il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996
Direttore Responsabile ed Editoriale: Amedeo Tosi
Redazione:  località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (VR)

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tutta ed esclusiva dei rispettivi autori. il GRILLO parlante ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli a cura della Redazione e di quelli non firmati.

il GRILLO parlante N. 49 è stato inviato a 1382 recapiti e-mail
Desideri che altri tuoi amici ricevano "il GRILLO parlante"? Segnalaci i loro recapiti e-mail!
Per cancellarti dalla mailing list invia un e-mail al suddetto recapito indicando nell'Oggetto la dicitura "cancellami"

PIGRI E LAVORATORI
"Il coltivatore è solo, ma quelli che mangiano sono molti"
(proverbio Schambala - nazione: Tanzania)

 
Appuntamenti da non perdere
Inviaci gli appuntamenti organizzati dalle associazioni del tuo paese! grilloparlante@mbservice.it
 
 
MERCOLEDI': UN'ORA DI SILENZIO A VERONA
 
Carissimi, in questo periodo di guerra, cui partecipa anche l'Italia, è necessario moltiplicare i momenti di comunicazione promuovendo iniziative "nostre" e partecipando a iniziative comuni con il SAE, l'Università e i Collegi universitari don Mazza, il Gruppo per il Pluralismo e il Dialogo, le "donne in nero". Invitiamo a partecipare all'ora di silenzio delle "donne in nero" ogni mercoledì dalle 18 alle 19 in piazza Bra  e al  digiuno nazionale a rotazione per tutti i giorni di guerra, promosso da Pax Christi Italia e dai Beati Costruttori di Pace. (Sergio Paronetto)
 
16/11/01 - Cologna Veneta (VR) - Popoli senza frontiere / 1

POPOLI SENZA FRONTIERE, serie di appuntamenti per la divulgazione della campagna di solidarietà promossa da Emergency. VENERDI' 16 NOVEMBRE – ORE 21.00, Teatro Ferrini, proiezione del film MIRKA, con la presenza del regista algerino RACHID BENHADI.

 
16/11/01 - Verona - Incontro con Anna Rollier
 
Venerdì 16 novembre ore 20,45 nella Chiesa valdese, via Duomo angolo via Pigna, si terrà una conferenza - dibattito con la biologa e genetista Anna Rollier, dell'Università di Pavia, membro del "Gruppo di lavoro sulla bioetica" della Chiesa Valdese. Anna Rollier parlerà su "Problemi etici posti dalla scienza".
 
16/11/01 - Venezia - Padre Mosè, Gesualdi e Bettin
 
Il Venezia Social Forum,  in collaborazione con il Centro Pace del Comune di Venezia  organizza: «DALLA GLOBALIZZAZIONE DEI PROFITTI ALLA GLOBALIZZAZIONE DEI DIRITTI», venerdì 16 novembre ore 20.30 presso la Sala del Municipio  - Via Palazzo, Mestre. Intervengono: Padre Mosè dei Missionari Comboniani, Padova, Francesco Gesualdi, del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Gianfranco Bettin, prosindaco di Venezia.

16/11/01 - Cerea (VR) - Party cubano «Cuba Libre»

L'Arci di Legnago rende noto che il 16 novembre che si terrà all'area ex-perfosfati di Cerea (Vr) alle ore 21,00 un Party cubano "CUBA LIBRE" . Il programma della serata sarà fitto di iniziative. Avremo con noi lo scrittore, saggista nonché giornalista cubano Leonardo Padura Fuentes, del quale vi allego alcune note interessanti. L'incontro avrà inizio alle 21,00 e sarà presentato da Danilo voce e chitarra de "I NOMADI" visto che anche loro, saranno con noi, presenti a questa serata. Alle 22,30 circa suoneranno i "LOS TRINITARIOS", gruppo cubano che ha affiancato "I NOMADI" nel tour 2001. La loro è una musica tradizionale cubana divertente, allegra, ironica e a volte anche pungente. (info: arci@sttspa.it)

17/11/01 - Cologna Veneta (VR) - Popoli senza frontiere / 2

POPOLI SENZA FRONTIERE, serie di appuntamenti per la divulgazione della campagna di solidarietà promossa da Emergency. SABATO 17 NOVEMBRE  ORE 21.00, Teatro Ferrini, Spettacolo musicale YOL ( balkan, gipsy & klezner music ) con il gruppo BARBAPEDANA.Partecipa alla serata la dottoressa Paola Tosi, cofondatrice e referente dell’organizzazione umanitaria EMERGENCY. Ingresso libero.

18/11/01 - Cologna Veneta (VR) - Popoli senza frontiere / 3

DOMENICA 18 NOVEMBRE, ORE 16.00 presso la Sala convegni del Teatro Comunale, il dott. Carlo Melegari, direttore del Cestim interverrà sul tema “Incontrare il diverso”. Sempre DOMENICA 18 NOVEMBRE, alle ORE 21.00, Teatro comunale, Spettacolo teatrale “Kamille va alla guerra”. Partecipa alla serata la dottoressa Paola Tosi, cofondatrice e referente dell’organizzazione umanitaria EMERGENCY. Ingresso libero. Il 18 novembre e il 1 dicembre, presso il Teatro comunale, sarà aperta per un’ora prima e un’ora dopo lo spettacolo in programma, la mostra fotografica “ Le mani” di Mario Lasalandra.

19/11/01 - Verona - Contro la violenza

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Un decennio contro la violenza». Relatore: Letizia Tomassone (pastora valdese - Verona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.

19/11/01 - Trento - Giornata nazionale dell'infanzia

Il Forum Trentino per la Pace in occasione della GIORNATA NAZIONALE DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA promuove la presentazione del  Rapporto UNICEF “La condizione dell’infanzia nel mondo - 2002” Lunedì 19 novembre 2001- ore 20.30 Trento- Sala Rosa del palazzo della Regione – p.zza Dante. Programma: Introduzione della Presidente del Comitato Regionale Trentino-Alto Adige per l’UNICEF e del Presidente del Forum Trentino per la pace  Cosa è e cosa rappresenta il Rapporto sulla condizione dell’infanzia nel mondo, relazione di Rosanna Monopoli. Dieci anni di lavoro,  intervento delle studentesse del Liceo Psico-Socio-Pedagogico “A.Rosmini” di Trento (Daniela Fbetti, Giorgia Molinari, Laura Valer, Irene Zamboni); Le sfide del nuovo millennio,  intervento degli studenti del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Trento (Martina Cramerotti, Marco Donatini, Francesca Eccher, Ylenia Farris, Valentina Pisoni); La situazione degli aiuti dell’UNICEF alle popolazioni dell’Afghanistan, Natalina Mosna (UNICEF). (Fonte: Vincenzo Passerini)

23/11/01 - Cologna Veneta (VR) - Popoli senza frontiere / 4

Venerdi’ 23 novembre, ore 20.00- 21.00, Teatro Ferrini, Veglia di preghiera per la pace.

dal 23 al 30/11/01 - Verona - XXI Rassegna Cinema Africano

24/11/01 - Verona - Incontro con Margherita Hack
 
UAAR VR informa che SABATO 24 NOVEMBRE 2001, ore 16.00, presso la SALA LUCCHI - PIAZZALE OLIMPIA 3, Verona, MARGHERITA HACK parlerà sul tema «LIBERTA' E LAICITA' DELLA SCIENZA».
 
24/11/01 - Giornata del non consumo
 
Giornata mondiale del non acquisto. Vi invitiamo a una moratoria di 24 ore sugli acquisti. Per un giorno non comprate nulla. Un gesto importante per sfuggire all'imperativo del consumismo e riappropriarsi di una fetta di tempo passata a fare shopping.
Che cos'è la giornata del non acquisto? Una giornata dedicata a tutto tranne che alle compere, per rendere concreto il dissenso verso il consumismo e la pressione che esercita su tutti gli aspetti della nostra vita. 24 ore per buttare fuori dal nostro stile di vita l'immagine della famiglia felice al sapore del "Mulino bianco", le raccolte punti che soddisfano l'immaginario più che i bisogni delle casalinghe, i piccoli mostri dei cartoni animati che ipnotizzano le fantasie dei piccoli e svuotano i portafogli degli adulti. La giornata del non acquisto è un invito alla sobrietà e a ripensare alla solidarietà e alla gratuità quali componenti attive di un'economia sostenibile. Perché la giornata del non acquisto ? Una piccola idea con grandi implicazioni. Vorremmo che ognuno trovasse le sue ragioni per concedersi una giornata di austerità dal consumismo. Il "Buy nothing day" commemora le vittime delle politiche orientate alla massimizzazione dei consumi: dalle popolazioni del Sud del mondo deboli di fronte alla globalizzazione dei mercati, all'ambiente deturpato da rifiuti e inquinamento, alla colonizzazione dell'immaginario a opera di pubblicitari che propongono modelli di vita irrealizzabili per la maggior parte della popolazione del mondo. La giornata del non acquisto è un invito a "demarkettizzare" la nostra vita. A chi è rivolto il messaggio? A tutti coloro che condividono l'antipatia per l'invadenza del consumismo. Agli aderenti alle associazioni ambientaliste, terzomondiste, di consumatori, alle Organizzazioni non governative. Ai media. A tutti i comitati che hanno lanciato una campagna di boicottaggio all'acquisto di qualsiasi prodotto o azienda perché la giornata del 24 novembre possa ricordare tutte le malefatte delle multinazionali, spesso passate sotto silenzio. Che cosa si può fare per aderire? Far circolare il messaggio, scaricare dal sito di terre di mezzo la locandina e i poster da stampare e affiggere in ufficio e ovunque possa essere letta dal maggior numero di persone, manifestare il proprio dissenso organizzando rappresentazioni di teatro di strada, scaricare il codice del banner dal sito di Terre per attivarlo sul proprio sito web, spiegare nell'apposito spazio offerto nel sito di Terre di mezzo le proprie ragioni (l'intento è di redarre un manifesto della giornata del non acquisto condiviso dalla più ampia base possibile). Per informazioni visitate: www.retelilliput.org - www.terre.it (Fonte: Rete Lilliput Verona)
 
26/11/01 - Verona - Testimonianze di nonviolenza in luoghi di conflitto

L'incontro di Pax Christi in questo mese si terrà LUNEDI' 26 NOVEMBRE. Presenti le «Donne in nero», con Giannina Dal Bosco e altre. Luogo d'incontro: Centro Missionario Diocesano, via Duomo 18/a (Verona). Tema: testimonianze di nonviolenza in luoghi di conflitto (Palestina, Balcani, Pakistan....).

28/11/01 - Genova - Arriva Hans Kung
 
MERCOLEDI 28 NOVEMBRE 2001 ore 17 nell'Aula Magna dell'Università di Genova , via Balbi 5 (a  circa 100 metri dalla stazione Principe), Hans Kung terrà una conferenza sul tema "Religioni universali,pace mondiale,etica mondiale".La conferenza è stata organizzata dalla Associazione Filosofica Ligure, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia e il Consolato Svizzero.(Peppino Coscione).
 
28/11/01 - Verona - Obbligo di referto
 
IL coordinamento laico antirazzista «cesar k­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­» di verona organizza per ­­mercoledì 28 novembre - ore 21, presso la sala elisabetta lodi - via san giovanni in valle  - verona la presentazione del libro-testimonianza dei sanitari volontari del genoa social forum sulle giornate di contestazione al g8 : «obbligo di referto» (frilli editori). interverrà: clizia nicolella, coautrice del libro.
 
 30/11/01 - Cologna Veneta (VR) - Popoli senza frontiere / 5

VENERDI’ 30 NOVEMBRE – ORE 21.00, Teatro Ferrini, In collaborazione con la XXI edizione del Cinema Africano  di Verona proiezione di “Tableau Ferraille” (Senegal), film in lingua originale ( francese, wolof) sottotitolato in italiano. Durante la serata divulgazione dei corsi gratuiti di italiano per stranieri del Centro Territoriale Permanente.

01 - 02 dicembre 2001 - Firenze - Pax Christi
 
1-2  dicembre,  Seminario di Pax Christi, presso la  "Casa per la Pace" a Firenze, sul tema  "I DIRITTI MINACCIATI" con Allegretti,
Ghezzi, Corsi, Pellicanò, Codrignani. Info: paxchristi_paronetto@yahoo.com
 
01/12/01 - Cologna Veneta (VR) - Popoli senza frontiere / 6 

SABATO 1 DICEMBRE  - ORE 21.00, Teatro Comunale, Spettacolo musicale con Marco Giacomozzi e il suo ensemble ( premio I.m.a.i.e. al Tenco ’99 ) in  “Cantico d’Occidente”. Partecipano alla serata membri dell’organizzazione umanitaria EMERGENCY. Ingresso libero. Un’ora prima e un’ora dopo lo spettacolo in programma, sarà aperta la mostra fotografica “ Le mani” di Mario Lasalandra.

05/12/01 Giornata nazionale del Volontariato
 
06/12/01 - Verona - La pace: tra diluvio e arcobaleno
 
Giovedì  6 dicembre, ore 17.30, aula 5, Facoltà di Lettere (Università di Verona), Mons. Luigi Bettazzi e Lilia Sebastiani sul tema: «LA PACE: TRA DILUVIO E  ARCOBALENO».     
 
09/12/01 - Verona - Incontro con il giornalista Luigi Sandri
 
Il GRUPPO PER IL PLURALISMO E IL DIALOGO Invita al 99° incontro che si terrà Domenica 9 dicembre 2001 - ore 16.00/18.30 a San Massimo di Verona nel Cinema - Teatro parrocchiale (Via Brigata Aosta - vicino alla chiesa) - TEMA: «Città santa e lacerata: Gerusalemme per Ebrei, Cristiani, Musulmani». Relazione introduttiva di LUIGI SANDRI, giornalista. (Da qualche giorno è in libreria il libro di Luigi Sandri "Città Santa e Lacerata: Gerusalemme per Ebrei, Cristiani, Musulmani" edizioni Monti, pp. 420, lire 40.000. Ordinazione: editrice@padremonti.it)

10/12/01 - Verona - Spiritualità ebraica

Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «I doni della spiritualità ebraica». Relatore: Amos Luzzato (presidente comunità ebraiche - Venezia). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.

12/12/01 - Venezia - Endometriosi

ll Comitato Pari Opportunita' dell'Unviersita' Ca' Foscari di Venezia organizza il giorno 12 dicembre 2001 una tavola rotonda sull'endometriosi. Informazioni: lamon@oink.dsi.unive.it

15/12/01 - Velo Veronese - Il prete dei castagnari

La Falìa di Velo Veronese sarà presente SABATO 15 dicembre alle ore 21.00 presso il teatro di Santa Teresa a Verona, per presentare il libro di Alessandro Anderloni "Il prete dei castagnari".  Il libro racconta la vita di don Alberto Benedetti, parroco di Ceredo e prete "scomodo", "anarchico", etichettato in vari modi, ma che noi chiamiamo semplicemente "prete libero". Il coro raccontando il libro a più voci e intervallando le canzoni di Bepi De Marzi, farà sentire la sua voce di protesta contro la Guerra, contro tutte le guerre che si fanno per i soldi, soldi, soldi! E proseguirà il grido disperato del prete costretto a tacere e a restare nella sua casa di Ceredo fino alla sua morte, perchè diceva la VERITA'. (Fonte: Associazione Culturale Le Falìe di Velo Veronese giuliacorradi@libero.it)

15/12/01 - Povegliano (VR) - Pensieri di pace

Sabato 15 dicembre, ore 16, presso la Madonna dell'Uva Secca (Povegliano - VR) incontro di spiritualità conviviale sul tema: "Io penso pensieri di pace" coordinato da fratel  Marco Barozzi.

dal 29 al 31/12/01 - Locri -  Percorsi di liberazione a partire dai Sud
 
Nei giorni immediatamente precedenti la Marcia per la pace (Senza perdono non c'è pace)  che - lo ricordiamo - quest'anno si svolgerà a Locri, si terrà un convegno dal titolo: Le violenze della globalizzazione. Percorsi di liberazione a partire dai Sud del mondo. L'incontro avrà luogo presso il Teatro dei Salesiani a partire dalla sera del 29 fino al 31 dicembre 2001. Si prevedono gli interventi di Mons. Giancarlo Bregantini - Vescovo di Locri-Gerace, Diego Cipriani, Tonino Perna, Beppe Lumia, Giovanni Mazzillo, Vincenzo Salvati. Il convergno sarà arricchito dalla presenza di numerosi testimoni del Sud del mondo. Mons. Bregantini parlerà del senso della nonviolenza a partire dal vangelo (il re non si salva per un forte esercito); la nonviolenza sarà posta a confronto dei temi cruciali dell'economia di mercato, della criminalità organizzata, e della guerra.  A partire dalla parola di Dio e dalla profonda conoscenza delle condizioni di vita del sud italia, don Gianni Mazzillo e don Vincenzo Salvati tracceranno l'itinerario possibile per un autentico percorso di incontro tra le persone e di liberazione da ogni schiavitù. L'accoglienza avverrà presso le famiglie delle città di Locri e di Gerace e stiamo cercando di ridurre al minimo tutte le spese di segreteria e soggiorno. Per questo aspettiamo numerosi coloro che vorranno unire la partecipazione alla Marcia ad una vera e propria preparazione che porti a conoscere meglio le strade da percorrere per essere autenticamente nonviolenti e saper rispondere alle sfide dell'oggi. Maggiori informazioni presso la segreteria nazionale di Pax Christi (tel. 080/395.35.07 - e-mail: info@paxchristi.it).
 

in primo piano 

L'ORRORE DI QUEL VOTO SPORCO

 di p. Alex Zanotelli

Dalla lontana Nairobi, apprendo con profondo orrore che anche l'Italia ufficialmente entra in guerra. Con un voto scellerato del Parlamento, il tanto decantato tricolore si renderà complice e autore di morti di migliaia di civili, di assurde stragi, di bombardamenti su città, villaggi, su popolazioni inermi, ridotte alla fame da condizioni di vita disperate. Un voto di una gravità inaudita quello del nostro Parlamento, che colloca l'Italia in una pagina nera della storia del mondo, una pagina listata a lutto e datata mercoledì 7 novembre 2001. A lungo porteremo con noi le conseguenze tragiche di quel voto, perché con quel sì alla guerra, non soltanto avalliamo decisioni politiche partorite dall'Impero, ma perdiamo anche una grande occasione: quella di dire no agli orrori, quella di dare finalmente a questo Paese dignità e spessore in un momento così fondamentale per le relazioni internazionali. La mia costernazione non sarà mai abbastanza rispetto agli effetti che quel voto "sporco" sarà capace di produrre. Dai ghetti-discarica di Nairobi, dove milioni di persone vivono ammassate una sull'altra, dove i liquami degli scarichi fognari penetrano nelle baracche disegnando solchi di una puzza insopportabile, dall'Italia mi sarei aspettato notizie più confortanti che non uno squallido e stupido trionfalismo guerrafondaio. Tanto più squallido e tanto più stupido in quanto sostenuto da quegli esponenti del centrosinistra che sembrano aver dimenticato i valori dell'uomo, del vivere civile, del rispetto delle culture altre. E scelgono di imbracciare il moschetto. Le parole di Rutelli e degli altri guerrafondai della sinistra pesano come macigni sulla storia del nostro Paese e io mi domando: ma che sinistra è mai quella che spedisce i popoli all'inferno? Già prima del 13 maggio, avevo avvertito il pericolo che poteva provenire da una maggioranza parlamentare di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Oggi quel pericolo è una realtà e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Gli italiani dovrebbero riflettere sull' affidabilità di un premier che scende in piazza a sostegno della guerra e su una parte consistente del centro-sinistra che arriva ad ossequiarlo. Mercoledì 7 novembre, l'Italia che ha detto sì alle bombe, nello stesso tempo ha calpestato la propria Costituzione, quella che all'articolo 11 dice testualmente: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...». Possibile che la gravità di questa cosa lasci indifferente il Presidente della Repubblica, che della Costituzione deve farsi garante? Mi giungono notizie di appelli alle famiglie italiane perché tengano un tricolore in casa: ma a queste famiglie, viene detto che quel tricolore da oggi è macchiato di sangue? Ci vogliono far credere che quella votata mercoledì sia una guerra necessaria, contro il terrorismo, uno strumento indispensabile per ridare all'Italia quel ruolo che le competerebbe a livello internazionale. Mai ascoltate tante falsità in una sola volta. Guerra necessaria è un binomio creato ad arte da chi pensa soltanto ai propri spudorati interessi, da chi non conosce le vie del dialogo e della pace, da chi non ha nessuna considerazione della vita umana. Ogni guerra fa stragi di civili e così sarà anche in questo caso. Lo sa il presidente Ciampi? Guerra al terrorismo è concetto altrettanto falso, perché altrimenti dovremmo combattere tutti i terrorismi, tutte le ingiustizie, tutte le stragi. Ma così non è. Che cosa dovremmo pensare, allora, di chi uccide 30-40 milioni di persone ogni anno? E' il numero dei morti "dimenticati", morti di fame, di malattie, morti in conflitti regionali dei quali nessuno parla, bambini morti per sfruttamento sul lavoro, per schiavitù: il ricco occidente non può dirsi estraneo a queste tragedie. L'appuntamento che si è dato oggi a Roma il popolo della pace è di quelli da non perdere, perché far sentire alta la propria voce oggi contro questo vergognoso interventismo diventa più di un dovere, diventa, questa sì, una scelta necessaria per indicare le vie della non violenza, del dialogo, della giustizia. Da questa lontana terra, anche io griderò «non sono d'accordo». Tra qualche anno ci diranno che avevamo ragione. Speriamo che non sia troppo tardi.


SOLIDARIETA'
 
LEGAMBIENTE PER EMERGENCY IN AFGHANISTAN

La lotta internazionale al terrorismo ha preso i connotati di una vera e propria guerra e, come in tutte le guerre degli ultimi decenni, le prime a soffrirne le tragiche conseguenze sono le popolazioni civili, costrette ad abbandonare le proprie case, a cercare rifugio altrove, a contare i propri morti. Le incursioni aeree stanno aggravando le condizioni di vita di un popolo già stremato da vent’anni di guerre civili e rendono sempre più difficoltose le operazioni di aiuto diretto. E’ necessario fermare immediatamente i bombardamenti se si vuole evitare che l’emergenza umanitaria diventi un’ecatombe. Di fronte alla tragedia alla quale stiamo assistendo, Legambiente ha deciso di sostenere l’operato di Emergency con un gesto concreto, immediato urgente: raccogliere i fondi necessari a tenere aperto, per un anno intero, il Punto di Primo Soccorso (First Aid Post) di Salang, nella Valle del Panshir. Le attività principali dei Punti di Primo Soccorso, aperti ventiquattro ore al giorno, sono il soccorso e l’assistenza alle migliaia di afgani, soprattutto bambini, che saltano sulle mine disseminate nel territorio. Ma essi finiscono per trasformarsi in veri e propri presidi medici che forniscono assistenza di base alla popolazione di tutta l’area. Nel solo 2000 circa 5.300 pazienti sono stati curati nei 6 Punti di Primo Soccorso della Valle del Panshir.

Per contribuire alla raccolta fondi: Conto corrente postale n. 12075586 intestato a Legambiente Solidarietà (causale: Emergenza Afghanistan); Bonifico bancario sul c/c 2030 intestato a SOS Legambiente presso l’Istituto San Paolo di Torino – Agenzia 14 di Roma – ABI 1025 CAB 03219 (causale: Emergenza Afghanistan); Tramite Carta di Credito telefonando al numero 06/86268318

ATTENZIONE: Legambiente è una ONLUS e quindi, ai sensi dell’art. 13 del dlgs 460/97, anche i privati possono detrarre le loro donazioni.

MASSMEDIA e TAM TAM vari 

SITI DA VISITARE 
 
1) RAC DIS GIO' 2002: News dall'Informagiovani di San Bonifacio http://infogiovani.interfree.it
2) Da Monteforte d'Alpone... www.stilelibero.org
4) Agenzia giornalistica internazionale: www.fidest.net/   
5) Il paese delle donne: http://www.womenews.net
7) Dalla biblioteca di Nogara... http://digilander.iol.it/biblionogara
8) Pedagogisti on line www.educare.it
9) Notiziario femminile www.femmis.org
10) Rete Lilliput: www.retelilliput.org
11) Agenzia giornalistica www.misna.org 
14) Da San Bonifacio... www.sanbonifacioonline.it
 
 
CARTA... in edicola
 
Cari amici, questa volta vi facciamo una proposta: la copertina del nuovo numero di Carta settimanale è fatta di un'unica parola. Araba. Significa "Ramadan", il mese islamico del digiuno e delle tregue, che inizia sabato 17 novembre. Perciò facciamo parlare i nostri concittadini e le nostre concittadine musulmani di Bergamo e di Imola, e intervistiamo un sociologo iracheno che insegna all'università di Venezia. Bene, la proposta è questa: se avete un amico, un collega, un compagno di cultura musulmana, mostrategli quella copertina, o regalategli una copia del giornale. Sarà un modo per far intendere che non tutti, in Italia, pensano che tutti i musulmani sono terroristi. Nel settimanale ci sono molte altre cose, naturalmente. In breve: molte pagine con molte persone che erano sabato scorso a Roma, anche nella piazza berlusconiana; molti frammenti poetici da "Solo limoni", video-libro sul G8, commentato dalla scrittrice Silvia Ballestra; interventi sulla guerra di René Gallissot, Annamaria Rivera, Lidia Menapace e Oscar Marchisio, più un racconto di Lanfranco Caminiti sui pacifisti di Via Foligno 23, Roma; un'intervista a Giorgio Cremaschi sullo sciopero della Fiom (16 novembre) ed una a Luca Casarini sulla giornata della "disobbedienza sociale" (17 novembre).


INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI

I PARLAMENTARI CONTRARI ALLA GUERRA

* Alla Camera
a) hanno votato contro la guerra:
- Fulvia Bandoli, Giovanni Bellini, Gloria Buffo, Eugenio Duca, Marco Fumagalli, Alfiero Grandi, Alba Sasso, Lalla Trupia, Katia Zanotti, dei Ds.
- Giuseppe Gambale, della Margherita.
- Katia Belillo, Armando Cossutta, Maura Cossutta. Oliviero Diliberto, Nerio Nesi, Gabiella Pistone, Marco Rizzo, Cosimo Sgobio, Saverio Vertone, del Pdci.
- Fausto Bertinotti, Elettra Deiana, Titti De Simone, AlfonsoGianni, Franco Giordano, Ramon Mantovani, Graziella Mascia, Giuliano Pisapia, Giovanni Russo Spena, Titti Valpiana, del Prc [Nichi Vendola si trova, in questi giorni, in missione ufficiale in Nicaragua, e percio' non ha partecipato al voto];
- Mauro Bulgarelli, Paolo Cento, Laura Cima, Marco Lion, Alfonso Pecoraro Scanio, Luana Zanella, dei Verdi.
b) si sono astenuti: Augusto Battaglia (Ds), Guido Rossi (Lega Nord).
c) non hanno partecipato al voto, dichiarando la propria contrarieta' alla guerra:
- Franca Bimbi, Rosy Bindi, Giuseppe Camo, Ermete Realacci, della Margherita.
- Marisa Abbondanzieri, Goffredo Bettini, Walter Bielli, Francesco Carboni, Massimo Cialente, Famiano Crucianelli, Silvana Dameri, Giovanna Grignaffini, Giovanni Kessler, Giacomo Mancini, Raffaella Mariani, Giorgio Panattoni, Roberta Pinotti, Silvano Pisa, Roberto Sciacca, dei Ds.
* Al Senato
a) hanno votato contro la guerra:
- Chiara Acciarini, Massimo Bonavita, Giovanni Battaglia, Paolo Brutti, Antonio Pizzinato, Piero Di Siena, Tana De Zulueta, Elvio Fassone, Angelo Flammia, Nuccio Iovene, Aleandro Longhi, Antonio Rotondo, Cesare Salvi, Massimo Villone, dei Ds.
- Achille Occhetto, Elidio De Paoli, Oskar Peterlini, del gruppo misto.
- Luigi Marino, Angelo Muzio, Gian Franco Pagliarulo, del Pdci.
- Gigi Malabarba, Giorgio Malentacchi, Tommaso Sodano, Livio Togni, del Prc.
- Stefano Boco, Francesco Carella, Fiorello Cortiana, Loredana De Petris, Anna Donati, Francesco Martone, Natale Ripamonti, dei Verdi.
b) non hanno partecipato al voto, dichiarando la propria contrarieta' alla guerra: Nando Dalla Chiesa (Margherita), Alberto Monticone (Margherita), Giampaolo Zancan (Verdi). (FONTE: Peacelink)

Osama, il logo del delitto  

Dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948)
1) Articolo 11: Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa 
 
2) ...omissis
 
A che punto è l'inchiesta sul quadruplice attacco dell'11 settembre? Se lo domandi a un americano qualunque, ti guarda stupito, come a chiederti di che diavolo stai parlando. E' stato bin Laden, no? Si sanno i nomi dei dirottatori, si sa dove vivevano, come erano entrati negli Stati uniti. Si sa persino che per alcuni era stato lanciato un avvertimento sulla loro pericolosità e che ad altri era scaduto il visto. Si conoscono i prelievi e versamenti bancari. Che vuoi di più?
Ma che prove ci sono? domandi ancora. In realtà si hanno 19 nomi con 19 passaporti: 15 dei 19 passaporti sono sauditi, due degli Emirati arabi uniti, uno libanese e uno egiziano, quello di Mohamed Atta, considerato il leader del gruppo, la mente ("mastermind"). Ma in realtà non c'è una certezza al 100% che siano proprio loro i dirottatori, né si potrebbe avere: non ci sono corpi, né impronte digitali e mai si ritroverà la scatola nera di almeno tre degli aerei. E i sauditi si rifiutano di collaborare con gli inquirenti americani, che non sanno perciò nemmeno se alcuni sono passaporti falsi che nascondono altre identità.
Ancora più difficile è provare che i mandanti sono Al Qaida e Osama bin Laden. Come è emerso a mezza voce sulla stampa più élitaria, per esempio sul New Yorker, la Cia ammette di non avere prove conclusive a carico di Bin Laden: forti indizi sì, ma prove no. Ed è questa mancanza di materiale inoppugnabile che ha indotto gli Stati uniti a invocare il segreto di stato sulle "prove", con la scusa che la loro rivelazione avrebbe messo in pericolo le fonti. Per la prima volta nella storia, le nazioni sono state spinte a dichiarare guerra per una ragione mantenuta segreta ai loro cittadini. Certo, sono rimasti insoluti molti atti di terrorismo: basti pensare a piazza Fontana o alla strage di Bologna. Ancora oggi non si sa chi furono i mandanti degli assassini di John Kennedy e di Olof Palme. La guerra dell'ombra finisce spesso al buio. Le azioni coperte sono, appunto, coperte. Al massimo si hanno degli indizi, assai forti ma pur sempre indizi. Il tutto è complicato dal fatto che, pur quando proclami di possedere armi nucleari e chimiche, Osama bin Laden continua - come nell'ultima intervista, al quotidiano pakistano Dawn - a rifiutare di rivendicare i dirottamenti dell'11 settembre. Ne è "molto contento", ma ha sempre accuratamente evitato di assumersene la paternità.
Questa mancanza di prove e il diniego di bin Laden non costituirebbero un problema grave se gli Stati uniti non avessero dichiarato urbi et orbi che vogliono catturarlo e processarlo. Se cioè, nel nuovo western che stanno girando sul set del mondo, non avessero già deciso il cast, con Bush a fare l'intrepido sceriffo e bin Laden a impersonare il cattivo: negli Usa ormai non si parla più di terroristi, ma si dice, in modo più succinto, e preoccupante, "il male". La sceneggiatura prevede quindi la vittoria del bene sul male, della legge sul crimine, e quindi un bel processo. Il problema sta qui, che anche di fronte a giurati col cappello da cow-boy, l'accusa dovrebbe dimostrare giuridicamente la colpevolezza di bin Laden, soprattutto agli occhi del mondo islamico. Naturalmente potranno condannarlo per gli attentati di Nairobi e nello Yemen degli anni '90, e basterebbero per portarlo alla forca. Ma sarebbe uno smacco dover ammettere di non avere prove per l'11 settembre. Senza contare che un processo fornirebbe a bin Laden un pulpito planetario da cui lanciare i suoi messaggi. Un'altra delle difficoltà americane: se lo arrestano, devono processarlo e si troverebbero in imbarazzo, se lo uccidono durante la cattura (nel caso ci riescano) rischiano di farne un martire per l'Islam e si troverebbero ancora in imbarazzo. Ecco perché è essenziale per gli Usa concludere l'inchiesta. A onor del vero, va detto che il pubblico (noi compresi) non sa proprio niente delle indagini su cui è mantenuto il segreto più totale. Può darsi che Fbi e Cia sappiano molto di più di quel che dicono, o che ormai abbiano prove che tengono per sé, oppure, visto il susseguirsi di annunci e smentite, che ancora brancolino nel buio. Black-out totale sulla stessa, imponente campagna di arresti seguita all'11 settembre: a tutt'oggi non si sa né quanti siano stati gli arrestati da due mesi a questa parte, né quanti di loro siano stati liberati, né quanti siano ancora detenuti, né di costoro si sa il nome o i capi di accusa. Solo il 23 ottobre, quando il 55-enne pakistano Muhammad Rafiq Butt è morto di attacco cardiaco nella prigione della Hudson County in New Jersey, solo allora il servizio statunitense per l'immigrazione e naturalizzazione (Ins) ha ammesso che lo aveva tenuto in carcere per 33 giorni. Ma nessun lume decisivo è venuto dagli arresti di massa (si parla di 1.200) e dalle centinaia di migliaia di informazioni pervenute alle autorità (nel primo mese ne erano arrivate più di 350.000). L'Fbi aveva detto che tra tutti gli arrestati c'erano una ventina di testimoni materiali che avevano informazioni importanti e che erano stati trasferiti nel carcere di Manhattan. Ma dopo pochi giorni già nove di loro erano stati rilasciati. Due persone sono state incriminate per aver mentito alle autorità, uno a Phoenix (Arizona) per aver affermato il falso sui suoi rapporti con Hani Hanjour, il pilota saudita che si pensa abbia guidato il Boeing contro il Pentagono. In California uno studente giordano è stato accusato di falsa testimonianza sui suoi rapporti con altri due dirottatori col passaporto saudita, Nawaf Alhazmi e Khalid Almihdhar. Ma, ha detto un funzionario, "non c'è nessuna prova che uno di loro abbia avuto conoscenza anticipata del piano dell'11 settembre". Ogni volta si rivela un vicolo cieco il nesso che l'Fbi credeva decisivo. Un cittadino francese di origine marocchina, Zacarias Moussaoui, era sospettato di essere il ventesimo dirottatore. Era stato arrestato il 17 agosto in Minnesota per il visto scaduto. Ed è stato incarcerato il giorno stesso dell'attentato. Testuale: "Gli investigatori non hanno stabilito che facesse parte del piano dell'11 settembre, ma dicono che sospettano che potrebbe avere collegamenti con Al Qaida" (The New York Times). Altri testimoni si rivelano inaffidabili: tale Luis Martinez-Flores era stato accusato di aver ricevuto 100 dollari da due dirottatori, Hanjour e Almihdhar, per ottenergli documenti d'identità con foto ad Arlington in Virginia. Martinez è poi stato accusato di falsa testimonianza. Continuano perciò a venire fuori i nomi di altri potenziali collegamenti con Al Qaida: un ex tassista di Boston che un informatore avrebbe collegato con bin Laden; altri due uomini fermati su un treno con 5.000 dollari in contanti; un arabo di Detroit che non è stato trovato in casa quando la polizia ha fatto irruzione. Ma anche per costoro, "gli investigatori non sono certi che abbiano a che fare con l'11 settembre". Ecco perché gli investigatori stanno dando tanto peso alle tracce lasciate dai movimenti di denaro. Hanno documentato versamenti (in genere di poche migliaia di dollari), prelievi, bonifici di vari presunti attentatori. Ma anche qui, ha detto un responsabile dell'inchiesta, "finora non abbiamo prove di una grande organizzazione, di una rete che li abbia aiutati dall'esterno". Tradotto: non sappiamo se i soldi vengono da Al Qaida. Una situazione di stallo quindi che ha spinto la Cia a chiedere aiuto a tutti i servizi segreti stranieri, a partire dal Mossad israeliano alla Dst francese ai nostri Sismi e Sisde. Germania, Francia, Spagna e Italia hanno smantellato cellule di fondamentalisti islamici e questo, ci hanno detto negli Usa, "ha aiutato a prevenire nuovi attacchi". Non ha però fornito prove dirette sull'11 settembre. Tutto comincia così a emanare un pesante odore di servizi segreti, con tutti che frequentavano tutti, con i dirigenti cecoslovacchi che rivelano che il due giugno Mohamed Atta ha incontrato a Praga un agente dei servizi sesgreti iracheni (a Praga si trova la radio Free Europe e la sua gemella Free Iraq). Il Figaro rivela un incontro tra un agente della Cia e un membro di Al Qaida a Dubai: e il quotidiano francese non è stato smentito. La stampa Usa ha contato più di 30 contatti negli ultimi due anni tra Cia e Taleban per negoziare l'estradizione di bin Laden. Altra notizia, la Cia si rivolge persino all'aborrita Siria per avere informazioni. Fortunatamente per gli investigatori, l'impasse delle indagini sull'11 settembre è oscurato dall'ancor più clamoroso fallimento dell'inchiesta sulle lettere all'antrace. Dopo più di un mese l'Fbi non ha trovato ancora il mittente e cresce il sospetto che si tratti di un gruppo statunitense, qualcuno cioè a cui abbia dato l'ideuzza tutto il gran parlare di terrorismo biologico dopo l'11 settembre. (di Marco D'Eramo. Segnalazione di Paolo Veronese)
 
Una guerra di auto-difesa?
di Aldo Civico
 
Un esercito potente, numeroso, armato in modo sofisticato fino ai denti sotto la bandiera degli Stati Uniti, fronteggia un milite solitario, dal volto ignoto, armato solo di un bazooka. E’ la vignetta pubblicata su un quotidiano indiano e che ben rappresenta gli interrogativi che l’intervento armato degli Stati Uniti in Afghanistan sta ponendo a studiosi di guerra, esperti di relazioni e di diritto internazionale. E’ giusto parlare di guerra? L’intervento militare degli Stati Uniti è un legittimo atto di autodifesa, oppure nasconde altri obiettivi? C’è proporzione tra l’attacco terroristico dello scorso 11 settembre e il massiccio bombardamento lanciato dal presidente Bush? Quello architettato da Osama bin Laden è stato un “atto di guerra”, recita il ritornello di Bush e dei suoi uomini. E’ così? Non vi sono dubbi che gli Stati Uniti, lo scorso 11 settembre, hanno subito un grave crimine che è costata la vita ad oltre cinquemila civili. La guerra, però – vecchia o nuova che sia – per definizione è condotta tra due o più stati. La guerra – come spiega Carl von Clausewitz nel suo classico Della Guerra – è “l’impiego della forza per costringere il nemico a fare la nostra volontà”. Per definizione, è la “continuazione della politica con altri mezzi” finalizzata alla risoluzione di dispute e di conflitti. Per definizione, essa è annunciata da dichiarazioni di guerra e terminata con la firma di un trattato di pace. Il Congresso degli Stati Uniti, infatti, non ha votato una Dichiarazione di Guerra contro l’Afghanistan, ma una Risoluzione con la quale autorizza l’uso della forza militare contro nazioni, organizzazioni e persone coinvolte nell’attacco e contro quelli stati che proteggono e sponsorizzano organizzazioni terroristiche.Una prima anomalia, dunque, nell’uso del termine “guerra”, sta nel fatto che i soggetti del conflitto in atto non sono due stati. Osama bin Laden non ha ambasciate. Non è neppure il rappresentante di un popolo in ribellione che invoca il diritto all’autodeterminazione. E’ solo il leader di una potente organizzazione terroristica in latitanza, presumibilmente in Afghanistan, grazie alla complicità dei Talebani che sono un governo non riconosciuto dalla comunità internazionale. Infatti, è l’Alleanza Nordica il rappresentante legale dell’Afghanistan ad essere considerato come un governo-in-esilio e dunque legittimo. E’ l’Alleanza Nordica ad essere accreditata presso le Nazioni Unite. Gli attori del conflitto in atto, dunque, sono uno stato  e un non-stato. E’ il conflitto armato tra gli Stati Uniti e l’organizzazione di Bin Laden Qaeda. La parola guerra, inoltre, è usata da Bush in modo impreciso anche per un’altra ragione. Dalla Convenzione di Ginevra del 1949, infatti, la parola guerra è caduta in disuso ed è stata sostituita dall’espressione “conflitto armato”. L’uso che Bush fa dunque del termine “guerra” è strettamente politico, e non ha riferimento al diritto internazionale.  Ma se non si tratta di una “nuova guerra”, in quale cornice va posto l’attentato dell’11 settembre? E, soprattutto, gli Stati Uniti agiscono secondo il diritto internazionale rispondendo con la forza al crimine subito? Gli esperti di diritto internazionale parlano dell’attacco alle due Torri Gemelle di Manhattan ed al Pentagono come di un “crimine contro l’umanità”. Il 12 settembre scorso il Consiglio di Sicurezza ha approvato all’unanimità una risoluzione dove afferma che ogni atto di terrorismo internazionale è una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale. L’affermazione è di una importanza straordinaria. La Risoluzione, inoltre, chiede a tutti gli stati di consegnare alla giustizia “gli esecutori, gli organizzatori e i sostenitori” degli atti terroristici. Ricorda, inoltre, il diritto dell’individuo e della collettività all’autodifesa così come stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite. “Questa misura – spiega Robert Kogod Goldman, del Washington College of Law della American University – pur non autorizzando espressamente l’uso della violenza, è sufficiente perché gli Stati Uniti vi possano far riferimento per l’impiego legittimo della forza. Crimini di guerra, contro l’umanità, dirottamenti, o la cattura di ostaggi sono crimini internazionali con giurisdizione universale. Gli esecutori possono dunque essere perseguiti da parte di altri stati”.  Prima di procedere al bombardamento dell’Afghanistan, lo staff diplomatico di Bush ha lavorato per giorni nel costruire un vasto consenso internazionale attorno alla reazione degli Stati Uniti. La risposta militare è stata inquadrata nell’ambito di una strategia più ampia mirata a colpire su più di un fronte (anche finanziario) la rete del terrorismo internazionale. Il consenso raccolto è stato largo e comprende – pur con sfumature diverse - anche stati arabi. La ragione di ciò sta probabilmente nella speranza da parte degli alleati di condizionare i successivi passi degli Stati Uniti (e per la Russia di Putin significa maggior libertà di azione in Cecenia) considerato che – come ammesso dallo stesso Bush – la “guerra” sarà molto lunga. Gli Stati Uniti, dunque, hanno iniziato il bombardamento dell’Afghanistan in nome del diritto all’auto-difesa, con la benedizione delle Nazioni Unite e della comunità internazionale. Col passare dei giorni, però, qualche dubbio che di sola auto-difesa si tratti diventa legittimo. Dopo le prime 48 ore di bombardamento, Bin Laden è diventato per gli uomini del Pentagono un obiettivo secondario. Una strategia più ampia e complessa sembra prendere piede. Il sospetto è che la risposta all’attacco terroristico coincida con un’azione militare volta anche a garantire, ed ulteriormente proteggere, gli interessi nazionali degli Stati Uniti in quell’area altamente infiammabile del mondo. Una lente attraverso la quale osservare gli avvenimenti di queste settimane è tener conto degli interessi geopolitici degli Stati Uniti in quella regione. Il conflitto armato in atto tra USA e Osama bin Laden non è una guerra tra ricchi e poveri. Gli USA non sono l’Anticristo e Osam Bin Laden non è l’ambasciatore dei poveri. Si tratta piuttosto di una guerra tra ricchi che vogliono garantirsi, tra l’altro, il controllo delle risorse petrolifere. “Se con un colpo di stato diventasse re dell’Arabia Saudita, Osama bin Laden ci chiude il rubinetto”, afferma Roger Diwan, manager della Petroleum Finance Company con sede a Washington. “Ad un certo punto bin Laden ha affermato che vuole portare il prezzo del petrolio per barile a 144 dollari: sei volte il valore al quale è venduto oggi”. Negli Stati Uniti è del 60 per centro l’importazione di petrolio per il consumo giornaliero. Di questo il 13 per cento viene importato dalla regione del Golfo Persico che su scala mondiale eroga circa il 20 per cento del petrolio consumato. Attacchi terroristici potrebbero colpire gli oleodotti ed i porti sul Mar Rosso dal quale ogni giorno vengono distribuiti tra i 500 mila ed i 6 milioni di barili di petrolio. Dell’importanza strategica dell’Asia Centrale per il petrolio si fa esplicito riferimento nel Quadriennale Rapporto di Revisione della Difesa che il Pentagono ha pubblicato lo scorso 30 settembre, quindi a poche settimane dall’attacco a New York e Washington. “Gli Stati Uniti ed i suoi alleati  - vi si legge - continueranno a dipendere dalle risorse energetiche del Medio Oriente, una regione dove diversi stati pongono delle sfide con armi convenzionali o cercano di acquisire – oppure hanno già acquisito – armi chimiche, biologiche, radiologiche, nucleari”. Durante la Guerra Fredda, si parlava di “guerra preventiva”. La teoria era che, in un periodo di proliferazione di armi atomiche, fosse consigliato colpire gli stati durante la loro fase di transizione da “convenzionali” a “nucleari”, prima che fosse troppo tardi. Secondo il politologo Scott Sagan “una guerra preventiva può essere decisa più facilmente se i leader militari hanno una maggior influenza, diretta o indiretta, sulla decisione finale”. Nel gabinetto di Bush una potente voce in capitolo ce l’hanno personaggi come il segretario alla difesa Donald Rumsfeld o il suo vice Wolfowitz che non nasconde il desiderio di estendere all’Iraq l’operazione militare in atto. “La forza militare – si legge ancora nel rapporto Quadriennale del Pentagono - è essenziale (...) giacché assicura amici ed alleati sull’impegno senza esitazioni degli Stati Uniti nel perseguire gli interessi comuni”. Ed ancora :”Vi è potenzialmente la possibilità da parte di poteri regionali di sviluppare sufficienti capacità in grado di minacciare la stabilità di regioni che sono di cruciale importanza per gli interessi degli Stati Uniti”. E aggiunge: ”Mantenere un equilibrio stabile in Asia sarà un compito complesso. (...) Lo scenario asiatico è caratterizzato da grandi distanze. La presenza di basi statunitensi (...) è minore che in altre regioni di importanza cruciale. Gli Stati Uniti hanno anche minor garanzia di accesso rispetto ad altre regioni”.L’azione suicida dei seguaci di Osama bin Laden potrebbe aver dato la luce verde ad una “guerra” che, partita come azione di auto-difesa e di giustizia, col tempo potrebbe trasformarsi in “guerra preventiva”.  Nel 1950 Truman condannò moralmente tale approccio: ”Noi non crediamo nell’aggressione o nella guerra preventiva”, disse l’allora presidente degli Stati Uniti. “Una tale guerra è un’arma dei dittatori e non di paesi democratici e liberi come sono gli Stati Uniti”. Ciononostante negli anni il termine rimase in voga – seppur in modo non ufficiale – tra il personale militare del governo americano.E’ convinzione di molti politologi – i cosiddetti “realisti” – che gli stati si ritrovino in un ambiente internazionale anarchico, da nessuno governato e controllato. Per questo ciascuno è chiamato a provvedere da sè alla propria difesa, costruita sui principi dell’interesse nazionale e dell’equilibrio dei poteri. La regola del gioco di ogni conflitto è che ci debba sempre essere un vincitore ed un vinto. La Guerra Fredda ci ha formato ad intendere i termini del conflitto come un’esasperata competizione. Oggi, però, viviamo in un mondo completamente differente. Gli stati non sono più i soli protagonisti del mercato delle relazioni internazionali. E la tragedia dello scorso 11 settembre, in negativo, lo dimostra. La sicurezza oggi non è più solo il problema di un singolo stato preoccupato di migliorare a suo favore l’asimmetria in termini di difesa. Il problema sicurezza è oggi un problema da affrontare in termini di “sicurezza comune”. Solo garantendo sicurezza agli altri, uno stato garantisce anche sicurezza a sé stesso. Non più vincitore e vinti, ma tutti vincitori. Questo richiede una nuova intelligenza ed una nuova creatività. Vanno poste domande nuove, per trovare inedite risposte. Vanno concepiti nuovi costi di opportunità. I bombardamenti in atto – sul lungo periodo – non aiutano questo scopo. Neanche quello di garantire “pace, libertà e benessere globali” come si propone nel suo rapporto il Pentagono.
(L’autore è ricercatore presso il Conflict Resolution Program della School of International and Public Affairs della Columbia University di New York. Coordina progetti di risoluzione dei conflitti in Colombia e nel Sud-Est Europeo ed è autore di articoli sul tema)
 
 

“Una via alla pace che passi per la sicurezza non c’è. La pace infatti deve essere osata. E’ un grande rischio e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa voler mettersi al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non voler alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli… Chi rivolgerà l’appello alla pace così che il mondo oda, che sia costretto a udire? Solo la santa chiesa di Cristo può parlare in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare la guerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante.”

Dietrich Bonhoeffer, 1934

Già in agosto era tutto pronto. “Life tastes good”, “la vita sa di bello”, era il tema scelto dalla Coca-cola per la nuova campagna pubblicitaria di natale (scritto minuscolo… visto il contesto). Lo dovevamo sentire-vedere ovunque, più volte al giorno. Tutti avrebbero interiorizzato in un’unica sensazione di benessere musica, messaggio e prodotto. Ma dopo l’11 settembre la multinazionale di Atlanta è stata costretta a ritirare tutto e ripensarci: rimangono scampoli di umanità anche nei consumatori più addestrati. La modifica degli atteggiamenti pervade anche, e soprattutto, il mondo degli adulti. All’uscita da un convegno sulle strategie future di associazioni e cooperative sociali, si sentono due quarantenni, padri di adolescenti, che chiacchierano. Uno di loro dice: “in questi giorni non guardo più il telegiornale perché dà troppa angoscia”. L’altro non riesce a dire niente per rispondere e si cambia discorso: “a proposito, ti ricordi di quella cosa che ti avevo chiesto…”. Alcune domande diventano inevitabili e pressanti se non si vuol rimanere solo sulla crosta degli avvenimenti: come ci poniamo di fronte ai fatti che accadono e che mettono sotto-sopra gli equilibri mondiali? Quali parole e atteggiamenti, quali idee e valori comunichiamo, anche col silenzio, a chi abbiamo vicino? Quali passi ci vengono chiesti come giovani o adulti e come cittadini del mondo, a fronte della nuova situazione manifestatasi? Quale parola può accompagnare e dare sostegno a chi vuol mettersi in movimento verso un possibile ‘mondo altro’? Per iniziare a cercare risposte si devono toccare alcuni nodi.

La questione della fuga dal mondo.

Erroneamente i cristiani pensano che sia questione da porre a monaci ed eremiti. Invece riguarda donne e uomini di oggi, al di là del loro essere credenti o meno. Stare nel mondo attuale, con le contraddizioni e le provocazioni che lo caratterizzano, è cosa impegnativa che chiede maturità, coraggio, visione ampia del bene comune. Più facile correre a costruirsi il proprio bunker, prendere le distanze, credere che ci si possa salvare da soli riempiendoci di scorte e difese. E se pochi possono permettersi rifugi di cemento armato, a molti fa voglia costruirseli chiudendo i cerchi delle relazioni, distraendo la propria vita di coppia e famiglia dai problemi della scuola e del lavoro, dell’educazione e dell’impegno civico, di chi fa fatica a vivere nei sud e nei nord di questo mondo. Così si perdono anche le occasioni che, dentro alle questioni sociali, ci vengono offerte: la spinta a riconsiderare il proprio modo di gestire tempo, denaro, stili di vita; una provocazione a riaprire il dialogo con persone o istituzioni lasciate per strada nel correre della vita; il restituire parola e potere ai cittadini nel tentare di leggere, capire e cambiare la direzione verso cui il mondo di oggi si è orientato…

La questione educativa. 

L’educazione riguarda innanzitutto ciò che siamo; per questo si parla di auto-educazione, condizione necessaria per ogni tentativo di accompagnare l’educare di altri. Non si può pensare di avere generazioni pronte a giocare le carte della giustizia e della nonviolenza nelle relazioni interpersonali, sociali e planetarie senza avere il coraggio di uno sguardo lucido e impietoso sui messaggi che stiamo dando come adulti. Anche i progetti educativi per i nostri figli e i ragazzi delle nostre città vanno ripensati: c’è bisogno di educare a ragionare a fronte di risposte prevalentemente connotate da emozione e reazione; c’è bisogno di insegnare a indignarsi a tutto campo (e non solo quando si toccano ‘i nostri’) a fronte delle ingiustizie piccole e grandi del mondo; è tempo di ri-significare alcune parole per non far confusione su ciò che davvero comporta dire pace, obiezione, nonviolenza; ci sono da inventare proposte concrete che permettano di ‘fare esperienza’ di queste ed altre parole. I nostri gruppi hanno qualcosa da offrire alle città per un tale compito ‘educativo’?

 

La questione del prendere parola.

 

La paura paralizza, incupisce, rende muti e aggressivi; la parola è una chiave che consente di aprire le paure consegnando all’altro motivi e ragioni da far diventare fondamento per costruire nuove risposte ai bisogni dell’umanità. C’è troppo silenzio sui bisogni dell’umanità di oggi nei discorsi degli adulti, quelli che si fanno con gli amici, i colleghi, i figli o le persone con cui condividiamo sport, cinema, massaggi orientali, gruppi di impegno o di spiritualità. E’ tempo di alzare lo sguardo.

Prendere parola per dire l’attenzione a quei 4/5 di umanità condannati a condizioni di vita inaccettabili: aspettativa di vita inferiore da 20 a 35 anni rispetto alla ‘nostra’; mortalità infantile da 8 a 20 volte superiore; ecc.; prendere parola per rendere ragione di un nostro sperare un ‘mondo altro’ per i figli di tutti. Ma anche prendere parola per smascherare tante bugie e retoriche: non è lo stesso fermarsi sulla crosta degli eventi (la cronaca) o entrare dentro le pieghe della storia per capire dove nascono tensioni, oppressioni, terrorismi; come non è lo stesso puntare a un ruolo di primo piano da parte dell’Onu o puntare sul ‘dare una lezione’ a qualcuno; come, infine, non si può continuare a contrabbandare l’essere amici di un popolo (oggi quello statunitense, ma vale altrettanto per ogni altro popolo di ieri e di domani?) con il dover condividere le politiche economiche, culturali e militari che i governanti di quel popolo assumono: siamo amici di tutti i popoli, ma non siamo automaticamente amici delle scelte dei loro governi. Nei cieli dell’Afghanistan sembra già volino, tra tanti aerei da combattimento, due prototipi,  chiamati X32 e X35: chi ha iniziato a costruirli ha programmato di venderne 3.000 unità agli Usa (il contratto è già definito) ed altrettanti spera di offrirli ad Unione Europea ed altri Paesi. La consegna è prevista tra il 2010 e il 2013: chi ci parla di pace sta investendo centinaia di miliardi di dollari (760, a quanto è dato sapere) per guerre future.  I fatti di questi mesi ci chiedono un salto in avanti, di progettare (etimologicamente ‘buttare in avanti’) un modo diverso di vivere. E’ il tempo della politica. Solo così una cronaca di paura può diventare storia nuova. (di Marco Vincenzi - Progetto "Sulla Soglia" Vicenza. Segnalazione di Sergio Pighi)

 

VAURO SENESI (IL MANIFESTO) INTERVISTA GINO STRADA (EMERGENCY)

 

Gino Strada e' a Kabul. Li', da domani, l'ospedale di Emergency sara' operativo. Con lui ci sono altri due italiani, Fabrizio Lazzaretti e Alberto Vendemmiati, autori di Jang (fotogrammi del filmato girato nel viaggio dal Panshir alla capitale sono disponibili sul sito di Emergency). Gli unici occidentali a Kabul. La riapertura dell'ospedale e' un segnale di civilta' nella citta' martoriata dai taleban e dai bombardamenti. Dimostra che un messaggio diverso dalla guerra e' possibile e necessario. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente.
Vauro Senesi: Quattro giorni fa ti ho lasciato nel Panshir, ora sei a Kabul.

Gino Strada: Emergency non puo' non essere a Kabul oggi. Per ragioni che non hanno niente a che vedere con la politica, ma con il fatto che in questa citta' c'e' gente che soffre, che muore per una guerra. Questa ragione e' piu' che sufficiente per essere qui.
V. S.: Per raggiungere Kabul hai dovuto attraversare le linee del fronte Nord. Cosa mi puoi raccontare di questo viaggio?
G. S.: Il tipico viaggio afghano, con tutti gli accordi presi intorno a interminabili tazze di te', in cui si arriva perfino a definire l'ora del passaggio del convoglio e il colore delle macchine. Bisognava informare anche chi stava volando sulle nostre teste. Siamo arrivati al fronte e tutti, regolarmente, stavano sparando, da una parte e dall'altra. Era in corso un bombardamento, e' durato tre ore, colpendo esattamente la strada che dovevamo percorrere.
V. S.: La strada che stava percorrendo il vostro convoglio umanitario e' stata bombardata nonostante tutti fossero stati avvisati del vostro passaggio?
G. S.: Ci era stato garantito dai responsabili dell'Alleanza del Nord che i comandi militari americani sarebbero stati avvisati del nostro passaggio.
V. S.: Avviso senza effetti?
G. S.: Si'... ma non vorrei fare polemiche. Sarebbe stupido aspettarsi il rispetto delle regole nella guerra. La guerra e', per definizione, l'assenza di ogni regola.
V. S.: Sei l'unico occidentale ad aver visto gli effetti dei bombardamenti...
G. S.: Non li ho visti direttamente, ma lo staff Emergency afghano, mentre veniva a prenderci al fronte, ha visto in un villaggio bombardato, sulla strada per Tagab, raccogliere pezzi di membra umane. Abbiamo avuto conferma di almeno tre persone uccise da una bomba in una sola casa di quel villaggio. Abbiamo girato con le auto intorno a molti crateri freschi di bombe. Dall'aeroporto di Bagram, la strada e' una pista sabbiosa che si ricongiunge a quella asfaltata che porta a Kabul. La' non c'e' piu' niente. I pochi accampamenti di pastori e nomadi sono scomparsi. E' una zona martellata dai bombardamenti ogni giorno.
V. S.: Raccontami l'ingresso a Kabul.
G. S.: La quantita' di vittime e' impressionante.
V. S.: Quindi e' una citta' ancora molto abitata? Alcuni sostengono che a Kabul ci sarebbero solo i taleban.
G. S.: Sono coglionerie che mette in giro chi probabilmente pensa che Kabul sia nelle Filippine. A Kabul in questo momento ci saranno 800 mila, un milione di persone. Viene bombardata da un mese e nessuno pensa che anche questo possa essere un atto di terrorismo.
V. S.: Ricordo Kabul a marzo, era gia' una citta' di macerie. Adesso?
G. S.: E' difficile per chi ci ha passato quasi cinque anni della propria vita notare la differenza tra venti case in piu' o in meno. La gente pero' e' allo stremo. C'e' l'oscuramento, la contraerea e' incessante, i bambini non dormono piu'. Non vorrei augurare ai figli di mia figlia di vivere esperienze del genere. Anche in questo momento bombardano.
V. S.: Oscurato anche l'ospedale?
G.S.: Si'.
V. S.: Non e' rischioso che non sia riconoscibile dall'alto?
G. S.: Non poco. Domani andremo a rinegoziare. Ma per stasera c'e' un ordine preciso di oscuramento totale.
V. S.: Come sei riuscito a convincere i taleban a farti riaprire l'ospedale che eri stato costretto a chiudere a maggio per una loro incursione armata?
G. S.: Il primo contatto con il ministro degli esteri taleban l'ho avuto il 12 settembre, quando era chiaro che ci sarebbe stato un attacco militare all'Afghanistan. La proposta di Emergency e' stata: abbiamo avuto e abbiamo divergenze, forse insanabili, su molte questioni, pero' qui si profila un disastro umanitario e il nostro ospedale e' l'unico in grado di curare i civili gratuitamente e bene. Riapriamolo, accantoniamo problemi e divergenze per tre mesi. Quando il periodo di crisi sara' finito ricominceremo a parlarne. Allora, probabilmente, saremo tutti diversi, quindi ne parleremo in modo diverso. La settimana scorsa c'e' stato l'invito del mullah Omar, e il viceministro degli esteri ha dato anche disposizioni al ministro della difesa di inviare suoi rappresentanti al fronte per guidare il nostro convoglio.
V. S.: Che garanzie di protezione vi hanno dato rispetto ai cosiddetti "arabi", la legione straniera taleban?
G. S.: Nessuna. Questa e' una delle ragioni che rende la cosa molto rischiosa. Non ci sono altri occidentali a Kabul, siamo molto ben identificabili.
V. S.: Potete circolare nella citta'?
G. S.: Solo nel tragitto casa-ospedale.
V. S.: Ma la casa e' di fronte a un'abitazione degli "arabi"...
G. S.: Si', ma ora i dirimpettai sono al fronte. Non ne sentiamo la mancanza.
V. S.: Al di la' del suo valore umanitario, la vostra iniziativa dimostra anche che interloquire con il "nemico" e' possibile.
G. S.: Non faccio il politico. Credo ci siano due modi per affrontare una situazione internazionale cosi' grave: uno e' la guerra, l'altro e' il dialogo. Io credo nel dialogo. Il dialogo e' possibile, e' una cosa che si costruisce soltanto se e' preceduta dal rispetto, dimostrando che per te il fatto che chi hai di fronte sia vivo o morto non e' indifferente. L'opposto della logica "dead or life". La ragione per cui noi stiamo qui non e' che ci stanno simpatici i taleban, ne' i moujaehddin quando eravamo in Panshir. Siamo qui perche' qui gli ospedali non hanno medicine ne' cibo da dare ai bambini.
V. S.: Non voglio tirarti dentro polemiche, sono tornato da poco e ho trovato un paese piu' imbarbarito. Ma oggi sono andato a una manifestazione, tanta gente per il no alla guerra. Molti portavano lo straccio bianco della campagna Emergency. Vuoi dire loro una parola?
G. S.: Voglio soltanto dire che mi sarebbe piaciuto esserci, e mi piacera' essere, in futuro, a tutte le manifestazioni contro la guerra. Non abbiamo davvero alternative. Il movimento per la pace non e' soltanto l'unico che puo' rendere il mondo piu' bello da vivere, e' anche l'unica strategia possibile per restare vivi.


ZOOM ASSOCIAZIONI
 
CERCANSI ATTORI
 
La compagnia teatrale di San Bonifacio «MaBoChissà», impegnata nel finanziamento di opere sociali, sta preparando un nuovo spettacolo in occasione del decimo anniversario d'attività. Se desideri compiere un'esperienza teatrale come attore o comparsa telefona a Simona (045 6100816) o Francesca (044247941).
 
Nei porti europei la causa della distruzione delle foreste
Con una nuova azione dimostrativa, Greenpeace denuncia la distruzione delle foreste pluviali africane e chiede ai governi di agire immediatamente. Oltre 60 attivisti hanno occupato il porto di Amsterdam e dipinto il marchio "crimine forestale" sui tronchi provenienti dall'Africa occidentale. Investigazioni condotte da Greenpeace hanno messo in luce la provenienza distruttiva e spesso illegale di questo legno, in particolare quello proveniente dalle due compagnie  Oriental Timber Corporation (OTC) e dalla Societe' Foreste're Hazim (SFH), attive rispettivamente in Liberia e Camerun.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha recentemente indicato la OTC come direttamente coinvolta nel traffico illegale di armi con le fazioni della Sierra Leone (Revolutionary United Front  -RUF). SFH dal canto suo, e' stata condannata dal governo del Camerun per taglio illegale di alberi al di fuori dell'area in concessione, ed e' piu' volte entrata in conflitto  con le comunita' locali. Entrambe le compagnie sono state ripetutamente colte in flagrante nella violazione delle leggi forestali. L'impatto ambientale e sociale delle loro operazioni e' fortemente distruttivo. Il loro legno viene comunemente importato in Italia, Francia, Spagna, Olanda e Cina. Greenpeace chiede a tutti i governi di assumere misure concrete per fermare l'importazione di legno illegale o proveniente dalla distruzione delle foreste primarie, e di spingere le imprese a rifornirsi di legno proveniente da fonti legali e compatibili con l'ambiente. L'azione non violenta di Amsterdam fa parte di di una serie di iniziative intraprese da Greenpeace in tutto il mondo per fermare la distruzione delle grandi foreste primarie, in Amazzonia, Russia, Papua Nuova Guinea e Indonesia. Nello stesso momento altre azioni similari venivano portate avanti in Francia e Svizzera. La scorsa settimana a Roma Greenpeace ha scaricato due tonnellate di traversine di fronte al Ministero delle Infrastrutture, per denunciare l'importazione di legno liberiano proprio della OTC. Il legno finiva poi in traversine e opere ferroviarie in Italia. Il caso e' documentato dal rapporto diffuso da Greenpeace "Tronchi di Guerra". "La gente si domanda spesso come mai gorilla, scimpanze' e elefanti di foresta stando andando verso l'estinzione. Ebbene, la risposta e' nei porti europei" ha commentato Sergio Baffoni di Greenpeace. "Consentendo ogni giorno l'entrata di questo legno, i governi europei si rendono complici della distruzione residue delle foreste del pianeta e degli habitat di questi animali. Dobbiamo agire ora, prima che sia tardi". In questi giorni a Montreal i rappresentanti dei governi del pianeta stanno decidendo il futuro del prossimo Meeting delle Foreste. "Due giorni sono passati senza alcun risultato. Resta poco tempo per decidere un programma efficace di azione. Le nostre indagini nei porti europei dimostrano quanto poco i nostri governi stiano facendo". (Fonte: Greenpeace)
 
Legambiente: CAMPO DI VOLONTARIATO AMBIENTALE NEL PARCO DEL RINCON DE GUANABO HABANA DEL ESTE – CUBA

Il contesto dell’iniziativa

Il campo viene proposto all’interno di Habana Ecopolis, un ampio progetto di cooperazione promosso da un consorzio formato da Legambiente, COSPE, Terra Nuova, CRIC e LAPEI-Università di Firenze, cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e da vari enti locali italiani. Il Progetto Habana Ecopolis ha come finalità complessiva quella di operare in 5 municipi della città dell’Avana attraverso interventi di riqualificazione urbana nei quali si considera fondamentale lavorare tramite un approccio integrato fra la componente sociale. ambientale, culturale ed economica, per la realizzazione di una città ecologica e solidale. Il progetto si basa molto sulla collaborazione e l’interscambio si esperienze fra associazioni ed istituzioni italiane e cubane, considerando questo modo di interagire una delle risorse più rilevanti e significative di questo programma di cooperazione.            

Dove si svolgerà il campo

Il Parco Naturale del Rincon del Guanabo, nel Municipio di Habana del Este a circa 25 km dal centro della città, rappresenta l’ultimo lembo intatto dell’eco-sistema costiero della Citta’ dell’Avana (barriera corallina-duna-mangrovia), in un’area caratterizzata da un intenso e accelerato sviluppo del cosiddetto turismo di “sol y playa”. La sua creazione, due anni fa, e’ il risultato dell’impegno e della lunga battaglia condotta dalle associazioni ambientaliste (Pro Naturaleza Guanabo) e dalle istituzioni locali (Museo Historico Municipal de Habana del Este, Consejo Popular Guanabo). Il PN Rincon del Guanabo costituisce anche il primo tassello di un piu’ vasto sistema integrato di 7 aree protette (Sibarimar) che, una volta istituito, avrà una copertura complessiva di 97 chilometri quadrati. E’ importante sottolineare che il PN Rincon del Guanabo rappresenta a Cuba la prima esperienza di gestione decentrata e partecipata di un’area protetta grazie al fondamentale contributo di una istituzione locale, il Museo Municipal di Habana del Este, e alla collaborazione del circolo di Pro Naturalezza, la principale associazione ambientalista cubana.    

Gli obbiettivi

L'obbiettivo generale del progetto è quello di contribuire alla tutela del patrimonio ambientale, considerato come sintesi di valori naturali e culturali, e alla sua valorizzazione come fattore di identità e di sviluppo per le comunita’ locali, promuovendo il territorio del Parco del Rincon de Guanabo come meta di turismo alternativo ed ecologico e quindi come occasione di sviluppo di nuove forme di economia locale. A tal fine il progetto sta fornendo fra l’altro strumenti e attrezzature per consentire il miglioramento delle infrastrutture disponibili in quest’area, offrendo contemporaneamente ai partner cubani, strumenti metodologici ed informazioni per la tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio ambientale, attraverso l’interscambio con istituzioni ed associazioni italiane. In particolare il Campo è finalizzato fornire una collaborazione nelle prime fasi di realizzazione del sentiero interpretativo che, una vota terminato, faciliterà la fruizione turistica del parco attraverso idonee attrezzature. Il campo rappresenta inoltre una importante occasione di interscambio di esperienze fra volontari italiani e cubani impegnati nelle attività dell’associazionismo ambientalista. 

Le attività previste durante il campo

Le attività ed il lavoro del campo saranno condotte in stretta collaborazione con le istituzioni locali coinvolte nel progetto e con il gruppo dell’associazione Pro Naturalezza Il campo si articolerà principalmente in attività organizzate di lavoro e visita fra le quali: Pulizia della spiaggia e del parco insieme ai ragazzi delle scuole e alla comunità locale; Apertura del sentiero interpretativo; Collaborazione alla costruzione e alla ristrutturazione del centro tecnico e di visita del parco; visita ad altre aree protette appartenenti al sistema Sibarimar; visita agli altri municipi ed attività del progetto Habana Ecopolis; visita al centro storico dell’Avana. Sono inoltre previsti momenti di tempo libero che i partecipanti potranno occupare a proprio piacimento.  

Informazioni organizzative sul campo

Il campo avrà una durata di due settimane con partenza prevista per il giorno 1 gennaio 2002 (data da confermare). La permanenza a Guanabo è organizzata con pernottamento in tende da tre-quattro posti acquistate dal progetto che verranno montate dai partecipanti in un’area interna al parco, fornita di strutture in muratura con bagni e cucina. I pasti saranno cucinati direttamente da incaricati fra partecipanti italiani e cubani utilizzando prodotti alimentari acquistati in loco con la cassa comune del campo.  I trasporti relativi alle attività in programma e organizzate saranno gestiti attraverso l’utilizzo di mezzi del progetto. Per gli spostamenti riguardanti i momenti liberi e di turismo personale ciascun partecipante potrà organizzarsi a proprio piacere. A tal fine specifichiamo che Guanabo è normalmente collegato all’Avana da mezzi pubblici. Nel mese di dicembre si prevede l’organizzazione di due incontri in Italia per consentire ai partecipanti di conoscersi, ricevere maggiori informazioni sul progetto Habana Ecopolis e nello specifico sul Campo Ambientale.

Costi

Il costo complessivo del campo è di lire 2.000.000. Questa cifra può essere soggetta a riduzioni in base al numero delle adesioni che saranno raccolte, attraverso le quali si potrebbero abbassare alcune voci di costo come ad esempio i trasporti interni. Nel dettaglio le spese previste sono così articolare:

biglietto aereo + tasse aeroportuali

1.300.000

assicurazione

100.000

vitto

400.000

Trasporti interni

100.000

imprevisti

100.000

TOTALE

2.000.000

 

Per iscrizioni ed informazioni

Le adesioni al campo verranno raccolte entro e non oltre la fine del mese di novembre. Per iscriversi e per avere ulteriori informazioni contattare Coordinamento progetto Habana Ecopolis – Chiara Signorini 0575259154 signorinic@tin.it Legambiente circolo Fagiani nel mondo di Verona –  Federico Carazzolo 045549841 chikof@libero.it Legambiente circolo Alex Langer di Viareggio - Paolo Vogliazo paolo.vogliazzo@welcomeitalia.it Legambiente circolo di Padova – Cristian Cavicchiolo arroz@libero.it
 
VIAGGIO IN NICARAGUA CON... LO SGUARDO OLTRE IL CONFINE
 
Oltre le prime spesse nebbie milanesi mandiamo un caloroso abbraccio a chi da tempo segue le nostre attività ed a chi, discreto, ci si affaccia solo oggi. Una breve mail per presentarvi alcuni appuntamenti di "Sguardi oltre il Confine" che ruotano intorno al prossimo viaggio in NICARAGUA (17/12 - 5/1). Le danze si aprono MARTEDI' 13 NOVEMBRE, h. 21, al CHICOBAR, taverna equosolidale milanese in Via Ollearo, 5, a Milano: sarà l'occasione per presentare l'itinerario ed il senso del prossimo viaggio in Nicaragua a cura di Sguardi oltre il Confine. Un'attenzione particolare verrà dedicata al quadro politico e sociale del paese alla luce dei risultati elettorali del 5 Novembre: interverrà in merito il Prof. Daniele Pompejano, docente di Storia dell'America Latina presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano. Ai primi di dicembre, invece, esattamente sabato e domenica 8/9 dicembre, ci troviamo tra le splendide colline di Alessandria, presso l'accogliente Agriturismo Valli Unite di Montale Celli - Costa Vescovato, per un seminario di Turismo Responsabile incentrato sulle Comunità Indigene: quale incontro e quale viaggio è possibile attraverso l'esperienza dei progetti di cooperazione. Vi comunicheremo per tempo il programma ed il nome dei relatori. Già da ora vi anticipiamo che sarà un occasione di studio e confronto, animato da operatori impegnati in progetti Cric con comunità indigene centroamericane e rappresentanti delle controparti locali della regione atlantica nicaraguense, con l'obbiettivo di arricchire i contenuti e le modalità del nostro progetto di turismo responsabile: solidarietà e rispetto, incontro e conoscenza, due giorni di confronto cui siete tutti, viaggiatori in partenza o di ritorno, caldamente invitati. (Fonte e per Informazioni:  Associazione Culturale sguardioltreilconfine@yahoo.it)

SORRISI & CEFFONI   

VANTAGGI CHE DERIVEREBBERO DALL'AVVENTO AL POTERE DEI TALEBANI IN ITALIA

1)   ELIMINAZIONE DEL TRAFFICO (le donne non potranno più guidare)
2)   ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA DEI PARCHEGGI(le donne non potranno più guidare)
3)   RIDUZIONE DRASTICA DEGLI INCIDENTI(le donne non potranno più guidare)
4)   RIDUZIONE DRASTICA DELL'INQUINAMENTO ACUSTICO (le donne non potranno più parlare)
5)   CREAZIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO (le donne non potranno più lavorare)
6)   AUMENTO DEL RISPARMIO FAMILIARE(le donne non avranno più autonomia di spesa)
7)   ELIMINAZIONE DELL'INQUINAMENTO VISIVO (le donne saranno coperte di veli, eccezion fatta per quelle considerate gnocche)
8)   ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA DELLE SPIAGGE AFFOLLATE (l'uomo in spiaggia a prendere il sole, la donna a casa a preparare i pasti)
9)   ELIMINAZIONE DEI DISSIDI FAMILIARI (l'uomo decide, la donna tace e ubbidisce)

10) ELIMINAZIONE DEL PROBLEMA "NO CARO, STASERA HO MAL DI TESTA" (gli uomini potranno avere più mogli)

MONDIALE

Mentre si stanno concludendo le qualificazioni ai mondiali del 2002 che si svolgeranno in Giappone e Corea del Sud, sono riuscita ad avere in anteprima, scaricandola da un sito non ufficiale, la formazione che la nazionale giapponese schiererà in occasione della manifestazione iridata. Ecco a voi la formazione ufficiale della squadra nipponica.
In campo: 1. Tutiri Yoparo 2.Tiro Akatsodikane 3. Nishuno Mifreka 4. Sikuro Tesegno 5. Ken Mishtupishi 6. Motiro 7. Semitiri Mishibuto 8. Dinzaki Yosomeyo 9. Setiro Tifreko 10. Nakakata 11. Momo Teparotutto. In panchina: 12. Kissase Yoko 13. Yoko Poko Poko 14. Yoko Poi 15. Yokodimeno 16. Noyokomai 17. Yoko Poko Mayoko. Allenatore: Ariko Saki (Fonte certa: Luisita)


PAROLE IN LIBERTA'
di Vincenzo Andraous
(centrostampa@cdg.it - Tel. 0382 3814417)
Vincenzo Andraous è nato a Catania il 28-10-1954,  una figlia Yelenia che definisce la sua rivincita più grande, detenuto nel carcere di Pavia, ristretto da ventotto anni e condannato all’ergastolo “FINE PENA MAI”. Da qualche tempo usufruisce di permessi premio e di lavoro esterno semilibertà svolgendo attività di Tutor presso la Comunità “Casa Del Giovane “di Pavia. E’impegnato in attività sociali e culturali con scuole, parrocchie, associazioni e movimenti culturali. E’titolare di alcune rubriche mensili su riviste e giornali, ha conseguito circa 80 premi letterari, pubblicando libri di poesia, di saggistica sul carcere e la devianza, nonché la propria autobiografia. Ha pubblicato: “Non mi inganno” edito da Ibiskos di Empoli; “Per una Principessa in jeans”   edito da Ibiskos di Empoli;  “Samarcanda” edito da Cultura 2000 di Siracusa; “Avrei voluto sedurre la luna“ edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Carcere è società” edito da Vicolo del Pavone di Piacenza; “Autobiografia di un assassino-dal buio alla rinascita” edito da Liberal di Firenze; “Oltre il carcere” edito dal Centro Stampa della “Casa del Giovane” di Pavia. “Oltre il carcere” è un libro che tenta di camminare sull’esperienza dell’autore, senza per questo rimanere prigioniero della presunzione di insegnare nulla a nessuno.Ci sono pagine che raccontano quanto avviene e spesso non avviene all’interno del perimetro carcerario. Atteggiamenti e gesti che vorrebbero provocare in ognuno un cambiamento per raggiungere secondo le proprie capacità quella necessaria consapevolezza per rimediare alle ferite inferte alla vita. Avamposti della memoria per i più giovani, sui rischi della trasgressione, nell’affidarsi ai valori estremi delle passioni estreme, votate all’annientamento. C’è il progetto di un percorso comunitario che può diventare stile di vita al servizio degli altri, apprendendo l’arte dell’ascolto e della promozione umana, attraverso l’impiego del sapere e del sentire, per una rielaborazione delle proprie esperienze vissute.

UN CARCERE DIVERSO

Da anni faccio i conti con un' astrazione che é più forte del dolore, dell'indifferenza, dei tanti limiti imposti. Innumerevoli i passi fatti in avanti in cooperazione con le Istituzioni e la società tutta, eppure... Continuamente mi imbatto in qualcosa che non riesco a ben definire e ugualmente mi impegno per capire.  Il carcere, questo meandro oscuro del nostro conscio-inconscio, questo proiettore d'ombre, questo mondo che non appartiene a nessuno. E' come se il carcere fosse circondato da una sorta di terra di nessuno, una specie di cortina fatta di barriere materiali e psicologiche,  dove nessuno vuole guardare e che, ai pochi che intendono farlo, appare per lo più incomprensibile, perché non é una realtà trasparente, ma un mondo sommerso che l'immaginario collettivo popola di dannati e che la coscienza collettiva rimuove, chiudendovi dentro tutto il male, la parte negativa della società, e dove ha paura di riconoscersi ( e per questo cerca di allontanarlo da sé, escludendolo, ghettizzandolo ).  Tutto ciò fa diventare la prigione una struttura fuori dal mondo, utilizzata per risolvere i conflitti, come se esistesse un punto terminale; il criminale va in gattabuia e poi basta, non si agita più. Ma ciò non risolve il problema, la storia recente e passata insegna, e ciò sgretola l'idea che il carcere serva come unica difesa sociale. In proposito  basterebbe osservare le statistiche sulla recidiva. Il carcere c'é, é lì, esiste con il suo volto  fisico-psicologico-culturale, come rimedio ultimo nel suo essere deterrente contro coloro che hanno trasgredito. che minacciano o che potranno minacciare la convivenza sociale. Con questa premessa, ora vorrei parlare di un carcere che non coincida solo con la fisicità della pena intesa solamente come punizione, come espressione o modello culturale basato sull'esclusione o su una pena che finisce per alterare profondamente la percezione del tempo, dello spazio e delle relazioni. A mio avviso, la strada da seguire non é quella della critica passiva sul fallimento del carcere come luogo di rieducazione e di recupero, è invece pressante sensibilizzare la società civile sul problema del rapporto tra pena e carcere, allo scopo di far crescere in tutti ( detenuti e cittadini ) una coscienza civile. Per questo passaggio é indispensabile un profondo e obiettivo ripensamento culturale sulle funzioni e sulla validità del carcere, sul ruolo della pena, partendo dalla dignità della persona, dalle sue capacità e risorse. Da questa constatazione sono partito, dapprima per fare chiarezza, poi per addivenire a una scelta. " Capire é lo scarto che fa vedere le cose in modo differente e più completo che in precedenza". Questi passaggi sono la risultanza di concetti quali “riesame del passato e mutamento interiore” e inoltre sfociano nel passaggio conclusivo di una “nuova condotta sociale”. Ne ho un’ulteriore conferma in questa Casa del Giovane dove sono giunto felice ed entusiasta, in questa identità collettiva, nel senso di appartenenza, che esprime la definizione interattiva e condivisa che più soggetti producono circa gli orientamenti dell'azione e il campo di opportunità in cui essa si colloca. Interattiva e condivisa significa costruita e negoziata attraverso un processo ripetuto di attivazione delle relazioni che ci legano, per addivenire a un "noi" che ci tiene uniti, e che non dipende solo dalla logica del calcolo mezzi-fini, ma é strettamente legata alla relazione che intercorre tra noi e il significato dell'essere insieme, nella pluralità degli orientamenti e dell'altro, nel rapporto con l'ambiente che ci consente di elaborare aspettative, valutare le opportunità e i limiti delle nostre azioni rivolte a uno scopo comune. In questo modo diviene possibile pensare e confrontare prima che agire, tanto da permettere di fare delle scelte e di muoversi  conseguentemente. In carcere è la costrizione che impone il tempo, mentre occorrerebbe  inserire una linea mediana a misura di uomo, negli impegni e nella pazienza, basata sulla capacità di ricondurre all'ambito della nostra progettualità ciò che siamo costretti a subire. Si parla spesso di tecniche e discipline correttive, di interventi appropriati e aspetti pedagogici innovativi. So di esser tra gli ultimi degli uomini e chiaramente lontano da qualsivoglia saccenza, ma mi chiedo se quanto sopraesposto non abbia anche un indirizzo preventivo o possa assumere, seppur con tutti i limiti del caso, un mezzo e un tramite per comportamenti e gestualità che aiutano a fare prevenzione in riferimento alle problematiche della criminalità anche giovanile, della devianza e della tossicodipendenza, confidando appunto anche nel vissuto e sulla testimonianza del detenuto. "L'esperienza é la somma degli errori di una vita". Forse, con umiltà e in punta di piedi, anche dall'interno di una cella può nascere una riflessione che divenga un'ipotesi di lavoro su cui tutti impegnarci.


Progetto Sorriso - Salvador

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.

 
@ @ @   FINE   @ @ @

HOME PAGE