POPOLI SENZA
FRONTIERE, serie di appuntamenti per la
divulgazione della campagna di solidarietà promossa da
Emergency. VENERDI' 16 NOVEMBRE – ORE 21.00, Teatro
Ferrini,
proiezione del film MIRKA, con la presenza del regista algerino RACHID
BENHADI.
16/11/01 - Cerea (VR) - Party cubano «Cuba Libre»
L'Arci di Legnago rende noto che il 16 novembre che si terrà all'area ex-perfosfati di Cerea (Vr) alle ore 21,00 un Party cubano "CUBA LIBRE" . Il programma della serata sarà fitto di iniziative. Avremo con noi lo scrittore, saggista nonché giornalista cubano Leonardo Padura Fuentes, del quale vi allego alcune note interessanti. L'incontro avrà inizio alle 21,00 e sarà presentato da Danilo voce e chitarra de "I NOMADI" visto che anche loro, saranno con noi, presenti a questa serata. Alle 22,30 circa suoneranno i "LOS TRINITARIOS", gruppo cubano che ha affiancato "I NOMADI" nel tour 2001. La loro è una musica tradizionale cubana divertente, allegra, ironica e a volte anche pungente. (info: arci@sttspa.it)
POPOLI SENZA FRONTIERE, serie di appuntamenti per la divulgazione della campagna di solidarietà promossa da Emergency.
19/11/01 - Verona - Contro la violenza
Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Un decennio contro la violenza». Relatore: Letizia Tomassone (pastora valdese - Verona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.
19/11/01 - Trento - Giornata nazionale dell'infanzia
Il Forum
Trentino per la Pace in occasione della GIORNATA NAZIONALE DELL’INFANZIA E
DELL’ADOLESCENZA promuove la presentazione del Rapporto UNICEF “La condizione
dell’infanzia nel mondo - 2002” Lunedì 19 novembre 2001- ore 20.30 Trento- Sala Rosa del palazzo della Regione
– p.zza Dante. Programma: Introduzione della Presidente del Comitato Regionale
Trentino-Alto Adige per l’UNICEF e del Presidente del Forum Trentino per la
pace Cosa è e cosa rappresenta il Rapporto sulla
condizione dell’infanzia nel mondo, relazione di Rosanna Monopoli. Dieci anni di lavoro, intervento delle studentesse del Liceo
Psico-Socio-Pedagogico “A.Rosmini” di Trento (Daniela Fbetti, Giorgia Molinari, Laura
Valer, Irene Zamboni); Le sfide del
nuovo millennio, intervento
degli studenti del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Trento (Martina Cramerotti, Marco Donatini,
Francesca Eccher, Ylenia Farris, Valentina Pisoni); La situazione degli aiuti dell’UNICEF alle
popolazioni dell’Afghanistan, Natalina Mosna (UNICEF). (Fonte:
Vincenzo Passerini)
dal 23 al 30/11/01 - Verona - XXI Rassegna Cinema Africano
L'incontro di Pax Christi in questo mese si terrà LUNEDI' 26 NOVEMBRE. Presenti le «Donne in nero», con Giannina Dal Bosco e altre. Luogo d'incontro: Centro Missionario Diocesano, via Duomo 18/a (Verona). Tema: testimonianze di nonviolenza in luoghi di conflitto (Palestina, Balcani, Pakistan....).
10/12/01 - Verona - Spiritualità ebraica
Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «I doni della spiritualità ebraica». Relatore: Amos Luzzato (presidente comunità ebraiche - Venezia). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.
12/12/01 - Venezia - Endometriosi
ll Comitato Pari Opportunita'
dell'Unviersita' Ca' Foscari di Venezia organizza il giorno 12 dicembre 2001 una
tavola rotonda sull'endometriosi. Informazioni: lamon@oink.dsi.unive.it
15/12/01 - Velo Veronese - Il prete dei castagnari
La Falìa di Velo Veronese sarà presente SABATO 15 dicembre alle ore 21.00 presso il teatro di Santa Teresa a Verona, per presentare il libro di Alessandro Anderloni "Il prete dei castagnari". Il libro racconta la vita di don Alberto Benedetti, parroco di Ceredo e prete "scomodo", "anarchico", etichettato in vari modi, ma che noi chiamiamo semplicemente "prete libero". Il coro raccontando il libro a più voci e intervallando le canzoni di Bepi De Marzi, farà sentire la sua voce di protesta contro la Guerra, contro tutte le guerre che si fanno per i soldi, soldi, soldi! E proseguirà il grido disperato del prete costretto a tacere e a restare nella sua casa di Ceredo fino alla sua morte, perchè diceva la VERITA'. (Fonte: Associazione Culturale Le Falìe di Velo Veronese giuliacorradi@libero.it)
15/12/01 - Povegliano (VR) - Pensieri di pace
Sabato 15 dicembre, ore 16, presso la Madonna dell'Uva Secca (Povegliano - VR) incontro di spiritualità conviviale sul tema: "Io penso pensieri di pace" coordinato da fratel Marco Barozzi.
in primo piano
L'ORRORE DI QUEL VOTO SPORCO
di p. Alex Zanotelli
Dalla lontana Nairobi, apprendo con profondo orrore che anche l'Italia ufficialmente entra in guerra. Con un voto scellerato del Parlamento, il tanto decantato tricolore si renderà complice e autore di morti di migliaia di civili, di assurde stragi, di bombardamenti su città, villaggi, su popolazioni inermi, ridotte alla fame da condizioni di vita disperate. Un voto di una gravità inaudita quello del nostro Parlamento, che colloca l'Italia in una pagina nera della storia del mondo, una pagina listata a lutto e datata mercoledì 7 novembre 2001. A lungo porteremo con noi le conseguenze tragiche di quel voto, perché con quel sì alla guerra, non soltanto avalliamo decisioni politiche partorite dall'Impero, ma perdiamo anche una grande occasione: quella di dire no agli orrori, quella di dare finalmente a questo Paese dignità e spessore in un momento così fondamentale per le relazioni internazionali. La mia costernazione non sarà mai abbastanza rispetto agli effetti che quel voto "sporco" sarà capace di produrre. Dai ghetti-discarica di Nairobi, dove milioni di persone vivono ammassate una sull'altra, dove i liquami degli scarichi fognari penetrano nelle baracche disegnando solchi di una puzza insopportabile, dall'Italia mi sarei aspettato notizie più confortanti che non uno squallido e stupido trionfalismo guerrafondaio. Tanto più squallido e tanto più stupido in quanto sostenuto da quegli esponenti del centrosinistra che sembrano aver dimenticato i valori dell'uomo, del vivere civile, del rispetto delle culture altre. E scelgono di imbracciare il moschetto. Le parole di Rutelli e degli altri guerrafondai della sinistra pesano come macigni sulla storia del nostro Paese e io mi domando: ma che sinistra è mai quella che spedisce i popoli all'inferno? Già prima del 13 maggio, avevo avvertito il pericolo che poteva provenire da una maggioranza parlamentare di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Oggi quel pericolo è una realtà e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli italiani dovrebbero riflettere sull' affidabilità di un premier che scende in piazza a sostegno della guerra e su una parte consistente del centro-sinistra che arriva ad ossequiarlo. Mercoledì 7 novembre, l'Italia che ha detto sì alle bombe, nello stesso tempo ha calpestato la propria Costituzione, quella che all'articolo 11 dice testualmente: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...». Possibile che la gravità di questa cosa lasci indifferente il Presidente della Repubblica, che della Costituzione deve farsi garante? Mi giungono notizie di appelli alle famiglie italiane perché tengano un tricolore in casa: ma a queste famiglie, viene detto che quel tricolore da oggi è macchiato di sangue? Ci vogliono far credere che quella votata mercoledì sia una guerra necessaria, contro il terrorismo, uno strumento indispensabile per ridare all'Italia quel ruolo che le competerebbe a livello internazionale. Mai ascoltate tante falsità in una sola volta. Guerra necessaria è un binomio creato ad arte da chi pensa soltanto ai propri spudorati interessi, da chi non conosce le vie del dialogo e della pace, da chi non ha nessuna considerazione della vita umana. Ogni guerra fa stragi di civili e così sarà anche in questo caso. Lo sa il presidente Ciampi? Guerra al terrorismo è concetto altrettanto falso, perché altrimenti dovremmo combattere tutti i terrorismi, tutte le ingiustizie, tutte le stragi. Ma così non è. Che cosa dovremmo pensare, allora, di chi uccide 30-40 milioni di persone ogni anno? E' il numero dei morti "dimenticati", morti di fame, di malattie, morti in conflitti regionali dei quali nessuno parla, bambini morti per sfruttamento sul lavoro, per schiavitù: il ricco occidente non può dirsi estraneo a queste tragedie. L'appuntamento che si è dato oggi a Roma il popolo della pace è di quelli da non perdere, perché far sentire alta la propria voce oggi contro questo vergognoso interventismo diventa più di un dovere, diventa, questa sì, una scelta necessaria per indicare le vie della non violenza, del dialogo, della giustizia. Da questa lontana terra, anche io griderò «non sono d'accordo». Tra qualche anno ci diranno che avevamo ragione. Speriamo che non sia troppo tardi.La lotta internazionale al terrorismo ha preso i
connotati di una vera e propria guerra e, come in tutte le guerre degli ultimi
decenni, le prime a soffrirne le tragiche conseguenze sono le popolazioni
civili, costrette ad abbandonare le proprie case, a cercare rifugio altrove, a
contare i propri morti. Le incursioni
aeree stanno aggravando le condizioni di vita di un popolo già stremato da
vent’anni di guerre civili e rendono sempre più difficoltose le operazioni di
aiuto diretto. E’ necessario fermare immediatamente i bombardamenti se si vuole
evitare che l’emergenza umanitaria diventi un’ecatombe. Di fronte alla tragedia
alla quale stiamo assistendo, Legambiente ha deciso di sostenere l’operato di
Emergency con un gesto concreto, immediato urgente: raccogliere i fondi necessari a tenere
aperto, per un anno intero, il Punto di Primo Soccorso (First Aid Post) di
Salang, nella Valle del Panshir. Le attività principali dei Punti di
Primo Soccorso, aperti ventiquattro ore al giorno, sono il soccorso e
l’assistenza alle migliaia di afgani, soprattutto bambini, che saltano sulle
mine disseminate nel territorio. Ma essi finiscono per trasformarsi in veri e
propri presidi medici che forniscono assistenza di base alla popolazione di
tutta l’area. Nel solo 2000 circa 5.300 pazienti sono stati curati nei 6 Punti
di Primo Soccorso della Valle del Panshir.
Per contribuire alla raccolta fondi:
Conto corrente postale n. 12075586
intestato a Legambiente Solidarietà (causale: Emergenza Afghanistan); Bonifico
bancario sul c/c 2030 intestato a SOS Legambiente presso l’Istituto San Paolo di
Torino – Agenzia 14 di Roma – ABI 1025 CAB 03219 (causale: Emergenza
Afghanistan); Tramite Carta di Credito telefonando al numero
06/86268318
MASSMEDIA e TAM TAM vari
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
I PARLAMENTARI CONTRARI ALLA GUERRA
* Alla Camera
a) hanno
votato contro la guerra:
- Fulvia Bandoli, Giovanni Bellini, Gloria Buffo,
Eugenio Duca, Marco Fumagalli, Alfiero Grandi, Alba Sasso, Lalla Trupia, Katia
Zanotti, dei Ds.
- Giuseppe Gambale, della Margherita.
- Katia Belillo,
Armando Cossutta, Maura Cossutta. Oliviero Diliberto, Nerio Nesi, Gabiella
Pistone, Marco Rizzo, Cosimo Sgobio, Saverio Vertone, del Pdci.
- Fausto
Bertinotti, Elettra Deiana, Titti De Simone, AlfonsoGianni, Franco Giordano,
Ramon Mantovani, Graziella Mascia, Giuliano Pisapia, Giovanni Russo Spena, Titti
Valpiana, del Prc [Nichi Vendola si trova, in questi giorni, in missione
ufficiale in Nicaragua, e percio' non ha partecipato al voto];
- Mauro
Bulgarelli, Paolo Cento, Laura Cima, Marco Lion, Alfonso Pecoraro Scanio, Luana
Zanella, dei Verdi.
b) si sono astenuti: Augusto Battaglia (Ds), Guido Rossi
(Lega Nord).
c) non hanno partecipato al voto, dichiarando la propria
contrarieta' alla guerra:
- Franca Bimbi, Rosy Bindi, Giuseppe Camo, Ermete
Realacci, della Margherita.
- Marisa Abbondanzieri, Goffredo Bettini, Walter
Bielli, Francesco Carboni, Massimo Cialente, Famiano Crucianelli, Silvana
Dameri, Giovanna Grignaffini, Giovanni Kessler, Giacomo Mancini, Raffaella
Mariani, Giorgio Panattoni, Roberta Pinotti, Silvano Pisa, Roberto Sciacca, dei
Ds.
* Al Senato
a) hanno votato
contro la guerra:
- Chiara Acciarini, Massimo Bonavita, Giovanni Battaglia,
Paolo Brutti, Antonio Pizzinato, Piero Di Siena, Tana De Zulueta, Elvio Fassone,
Angelo Flammia, Nuccio Iovene, Aleandro Longhi, Antonio Rotondo, Cesare Salvi,
Massimo Villone, dei Ds.
- Achille Occhetto, Elidio De Paoli, Oskar
Peterlini, del gruppo misto.
- Luigi Marino, Angelo Muzio, Gian Franco
Pagliarulo, del Pdci.
- Gigi Malabarba, Giorgio Malentacchi, Tommaso Sodano,
Livio Togni, del Prc.
- Stefano Boco, Francesco Carella, Fiorello Cortiana,
Loredana De Petris, Anna Donati, Francesco Martone, Natale Ripamonti, dei
Verdi.
b) non hanno partecipato al voto, dichiarando la propria contrarieta'
alla guerra: Nando Dalla Chiesa (Margherita), Alberto Monticone (Margherita),
Giampaolo Zancan (Verdi). (FONTE: Peacelink)
Osama, il logo del delitto
“Una via alla
pace che passi per la sicurezza non c’è. La pace infatti deve essere osata. E’
un grande rischio e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il
contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa
diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa voler mettersi al
riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non voler
alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di
obbedienza, la storia dei popoli… Chi rivolgerà l’appello alla pace così che il
mondo oda, che sia costretto a udire? Solo la santa chiesa di Cristo può parlare
in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i
popoli si rallegreranno perché questa chiesa di Cristo toglie, nel nome di
Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare la guerra e
invoca la pace di Cristo sul mondo delirante.”
Dietrich Bonhoeffer, 1934
Già in
agosto era tutto pronto. “Life tastes good”, “la vita sa di bello”, era il tema
scelto dalla Coca-cola per la nuova campagna pubblicitaria di natale (scritto
minuscolo… visto il contesto). Lo dovevamo sentire-vedere ovunque, più volte al
giorno. Tutti avrebbero interiorizzato in un’unica sensazione di benessere
musica, messaggio e prodotto. Ma dopo l’11 settembre la multinazionale di
Atlanta è stata costretta a ritirare tutto e ripensarci: rimangono scampoli di
umanità anche nei consumatori più addestrati. La modifica degli
atteggiamenti pervade anche, e soprattutto, il mondo degli adulti. All’uscita da
un convegno sulle strategie future di associazioni e cooperative sociali, si
sentono due quarantenni, padri di adolescenti, che chiacchierano. Uno di loro
dice: “in questi giorni non guardo più il telegiornale perché dà troppa
angoscia”. L’altro non riesce a dire niente per rispondere e si cambia discorso:
“a proposito, ti ricordi di quella cosa che ti avevo chiesto…”. Alcune
domande diventano inevitabili e pressanti se non si vuol rimanere solo sulla
crosta degli avvenimenti: come ci poniamo di fronte ai fatti che accadono e che
mettono sotto-sopra gli equilibri mondiali? Quali parole e atteggiamenti, quali
idee e valori comunichiamo, anche col silenzio, a chi abbiamo vicino? Quali
passi ci vengono chiesti come giovani o adulti e come cittadini del mondo, a
fronte della nuova situazione manifestatasi? Quale parola può accompagnare e
dare sostegno a chi vuol mettersi in movimento verso un possibile ‘mondo altro’?
Per iniziare a cercare risposte si devono toccare alcuni
nodi.
La
questione della fuga dal mondo.
Erroneamente
i cristiani pensano che sia questione da porre a monaci ed eremiti. Invece
riguarda donne e uomini di oggi, al di là del loro essere credenti o meno. Stare
nel mondo attuale, con le contraddizioni e le provocazioni che lo
caratterizzano, è cosa impegnativa che chiede maturità, coraggio, visione ampia
del bene comune. Più facile correre a costruirsi il proprio bunker, prendere le
distanze, credere che ci si possa salvare da soli riempiendoci di scorte e
difese. E se pochi possono permettersi rifugi di cemento armato, a molti fa
voglia costruirseli chiudendo i cerchi delle relazioni, distraendo la propria
vita di coppia e famiglia dai problemi della scuola e del lavoro,
dell’educazione e dell’impegno civico, di chi fa fatica a vivere nei sud e nei
nord di questo mondo. Così si perdono anche le occasioni che, dentro alle
questioni sociali, ci vengono offerte: la spinta a riconsiderare il proprio modo
di gestire tempo, denaro, stili di vita; una provocazione a riaprire il dialogo
con persone o istituzioni lasciate per strada nel correre della vita; il
restituire parola e potere ai cittadini nel tentare di leggere, capire e
cambiare la direzione verso cui il mondo di oggi si è
orientato…
La questione educativa.
L’educazione
riguarda innanzitutto ciò che siamo; per questo si parla di auto-educazione,
condizione necessaria per ogni tentativo di accompagnare l’educare di altri. Non
si può pensare di avere generazioni pronte a giocare le carte della giustizia e
della nonviolenza nelle relazioni interpersonali, sociali e planetarie senza
avere il coraggio di uno sguardo lucido e impietoso sui messaggi che stiamo
dando come adulti. Anche i progetti educativi per i nostri figli e i ragazzi
delle nostre città vanno ripensati: c’è bisogno di educare a ragionare a fronte
di risposte prevalentemente connotate da emozione e reazione; c’è bisogno di
insegnare a indignarsi a tutto campo (e non solo quando si toccano ‘i nostri’) a
fronte delle ingiustizie piccole e grandi del mondo; è tempo di ri-significare
alcune parole per non far confusione su ciò che davvero comporta dire pace,
obiezione, nonviolenza; ci sono da inventare proposte concrete che permettano di
‘fare esperienza’ di queste ed altre parole. I nostri gruppi hanno qualcosa da
offrire alle città per un tale compito ‘educativo’?
La
questione del prendere
parola.
La paura
paralizza, incupisce, rende muti e aggressivi; la parola è una chiave che
consente di aprire le paure consegnando all’altro motivi e ragioni da far
diventare fondamento per costruire nuove risposte ai bisogni dell’umanità. C’è
troppo silenzio sui bisogni dell’umanità di oggi nei discorsi degli adulti,
quelli che si fanno con gli amici, i colleghi, i figli o le persone con cui
condividiamo sport, cinema, massaggi orientali, gruppi di impegno o di
spiritualità. E’ tempo di alzare lo sguardo.
Prendere parola per dire l’attenzione a quei 4/5 di umanità condannati a condizioni di vita inaccettabili: aspettativa di vita inferiore da 20 a 35 anni rispetto alla ‘nostra’; mortalità infantile da 8 a 20 volte superiore; ecc.; prendere parola per rendere ragione di un nostro sperare un ‘mondo altro’ per i figli di tutti. Ma anche prendere parola per smascherare tante bugie e retoriche: non è lo stesso fermarsi sulla crosta degli eventi (la cronaca) o entrare dentro le pieghe della storia per capire dove nascono tensioni, oppressioni, terrorismi; come non è lo stesso puntare a un ruolo di primo piano da parte dell’Onu o puntare sul ‘dare una lezione’ a qualcuno; come, infine, non si può continuare a contrabbandare l’essere amici di un popolo (oggi quello statunitense, ma vale altrettanto per ogni altro popolo di ieri e di domani?) con il dover condividere le politiche economiche, culturali e militari che i governanti di quel popolo assumono: siamo amici di tutti i popoli, ma non siamo automaticamente amici delle scelte dei loro governi. Nei cieli dell’Afghanistan sembra già volino, tra tanti aerei da combattimento, due prototipi, chiamati X32 e X35: chi ha iniziato a costruirli ha programmato di venderne 3.000 unità agli Usa (il contratto è già definito) ed altrettanti spera di offrirli ad Unione Europea ed altri Paesi. La consegna è prevista tra il 2010 e il 2013: chi ci parla di pace sta investendo centinaia di miliardi di dollari (760, a quanto è dato sapere) per guerre future. I fatti di questi mesi ci chiedono un salto in avanti, di progettare (etimologicamente ‘buttare in avanti’) un modo diverso di vivere. E’ il tempo della politica. Solo così una cronaca di paura può diventare storia nuova. (di Marco Vincenzi - Progetto "Sulla Soglia" Vicenza. Segnalazione di Sergio Pighi)
VAURO SENESI (IL MANIFESTO) INTERVISTA GINO STRADA (EMERGENCY)
Gino
Strada e' a Kabul. Li', da domani, l'ospedale di Emergency sara' operativo. Con
lui ci sono altri due italiani, Fabrizio Lazzaretti e Alberto Vendemmiati,
autori di Jang (fotogrammi del filmato girato nel viaggio dal Panshir alla
capitale sono disponibili sul sito di Emergency). Gli unici occidentali a Kabul.
La riapertura dell'ospedale e' un segnale di civilta' nella citta' martoriata
dai taleban e dai bombardamenti. Dimostra che un messaggio diverso dalla guerra
e' possibile e necessario. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.
Vauro
Senesi: Quattro giorni fa ti ho lasciato nel Panshir, ora sei a Kabul.
Gino
Strada: Emergency non puo' non essere a Kabul oggi. Per ragioni che non hanno
niente a che vedere con la politica, ma con il fatto che in questa citta' c'e'
gente che soffre, che muore per una guerra. Questa ragione e' piu' che
sufficiente per essere qui.
V. S.: Per raggiungere Kabul hai dovuto
attraversare le linee del fronte Nord. Cosa mi puoi raccontare di questo
viaggio?
G. S.: Il tipico viaggio afghano, con tutti gli accordi presi
intorno a interminabili tazze di te', in cui si arriva perfino a definire l'ora
del passaggio del convoglio e il colore delle macchine. Bisognava informare
anche chi stava volando sulle nostre teste. Siamo arrivati al fronte e tutti,
regolarmente, stavano sparando, da una parte e dall'altra. Era in corso un
bombardamento, e' durato tre ore, colpendo esattamente la strada che dovevamo
percorrere.
V. S.: La strada che stava percorrendo il vostro convoglio
umanitario e' stata bombardata nonostante tutti fossero stati avvisati del
vostro passaggio?
G. S.: Ci era stato garantito dai responsabili
dell'Alleanza del Nord che i comandi militari americani sarebbero stati avvisati
del nostro passaggio.
V. S.: Avviso senza effetti?
G. S.: Si'... ma non
vorrei fare polemiche. Sarebbe stupido aspettarsi il rispetto delle regole nella
guerra. La guerra e', per definizione, l'assenza di ogni regola.
V. S.: Sei
l'unico occidentale ad aver visto gli effetti dei bombardamenti...
G. S.: Non
li ho visti direttamente, ma lo staff Emergency afghano, mentre veniva a
prenderci al fronte, ha visto in un villaggio bombardato, sulla strada per
Tagab, raccogliere pezzi di membra umane. Abbiamo avuto conferma di almeno tre
persone uccise da una bomba in una sola casa di quel villaggio. Abbiamo girato
con le auto intorno a molti crateri freschi di bombe. Dall'aeroporto di Bagram,
la strada e' una pista sabbiosa che si ricongiunge a quella asfaltata che porta
a Kabul. La' non c'e' piu' niente. I pochi accampamenti di pastori e nomadi sono
scomparsi. E' una zona martellata dai bombardamenti ogni giorno.
V. S.:
Raccontami l'ingresso a Kabul.
G. S.: La quantita' di vittime e'
impressionante.
V. S.: Quindi e' una citta' ancora molto abitata? Alcuni
sostengono che a Kabul ci sarebbero solo i taleban.
G. S.: Sono coglionerie
che mette in giro chi probabilmente pensa che Kabul sia nelle Filippine. A Kabul
in questo momento ci saranno 800 mila, un milione di persone. Viene bombardata
da un mese e nessuno pensa che anche questo possa essere un atto di
terrorismo.
V. S.: Ricordo Kabul a marzo, era gia' una citta' di macerie.
Adesso?
G. S.: E' difficile per chi ci ha passato quasi cinque anni della
propria vita notare la differenza tra venti case in piu' o in meno. La gente
pero' e' allo stremo. C'e' l'oscuramento, la contraerea e' incessante, i bambini
non dormono piu'. Non vorrei augurare ai figli di mia figlia di vivere
esperienze del genere. Anche in questo momento bombardano.
V. S.: Oscurato
anche l'ospedale?
G.S.: Si'.
V. S.: Non e' rischioso che non sia
riconoscibile dall'alto?
G. S.: Non poco. Domani andremo a rinegoziare. Ma
per stasera c'e' un ordine preciso di oscuramento totale.
V. S.: Come sei
riuscito a convincere i taleban a farti riaprire l'ospedale che eri stato
costretto a chiudere a maggio per una loro incursione armata?
G. S.: Il primo
contatto con il ministro degli esteri taleban l'ho avuto il 12 settembre, quando
era chiaro che ci sarebbe stato un attacco militare all'Afghanistan. La proposta
di Emergency e' stata: abbiamo avuto e abbiamo divergenze, forse insanabili, su
molte questioni, pero' qui si profila un disastro umanitario e il nostro
ospedale e' l'unico in grado di curare i civili gratuitamente e bene.
Riapriamolo, accantoniamo problemi e divergenze per tre mesi. Quando il periodo
di crisi sara' finito ricominceremo a parlarne. Allora, probabilmente, saremo
tutti diversi, quindi ne parleremo in modo diverso. La settimana scorsa c'e'
stato l'invito del mullah Omar, e il viceministro degli esteri ha dato anche
disposizioni al ministro della difesa di inviare suoi rappresentanti al fronte
per guidare il nostro convoglio.
V. S.: Che garanzie di protezione vi hanno
dato rispetto ai cosiddetti "arabi", la legione straniera taleban?
G. S.:
Nessuna. Questa e' una delle ragioni che rende la cosa molto rischiosa. Non ci
sono altri occidentali a Kabul, siamo molto ben identificabili.
V. S.: Potete
circolare nella citta'?
G. S.: Solo nel tragitto casa-ospedale.
V. S.: Ma
la casa e' di fronte a un'abitazione degli "arabi"...
G. S.: Si', ma ora i
dirimpettai sono al fronte. Non ne sentiamo la mancanza.
V. S.: Al di la' del
suo valore umanitario, la vostra iniziativa dimostra anche che interloquire con
il "nemico" e' possibile.
G. S.: Non faccio il politico. Credo ci siano due
modi per affrontare una situazione internazionale cosi' grave: uno e' la guerra,
l'altro e' il dialogo. Io credo nel dialogo. Il dialogo e' possibile, e' una
cosa che si costruisce soltanto se e' preceduta dal rispetto, dimostrando che
per te il fatto che chi hai di fronte sia vivo o morto non e' indifferente.
L'opposto della logica "dead or life". La ragione per cui noi stiamo qui non e'
che ci stanno simpatici i taleban, ne' i moujaehddin quando eravamo in Panshir.
Siamo qui perche' qui gli ospedali non hanno medicine ne' cibo da dare ai
bambini.
V. S.: Non voglio tirarti dentro polemiche, sono tornato da poco e
ho trovato un paese piu' imbarbarito. Ma oggi sono andato a una manifestazione,
tanta gente per il no alla guerra. Molti portavano lo straccio bianco della
campagna Emergency. Vuoi dire loro una parola?
G. S.: Voglio soltanto dire
che mi sarebbe piaciuto esserci, e mi piacera' essere, in futuro, a tutte le
manifestazioni contro la guerra. Non abbiamo davvero alternative. Il movimento
per la pace non e' soltanto l'unico che puo' rendere il mondo piu' bello da
vivere, e' anche l'unica strategia possibile per restare
vivi.
Il campo viene proposto all’interno di Habana
Ecopolis, un ampio progetto di cooperazione promosso da un consorzio formato da
Legambiente, COSPE, Terra Nuova, CRIC e LAPEI-Università di Firenze,
cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e da vari enti locali italiani.
Il Progetto Habana Ecopolis ha come finalità complessiva quella di operare in 5
municipi della città dell’Avana attraverso interventi di riqualificazione urbana
nei quali si considera fondamentale lavorare tramite un approccio integrato fra
la componente sociale. ambientale, culturale ed economica, per la realizzazione
di una città ecologica e solidale. Il progetto si basa molto sulla
collaborazione e l’interscambio si esperienze fra associazioni ed istituzioni
italiane e cubane, considerando questo modo di interagire una delle risorse più
rilevanti e significative di questo programma di cooperazione.
Il Parco
Naturale del Rincon del Guanabo, nel Municipio di Habana del Este a circa 25 km
dal centro della città, rappresenta l’ultimo lembo intatto dell’eco-sistema
costiero della Citta’ dell’Avana (barriera corallina-duna-mangrovia), in un’area
caratterizzata da un intenso e accelerato sviluppo del cosiddetto turismo di
“sol y playa”. La sua creazione, due anni fa, e’ il risultato dell’impegno e
della lunga battaglia condotta dalle associazioni ambientaliste (Pro Naturaleza
Guanabo) e dalle istituzioni locali (Museo Historico Municipal de Habana del
Este, Consejo Popular Guanabo). Il PN Rincon del Guanabo costituisce anche il
primo tassello di un piu’ vasto sistema integrato di 7 aree protette (Sibarimar)
che, una volta istituito, avrà una copertura complessiva di 97 chilometri
quadrati. E’ importante sottolineare che il PN Rincon del Guanabo rappresenta a
Cuba la prima esperienza di gestione decentrata e partecipata di un’area
protetta grazie al fondamentale contributo di una istituzione locale, il Museo
Municipal di Habana del Este, e alla collaborazione del circolo di Pro
Naturalezza, la principale associazione ambientalista cubana.
L'obbiettivo
generale del progetto è quello di contribuire alla tutela del patrimonio
ambientale, considerato come sintesi di valori naturali e culturali, e alla sua
valorizzazione come fattore di identità e di sviluppo per le comunita’ locali, promuovendo il territorio del Parco
del Rincon de Guanabo come meta di turismo alternativo ed ecologico e quindi
come occasione di sviluppo di nuove forme di economia locale. A tal fine il
progetto sta fornendo fra l’altro strumenti e attrezzature per consentire il
miglioramento delle infrastrutture disponibili in quest’area, offrendo
contemporaneamente ai partner cubani, strumenti metodologici ed informazioni per
la tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio ambientale, attraverso
l’interscambio con istituzioni ed associazioni italiane. In particolare il Campo
è finalizzato fornire una collaborazione nelle prime fasi di realizzazione del
sentiero interpretativo che, una vota terminato, faciliterà la fruizione
turistica del parco attraverso idonee attrezzature. Il campo rappresenta inoltre
una importante occasione di interscambio di esperienze fra volontari italiani e
cubani impegnati nelle attività dell’associazionismo ambientalista.
Le
attività ed il lavoro del campo saranno condotte in stretta collaborazione con
le istituzioni locali coinvolte nel progetto e con il gruppo dell’associazione
Pro Naturalezza Il campo si articolerà principalmente in attività organizzate di
lavoro e visita fra le quali: Pulizia della spiaggia e del parco insieme ai
ragazzi delle scuole e alla comunità locale; Apertura del sentiero
interpretativo; Collaborazione alla costruzione e alla ristrutturazione del
centro tecnico e di visita del parco; visita ad altre aree protette appartenenti
al sistema Sibarimar; visita agli altri municipi ed attività del progetto Habana
Ecopolis; visita al centro storico dell’Avana. Sono
inoltre previsti momenti di tempo libero che i partecipanti potranno occupare a
proprio piacimento.
Il campo avrà una durata di due settimane con partenza prevista per il giorno 1 gennaio 2002 (data da confermare). La permanenza a Guanabo è organizzata con pernottamento in tende da tre-quattro posti acquistate dal progetto che verranno montate dai partecipanti in un’area interna al parco, fornita di strutture in muratura con bagni e cucina. I pasti saranno cucinati direttamente da incaricati fra partecipanti italiani e cubani utilizzando prodotti alimentari acquistati in loco con la cassa comune del campo. I trasporti relativi alle attività in programma e organizzate saranno gestiti attraverso l’utilizzo di mezzi del progetto. Per gli spostamenti riguardanti i momenti liberi e di turismo personale ciascun partecipante potrà organizzarsi a proprio piacere. A tal fine specifichiamo che Guanabo è normalmente collegato all’Avana da mezzi pubblici. Nel mese di dicembre si prevede l’organizzazione di due incontri in Italia per consentire ai partecipanti di conoscersi, ricevere maggiori informazioni sul progetto Habana Ecopolis e nello specifico sul Campo Ambientale.
Il costo complessivo del campo è di lire 2.000.000. Questa cifra può essere soggetta a riduzioni in base al numero delle adesioni che saranno raccolte, attraverso le quali si potrebbero abbassare alcune voci di costo come ad esempio i trasporti interni. Nel dettaglio le spese previste sono così articolare:
biglietto
aereo + tasse aeroportuali |
1.300.000 |
assicurazione |
100.000 |
vitto |
400.000 |
Trasporti
interni |
100.000 |
imprevisti |
100.000 |
TOTALE |
2.000.000 |
VANTAGGI CHE DERIVEREBBERO
DALL'AVVENTO AL POTERE DEI TALEBANI IN
ITALIA
1) ELIMINAZIONE DEL TRAFFICO
(le donne non potranno più guidare)
2) ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA
DEI PARCHEGGI(le donne non potranno più guidare)
3) RIDUZIONE
DRASTICA DEGLI INCIDENTI(le donne non potranno più guidare)
4)
RIDUZIONE DRASTICA DELL'INQUINAMENTO ACUSTICO (le donne non potranno più
parlare)
5) CREAZIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO (le donne non
potranno più lavorare)
6) AUMENTO DEL RISPARMIO FAMILIARE(le
donne non avranno più autonomia di spesa)
7) ELIMINAZIONE
DELL'INQUINAMENTO VISIVO (le donne saranno coperte di veli, eccezion fatta per
quelle considerate gnocche)
8) ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA DELLE
SPIAGGE AFFOLLATE (l'uomo in spiaggia a prendere il sole, la donna a casa a
preparare i pasti)
9) ELIMINAZIONE DEI DISSIDI FAMILIARI (l'uomo
decide, la donna tace e ubbidisce)
10) ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA "NO CARO, STASERA HO MAL DI TESTA" (gli uomini potranno avere più mogli)
MONDIALE
Mentre si stanno concludendo le qualificazioni ai mondiali del
2002 che si svolgeranno in Giappone e Corea del Sud, sono riuscita ad avere in
anteprima, scaricandola da un sito non ufficiale, la formazione che la nazionale
giapponese schiererà in occasione della manifestazione iridata. Ecco a voi
la formazione ufficiale della squadra nipponica.
In campo: 1. Tutiri Yoparo
2.Tiro Akatsodikane 3. Nishuno Mifreka 4. Sikuro Tesegno 5. Ken Mishtupishi
6. Motiro 7. Semitiri Mishibuto 8. Dinzaki Yosomeyo
9. Setiro Tifreko 10. Nakakata 11. Momo Teparotutto. In panchina:
12. Kissase Yoko 13. Yoko Poko Poko 14. Yoko Poi
15. Yokodimeno 16. Noyokomai 17. Yoko Poko Mayoko. Allenatore:
Ariko Saki (Fonte certa: Luisita)
UN CARCERE DIVERSO
Da anni faccio i conti con un' astrazione che é più forte del dolore, dell'indifferenza, dei tanti limiti imposti. Innumerevoli i passi fatti in avanti in cooperazione con le Istituzioni e la società tutta, eppure... Continuamente mi imbatto in qualcosa che non riesco a ben definire e ugualmente mi impegno per capire. Il carcere, questo meandro oscuro del nostro conscio-inconscio, questo proiettore d'ombre, questo mondo che non appartiene a nessuno. E' come se il carcere fosse circondato da una sorta di terra di nessuno, una specie di cortina fatta di barriere materiali e psicologiche, dove nessuno vuole guardare e che, ai pochi che intendono farlo, appare per lo più incomprensibile, perché non é una realtà trasparente, ma un mondo sommerso che l'immaginario collettivo popola di dannati e che la coscienza collettiva rimuove, chiudendovi dentro tutto il male, la parte negativa della società, e dove ha paura di riconoscersi ( e per questo cerca di allontanarlo da sé, escludendolo, ghettizzandolo ). Tutto ciò fa diventare la prigione una struttura fuori dal mondo, utilizzata per risolvere i conflitti, come se esistesse un punto terminale; il criminale va in gattabuia e poi basta, non si agita più. Ma ciò non risolve il problema, la storia recente e passata insegna, e ciò sgretola l'idea che il carcere serva come unica difesa sociale. In proposito basterebbe osservare le statistiche sulla recidiva. Il carcere c'é, é lì, esiste con il suo volto fisico-psicologico-culturale, come rimedio ultimo nel suo essere deterrente contro coloro che hanno trasgredito. che minacciano o che potranno minacciare la convivenza sociale. Con questa premessa, ora vorrei parlare di un carcere che non coincida solo con la fisicità della pena intesa solamente come punizione, come espressione o modello culturale basato sull'esclusione o su una pena che finisce per alterare profondamente la percezione del tempo, dello spazio e delle relazioni. A mio avviso, la strada da seguire non é quella della critica passiva sul fallimento del carcere come luogo di rieducazione e di recupero, è invece pressante sensibilizzare la società civile sul problema del rapporto tra pena e carcere, allo scopo di far crescere in tutti ( detenuti e cittadini ) una coscienza civile. Per questo passaggio é indispensabile un profondo e obiettivo ripensamento culturale sulle funzioni e sulla validità del carcere, sul ruolo della pena, partendo dalla dignità della persona, dalle sue capacità e risorse. Da questa constatazione sono partito, dapprima per fare chiarezza, poi per addivenire a una scelta. " Capire é lo scarto che fa vedere le cose in modo differente e più completo che in precedenza". Questi passaggi sono la risultanza di concetti quali “riesame del passato e mutamento interiore” e inoltre sfociano nel passaggio conclusivo di una “nuova condotta sociale”. Ne ho un’ulteriore conferma in questa Casa del Giovane dove sono giunto felice ed entusiasta, in questa identità collettiva, nel senso di appartenenza, che esprime la definizione interattiva e condivisa che più soggetti producono circa gli orientamenti dell'azione e il campo di opportunità in cui essa si colloca. Interattiva e condivisa significa costruita e negoziata attraverso un processo ripetuto di attivazione delle relazioni che ci legano, per addivenire a un "noi" che ci tiene uniti, e che non dipende solo dalla logica del calcolo mezzi-fini, ma é strettamente legata alla relazione che intercorre tra noi e il significato dell'essere insieme, nella pluralità degli orientamenti e dell'altro, nel rapporto con l'ambiente che ci consente di elaborare aspettative, valutare le opportunità e i limiti delle nostre azioni rivolte a uno scopo comune. In questo modo diviene possibile pensare e confrontare prima che agire, tanto da permettere di fare delle scelte e di muoversi conseguentemente. In carcere è la costrizione che impone il tempo, mentre occorrerebbe inserire una linea mediana a misura di uomo, negli impegni e nella pazienza, basata sulla capacità di ricondurre all'ambito della nostra progettualità ciò che siamo costretti a subire. Si parla spesso di tecniche e discipline correttive, di interventi appropriati e aspetti pedagogici innovativi. So di esser tra gli ultimi degli uomini e chiaramente lontano da qualsivoglia saccenza, ma mi chiedo se quanto sopraesposto non abbia anche un indirizzo preventivo o possa assumere, seppur con tutti i limiti del caso, un mezzo e un tramite per comportamenti e gestualità che aiutano a fare prevenzione in riferimento alle problematiche della criminalità anche giovanile, della devianza e della tossicodipendenza, confidando appunto anche nel vissuto e sulla testimonianza del detenuto. "L'esperienza é la somma degli errori di una vita". Forse, con umiltà e in punta di piedi, anche dall'interno di una cella può nascere una riflessione che divenga un'ipotesi di lavoro su cui tutti impegnarci.
«Progetto Sorriso»
è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un
anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle
popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura
di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per
INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per
versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il
conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp
numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo:
località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento:
"Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto
raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano),
incaricato per le operazioni bancarie.