è il controllo fisico, ma accanto a questo c’è anche il controllo immateriale, cioè finanziario. Immaginiamo che la mafia abbia una mano, un cuore e un cervello: noi finora abbiamo dato un colpo fortissimo alla mano, l’aspetto militare, abbiamo fortemente ridotto le funzioni cerebrali — non si può più parlare di egemonia culturale della mafia, di capacità della mafia di entrare nella testa della gente — ma al cuore, alla finanza, abbiamo fatto appena il solletico.

L’esistenza di un cuore finanziario della mafia è un grave pericolo per la democrazia… Peggiore delle stragi... Se noi continuiamo a inseguire una mafia che non c’è più, il boss — che sa che quella mafia non c’è più — ci guarda e si mette a ridere. È vero che la nostra strategia ha costretto la mafia a cambiare tattica, quindi da quel punto di vista abbiamo vinto, Palermo ha smesso di essere una città con 240 morti ammazzati all’anno. Ma l’assenza di omicidi significa anche che la mafia continua attraverso le reti finanziare a condizionare la comunità, perché ha scoperto che il controllo immateriale di una realtà è molto più efficace di un controllo materiale.

Però la mafia esiste e vive ancora nel territorio… Certo, e il fatto che i mafiosi non si uccidano più tra di loro è segno che c’è un’intesa. Oggi non c’è una guerra di mafia. Ma ho la sensazione che se ne potrebbe scatenare una nuova.

A Palermo o in generale? In Sicilia.

Lo storico Nicola Tranfaglia parla di una nuova convivenza con la mafia. Lei pensa che in futuro sarà più difficile isolare la mafia? Convivere con chi fa affari è molto più facile che con chi fa stragi. Lo puoi fare anche senza accorgertene. È un problema culturale ed è per questo motivo ho creato una Fondazione (The Sicilian Renaissance Institute, ndr.) che gira per il mondo partendo dall’esperienza di Palermo. Il tema di fondo è: riusciamo a inserire nell’agenda internazionale il rapporto fra democrazia e legalità? Siamo capaci di fare entrare nell’agenda delle Nazioni Unite il tema che non vi può essere democrazia senza pace e legalità? La pace non la si deve affidare solo ai soldati e la legalità solo ai poliziotti. Ho scoperto nella nostra esperienza i tratti di un progetto che può essere utile anche fuori dalla realtà siciliana, con riferimento a temi che non sono soltanto la mafia.

Ma c’è una teoria forte della legalità? Esiste un’idea di governo partendo da questi temi? C’è la legalità, la cultura della legalità e l’economia della legalità. Che differenza c’è tra legalità e cultura della legalità? Parlavo tempo fa con un mio amico straniero, un imprenditore, che mi diceva che pagare le tasse era per lui un diritto. Lì ho capito che differenza c’è tra legalità e cultura della legalità. La legalità è l’idea che pagare le tasse è un dovere, la cultura della legalità è l’idea che pagare le tasse è un diritto. Lui mi diceva: "Se io non pago regolarmente le tasse nessuno crederà ai miei progetti, se poi il mio interlocutore economico pensa che accanto al bilancio ufficiale io ne abbia anche uno ufficioso e falso, avrà sempre il dubbio che ne abbia un terzo, un quarto, un quinto". La legalità deve quindi diventare cultura della legalità, la cultura della legalità deve diventare economia della legalità, perché se la gente non si convince che rispettando la legge si fanno pure gli affari prima o poi farà la rapina. E questo vale anche per la pace, per l’ambiente... Noi per la prima volta a Palermo abbiamo organizzato contro la mafia la riapertura di un teatro. Mi si dirà: cosa c’entra? C’entra perché l’affermazione della democrazia è come un carro con due ruote: una ruota è quella della repressione, la ruota della magistratura e delle forze dell’ordine, l’altra è quella della promozione sociale, culturale ed economica. Se una ruota si ferma, il carro non va avanti. Se hai soltanto la repressione, il carro gira su se stesso e la gente si convince che si stava meglio quando si stava peggio. Se hai soltanto la promozione culturale, rischi di organizzare un concerto in onore dei boss mafiosi. La magia della primavera di Palermo consisteva nel fatto che riuscivamo a fare andare le due ruote alla stessa velocità.

Vorrei leggerle questa affermazione dello storico Salvatore Lupo: "Non è vero che l’opinione pubblica sostiene la mafia, nemmeno adesso che in Sicilia si è espressa con un voto così clamoroso, l’opinione pubblica non ritiene piuttosto che la discriminante mafia-antimafia sia così importante da farla schierare su questo problema". Io sono assolutamente d’accordo con Salvatore Lupo e considero questa la nuova vera insidia della mafia. Il problema è appunto che la mafia è presente con procedure, meccanismi e tecniche che non sono più terroristici, ma finanziari e culturali. Perciò l’affermazione di Lupo fotografa una realtà indubitabile nel comune sentire della gente: il tema della lotta alla mafia non è più prioritario perché la mia vicina di casa non legge più le notizie di morti ammazzati e quindi si preoccupa piuttosto della disoccupazione, della mancanza d’acqua, del traffico.

E la politica deve adeguarsi a questo dato di fatto? Certo che no. La politica deve cambiare il suo modo di combattere la mafia: non più frontalmente, come faceva prima, ma prendendone il posto. Nei confronti della mafia stragista era facile dire di essere contro Riina, Brusca, Bagarella, e anche la massaia era contro. Oggi non basta essere contro la mafia, perché se tu continui a dire che sei contro la mafia e non riesci a prenderne il posto — e quest’affermazione mi ha creato molte incomprensioni — non riuscirai mai a sconfiggerla. Oggi il posto della mafia non è più nelle montagne o nei quartieri di periferia, ma nei centri finanziari e culturali. Se noi vogliamo veramente combattere la mafia dobbiamo evitare che la mafia che ha smesso di sparare si confonda con noi. E allora il tema diventa far esistere l’altra ruota del carro. In passato abbiamo avuto una società civile che tifava e un apparato repressivo che colpiva. Ma oggi come ci si fa a entusiasmare per la lotta contro i mafiosi finanziari? La gente non si mobilita. La mafia antica, quella che sparava, era più pericolosa ma anche più facile da combattere; la mafia nuova è meno pericolosa, ma più difficile da combattere. E allora bisogna elaborare una strategia finanziaria e culturale.

Però il politico deve dare risposte ai bisogni della gente. Anche alla massaia che dieci anni fa tifava per i magistrati… Io ho fatto una campagna elettorale nella quale ho mostrato il volto di una Sicilia adeguata ai tempi. Ho fatto la scelta di chi dice: io vi presento quello che penso debba essere la Sicilia, e ho preso oltre 300mila voti in più rispetto alla coalizione che mi sosteneva. Detto questo, noi dobbiamo insistere nel portare avanti un modello culturale alternativo. Io lavoro perché ci sia in Sicilia un’egemonia culturale della legalità. Perché diversamente l’egemonia culturale sarà quella della mafia...

In Sicilia chi sono gli alleati di Leoluca Orlando in questo progetto? Sono quelle 300mila persone fuori dal mio schieramento politico.

E i partiti della coalizione? Ci sono anche loro, certo. Ma il fatto che io abbia avuto questo risultato è un aspetto nuovo. Per la prima volta 300mila siciliani hanno appoggiato un progetto difforme dalle loro appartenenze politiche. Allora questo sta a significare che c’è in atto un processo di fondazione di una nuova cultura della legalità, che non può più essere quella costruita sul tifo da stadio. L’ho vissuta quella stagione, ma c’è un tempo per ogni cosa. Se tornassi indietro rifarei esattamente quello che ho fatto, ma se oggi faccio quello che facevo dieci anni fa la gente mi prendebbe in giro.

È una strategia che riesce realmente a passare in Sicilia? Non bisogna cercare scorciatoie, non bisogna avere fretta. È un cammino in cui ci vuole pazienza. Il tema della lotta alla mafia e all’illegalità è sottoposto a un processo severo di revisione dei modelli di riferimento culturali, perché altrimenti rischia di essere una collezione di alcune straordinarie testimonianze individuali. Ma queste testimonianze, se non si collegano ad una elaborazione culturale che si faccia teoria e progetto, restano isolate.

Quest’estate il ministro delle Infrastrutture Lunardi ha detto cose inquietanti sul rapporto tra economia e legalità… Guardi che noi dobbiamo ringraziare il ministro Lunardi perché la sua affermazione ha provocato una reazione culturale. Ha posto un tema vero. Lunardi ha detto in sostanza che ci sono nel nostro Paese persone che considerano normale che si conviva con la mafia. Non sono mafiosi — non vorrei essere frainteso — non sono neppure complici della mafia, ma alla fine si girano dall’altra parte. Allora il punto è: vogliamo consegnare queste persone alla mafia? Oppure dobbiamo cercare di convincerle che non è possibile convivere con la mafia, che non è conveniente? Perché se oggi passa l’idea della convivenza con la mafia, tutti gli operatori economici di alcune regioni del nostro Paese, e la Sicilia fra queste, si vedranno costretti ad iscriversi ad una cosca mafiosa. E se sbagliano cosca perdono l’affare e la vita. E allora bisogna dire che il tema della convivenza con la mafia è inaccettabile non soltanto eticamente ma anche economicamente, perché la convivenza con la mafia non conviene. Se cerchiamo di convincere le persone che convivere con la mafia è soltanto peccato, allora la gente dice: faccio peccato, ma intanto faccio l’affare! Bisogna invece far capire che con la mafia non si fanno affari. Fare uno sforzo in questo senso però non è facile, perché chi lo fa sembra quasi che voglia rinunciare al passato.

Difatti tutto questo sembra più che altro frutto d’iniziative individuali. Non sembra esserci ancora un soggetto politico che se ne faccia portatore... Io sono fierissimo degli anni vissuti a Palermo. Abbiamo dimostrato che è possibile contrastare la barbarie e l’inciviltà della mafia senza diventare barbari e incivili, senza la pena di morte, senza la legge dell’occhio per occhio dente per dente, senza applicare meccanismi d’intolleranza, senza portare all’altare della dea sicurezza i valori in cui crediamo. Però mi rendo conto che un messaggio di questo genere viene recepito molto più facilmente all’estero che in Italia, dove, nonostante i miei sforzi, vengo identificato in uno schieramento politico. Non è un caso che in America le cose che vado facendo sono sostenute dai democratici come dai repubblicani. Perché là viene percepita non l’apparteneneza politica ma l’impianto culturale. Con la mia Fondazione sto cercando di trasformare un’esperienza politica non in un’altra esperienza politica, ma in un progetto. Siamo nella fase in cui si sta costruendo un nuovo modello di cultura della legalità, cercando di coniugare il rapporto fra democrazia e legalità col terzo millennio. Negli ultimi anni del secondo millennio il rapporto fra democrazia e legalità era prevalentemente repressivo, fece eccezione la primavera di Palermo che affiancò alla repressione la proposta culturale. Quell’esperienza oggi è un modello per andare avanti.

E, in questo discorso, che fine fa il concetto di società civile? La società civile in passato era costituita sostanzialmente da soggetti organizzati. Oggi o la società civile diventa un modo di sentire — con e oltre i soggetti organizzati — o altrimenti si perde, perché la mafia, dal momento in cui ha deciso di abbandonare la strategia stragista, ha scelto di diventare società "civile" diffusa. O noi riusciamo a trasformare queste cose in un comune sentire oppure tutto diventa difficile. Non è un caso che il luogo strategico di questa battaglia sia la scuola. La scuola è un’organizzazione non organizzata. È l’elemento di maggiore speranza e confronto. Noi abbiamo decine di migliaia di persone che oggi non hanno memoria, neanche delle stragi dei primi anni Novanta. Se noi vogliamo onorare la memoria delle persone che sono morte in una fase terribile della nostra storia, dobbiamo riuscire a coniugare al terzo millennio gli stessi loro valori.

Cosa bisogna fare allora: testimoniare? La testimonianza è fondamentale: maledetto il popolo che non ha testimoni, maledetto il popolo che ha bisogno di eroi. La testimonianza però non deve essere l’unico modo. Noi dobbiamo insistere, dobbiamo essere capaci di essere noi, e non i mafiosi, egemoni nei processi finanziari. Noi, e non i mafiosi, egemoni nei processi culturali.

E chi è questo noi collettivo? Tutti quelli che ci stanno.

ETTORE MASINA: UNA LETTERA AGLI AMICI

Chiedo scusa a chi non e' - o non vuole dirsi - cristiano se questa lettera e' indirizzata alle mie sorelle e ai miei fratelli nella fede: ma credo che anche loro, le altre mie sorelle e gli altri miei fratelli certamente non meno amati, possano condividere certi dolori, rimorsi e speranze. Forse dovremmo scrivere cosi': "Nell'anno primo dell'impero del Giustiziere Infinito, mentre il popolo afghano piangeva i suoi bambini uccisi o mutilati in nome della vendetta per i crimini orrendi del terrorista bin Laden; e il popolo palestinese veniva massacrato dall'esercito del terrorista Sharon che pensava di poter spegnere nel sangue degli innocenti il fanatismo suicida dei disperati; e il popolo argentino mostrava con il proprio sangue le glorie del neoliberismo globalizzatore; mentre l'Italia era governata da un miliardario che riduceva le tasse ai ricchi e i servizi sociali ai poveri, sotto il sommo pontefice Karol Woytjla, i cui solenni insegnamenti di pace venivano strangolati dai suoi stessi collaboratori, la Parola di Dio scese sui cristiani e li interrogo': "Che dite di tutto questo?". Parafrasi blasfema del vangelo di Luca? Forse che non dobbiamo porre accanto alla Bibbia i nostri giornali? Il nostro Dio sta rinserrato nella vaghezza di cieli lontanissimi o invece perpetuamente si incarna  nella storia dei poveri, delle vittime, degli oppressi? Quando, dopo avere venerato il Risorto, i primi evangelisti decisero di parlare della sua nascita, leggenda o realta', non ebbero dubbi: Colui che aveva ripreso vita nella oscura Valle dei Morti ed era stato giustiziato fuori dalle mura della Citta' non poteva che essere nato in una grotta, non essendoci posto per lui fra la gente "che conta". Non aveva, nella pienezza della sua maturita', proclamato che un giorno saremo giudicati per cio' che avremo fatto o non avremo fatto ai poveri, poiche' e' a lui che lo avremo o non lo avremo fatto? E che stiamo facendo ai poveri? Il Natale-Luna Park che ci circonda ha previsto elemosine e panettoni per i clochards e i senza-meta che si aggirano fra noi. Ma i popoli-esuberi, insignificanti nelle statistiche dei prodotti-interni-lordi, l'immensa umanita' che va perdendo sembianze umane nella stretta della miseria, occupano davvero nei nostri pensieri, anche in questa cosiddetta "festa della bonta'", altro spazio che quello degli incubi di una possibile disperata violenza da reprimere con guerre preventive? Essere poveri e' diventato, davanti ai nostri occhi di benestanti, un reato, un segno di sovversivismo. Temo che non ci rendiamo conto che la nostra spietatezza non ha effetti soltanto sui miseri. Cambia anche noi, in peggio. Come un corpo deforme rivestito da un abito ormai logoro, in questa fine d'anno la societa' in cui viviamo svela  ripugnanti nudita'. Sotto la civilta' di cui ci proclamiamo orgogliosi, rosseggiano le piaghe di un profondo nichilismo morale. Eleganti vetrine propagandano "Oh, my dog!", un profumo per cani. "Costa caro ma ne vendiamo molto" mi dice una commessa. Tra le luci del paganesimo natalizio intere strade sono contornate da grandi cartelloni sui quali si distendono donne nude, dal corpo florido e dal volto ottuso: "Vestiti, svergognata!" e' lo slogan che compare su queste immagini, tratte da qualche libro sui postriboli. (Ma certo! Noi non siamo barbari come i talebani, niente burqa per le nostre donne!). Al TG1 serale il solito giornalista con le stellette annunzia con voce trionfale che i marinai italiani sono passati sotto comando americano, mentre, a immagine e somiglianza del suo collega di Washington, il ministro Martino sembra non gia' metterci in guardia ma assicurarci (si': assicurarci!) che "i nostri ragazzi" corrono  gravi rischi. Soltanto aneddoti? O spie di vetro che crepitano in fessure che si ingrandiscono e minacciano la stabilita' della casa in cui viviamo? Cambiano le monete di cui ci serviremo nel 2002 ma non le orrende, blasfeme, delinquenziali spese militari per un esercito di mercenari costretti dalla disoccupazione al mestiere delle armi. Gli imputati VIP saliti al potere stravolgono le leggi che li riguardano e insultano i giudici. Mentre riportano l'Italia al rango di lumicino dell'Europa, svendono alla CIA e al Pentagono la nostra sovranita' nazionale ma la invocano per tutelarsi dalle leggi che l'Europa va dandosi e dalle quali sentono minacciata la loro arrogante impunita'. Eppure questo desolante panorama italiano e' una specie di fiorito paravento se lo si paragona allo svolgersi di eventi ben piu' terribili. L'Africa sembra una immensa zattera della "Medusa", galleggia su un oceano di disperazione, alla mortalita' infantile si aggiunge la lunga agonia di una generazione di giovani colpiti dall'AIDS. Guerre infami sponsorizzate dalle multinazionali del petrolio, delle armi, dei diamanti travolgono interi popoli, straziano l'infanzia di decine di migliaia di ragazzini trasformati in feroci guerrieri. Ma non v'e' ormai continente in cui "l'imperialismo internazionale del danaro" (cito un'espressione usata da tre papi) non generi milioni di morti precoci. Quando i G7 o 8 si incontrano, quando il WTO celebra i suoi raduni, a me sembra di rivivere uno dei peggiori momenti della mia vita: ero appena arrivato a Bombay, stavo mangiando in un famoso ristorate, mi accorsi che al di la' di un vetro un gruppetto di miserabili guardava estaticamente i miei bocconi: niente e' cambiato, da allora: o e' mutato in peggio, le grandi Carte dell'ONU, che parlano di eguaglianza fra i popoli, di liberta' dal bisogno, sembrano ormai reperti d'antiquariato. Il Natale di questo 2001 piuttosto che il volo degli angeli sembra richiamare il precipitare delle persone impazzite dalle Due Torri e invece del placido sonno del bambino  Gesu' la manina senza vita che spunta dai cingoli dei carri armati israeliani a Betlemme. Qualcuno ha proposto che durante la messa della notte di Natale non si canti il "Gloria", troppo triste e' il contesto planetario. E' una proposta scandalosa contro lo scandalo del silenzio e dell'inerzia di tante comunita' cristiane davanti all'agonia  di interi popoli, ai sistemi di violenza che generano disperazione in nome del Mercato, cioe' del potere dei ricchi. Forse  questa proposta ha una sua dolorosa validita' perche' potrebbe mostrare a molti che quando la religione diventa un fatto intimista, soltanto consolatorio, individuale o familistico, senza connessione alcuna con il dolore che serra il nostro pianeta, si trasforma in un conformismo che non ha niente a che vedere con i profeti e con Gesu' di Nazareth. E pero' io credo che il Gloria che noi cantiamo o recitiamo ogni domenica non sia un illusorio grido di gioia perche' nel mondo tutto andrebbe bene. Al contrario, il nostro Gloria  e' soltanto un grido di fede: poiche' noi lo rivolgiamo a un Messia rifiutato sin da piccino, a un salvatore immolato in nome della ragion di Stato, al fondatore di una Chiesa che spesso sa leggere di lui soltanto qualche precetto da galateo e non un messaggio radicale di giustizia e di amore. E' in questo lacerante contrasto fra la potenza di Dio e l'apparente vittoria del male che noi siamo costretti a prendere posizione, a scoprire che siamo le mani di Lui, e che Egli ha scelto di agire soltanto per nostro mezzo: il nostro glorificarLo e' dunque un riconoscerci strumenti di una Creazione che continua, di un mondo che va incessantemente modificato; e il Bambino che veneriamo e' un figlio che ci e' donato: generati dall'amore, dobbiamo noi stessi generare speranze. La Chiesa ha continuato a cantare il suo Gloria, nella infedelta' che spesso la contraddistingue, nei tanti secoli bui della storia della Terra: in mezzo a terribili persecuzioni, durante guerre spietate, in anni in cui ogni valore sembrava disperso e un'ignoranza greve e profonda sembrava l'unica forza della storia: lasciar cadere il Gloria in un silenzio luttuoso a me sembrerebbe piuttosto un cedimento alla mentalita' pagana dei rapporti di forza: cantare gloria al Piccolo e al Debole e all'Inerme, nel gelo di una storia tenebrosa significa attendere con incerta certezza, con speranza strappata testardamente, ora dopo ora, alla disperazione, che si compiano le profezie: "Allora  si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo saltera' come un cervo e gridera' di gioia la lingua del muto".

Poveri e senza fissa dimora: quanto ancora da comprendere e da costruire!

Ho letto alcuni documenti pubblicati dalla Comunità di Sant'Egidio alla pagina  http://www.santegidio.org/it/solidarieta/ senzadimora/index.htm Ne ho stampati alcuni e mi piacerebbe poterne parlare con voi. La nostra maggior ricchezza su questa terra viene da loro: dai più poveri ed esclusi. Siamo chiamati a confrontarci con i fratelli poveri di tutto il mondo. Alcuni di loro sono presenti nelle nostre città per testimoniare l'ingiustizia e la violenza umana che li ha colpiti. L'uomo debole ed indifeso oppresso dall'uomo bramoso di potere e ricchezze terrene. Gesù è nato nella stessa fragilità ed ha testimoniato il Regno e la Potenza di Dio. Dobbiamo aprire gli occhi. Sono loro che portano la luce nel mondo e noi siamo chiamati alla loro mensa. Riflettiamo. E' per mezzo di loro che saremo salvati o giudicati. Ricordiamo che il povero è anche e soprattutto nelle nostre famiglie. E' vostro figlio che ha bisogno di voi, è vostra moglie che ha bisogno di essere compresa, è vostro marito che ha bisogno di sentirsi amato, siamo noi che abbiamo bisogno di Dio. Non date mai nulla per scontato. Ogni giorno rinnova gioie e dolori. Siamo sempre pronti a raccogliere e a condividere, a riflettere e cambiare, a pregare per ricevere. (Giovanni Zampini giovanni66@libero.it )

L'INDUSTRIA DELLA MORTE: DROGHE, ARMI, ORGANI UMANI

Il traffico di droghe

Il traffico internazionale di sostanze stupefacenti negli ultimi anni ha visto il moltiplicarsi delle sostanze classificate come psicoattive e abitualmente denominate droghe (ai derivati della cannabis, agli oppiacei e alla cocaina si sono aggiunte varie droghe sintetiche, tra cui la piu' diffusa e' l'ecstasy), il proliferare di gruppi criminali dediti alla produzione e alla commercializzazione, la diffusione del consumo. Le zone tradizionali di produzione sono: per l'oppio il Triangolo d'oro (Birmania, Laos, Thailandia) e la Mezzaluna d'oro (Afghanistan, Iran, Pakistan); per la foglia di coca: Bolivia, Colombia, Peru', Ecuador; per la marijuana: Messico, Colombia, Giamaica; per l'hashish: Libano, Pakistan, Afghanistan, Marocco. Negli ultimi anni coltivazioni di coca e di papavero da oppio sono state installate in nuove aree del mondo, per esempio la coca nella Repubblica democratica del Congo e il papavero in Kenya. Secondo il World Drug Report dell'Undcp (Programma antidroga delle Nazioni Unite) del gennaio 2001, la produzione di cocaina sarebbe diminuita del 20%, mentre sarebbe stabile quella di oppio, invertendo il precedente andamento di crescita, e la produzione di derivati dalla cannabis sarebbe di circa 30.000 tonnellate all'anno. Il traffico invece si sarebbe globalizzato, pero' i dati sui sequestri dimostrerebbero che molti paesi hanno cominciato ad affrontare seriamente il problema. Sempre secondo il rapporto dell'Undcp negli ultimi anni '90 i consumatori di droghe sono stati circa 180 milioni: 144 milioni di cannabis, 29 milioni di stimolanti tipo amfetamine (Ats), 14 milioni di cocaina, 9 milioni di eroina. Negli USA si sarebbe registrata una diminuzione del 40% del consumo complessivo di droghe, del 70% per la cocaina, in seguito all'incremento degli investimenti per la riduzione della domanda. Questi dati vengono contestati da organismi e studiosi che considerano il rapporto falsato da una volonta' apologetica del lavoro svolto dall"Undcp: nel rapporto non si parla delle droghe sintetiche, della criminalita' organizzata e del riciclaggio e i dati sarebbero stati manipolati. Quel che e' certo e' che le campagne di eradicazione hanno portato a una diminuzione della produzione di coca in Bolivia e Peru', compensata dall'incremento in Colombia (da 44.700 ettari del 1994 si e' passati a 122.500 ettari nel 1999) dove fino a dieci anni fa non c'erano coltivazioni di oppio mentre oggi si producono piu' di 100 tonnellate: il paese e' diventato il quarto produttore mondiale e il primo fornitore di eroina per gli Stati Uniti. C'e' stata una diminuzione della produzione di oppio in Pakistan ma un aumento in Afghanistan. In Pakistan e' aumentato il consumo di eroina: i tossicodipendenti sarebbero circa un milione e mezzo, piu' dell'intero mercato europeo e statunitense. Nel caso delle droghe naturali i profitti piu' rilevanti vanno ai paesi consumatori, con uno scarto tra il prezzo delle materie prime e del prodotto finito e distribuito in piccole dosi tra 1000 e 2500 per cento. Le stime dei proventi oscillano tra i 300 e gli 800 miliardi di dollari l'anno, tra droghe naturali e sintetiche. Piu' contenuta la valutazione del Gafi (Gruppo d'azione finanziaria internazionale): 122 miliardi di dollari. Il proibizionismo introdotto nel 1914 negli Stati Uniti si e' imposto a livello internazionale con la stipula di convenzioni, la piu' recente e' quella di Vienna del 1988. Si parla di una vera e propria "guerra alla droga" con la presidenza di Ronald Reagan e l'avvio delle campagne di eradicazione delle piante da droga realizzate attraverso l'intervento militare, particolarmente pesante in America Latina. Recentemente, con uno stanziamento del Congresso Usa di 1.374 milioni di dollari, e' stato varato il Plan Colombia, un programma di fumigazioni delle coltivazioni di coca e di sostegno alla politica del presidente colombiano Andres Pastrana, che comporta l'intervento militare diretto degli Stati Uniti non solo sul territorio colombiano, dove da molti anni operano gruppi guerriglieri, ma in un'area piu' vasta.

Droghe e armi

La droga e' stata la ragione per lo scatenamento di conflitti armati, come le guerre dell'oppio tra Inghilterra e Cina (la prima dal 1839 al 1842, la seconda dal 1856 al 1858), o ha funzionato come moneta per il finanziamento dei conflitti, come nel Sud-est asiatico, in Afghanistan, in America centrale (i contras antisandinisti in Nicaragua), con un ruolo di primo piano dei servizi segreti, in particolare della Cia, e piu' recentemente in America latina e nei Balcani, e il traffico di droghe spesso e' collegato con quello delle armi e da qualche tempo con quello di materiali nucleari. Gia' negli anni '70 e '80 l'inchiesta del giudice Carlo Palermo aveva portato alla luce un fitto intreccio di traffici di armi e droga che vedeva al centro esponenti di organizzazioni criminali (mafia siciliana, turco-siriana, altri trafficanti), compagnie di trasporti, imprese, la loggia massonica P2, servizi segreti, da quello bulgaro alla Cia, e riforniva di armi (dai carri armati agli elicotteri, alle bombe atomiche) vari paesi. Negli ultimi anni, in seguito al crollo dei paesi socialisti, con lo smantellamento degli arsenali, e in coincidenza con i conflitti nell'area dei Balcani, il traffico di armi si e' intensificato e ha visto affermarsi il ruolo delle mafie dell'Est. Nell'aprile del 2001 la Dia (Direzione investigativa antimafia) di Torino ha tratto in arresto il petroliere ucraino Alexander Zhukov, il cosiddetto "re dei missili", e sequestrato duemila tonnellate di armi. Il traffico era gestito da uomini dell'ex Kgb e dalla "Brigata del Sole", un potente clan della mafia russa, e ha alimentato nei primi anni '90 il conflitto serbo-croato. Parte del ricavato del traffico sarebbe confluito nella Trade Concept, una societa' di Jersey (Gran Bretagna) definita dagli investigatori "il motore finanziario di un'enorme holding impegnata nel commercio internazionale di petrolio greggio e derivati", di cui Zhukov e' socio. Il traffico illegale di armi e' solo una parte di un piu' vasto fenomeno: la produzione e il commercio di armamenti che si intensificano all'interno del quadro attuale delle relazioni internazionali. Le proposte di riconversione dell'industria bellica si scontrano con questa realta'. Nel luglio del 2001 le Nazioni Unite hanno presentato un rapporto sulle armi leggere, adatte a usi sia civili che militari: senza contare quelle in possesso clandestino, ci sono in circolazione circa 550 milioni di armi da fuoco, 305 milioni in possesso di privati. Il commercio legale avrebbe un volume d'affari di circa 4 miliardi di dollari l'anno, per quello illegale si parla di un miliardo. I principali paesi produttori sono Stati Uniti, Cina e Russia. In Italia alcune associazioni e organizzazioni non governative hanno promosso una campagna sulle armi leggere, chiedendo la moratoria delle vendite ai paesi africani, in cui le armi vengono usate nelle guerre in corso, e la campagna "Banche armate", contro le banche che finanziano operazioni legate al commercio internazionale di armamenti.

Il traffico di organi

Tra i caratteri piu' disumani della globalizzazione e' la mercificazione degli esseri umani, con lo sfruttamento del lavoro a costo zero o irrisorio e la riduzione dei corpi a prodotti usa e getta e a banca di organi. Uomini, donne, vecchi e bambini vengono tratti in schiavitu' per essere utilizzati per i lavori piu' faticosi o per essere avviati alla prostituzione. I "nuovi schiavi" sarebbero secondo alcune fonti 27 milioni, ma altre fonti parlano di non meno di 200 milioni. Secondo l'Ilo (Organizzazione internazionale per il lavoro) i bambini che lavorano in condizioni disumane sarebbero 250 milioni. Il giro d'affari della prostituzione non sarebbe inferiore a quello delle droghe. Anche se le prove giudiziarie sono ancora inadeguate, il traffico di organi umani sarebbe in pieno sviluppo ed e' in gran parte sotto il controllo di organizzazioni criminali, che pero' non potrebbero agire senza la collaborazione di medici specialisti e di strutture ospedaliere. I casi di cui si parla sono svariati: dall'immigrato che paga il costo del viaggio con l'espianto di un organo ad adulti e bambini fatti sparire, ai caduti nelle guerre in corso (per esempio, durante la guerra in Cecenia ci sarebbero stati reparti speciali che prelevavano organi dai corpi dei soldati caduti in combattimento), ai condannati a morte in Cina. Negli anni '80 e '90 al centro del traffico d'organi era l'India dov'era possibile comprare organi legalmente; secondo una recente inchiesta il mercato illegale degli organi negli ultimi anni avrebbe come centrale la Turchia. Almeno duecento "donatori" di reni sarebbero venuti dalla Moldavia, un paese poverissimo dove non ci sono soldi per pagare l'elettricita' nelle strade e dove opera una "mafia internazionale degli organi umani". A chi si sottopone all'espianto vanno 6 milioni in lire italiane, mentre il chirurgo che pratica i trapianti illegali chiede da 200 milioni a mezzo miliardo, per un giro d'affari di 2 miliardi al mese. (Umberto Santino)

L'impotenza dell'Occidente

Colpi di stato, stragi eseguite o coperte, piani militari spacciati per azioni antidroga, finanziamenti a terroristi: l'inadeguatezza morale e strategica degli Usa nell'affrontare con qualche possibilità di successo questo incendio mondiale
di GIANNI MINA'

Ci rendiamo conto con sconcerto che siamo in guerra ma lo dobbiamo dire a bassa voce. Una situazione kafkiana con un apparato militare rivolto per ora contro l'Afghanistan, fra i più poderosi mai messi in campo dall'occidente dalla II guerra mondiale ad oggi, un apparato che siamo costretti però a definire un'"operazione di polizia internazionale", pena l'accusa di essere tacciati di antiamericanismo, se non addirittura di essere conniventi con i terroristi.
Siamo obbligati, infatti, a snidare e annientare rapidamente il terrorismo, un tumore maligno frutto per ora di movimenti fondamentalisti islamici e capace di essere più spettacolare e apocalittico di un film con Bruce Willis o di un romanzo di Tom Clancy, ma siamo palesemente incapaci di farlo. Perché per troppo tempo, fino a ieri, noi, l'occidente "indiscutibile" e che vanterebbe un primato ideologico, religioso e morale sulle altre civiltà, ha impudicamente trescato col terrorismo, e non solo quello di radice islamica. Una scelta ambigua e ipocrita: gli Stati uniti, ma non solo loro, si sono dati da fare in prima persona, cosa che li rende ora, ironia della storia, inadeguati moralmente, strategicamente, tecnologicamente ad affrontare con qualche sicurezza di successo, il drammatico problema.
Chi, in un altro 11 settembre, quello del 1973, ha organizzato direttamente (come hanno confermato i documenti declassificati della Cia) il colpo di stato in Cile contro il governo di Salvador Allende democraticamente eletto dai cittadini? Chi ha accettato e favorito la politica dell'apartehid in Sudafrica? Chi ha ideato e stimolato l'"operazione condor" in Argentina, Uruguay, Cile, Paraguay, Brasile, per annichilire l'opposizione progressista in quei paesi senza avvertire alcun scrupolo, se in quella strategia veniva usata per la prima volta la infame pratica di massa di far sparire migliaia di persone? Chi ha accettato che in Indonesia venissero eliminati cinquecentomila presunti fautori del comunismo? Chi, solo due anni fa, è stato indicato da un rapporto dell'Onu come complice del genocidio delle popolazioni maya in Guatemala, avvenuto negli anni ottanta e fino all'inizio degli anni novanta? Chi ha sempre impedito all'Onu di condannare il Guatemala per violazione dei diritti umani, anche dopo che i rapporti della chiesa cattolica e delle Nazioni Unite hanno documentato ogni efferatezza come 30.000 desaparecidos, 627 massacri, 400 villaggi scomparsi dalla carta geografica, 3.000 cimiteri clandestini e hanno segnalato che uno dei generali genocidi, Rios Montt, impudicamente è ora il presidente del parlamento?
Chi ancora recentemente ha varato il "Plan Colombia", una strategia di presunta lotta ai narcotrafficanti colombiani, che la stessa comunità europea ha respinto perché "chiaramente suggerito da finalità militari"? Chi sta tentando di mettere in atto un "Plan Africa" che annienterebbe per sempre ogni speranza di ripresa economica e sociale del continente più povero e martoriato del pianeta? Chi non ha avuto la voglia o la forza di aiutare a risolvere il conflitto infinito fra Israele e Palestina, lasciando ultimamente mano libera al generale Sharon, che il tribunale dell'Aja potrebbe presto inquisire per crimini contro l'umanità?
Chi, insomma, negli ultimi trent'anni ha fatto prevalere questa immagine degli Stati uniti, rispetto a quella generosa, democratica e libertaria, patrimonio della storia moderna del mondo fino alla fine della II guerra mondiale, non sa ora cosa fare, se non come fanno i bambini, buttare all'aria tutto?
Perché purtroppo chi ha trescato e tenuto in piedi i peggiori criminali della politica moderna, in America Latina come in Africa, come in Asia, coinvolgendo anche l'Europa, non ha previsto che la storia un giorno potesse produrre un orrore infinito, ideato proprio da alcuni di coloro che, fino al giorno prima, erano stati creati, istruiti e usati per le strategie più imbarazzanti. Primo fra tutti Saddam Hussein, scelto per annientare l'Iran di Komeiny che poteva diventare destabilizzante nel grande mercato del petrolio e dell'energia; e poi Osama bin Laden e i talebani, studenti coranici formati e istruiti in Pakistan, per sloggiare l'Unione sovietica dall'Afghanistan, terra per sua sfortuna strategica allora come ora per il passaggio verso l'Oceano Indiano dei gasdotti e degli oleodotti dalle repubbliche musulmane ex sovietiche (Turkmenistan, Kazakistan, Tagikistan, Uzbekistan etc.).
Bush padre, ex capo della Cia, sul finire degli anni '70, si precipitò a Parigi su un aereo privato di un fratello di bin Laden, l'antico compagno d'affari Salem, per trattare con una delegazione di mullah iraniani moderati la possibilità di ritardare il rilascio di alcuni diplomatici nordamericani, ostaggio del regime dell'ayatollah Komeiny. Era una trappola per far perdere le elezioni al democratico Jimmy Carter e farle vincere al repubblicano Ronald Reagan di cui Bush senior sarebbe diventato vicepresidente. Reagan vinse le elezioni, mentre Salem bin Laden come Amiram Nir, agente del Mossad, anch'egli protagonista dell'incontro di Parigi, sarebbero morti in due diversi incidenti aerei, il primo in Texas e il secondo in Messico.
Evidentemente incominciò in quella stagione un legame indecente fra le multinazionali dell'energia di cui George Bush senior era il portavoce e certi ambienti del mondo del petrolio arabo, in particolare quello saudita, che sicuramente ha avuto la sua influenza successivamente nell'evolversi della politica Usa verso paesi come Kuwait, Iraq, Iran e Afghanistan. E' stato rivelato per esempio che, non solo i militari genocidi del Guatemala e di Haiti o i contras in Nicaragua, ma anche l'operazione Iran-Contra e successivamente il sostegno alla guerriglia antisovietica in Afghanistan, furono sovvenzionate dalla Cia attraverso il riciclaggio del denaro del narcotraffico con la connivenza di istituti di credito come la Bank of Commerce and Credit International (Bcci) nel cui consiglio di amministrazione c'era non solo Salem, fratello di Osama bin Laden, ma anche Bin Mafouz, banchiere della famiglia reale saudita, sposato con una sorella dei bin Laden.
Un'inchiesta di Time Magazine del 1991 rivelò per esempio che "poiché gli Usa volevano fornire ai ribelli mujaheddin in Afganistan missili Stinger e altro materiale militare per combattere l'Armata Rossa, c'era bisogno della piena collaborazione del Pakistan. Così, dalla metà degli anni '80 il distaccamento della Cia a Islamabad divenne una delle sedi più grandi e operative dei servizi segreti nordamericani. "Se lo scandalo Bcci ha creato un così forte imbarazzo per gli Usa tanto che indagini dirette non sono mai state condotte, è dovuto al fatto che gli Usa avevano dato un tacito via libera ai trafficanti di eroina in Pakistan", dichiarò un agente della Cia. Il "denaro sporco" riciclato attraverso il sistema bancario - magari attraverso una compagnia anonima di copertura - diventava così "denaro nascosto", usato per finanziare movimenti di guerriglia come i contras del Nicaragua e i mujaheddin afgani.
Un tale scenario, aggravato ben presto dalla guerra del Golfo - una guerra bocciata perfino dal papa e dichiarata solo per assicurarsi il controllo del petrolio arabo nei prossimi decenni - avrebbe dovuto suggerire una maggiore accortezza in un'area di mondo dove la solidarietà dei paesi arabi moderati era stata ottenuta, allora, a sorpresa, con non poca fatica, per vari motivi: religiosi, strategici, culturali. Invece, non si è dato peso nemmeno a segnali inquietanti che arrivavano da tempo e proprio dai settori integralisti come quello dei talebani, gli studenti coranici allevati in Pakistan e catapultati nella tragedia dell'Afghanistan per contribuire a cacciare i sovietici. (...)
L'impressione è che in un mondo dove i consigli d'amministrazione delle multinazionali, specie quelle dell'energia e delle armi, dettano le linee programmatiche ai governi occidentali, (attualmente avari di statisti o anche solo di politici di sicura personalità) gli Stati uniti e gli alleati si siano improvvisamente trovati di fronte a mostri creati proprio dalla loro politica estera e dalla loro ingordigia economica. Come ha detto Ignacio Ramonet, direttore de Le Monde Diplomatique: "Ora, come Frankenstein, questi paesi che si credevano poderosi sono aggrediti dalla creatura che hanno generato". Insomma, come sostengono molti intellettuali degli Stati uniti (Chomsky, Bellow, Miller, Ramsey Clark, Wayne Smith) che non si possono tacciare certo di essere antiamericani, è chiaro che la politica estera di Washington non è stata e non è innocente. Questo non assolve certo il criminale attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono ma, per chi vuole capire e non essere ubriacato di propaganda in favore della guerra, spiega perché la storia moderna l'11 settembre del 2001 si è trasformata in un incubo.

OCCORRE DIFENDERE L'ORDINAMENTO DEMOCRATICO

di Nando dalla Chiesa (l'Unità, 7 gennaio 2001)

La proposta l'ho lanciata la scorsa estate con il senatore Battisti, appena apparve chiaro il senso della legge sulle rogatorie. Allora essa venne giudicata una provocazione intellettuale o (secondo il Cossiga-pensiero) "una cretinata di cui vergognarsi". La rilancio oggi con ancora più convinzione di fronte a quello che sta accadendo: stabilire per legge l'impunità penale per i reati fin qui commessi da Silvio Berlusconi e da dieci persone  scelte a suo insindacabile giudizio. La ragione? E' spiegata nel testo del disegno di legge firmato da una ventina di senatori, tra cui l'ex presidente del Senato Nicola Mancino: impedire che, per salvare se stesso e i suoi amici, il capo del governo faccia leggi che aiutano migliaia di criminali, distrugga l'ordinamento giudiziario, faccia carne da macello dei fondamentali principi dello Stato di diritto, devasti il senso delle istituzioni del Paese. Certo, accettare quell'impunità di gruppo è un pugno nello stomaco per quanti nel Paese si sono battuti per la legalità, e anche per qualche memoria a cui in molti teniamo moralmente e affettivamente. Ma lo scenario è sotto gli occhi di tutti. Per questa maggioranza non vi sono ostacoli etici, istituzionali, politici, culturali di sorta. Avere vinto le elezioni la legittima a tutto, proprio a tutto, senza alcun limite. Ora, per di più, stanno emergendo due implicazioni della "anomalia italiana" che la scorsa estate non erano chiare o così chiare come oggi. La prima è quella dello specialissimo rapporto tra la Lega e Berlusconi. La Lega ha in mano il ministero al quale il Berlusconi-imputato tiene di più: quello della Giustizia. E Berlusconi ha bisogno che in quel Ministero, o meglio in quella corte dei miracoli che esso è diventato, si eseguano al cento per cento tutte le sue direttive e richieste. In cambio è disposto a dare qualsiasi cosa. E così il governo sta sposando una dopo l'altra le pretese della Lega, ossia del partito più piccolo della coalizione, facendone il proprio perno culturale e ideologico. Grazie ai guai del capo del governo, abbiamo insomma "il governo del 3 per cento". Una follia in sé, in una democrazia, che ne comporta altre a cascata: l'antieuropeismo, la distruzione dell'unità del Paese (scuola, polizia), la lacerazione di una storia costituzionale. Come niente fosse. La seconda implicazione è che in questo Paese a non avere scrupoli sono però in molti. Scrupoli a partecipare in qualsiasi modo al banchetto del vincitore, intendo. In questi giorni i più attenti hanno colto o ricevuto i segnali di come stia organizzando il fiancheggiamento della strategia eversiva del governo. Per consentire a Berlusconi di realizzare il suo piano di impunità totale si stanno muovendo in molti. In parlamento, come è "ovvio", ma anche nella magistratura (occorre trasferire il processo, no?), tra i grands  commis di Stato, nella stampa. Un esercito di servi è in movimento per contribuire alla riuscita del piano e per avere poi la giusta ricompensa: ai vertici delle strutture, degli apparati, delle reti. Pretese tanto più alte quanto più bassi sono e saranno i servizi resi. A questo punto, piuttosto che avere domani -per soprammercato- un tripudio di servi mediocri ai vertici delle istituzioni, viene davvero spontaneo dire: "Cavaliere, l'impunità gliela diamo noi; e senza chiedere niente in cambio", così, giusto per non cumulare le vergogne. Non è bello, ma si chiama principio di "riduzione del danno": consigliabile nel momento in cui i numeri del parlamento sono usati per schiacciare avversario e valori, le televisioni sono nelle mani degli imputati e il Paese è in balia di se stesso, nell'assenza effettuale ( al di là delle intenzioni) di qualcuno che impedisca questo disfacimento in nome della Costituzione. E però.... E però questa è l'ultima risorsa. Prima di arrivarci è giusto fare il tentativo che ancora non è stato fatto: coinvolgere il Paese. In proposito sarà bene ricordare una verità elementare, che la propaganda martellante della maggioranza ha oscurato. E cioè che questa maggioranza governa legittimamente il Paese per avere vinto le elezioni; ma che in quelle elezioni la maggioranza degli italiani, purtroppo divisa, non ha votato per questo governo. Il quale dunque rappresenta una minoranza degli italiani, una parte dei quali, fra l'altro, mai avrebbe immaginato quanto sta accadendo. Occorre insomma fare appello alla maggioranza del Paese non tanto perché questo governo (legittimo) cada, ma perché non distrugga, un colpo dopo l'altro, l'ordinamento democratico. Una grande manifestazione nazionale sulla giustizia promossa dall'Ulivo, meglio ancora se da tutto il centro-sinistra. Questo occorre. Di questo da tempo si parla e parliamo, incontrando -come dire?- un atteggiamento molto prudente e "problematico". Ma proprio questo, certo non di meno, chiede il popolo dell'Ulivo, stanco di essere indotto a pensare che la democrazia si difenda a colpi di comunicati stampa. Verso quel popolo abbiamo un preciso dovere di rappresentanza. Ed è questa la ragione per cui un gruppo di parlamentari ha deciso di assumersi la responsabilità e il rischio (di successo o di insuccesso) di una tale manifestazione. Da farsi in una piazza di Roma entro febbraio,  dopo un mese di mobilitazione in tutta Italia con l'appoggio e le adesioni di chi vorrà. Con un comitato promotore formato anche da intellettuali ed esponenti di associazioni. Una manifestazione che sappia sintonizzarsi con le iniziative promosse dalla società civile (si pensi, ad esempio, a quella di Micromega) ma che abbia una sua autonomia e densità politica. Capace di andare oltre il ricordo di Tangentopoli e di stare totalmente dentro la contemporaneità dello scontro politico-istituzionale, su un terreno purtroppo più ampio e ultimativo. Una manifestazione ricca di sue parole d'ordine, di una sua proposta di riforma della giustizia. A disposizione dei leader dell'Ulivo se decideranno alla fine che questa sia una scelta buona e giusta e necessaria per il futuro del Paese. Se la risposta sarà l'indifferenza, allora, ma solo allora, arrendiamoci ai numeri, ai dati di fatto e limitiamo il danno. Affinché la devastazione non sia totale e resti, pur nell'umiliazione, una parvenza di senso delle istituzioni.  (Articolo segnalato da Michele Turazza)

Preghiera... pensando a Kandahar

Questo messaggio è una preghiera. Pochi decidono per tutti, in questo mondo. Gli altri tacciono e subiscono. Siamo tutti uguali, il sangue scorre rosso, il dolore si esprime in grida e lacrime. Per tutti.

Io sono nata a Kandahar 22 anni fa, sono stata in Italia per quasi tutta l'infanzia e di questo non smetterò mai di ringraziare mio padre che ha voluto che io vedessi un mondo diverso di pace, poi sono tornata in Afghanistan, dove c'era tutta la mia gente. Ho conosciuto gli italiani, sono come noi. Ho amato la capacità degli italiani di capire, di non giudicare, di commuoversi. Così a questo popolo che ho amato invio la mia preghiera. In Italia c'è la mafia che si è diffusa come un cancro in tutto il mondo, facendo male e tanto. Sono felice che nessuno per questo abbia mai pensato di bombardare l'Italia, di darla da governare a stranieri, di riempirla di bombe, mine e pianto. Sono felice perché la mafia non avrebbe perso mentre gli italiani avrebbero visto i loro sogni trasformarsi in orrore e incubi. Ero a Kandahar quando sono cominciati i bombardamenti occidentali. Ero là con il mio bimbo e il mio giovane uomo. E così il mio giovane uomo è andato a combattere. Non volontario, non terrorista. E' partito perché i giovani ragazzi vengono arruolati dagli eserciti in tutto il mondo quando c'è guerra. Aveva 20 anni e se n'è andato senza guardare il suo bimbo che piangeva. Forse immaginava che non l'avrebbe visto più, non voleva ricordarlo in lacrime. Cadevano le bombe l'ultima volta che l'ho visto vivo, il rumore era assordante e la gente gridava e correva in cerca di rifugi che non ci sono. Così non so se ha sentito il mio saluto. L'ho accompagnato per alcuni metri lungo la strada e per una volta ho gioito di indossare il burqa. Non ha visto lacrime ed erano tante, ha portato il mio ricordo mentre gli dicevo che nessuna bomba e nessun nemico può uccidere chi è protetto da un amore grande, come il mio per lui. Ma l'amore in Afghanistan ha perso da tempo. E il mondo è piccolo e se l'amore perde, perde per tutti. La notte ho stretto forte il mio bimbo che non dormiva più. Chiedeva perché ma io non so che rispondergli. Non si può dire a un bimbo che il mondo odia il terrorismo che significa uccidere gli innocenti e così, per risposta, bombarda noi. Tutto quello che quella notte, quella dopo e quelle prima gli dicevo era "mamma è qui con te, non piangere, mamma è qui con te". E ora vorrei morire perché in una di quelle notti da incubo la casa è esplosa su noi abbracciati. E che ha potuto fare mamma per il suo bimbo? Gli avevo promesso protezione, la bomba è caduta e lui nel terrore mi ha guardata come a ricordarmi la promessa. Non ha urlato, questo lo ricordo. Io l'ho fatto ed era un grido animale che mi risuona nelle orecchie in ogni istante, sono saltata sul corpo del mio piccolo come un'aquila sulla preda. Sentivo del sangue scivolarmi lungo le gambe e tra il dolore e l'angoscia non capivo di chi fosse, continuavo a p regare Dio che fosse il mio, a implorarlo che fosse il mio. Non lo era. Come vorrei spiegare a tutte le mamme... ma le mamme, lo so, non hanno bisogno di altre spiegazioni. Alzi gli occhi al cielo e vorresti solo morire, perché tutto il resto non importa, perché non c'è niente che può consolarti, perché la morte è nulla per una madre quando ha suo figlio che grida tra le braccia. Ho chiesto a Dio di mandare un'altra bomba a uccidermi, sentivo di non farcela. Invece stavo già correndo, cercando aiuto, tra le bombe e le fiamme e altre mamme con fagottini sanguinanti tra le braccia. Il mio bimbo vivrà senza le gambe, urla tutto il giorno, si lamenta tutta notte. Ho affidato la mia lettera a un'amica che è corsa via per salvare i suoi, io da qui non posso scappare, il mio bambino è steso in un letto. Aspettiamo la fine, le bombe continuano a cadere e io spesso chiedo ad una di colpirci per non vedere il resto, per non dover dire a lui che gli ho dato una vita senza futuro, per non doverg li dire che lo aspetta solo il dolore. Spero che ci colpisca e ci porti via insieme, in un posto nel quale io possa proteggerlo, solo questo sarebbe il mio Paradiso. Ho affidato così la lettera un'amica che è scappata in Europa. E' per gli italiani, popolo che ho amato e nel quale credo ancora. Non credo che nessuna delle belle persone che ho incontrato lì da voi avrebbe voluto pagare con le sue tasse la bomba che ha tolto le gambe e la speranza a mio figlio. Eppure quella bomba l'avete pagata voi, tutti voi, togliendo i soldi alle pensioni dei vostri vecchi o i soldi per i vostri malati e dandoli invece per colpire i nostri bimbi. Se favorire involontariamente chi uccide innocenti è terrorismo allora gli italiani sono terroristi? Non lo sono, come non lo sono io. Siamo le vittime di questa guerra. Non cestinate la mia preghiera, voglio immaginare che esiste una speranza, che chi non ha soldi o interessi possa dire non uccideteci più. Non cestinate la mia speranza. Penso che magari se ci stringiamo tutti potrebbe non succedere più e altri bimbi come il mio correranno ancora, con le loro gambe, davanti ai loro genitori orgogliosi. Vi prego mandate a tutti questa mia. Spedite a tutti la mia storia, che almeno a qualcun altro possa servire, ho in mente questa lettera mentre sto vicino a mio figlio aspettando. Quando cadrà Kandahar pensate anche a noi. (FONTE: FORUM "LA STAMPA")

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AIFO (Amici di Raoul Follerau): ALCUNI DEI MILLE MOTIVI PER DIRE NO ALLA GUERRA
Un celebre libro di dom Helder Camara, indimenticabile vescovo brasiliano e compagno di strada dei piu' poveri, s'intitola "Mille ragioni per vivere". Noi membri di un'associazione popolare impegnata in 50 paesi del mondo ed in Italia con centinaia di volontari che operano per la solidarieta' e per la giustizia sociale vogliamo esprimere alcuni dei mille motivi per dire no alla guerra. No, perche' la condanna nei confronti del terrorismo e di ogni forma di violenza ed il cordoglio per i morti non puo' generare e giustificare un'azione di guerra patita da una popolazione inerme e vessata da anni dai suoi stessi governanti. Negli ultimi decenni il 90% delle vittime delle guerre sono civili. In Afghanistan stanno morendo bambini, donne, uomini stremati da freddo, fame o uccisi da "bombe intelligenti". No, perche' e' inutile. Rispondere al terrorismo con la guerra e' inutile e legittima l'avversario. I primissimi giorni del conflitto alcuni autorevoli commentatori affermavano che bisognava evitare di usare il termine guerra perche' cio' avrebbe significato conferire ai terroristi lo status di nemico combattente ed era inaccettabile. Al di la' dei sofismi linguistici il significato profondo non e' trascurabile. La lotta al terrorismo si combatte togliendo nutrimento al terrorismo, bloccandone i finanziamenti, le relazioni, portandolo allo scoperto. Il terrorismo si combatte prosciugandone il brodo di coltura: il malcontento, i facili fanatismi; la guerra sta viceversa alimentando questi fattori. No, perche' e' retorica. Si afferma che dobbiamo difendere il mondo libero, il nostro stile di vita. Come suoneranno queste parole a chi del nostro stile di vita paga il prezzo: gli affamati, i senza acqua e senza cure, le vittime di tante guerre alimentate piu' dagli interessi dei potentati economici che da conflitti tribali. E' retorica perche' ci si accorge delle donne e del popolo afghano solo oggi, dopo aver chiuso per anni gli occhi sulle vessazioni di un regime oscurantista e crudele. No, perche' e' una guerra paravento. Dietro una spettacolare azione di forza si lasciano irrisolti i problemi veri che affondano le loro cause nella ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, nell'aver piegato le scelte politiche ai poteri economici, nel ricordarsi dell'importanza delle Nazioni Unite solo quando servono a legittimare le scelte dei potenti. Quelle Nazioni Unite troppo frequentemente svuotate di una credibilita' che oggi si cerca di conquistare con il conferimento del Premio Nobel. No, perche' si fonda sull'ambiguita' della violenza. Se accettiamo la violenza e' difficile demarcare il confine tra una forma di violenza legale ed una terroristica. Non dimentichiamo che paesi come gli Stati Uniti hanno sostenuto per anni uomini oggi definiti terroristi e finanziato forme di guerriglia che hanno rovesciato i legittimi governi di alcuni paesi. No, perche' nasce dalla logica dei due pesi e due misure. L'attacco e' frutto del diniego del governo afgano di consegnare agli americani Bin Laden, considerato artefice della morte di 7.000 persone. Ricordiamo che nell'84 a Bhopal in India l'incidente ad un impianto chimico della Union Carbide provoco' 16.000 vittime tra morti e disabili. Il governo indiano chiese a quello statunitense la consegna di Warren Anderson, presidente della Union Carbide, per processarlo in India, gli Usa si rifiutarono. Si obiettera' che quello fu un incidente e non un atto di terrorismo e quindi i termini della questione sono profondamente diversi, precisazione che andrebbe fatta pero' anche quando piu' volte si sente paragonare i fatti di questi giorni all'invasione nazista della Polonia. Di fatto pochissime famiglie indiane sono state risarcite dalla Union Carbide ed il sig. Anderson ha eluso la sue responsabilita'. No, perche' e' fatta di un linguaggio ingannevole. Si usano termini che non hanno alcun riscontro con la realta': "Liberta' duratura" e' il nome dell'operazione. Liberta' da cosa? Dal terrorismo forse? Se domani gli Usa riuscissero ad acciuffare Bin Laden, se lo stesso governo afghano glielo consegnasse, davvero potremmo metterci l'anima in pace rispetto al terrorismo? Quanti Bin Laden sono alimentati da questa esagerata ostentazione di muscoli degli USA e dei loro alleati? "Bombe intelligenti", terminologia che offende il genere umano che notoriamente dovrebbe ritenersi intelligente. Le bombe sono degli ordigni di morte programmati per colpire un bersaglio, potremmo definirle difettose, precise, killer ma mai intelligenti. E' una guerra che parla il linguaggio dei media, ma gli orrori della guerra rimangono anche quando spegniamo il nostro apparecchio televisivo o cambiamo canale. Padre Zanotelli da Korogocho, la baraccopoli keniana in cui vive, ha inviato un messaggio ai volontari AIFO in cui spiega che con i fatti dell'11 settembre e' la prima volta che l'attacco arriva al cuore dell'impero. Continua ricordando che noi oggi piangiamo i morti americani ma che allo stesso modo dovremmo piangere i milioni di morti per fame a causa dell'apartheid economica che governa il mondo. Su 36 milioni di malati di AIDS, ventisei milioni vivono in Africa, tutti destinati a morire. Dice Zanotelli: "L'AIDS, la fame, la malattia, sono un fuoco che avanza e distrugge milioni di persone. Non possono esserci morti di serie A e morti di serie B". Con Zanotelli, Raoul Follereau e tutte le donne e gli uomini di pace diciamo: e' con una rivoluzione culturale che vinceremo il terrorismo e la violenza. Partendo dal sovvertimento della logica "se vuoi la pace prepara la guerra" e con la pratica del "se vuoi la pace costruisci la giustizia". La guerra e' una finta scorciatoia. I morti americani come i morti di tutte le guerre che si consumano oggi su questo pianeta non ci chiedono di imboccare scorciatoie, ci chiedono di guardare in faccia ai problemi veri, quelli della gente. Ci chiedono una politica che guardi al bene della polis e non agli interessi dei potenti di turno. Ci chiedono la pace in terra e non quella eterna dei bombardamenti o dei cadaveri che rientrano in patria avvolti in una bandiera.

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PAROLE IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(vincenzo.andraous@cdg.it- Tel. 0382 3814417)

Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,  una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventinove anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da otto anni usufruisce di permessi premio e lavoro esterno in art.21, da due anni e mezzo è in regime di  semilibertà svolgendo attività di tutor-educatore presso la Comunità “Casa del Giovane “di Pavia. Per dieci anni è stato uno degli animatori del Collettivo Verde del carcere di Voghera, impegnato in attività sociali e culturali con le televisioni pubbliche e private, con Enti, Scuole, Parrocchie, Università, Associazioni e Movimenti culturali di tutta la penisola,  Circa venti le collaborazioni a tesi di laurea in psicologia e sociologia; E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, laici e cattolici; altresì su alcuni periodici on line di informazione e letteratura laica, e su periodici cattolici di  vescovadi italiani; ha conseguito circa 80 premi letterari; ha pubblicato sette libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia; “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”   edito da Ibiskos di Empoli; “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia.

RICOSTRUIRE L'UOMO DAL DI DENTRO

Il carcere con i suoi molteplici contorcimenti, forse è addirittura irrapresentabile  se non lo si tocca con mano. Eppure mi piacerebbe significare un tragitto diverso, un cammino, sì, difficile, ma più vicino al reale. L'immagine che si ha di una prigione è  uno schema freddo e sintetico. Uno spazio essenziale, spogliato di ogni riferimento, ove l'anima urla davvero, e potrebbe non esser udita, perché soffocata dalle sue stesse grida, dall"imprecare, sanguinare, chiedere.  Uno spazio ove al suo interno non esiste principio né fine, né prima né dopo, alcun tempo. Né sopra né sotto, alcun spazio. Una dimensione di assoluto e di niente, di vuoto e di pieno. Un movimento presente, passato, futuro; un punto di contatto, di aggregazione, di disgregante follia. Linee e arredi spogli, poveri, insignificanti, ma a ben guardare, nel lungo tempo, divengono segni importanti; presenza viva nonostante tutto. In questa  prigione così oscura, tetra e dura, a tal punto da divenire un incubo, fino a farti ammuffire più del suo tetto-cratere corroso dal tempo: esiste un'umanità che sopravvive e infine  chiede di vivere. Questa cella, questo recinto stretto, questo carcere a distanza siderale dall'essere, difficilmente si impara ad accettarlo come intorno, a colorarlo con il lavoro, la poesia, il teatro, la meditazione, i rapporti umani finalmente nati, mantenuti e custoditi. Eppure si cresce sino a farlo diventare un tempio ove tentare di recuperare non solo attraverso la  fede che un  individuo professa, ma fors’anche e soprattutto da ciò che in ciascuno incombe; la responsabilità di " ritrovare e ricostruire se stesso". Ci sono momenti in cui il panico assale, paralizza, terrorizza, e non ci rendiamo conto di come abbiamo fatto diventare queste quattro mura; "un mito", tentando di modificare questa dimensione disumanizzante in un luogo aperto ad alternative di conoscenza e di  mutamento interiore. A volte persino  la perdita di memoria é una scelta individuale per non vedere né sentire, ecco che allora aprire gli occhi e saperli poi abbassare, consapevoli dei bisogni, dei desideri e delle aspettative, diventa un gesto, un comportamento ed un’azione che superano di gran lunga lo spauracchio di quel mito costruito troppo spesso a  nostra misura. Spesso chiediamo quando giungerà il tempo per "ritenere di essere" a fronte dei chiavistelli e degli scarponi chiodati, vagando per campi minati, aggrovigliati nel filo spinato facendoci ancora più male, in una sofferenza per lo più amministrata e comunque mai consapevole. Appoggiandoci ai lampi di vita dispersi e incendiati, comprendiamo che importante "non é esserci " ma capire "ciò che si é", ciò che siamo e dobbiamo essere "per reinventare la nostra vita”.  Forse ciò è possibile recuperando un atteggiamento più attivo e propositivo anche dentro un carcere, con la capacità di riconoscere le proprie potenzialità, i propri interessi, per poi tradurli in un progetto di auto-realizzazione, senza per questo arenarci a fronte di situazioni che solo apparentemente paiono troppo destrutturate; per cui le viviamo sovente come potenzialmente negative. Credo sia il tempo di assumerci in prima persona le nostre responsabilità con il coraggio delle nostre azioni. Perché non esprimere la propria opinione, ma anche non averla, significa non avere consapevolezza delle proprie esigenze, non farsi portatori di un proprio progetto di vita personale. Allora rifuggire il nuovo, senza scommettersi, non impegnarsi insieme con gli altri, Operatori Penitenziari e la Società civile, non esponendosi in prima persona  per la  propria crescita personale e professionale: equivale a non vivere pienamente questa vita che ci precede e osserva, trasfigurando la quotidianità, trascendendo l'umanità stessa. Così restituendoci almeno in parte alla nostra dignità di uomini.

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Progetto Sorriso El Salvador

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.

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SORRISI & CEFFONI
 
Beppe Grillo: discorso all'Umanità  31\12\2001
Auguri anche a Lei Presidente.... Lei è l'unico Presidente, il Presidente della Repubblica. Perché qui siamo pieni di presidenti che non ce la facciamo più! Cara umanità, esuberi, flessibilità, risorse umane! Ogni anno ci vediamo... e quest'anno la posizione è un po' strana (Grillo è ribaltato di 180° n.d.t.) ma non vi fate ingannare, la posizione è strana perché il mondo è strano. Ho una crisi di personalità... per anni sono andato avanti a fare monologhi sulla realtà e allora  mi stupivo... non capisco i fatti  mi dicevo.. sono io che sono fuori di testa... il mondo sta andando avanti così, sono io che sono un disadattato. Ma adesso! mi sta succedendo qualcosa, e sta succedendo a tutti! Abbiamo un destino che è messo in crisi da degli ometti: le tre B: Bush, Bin Laden e...questo ometto che si agita, che si fa chiamare il Presidente; è da tutte le parti e in nessun luogo. E' a Bruxelles, parla d'aforismi, va in Belgio e dice: "Tu dare soldi, noi dare cammello". Si è occupato di tutto, lavora 18 ore al giorno... Questo povero Dorian Gray che non ce la fa più. Io ho dei seri problemi a capire questo mondo che sta andando alla rovescia... Ma  forse è la realtà che sta andando alla rovescia, l'unica cosa diritta sono io... (Grillo viene raddrizzato ndt) E allora noi che siamo la patria del diritto siamo diventati in poco tempo la patria del rovescio. Il diritto si è rovesciato. Oggi i fuorilegge scrivono le leggi, i malfattori giudicano i giudici e il destino dei magistrati è nelle mani delle sentenze degli avvocati. Allora ci abitueremo a scene magari incredibili, dove non so... il mafioso esce faccia in su facendosi fotografare... entrare nella sua limousine e andare via con la scorta della Polizia. E nella via dietro... uscire il giudice, col cappotto tirato su per non farsi riconoscere, come un mafioso, e infilarsi nella sua Tipo con l'unica scorta che si può permettere: sua moglie  o la sua vecchia zia dentro, e andarsene da solo. Il diritto si è rovesciato, e allora tutte queste parole strane..: democrazia, libero mercato... che doveva portare il benessere... Ditelo all'Argentina!  Ditelo all'Argentina !!! Dieci anni fa sentivano gli stessi discorsi che sentiamo noi dal nostro governo. Andate nei supermercati, il futuro è nel supermercato. Guardate cosa fanno le culture occidentali...  Guardate Gerusalemme... tra culture differenti: si ammazzano da decenni. Guardate la pacificità.., la tolleranza di un supermercato.., dove al massimo che ti può succedere  di violenza è scontrarsi col tuo carrellino. E allora, ecco,  ditelo all'Argentina... Dicevano: Andate nei supermercati! Prendete le vostre maggiori offerte. Comprate 4 e pagate 3, comprate 3 e pagate 2... La settimana scorsa sono entrati hanno preso 4 e pagato un cazzo! Questo è il grande libero mercato. E allora si fanno le riforme, istituzionali, costituzionali, le Grandi Riforme... e allora Dorian Gray, che io chiamo affettuosamente così come nel libro di Oscar Wilde dove chi invecchiava era il quadro e lui rimaneva giovane.. invece qui... abbiamo un Berlusconi che è alla rovescia: invecchia lui e ringiovanisce la sua immagine,  dicevo... Dorian Gray ha fatto queste grandi riforme: Quella del falso in bilancio che da oggi si chiamerà credo, contabilità creativa.
La legge sulle rogatorie. Abbiamo detto ai giudici svizzeri che sono imprecisi: se un giudice svizzero per fare un'indagine ci manda dei documenti firmati solo in fondo e non timbrati pagina per pagina, noi glieli mandiamo indietro perché possono essere artefatti!. Il grande governo che doveva sburocratizzare il mondo è diventato il partito dei timbri! E abbiamo fatto la riforma fiscale: Dai 200 milioni in su si paga ilì 33%, dai 200 in giù si paga il 23% di tasse. Faremo la privatizzazione della sanità. Ai ricchi diremo: dica 33. Ai poveri: 23. Robin Hood alla rovescia! Quindi uno che guadagna 200 milioni paga il 33 come Dorian Gray che guadagna 300 miliardi! Ma è strepitoso! Tutto sotto i nostri occhi! Questa democrazia... che arriva dagli Stati Uniti...  che hanno avuto un dramma straordinario, per l'amor di Dio: le due torri... Ma se non c'erano le due torri bisognava inventarsi qualcosa di simile... Qui ci vogliono far credere che sia una guerra di religione... ma si può parlare di guerra santa...? Guerra solidale? La parola solidarietà che significato ha? Prendo un giornale, c'è un'enorme pubblicità... Guarda... c'è una mano bianca che prende un bambino piccolissimo nero... Bellezza della solidarietà! Organizzato dal gruppo Vella... donna... europea e occidentale vieni! Vieni da noi,  stilisti del capello... fatti fare un taglio per solidarietà... fatti depilare per solidarietà...  strappati le unghie per solidarietà...
Allora la parola cosa diventa? Magari c'è la buona fede, per l'amor di Dio... Si allevieranno situazioni del 3°, 4°, 5° mondo, ma noi stiamo inculcando un concetto di solidarietà che è completamente fasullo! Le donne crederanno che fare del bene è farsi laccare le unghie dei piedi da un parrucchiere... E ancora, l'informazione che dovrebbe essere quella che controlla il Governo... E' l'esatto contrario: è il Governo che controlla i media. Vediamo qual'è l'informazione: noi leggiamo un giornale su 10, un tedesco ne legge 5 su 10, un giapponese 30 su 10 perché li legge 7 volte l'uno... La nostra cultura è fatta per contatti televisivi e la poca cultura dei giornali è fatta così. Guardate come si può manipolare con lo spazio: manifestazione di 20.000 persone... vedete le proporzioni, la fotografia è grossa lo scritto è piccolo... Sullo scritto: 20.000 stanno manifestando e venti spaccano le vetrine... ma la foto grande riprende non i 20.000 ma i venti. Questo è manipolazione, non è cambiare i fatti, è proporli come si vogliono. Si può manipolare con il colore, noi siamo un popolo che vuole il colore... e contro i colori non è come le parole.., le parole le puoi smentire... un'immagine non la puoi smentire! Guardate: il bene viene dipinto a colori: il bambino con la bandiera americana. Siamo tutti contro il terrorismo... in quella grande manifestazione che ha fatto il Governo in piazza. Io tutte le manifestazioni che vedo in televisione mi fanno paura... Le fanno nella Corea del Nord, Fidel Castro a Cuba... E io vedo il bambino a colori e in quarta la bandiera strappata in bianco e nero. Qui erano in 100.000 e qui in 40.000: però l'immagine che rimarrà sarà il bambino colla bandierina. Bello, biondo. Ecco cos'è la manipolazione. Noi parliamo di civiltà superiori... parliamo veramente di civiltà superiori? Ora ve la faccio vedere la civiltà superiore... come vediamo noi... oooh... le povere donne afgane...! i burka... si. si... Come vedono i giornali le povere donne? Eccola qua...la civiltà superiore: una donna negra che beve un  vino bianco.., queste sono le idee dei creativi.., ce li abbiamo al governo. La donna negra visto che è negra è senza reggiseno, perché le tette delle negre sono tette qualsiasi, mentre su un altro giornale spicca, straordinaria, la donna bianca e in quanto bianca è leggermente velata... Questa è pubblicità colonialista! Ecco come vediamo la guerra: (Grillo mostra una copertina) da un giornale del capo del Governo edito dalla sua casa editrice, ecco il modo di vedere la guerra: carri armati e figa !!! Straordinario! E noi siamo entrati in guerra con una manifestazione televisiva di piazza: Sembrava il festival di Sanremo, eravamo tutti entusiasti... la solidarietà...  e arriva Bocelli che canta, arriva la Loren e Alberto Sordi..., come fa ad essere una cosa seria? Mancava il Telegatto..! E allora sono io capovolto o sono le cose? Io voglio dirvelo, raddrizzatevi! Le parole non hanno più significati...  globalizzazione... La globalizzazione c'è sempre stata. Cristoforo Colombo è stato il primo globalizzatore quando ha portato i pomodori di qua! La globalizzazione è intesa come fatto naturale, come il tempo, il clima... ma noi stiamo parlando, non di quella intransitiva... ma transitiva: CHI GLOBALIZZA COSA... E' un mondo globalizzato che parla l'inglese, l'americano... Io non  so se sia peggio l' Europa o gli Stati Uniti... Ma quando sento Bossi...che è ministro! Bossi è diventato ministro!!! Che dice: Europa forcaiola. Lui! Uno che si puliva il culo col tricolore... e l'ho visto con la bandiera america che diceva Europa forcaiola.. Quale forcaiola? Sono gli Stati Uniti che hanno fatto fuori sulla sedia elettrica 120 persone quest'anno. E' Bush che ha ucciso 120 persone, si o no? Noi non abbiamo la pena di morte.
Bush è il più grande killer della storia! Noi difendiamo una democrazia dove 6 milioni di persone..: 2 sono in galera e 4 sono agli arresti domiciliari. Negli Stati Uniti dicono che hanno pochi disoccupati, per forza! li arrestano tutti. E' tutto alla rovescia... e io credo che ci voglia un segnale. Ci han fatto credere che questa è una guerra santa... siamo entrati in guerra e non ce ne siamo neanche accorti con una manifestazione... tutti in Afghanistan. Adesso a gennaio le truppe italiane dovranno intervenire in terra... Non sugli aerei. Questa è la guerra del bene contro il male. E' la guerra dei grassi contro i magri! Quale terzo mondo...? I grassi e i magri... Stiamo male  tutti e due: noi perché mangiamo troppo, loro perché non mangiano nulla.
I grassi bombardano da 5.000 metri e tirano giù sui magri delle molotov da 7 tonnellate... che solo menti malate le poteva concepire...  neanche il ministro Alemanno che le tirava da piccolo poteva concepire una molotov così. Bombe che uccidono migliaia di magri... ma nella TV dei grassi i magri non fanno notizia perché sarebbero notizie antipatriottiche.
Dicono che i grassi sono coraggiosi... se sganciano da 5.000 metri  le molotov da 7 tonnellate, mentre i magri che si fanno esplodere sono dei codardi. E allora è un concetto che non capisco: bene contro il male... Dio, Allah.. Basta! Ci voglio far credere che sia una guerra di religione, di culture...Ma qua è una guerra di petrolio! Ora vi faccio vedere quanti sono i petrolieri nel governo di Bush (mostra una foto con 6 persone ndt). Sono tutti petrolieri! Ora dovete sapere che negli Stati Uniti hanno l'1% del petrolio e consumano il 30% di tutte le risorse del resto del mondo... ma ne hanno solo l'1% e... da qualche parte dovranno pur andarlo a prendere. Il Caspio è il regno del petrolio. Il 65% del petrolio è lì nel Mar Caspio e i caspiti o caspidi consumano solo l'1%... Dovevano andarselo a prendere, gli americani! Dovevano fare qualcosa. Già a marzo si parlava di guerra in Afghanistan. Il vice direttore dell'FBI O'Neil faceva  delle indagini in Arabia perché pensava che il terrorismo fosse lì, e infatti... i fatti gli han dato ragione, perché su 19 terroristi 15 erano arabi e 4 egiziani. E noi cosa facciamo? Bombardiamo l'Afghanistan. O'Neil sapeva, ma tutte le sue indagini venivano insabbiate dai petrolieri americani.., allora lui s'è dimesso e per premio, per il lavoro che aveva fatto, Bush gli ha dato un bell'ufficio all'82° piano delle due torri. Noi siamo entrati in guerra, dobbiamo sbarcare... Il ministro Ruggero preoccupatissimo ha detto: "Noi non possiamo fare la guerra se non abbiamo delle garanzie!" Ma le garanzie, Ruggero!, si hanno in tempo di pace non di guerra! Tu dovevi continuare a giocare a golf al WTO... E noi ci mandiamo battaglioni, con le nostre tecnologia straordinarie... gli elicotteri che vanno di notte. Li avete visti i nostri elicotteri... i nostri soldati che li facevano scendere... sembravano a 10 centimetri poi erano a 60 metri! Abbiamo visto il battaglione Tuscania, i nostri valorosi guerrieri. Il Tuscania, quello che è venuto al G8... doveva sedare una rivolta, si sono persi a Genova! Hanno dovuto chiedere a un tassista dove dovevano fermare i rivoltosi, e li abbiamo mandati in Afghanistan! Non li troveremo più... Dovremo attivare un Chi l'ha visto? afgano... E cosa ha detto il nostro Dorian? il nostro grande statista mondiale? Cosa faremo dopo aver fatto la pace in Afghanistan? La televisione. La televisione! Gli daremo Biscardi che parlerà in afgano, che tanto è lo stesso. Costanzo col burka che sembra un comodino col pizzo. Gli daremo Il Grande Fratello...  Loro penseranno che sarà Bin Laden e invece è Marina... vedranno Marina o Cinzia o Ugo e diranno: questa è la grande civiltà. I terroristi vanno combattuti ovunque siano, e i paesi che li ospitano saranno i nostri nemici, saranno bombardati. Benissimo! Il paese che deve essere bombardato per primo sono gli Stati Uniti. Hanno la scuola di guerra in Georgia: Fort Ben ha forgiato e plasmato i più grandi dittatori, torturatori, assassini degli ultimi 50 anni: Gli squadroni della morte, il dittatore giapponese in Perù, quelli che hanno ucciso il cardinal Romero, quelli in Salvador, in Guatemala sono usciti da una scuola militare in Georgia. Come l'hanno chiamata? Non scuola di guerra , no: Istituto per la Cooperazione e Sicurezza dell'Emisfero Occidentale... Il Cepu... Bello... straordinario... col tutor per uccidere e torturare.
L'occidente: un'altra parola che si sono inventati gli occidentali. L'occidente è solo un punto di vista, non c'è niente di geografico: Io vedo il Polo Nord, il Polo Sud... non vedo un Polo Est, un Polo Ovest. Tu sei sempre a occidente di qualcuno... è un punto di vista che non vuol dire nulla... occidente da cosa? Un californiano per essere occidentale va in Giappone, il giapponese va in Cina, il cinese in India, l'indiano va in Arabia, l'arabo in Africa. E l'africano sta lì perché non sa più dove andare.
Dorian Gray fa quello che può: "Siamo tutti americani, come ha detto John Kennedy a Berlino". Eh, Dorian Gray è l'unico che riesce a dire tre balle in due parole... Siamo tutti americani... Ma Kennedy non si è mai sognato di dire quelle cose! Kennedy ha detto: Io sono berlinese, che è un altro significato. Ma noo! Per lui le parole sono così. E' creativo! L'euro. L' Europa è due anni che sta commerciando con l'euro. Non c'è il popolo europeo però abbiamo già la moneta. Perché parole come diritto, cultura sono superflue, non ci servono più, ci serve  consumare le stesse cose! I commercianti poi hanno già arrotondato in modo da farci sentire a nostro agio: 54,4? A 55 ! Preciso. Queste bandiere... Allora è meglio prenderne una come a detto Gino Strada... dice che ha le idee confuse... E' l'unico che ha idee dritte! "Non voglio i soldi da chi butta le bombe, se devo ricucire quelli che frantuma con le bombe!" Prendete una bandiera, bianca, uno straccio di bandiera, senza odi, religioni, senza dire il bene contro il male.
Cosa vuol dire il bene contro il male? Quando il bene fa più morti del bene perché devo scegliere il bene? E come prendere un cannibale, giustiziarlo poi mangiarselo, così impara! Gino Strada, vogliamo manifestarti il nostro affetto, quindi sventolo la tua bandiera bianca senza ideologia. E un appello a Dio. Mi sono montato la testa. Dio vieni giù. Ma non mandare tuo figlio; vieni tu di persona, perché non sono più cose da ragazzi. Aspettiamo che vieni tu. Grazie a tutti. Buon anno.
 
 
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Pensieri @ltri 

La nonviolenza e' la porta da aprire per non sentirsi soli. La nonviolenza
cerca sempre di essere con altri. (Aldo Capitini)
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I movimento totalitari moderni, di destra come di sinistra, hanno mostrato
una tendenza particolare - e rivelatrice - a servirsi di immagini di
malattia. (...) Paragonare un avvenimento o una situazione politica a una
malattia significa attribuire una colpa e prescrivere una punizione. Questo
vale soprattutto per l'uso del cancro come metafora. (...) Definire cancro
un fenomeno e' un incitamento alla violenza. (Susan Sontag)
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Noi siamo convinti che le popolazioni si fidano troppo dei governi. La
guerra e' voluta, preparata e fatta scoppiare da pochi, ma questi pochi
hanno in mano le leve del comando. Se c'e' chi preferisce lasciarli fare, e
non pensarci, divertirsi e tirare a campare, noi dobbiamo pensare agli
ignari, ai piccoli, agli innocenti, al destino della civilta',
dell'educazione e della progressiva liberazione di tutti. Noi dobbiamo dire
no alla guerra ed essere duri come le pietre. (Aldo Capitini)
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Ozio, lentezza e... poesia

Il 2001 è un anno che ricorderemo sicuramente per i due grandi eventi: il G8 di Genova e l’11 settembre delle due torri di New York. E conseguente guerra in Afganistan. E cosa possiamo fare noi? Vengono alla mente alcuni gesti o alcune rinunce. Ivan Illich invita a sottrarsi. Cioè: non far niente, oziare, rallentare le velocità, camminare a piedi, fare pagliai, soffermarsi di meno davanti alla televisione, non comprare azioni in borsa, scrivere lettere a mano con carta, pennino, cannetta e inchiostro, coltivare un orto, giocare e perder tempo, barattarsi le cose o regalarle quando non servono più, salvare semi, seminarli e poi scambiarli, non programmare, poetare in lingua locale, disegnare, leggere un libro. Ne consiglio uno bellissimo di Christoph Baker dal titolo “Ozio, lentezza e nostalgia”.  Ma c’è anche Wendell Berry che ha scritto “Con i piedi per terra”. Wendell, fra l’altro, consiglia così: fate la spesa vicino a casa, comprate in un negozio piuttosto che in un ipermercato, non comprate niente di cui non abbiate bisogno, fate tutto quello che potete da soli, se non potete farlo da soli, vedete se un vicino può farlo per voi, comprate prodotti alimentari coltivati nella zona, coltivate qualcosa per il vostro consumo personale, andate in vacanza vicino a casa vostra. Riusciremo davvero a sottrarci? Che bello se tutto quello che avevamo messo in piedi – in pompa magna- a Genova avesse avuto come contraltare una città vuota, senza abitanti né manifestanti!  Ma la ricordate la storia de “I vestiti nuovi dell’imperatore” e del bambino che ingenuamente disse: “Ma il re è nudo!!”? E’ l’unica maniera per unire tutti: i semplici, i poveri e i diseredati della terra, l’indio sudamericano e il contadino romagnolo. Buon 2002, ricco di tanti attesi…imprevisti. (Gianfranco Zavalloni)

@ @ @   FINE   @ @ @

 

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