29/10/01 - San Pietro in Cariano (VR) - Settimana della letteratura dominicana/2
29/10/01 - Verona - Chiesa e globalizzazione
Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Unità delle chiese e globalizzazione». Relatore: don Mario Aldighieri (pastorale migranti - Cremona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.
30/10/01 - Colognola ai Colli (VR) - Incontro sulla globalizzazione
30/10/01 - Verona - Settimana della letteratura dominicana/3
Ore 10.30. Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero incontrano gli studenti dell’Istituto Tecnico “Marco Polo” di Verona. Ore 12.30: conferenza stampa alla Libreria Rinascita, Corso Porta Borsari, 32 (per informazioni: tel. 045 594611) per il lancio della collana “Alfabeti”, con l’editore Pierluigi Perosini e gli autori Ángela Hernández Núñez e Rafael García Romero.
11/11/01 - Cà Fornelletti, Valeggio sul Mincio (VR) - Banca Etica
Domenica 11 novembre, dalle ore 10.00 si terrà a Cà Fornelletti
(Valeggio sul Mincio) un incontro sul tema:"NUOVI STILI DI VITA: I
PERCHÉ DELLA BANCA ETICA". L'appuntamento è aperto a tutti. Organizzazione:
"Gruppo Brasile '98"
11/11/01 - Pian
Cansiglio - 14° raduno alpinisti ed ambientalisti
Programma. Ore 10.00 – 10.30 - Raduno in località La Crosetta - all’inizio della Foresta per chi proviene da Vittorio Veneto. Si consiglia di lasciare l'automobile in Pian Cansiglio, nei parcheggi del ristorante "La Genziana" e del Rifugio Sant'Osvaldo. Ore 10.30 - Partenza da La Crosetta, davanti alla Casa Forestale, ed imbocco, dopo qualche centinaio di metri, della strada forestale verso la Candaglia. Percorsi circa due chilometri si imbocca il sentiero a sinistra, indicato da un cartello in legno "strada dei Slipari"; un vecchio sentiero recuperato dai forestali del Friuli-Venezia Giulia, che attraversa un bellissimo bosco di faggio, abete rosso e abete bianco, in un ambiente carsico con rocce modellate ricoperte di muschi e licheni. Dopo circa un chilometro, il sentiero si innesta sul sentiero naturalistico "O" in Val Palazzo che ci porta rapidamente sulla strada, prima sterrata, poi asfaltata, di fianco al campo da golf e nei pressi del "bus de la lum". Da qui si raggiunge la Statale 422, in centro al Pian Consiglio; ore 12 - Raduno sul prato tra il rifugio Sant'Osvaldo e i ruderi della Caserma Bianchin, per pranzo al sacco e brevi interventi sui temi del raduno. Chi ritorna al punto di partenza a piedi, può seguire i sentieri naturalistici M-N, attraverso Le Code, Lame dei Negadi, I Bech. Ore 14.30 - Incontro presso il Centro di educazione ambientale Vallorch di Veneto Agricoltura per un dibattito sulle seguenti proposte: L’istituzione, in occasione del 2002, anno internazionale della Montagna, di un'area protetta nella Foresta regionale del Consiglio; L’individuazione, come proposto dalle associazioni ambientaliste, di una Riserva Naturale Regionale, come prima tappa verso un' eventuale area protetta più vasta, che coinvolga la Regione Friuli V. G., i Comuni e le Comunità Montane contigue; La costituzione di un coordinamento gestionale con la Regione Friuli V.G., che possa portare, in futuro, o alla creazione di un'area protetta confinante, oppure ad un'unica gestione; La restituzione, da parte del Ministero della Difesa, dopo anni di rinvii, dell'area della Caserma Bianchin al demanio regionale, sventando il tentativo di inserirla nell'elenco dei beni da alienare, con il conseguente pericolo di speculazione. Organizzazione: CAI Veneto e Friuli Venezia- Giulia, WWF Veneto e Friuli V. G., Legambiente Friuli V. G., Mountain Wilderness, Ecoistituto del Veneto "A. Langer". Per informazioni: Ecoistituto del Veneto Alex Langer 041.935666 dalle 17 alle 18 da lunedì a venerdì; Toio de Savorgnani 0438.581989
19/11/01 - Verona - Contro la violenza
Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «Un decennio contro la violenza». Relatore: don Letizia Tommasone (pastora valdese - Verona). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.
dal 23 al 30/11/01 - Verona - XXI Rassegna Cinema Africano
05/12/01 Giornata nazionale del Volontariato
10/12/01 - Verona - Spiritualità ebraica
Il Segretariato attività ecumeniche di Verona organizza un incontro sul tema «I doni della spiritualità ebraica». Relatore: Amos Luzzato (presidente comunità ebraiche - Venezia). L'incontro si terrà presso la sala convegni Cariverona, via Garibaldi 2, con inizio alle ore 20,45.
in primo piano
Case famiglia di pronto soccorso - Sono case-famiglia per l’accoglienza immediata dei bambini segnalati al centro di ascolto o di bambini trovati in strada.
Gruppi di sostegno ed autosviluppo - In questi gruppi le madri di famiglia che hanno già accolto bambini orfani, possono discutere insieme riguardo ai problemi che incontrano con questi bambini toccati dal trauma della perdita dei genitori. Possono inoltre parlare dei problemi concreti che devono affrontare dovendo mantenere una famiglia più numerosa di quella che avevano in precedenza. (di solito già discretamente numerosa).
Micro credito - Ogni famiglia partecipa ad un corso di formazione, della durata di due settimane, per imparare la gestione di piccole attività economiche. Ogni corso prevede una parte teorica , una parte pratica e una parte informativa. Alla fine del corso, ogni partecipante, con l’aiuto degli insegnanti, prepara un preventivo di spesa per l’attuazione della attività economica scelta. Viene erogato il capitale iniziale necessario per l’attuazione della piccola attività economica scelta. Il denaro viene dato sotto forma di prestito, senza interessi e con particolari condizioni per la restituzione. La scelta di non imporre interessi sul prestito deriva dal fatto che il micro-credito viene utilizzato come tentativo di alternativa all’assistenza pura e come opera di sostegno a famiglie che vivono in uno stato di estrema difficoltà. Quando il capitale iniziale viene erogato alle famiglie, inizia un periodo, della durata indicativa di tre mesi, durante il quale le famiglie ricevono un supporto di tipo assistenziale in termini principalmente di cibo ed educazione.
Supporto per la scuola - Per i bambini che non
riescono ad essere ammessi alle scuole ordinarie. Si possono
prevedere diversi tipi di supporto:
pagamento delle tasse scolastiche;
richiesta di esenzione dalle tasse scolastiche per i bambini orfani;
pagamento del salario di insegnanti aggiunti che possano insegnare nella scuola
ordinaria;
apertura di scuole private (community schools) laddove non ci sia nessuna
possibilità di mandare I bambini nelle scuole ordinarie. Queste scuole
potrebbero anche prevedere la creazione di laboratori per l’apprendimento di
professionalità quali: agricoltura, meccanica, taglio e cucito, carpenteria
ecc…
(AFIF TEAM) TEAM PER L’IDENTIFICAZIONE E LA FORMAZIONE DI FAMIGLIE AFFIDATARIE ED ADOTTIVE Per la ricerca, la formazione, ed il sostegno delle famiglie disponibili ad accogliere gli orfani provenienti dalle case di pronto soccorso.
INFO TEAM - per l’azione di sensibilizzazione e di informazione sia a livello dei media che a livello politico.
Ciao (...), in agosto ho finito di analizzare i
training e la parte sulla selezione e formazione dei gruppi, e adesso seguo gli
operatori di Savoir Faire nelle uscite di monitoring and
evaluation nei compounds. Quello che non troverai nella
ricerca sono le sensazioni che ho quando sono in giro a visitare le donne; tra
gli inevitabili insuccessi ci sono però tante storie che rinnovano e rinforzano
la fiducia in quanto si sta facendo. Così capita spesso di rientrare a casa
molto più tardi di quanto programmato, perchè una signora vuole farci vedere
l'orto e la serra di fiori che è riuscita a costruire, un'altra vuole che
vediamo il suo libretto di risparmio (per la prima volta con cifre a 5 zeri, le
rette dei figli non sono più un problema!), un'altra ancora insiste perchè
andiamo a prendere una coca cola nel suo nuovo salotto, comprato l'altro mese.
Scopro che a queste persone è stata data soltanto la possibilità di iniziare,
tutto il resto, (capacità e voglia di fare) ce l'avevano già, e adesso ce la
fanno da sole. Non proprio da sole: molte hanno mille altri progetti in testa ,
e ci spiegano cosa potrebbero realizzare con un secondo prestito, e quindi si
programma insieme altreiniziative, ed è bello vedere persone motivate, che
trasmettono fiducia e positività. Non penso certo che il microcredito sia la
panacea ai mali del terzo mondo, credo però che sia ciò che di più concreto
possiamo fare qui, perchè è qualcosa che parte da qui e che noi ci limitiamo a
"implementare" e, nei limiti, a migliorare. E' giusto indignarsi per
quanto stiamo portando via aggratis da questi posti, per come sono trattati
questi paesi nei consessi internazionali, ma personalmente ricavo più
motivazioni nel vedere fare qualcosa, per quanto poco, piuttosto che piangersi
addosso. Qui l'eco di quanto sta succedendo nel resto del mondo arriva molto
debole, e forse è un'inconscia reazione all'attenzione che prestiamo ai loro
morti: senza bombe nè attentati, qui ne muoiono a milioni, in silenzio, ogni
giorno, quante volte ne sentiamo parlare da noi? Provo pietà per i morti di New
York, un po' meno per il solito spettacolo che vedo sulle nostre televisioni,
che mi sembra sia anche più pericoloso di quanto già atroce è successo.Ci
vediamo a novembre a Rimini, intanto grazie ancora per la disponibilità e
l'aiuto concessomi (gli operatori di Savoir Faire sono in
gambissima!)
Alessandro
MASSMEDIA e TAM TAM vari
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
di p. Gabriele Ferrari (il presente intervento sarà pubblicato sull numero si novembre della rivista "Testimoni" - Dehoniani
Questa guerra, dichiarata silenziosa, speciale, invisibile …(la si chiami come si vuole, sempre guerra è) è diventata uno spartiacque per la storia contemporanea e anche per ciascuno di noi, perché davanti ad essa dobbiamo farci un giudizio, prima di affermare che essa è un mezzo giusto, proporzionato, per rispondere alla sfida del terrorismo. Sono bastate queste due settimane di bombardamenti su Kabul e le altre città per far cadere l’illusione che essa potesse essere, secondo la promessa di Bush, una guerra “limitata”, “circoscritta” e “chirurgica”. Questa guerra, come quella del Golfo, ha già coinvolto altri stati e altre realtà, e si rivela sempre più una guerra globale: lo è per i civili afgani, colpiti “per errore” o insieme a obiettivi militari; lo è per i profughi; per il Pakistan, per Israele e per i palestinesi, per la Nigeria, e lo è infine per l’Occidente che si sente minacciato dalla guerra biologica, la vendetta spietata di Al Qaeda. Lo notiamo anche qui in Italia. Per quanto i ministri della sanità, della difesa e degli interni si susseguano sugli schemi della TV per invitarci a non cadere nel panico, e per quanto tutto sembri normale, sentiamo che normale non è più. Sappiamo che il fronte della guerra è lontano, ma sentiamo che esso è nello stesso tempo vicino a noi, perché questa è una guerra che si combatte tra due mondi e due civiltà. E noi, lo vogliamo o no, siamo in uno dei due. Era quello che temevamo, ed è proprio quello che sta succedendo.
Un’incredibile voglia di guerra
Mi si permetta una constatazione, amara e incredibile. Nel corso dei telegiornali di queste settimane, mi è parso di cogliere un interrogativo, che è insieme preoccupazione: come mai a noi italiani non è chiesto di partecipare alla guerra? I conduttori pongono questa domanda ai loro invitati, agli esperti militari, ai politici, o ai giornalisti. Ma le risposte non li convincono. Il nostro primo ministro, rimasto per alcune settimane in lista d’attesa, è stato finalmente accolto alla Casa Bianca. E’ andato ad offrire tutta la disponibilità delle nostre forze militari, ma pare che sia rientrato con le classiche pive nel sacco…Che cosa dobbiamo fare per essere trattati come gli altri? “Se l’Italia vuol aver voce …” recita il titolo di un articolo apparso su un quotidiano ad alta tiratura lo scorso 15 ottobre u.s. Da dove viene questa smania di guerra?
“Dagli
al pacifista!”
Nello
stesso tempo i giornali filogovernativi criticano senza alcun ritegno coloro che
si dichiarano pacifisti e che osano dirsi in favore della pace, contro la
guerra. Non si attacca il Papa, meno male! ma i pacifisti, i giovani (e meno
giovani) della Marcia Perugia-Assisi, quelli sì, e come! Forse si sperava di
aver una nuova occasione per poter gridare ancora contro i dimostranti no global dello scorso luglio, tacciati
di pseudomoralismo antiamericano(!). Forse (Dio mi perdoni il giudizio temerario
… ma mi pare così ovvio) si sperava di aver l’occasione per menare ancora un po’
le mani e il manganello … Ma non è successo nulla. I soloni della guerra hanno moltiplicato
gli articoli tra l’ironico e il rabbioso sul “pacifismo strumentale” dei cattolici
(pardon, dei cattocomunisti!), su “Le
ambiguità dei pacifisti”. Si sono domandati con intensa partecipazione:“Ma dove sono i bellicisti?”. Da dove
vengono fuori quegli ingrati che osano criticare le scelte di Bush, un
presidente improvvisato che si è trovato al vertice del mondo dopo un’elezione
confusa oltre che rocambolesca, ma che oggi ha in mano i destini del suo paese e
dei nostri.
E’
possibile dissentire?
L’impressione è che oggi non si possa proprio dissentire. Una volta si chiamava questo «portare il cervello all’ammasso». Chi osa farlo è accusato di mancare di rispetto ai morti di Manhattan o alla sofferenza degli americani. Ma nessuno di quelli che dissentono dalla guerra intende giustificare l’orribile e deprecabile tragedia abbattutasi su New York e su Washington: essa è e rimane un crimine da condannare e da sanzionare. Ma la guerra scatenata da Bush era proprio necessaria? Può essere detta giusta? Personalmente non riesco ad accettarla e a giustificarla. Anche a ragionare solo da un punto di vista politico, lasciando fuori ogni valutazione morale di tipo religioso, la guerra non era la soluzione giusta. Che Bush scatenasse la guerra era proprio quello che volevano i terroristi, tanto è vero che il 7 ottobre, a poche ore dall’inizio dei bombardamenti, è stato puntualmente trasmesso il video preparato da Osama Ben Ladden sugli schermi della catena televisiva Al Jazeera. Dichiarando la guerra, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono messi sullo stesso piano dei terroristi, togliendosi dalla posizione di vittime. Non bastano le porzioni alimentari sganciate sull’Afghanistan insieme con le bombe a mascherare un’aggressione che finisce per far danno alla popolazione civile.
Per eliminare le radici del terrorismo
Gli strumenti giusti per colpire i terroristi erano il controllo dei loro imponenti flussi finanziari e del riciclaggio internazionale, l’intelligence, la prevenzione, la vigilanza internazionale, il taglio di ogni complicità, l’isolamento internazionale, ma soprattutto il ricorso alla autorità delle Nazioni Unite, al Tribunale penale internazionale. Invece la guerra, lo possiamo già vedere, sta facendo scoppiare anche altrove nuove guerre interne (v. Nigeria, Pakistan, Indonesia …), e provocherà l’uscita dalla coalizione antiterroristica di paesi islamici moderati, convincendo molti paesi del Terzo Mondo che gli Stati Uniti fanno parte degli oppressori e dei nemici. Tutto questo mentre il most wanted Ben Ladden, l’uomo più ricercato del momento, su cui c’è una altissima taglia, continua a tramare liberamente. Che dovrebbero fare gli Stati Uniti e i loro alleati (noi compresi), se non nell’immediato, quanto meno nel medio termine? Dovrebbero programmare seriamente la risoluzione dei conflitti in corso, soprattutto quello palestinese. Lo ha detto chiaramente il Patriarca latino di Gerusalemme, Mons. Michael Sabbah alla marcia della pace: in questo modo il 90% delle rivendicazioni terroristiche sarebbero state svuotate di contenuto. Dovrebbero cercare di abbattere finalmente il muro di povertà che separa il Sud dal Nord del mondo e che è apparso così chiaro nel corso del G8 di Genova. Non sarà la guerra che potrà risolvere questi problemi. Una guerra non ha mai dato soluzione definitiva ai contenziosi, ma ha solo preparato altre guerre e nuove tensioni. Si deve invece prosciugare il bacino di cultura del terrorismo, bisogna dialogare, bisogna raggiungere degli accordi e dei compromessi e applicarli con la forza del consenso delle nazioni. Se questo valeva in passato, quanto più oggi in presenza di questa guerra nella quale il nemico non si vede, non perché nascosto nelle grotte dell’Afghanistan, ma perché potrebbe essere anche in casa propria, magari nell’appartamento accanto; perché si tratta di un nemico che usa le borsa e i mercati finanziari e ha un esercito internazionale di kamikaze istruiti proprio da coloro che poi ne sono le vittime, che invia le polverine dell’antrace attraverso il servizio postale nazionale.
Si può
ancora parlare di guerra giusta?
Una
volta la guerra poteva essere giusta. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, che
trasmette tutta la tradizione cattolica, ci ricorda quei principi che rendono
possibile una guerra giusta: quando il danno causato dall’aggressore sia
durevole, grave e certo; quando gli altri mezzi si siano rivelati impraticabili
o inefficaci, quando ci siano fondate condizioni di successo; quando il ricorso
alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Queste
condizioni sono applicabili oggi? Forse si potevano applicare alle guerre
tradizionali dove i danni si spartivano tra i due eserciti. Già il
Catechismo degli adulti è molto più restrittivo e ricorda una frase di Giovanni
Paolo II: La guerra è “il mezzo più
barbaro e più inefficace di risolvere i conflitti” (n. 1037)
Oggi non si usano più le armi tradizionali, ma quelle super-sofisticate; oggi
c’è il rischio delle armi nucleari; oggi si lanciano missili dalle portaerei per
colpire un nemico invisibile e spesso si mancano gli obiettivi malgrado la
precisione chirurgica (si ricordi la guerra del Golfo), mentre i danni sono
riversati su popolazioni inermi e innocenti. Pensiamo alle popolazioni
dell’Afghanistan che pagano per Ben Ladden e per i Talebani, degli stranieri
venuti dal Pakistan ad occupare la loro terra… Per ora le vittime, morti e
feriti, sono i civili Afgani, vittime di tre guerre negli ultimi
decenni!
L’esperienza delle ultime guerre mostra che in qualunque tipo di guerra su cento
persone che muoiono sette sono soldati e novantatre sono civili di cui 34
bambini! Oggi la guerra uccide essenzialmente civili indifesi. Può essere
dichiarata giusta una simile guerra? Possiamo giustificarla solo per un dovere
di gratitudine verso gli Stati Uniti che ci hanno liberati dai nazifascisti? Non
bisognerà invece suggerire e praticare altre strade per risolvere i contenziosi
internazionali?
L’opinione
cattolica in Italia
Secondo un sondaggio pubblicato sul n. 40 di Famiglia Cristiana, il 53 % dei cattolici italiani è favorevole all’intervento militare, ma il 68% non lo sarebbe più se questo dovesse provocare vittime tra la popolazione civile. Il Papa il giorno dopo dell’attentato, come in occasione della guerra del Golfo, dopo aver condannato con forza gli attentati, ha alzato la sua voce profetica: "Imploriamo il Signore, perché non prevalga la spirale dell’odio e della violenza" e ha subito chiesto all’ambasciatore degli Stati Uniti di non far prevalere la vendetta e lo spirito di ritorsione. Le stesse cose ha detto di nuovo con molta forza nel messaggio per la giornata dei profughi pubblicato il 18 ottobre u.s. Ma ancora nel corso del viaggio papale in Kazakhstan, il portavoce della Santa Sede, quasi a correggere il papa da possibili malintesi, si è premunito di dire che "il papa non è un pacifista, perché si deve ricordare che in nome della pace si può arrivare anche a terribili ingiustizie”. E ripetendo l’antica teoria della guerra giusta, identificata con la legittima autodifesa, affermava che ci sono casi in cui l’autodifesa può portare alla morte di una persona: “O la gente che ha perpetrato un crimine è in situazione di non più nuocere ulteriormente… o il principio dell’autodifesa si applica con tutte le sue conseguenze". Qualche giorno dopo il presidente dei vescovi italiani, al consiglio permanente della CEI, dichiarava che, fuori di dubbio, esisteva “il diritto, anzi la necessità e il dovere” di combattere il terrorismo internazionale con i suoi promotori e difensori. E questo diritto/dovere doveva essere esercitato “non solo attraverso il ricorso alla forza delle armi – da mantenere sempre il più possibile limitato, senza rappresaglie indiscriminate – ma anche e principalmente adoperandosi per rimuovere le motivazioni e i focolai che alimentano il terrorismo o possono dargli luogo". E’ facile notare in queste due affermazioni che l’antica giustificazione teologica della guerra, proprio al momento di applicarla, mostra il suo limite radicale di fronte al nemico invisibile, perché non si può immaginare di portare la guerra in tutto il mondo, là dove il terrorismo ha "promotori e difensori". Come non vedere nell’applicazione oggi della teoria della guerra giusta una colossale e tragica ipocrisia? Siamo davanti ad una teologia esatta e puntuale sul piano della forma e delle parole, ma che si sfalda immediatamente quando è confrontata, per esempio, alle molte vittime civili, alle folle senza tetto, ai profughi, agli innumerevoli bambini irakeni morti in questi dieci anni a causa delle conseguenze della guerra e dell’embargo ad essa collegato. Una simile teologia (se ancora può attribuirsi questo nome) non è forse una teologia di morte? Una contraddizione.
Per concludere
Per concludere vorrei riassumere in modo chiaro qualche punto di queste riflessioni. 1. Devo oppormi a ogni terrorismo che condanno con tutte le mie forze e devo chiedere che si cerchino, si giudichino e si condannino i responsabili di questi crimini. 2. Ma non posso accettare questa guerra neppure come legittima difesa, posto che in queste condizioni essa diventa un’altra più grave ingiustizia, “il modo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti” che ricade su persone completamente innocenti, un modo che non è proporzionato con il fine che mi prefiggo. 3. Essere per la pace non è essere contro gli americani e in favore dei terroristi. Essere per la pace non significa lasciar impuniti i colpevoli del terrorismo, ma cercare le strade coerenti con il vangelo e con i diritti dell’uomo. 4. Essere per la pace comporta chiedere che l’ONU si attivi e sia ascoltato anche dagli Stati Uniti, usare il Tribunale penale internazionale, cercare di risolvere i conflitti in atto e abbattere le barriere della povertà che oppongono il Sud al Nord del mondo. 5. Cercare la pace, almeno per chi si dice e vuol essere cristiano, è lasciarsi guidare dalla parola di Dio cui ci si appella sempre, a volte anche a sproposito, ma che si evita di chiamare in causa in questi momenti terribili, quando più è necessaria.
"Coraggio:si parli di petrolio e senza falsi
pudori". L'appello è lanciato da Massimo Riva dalle colonne de La
Repubblica. Un po' nascosto nelle pagine dell'economia, senza neanche uno
strillo in prima pagina (che di solito non si nega a uno dei principali
editorialisti del quotidiano di piazza Indipendenza). Ma chiarissimo, nel titolo
e nelle argomentazioni: "La guerra del greggio si fa, ma non si dice". La tesi:
nella presente guerra oltre alla lotta al terrorismo è in ballo il controllo di
un'area cruciale, quella che va dal Kazakistan al mar Rosso e nella quale "è
concentrato il 65/70 per cento delle riserve di greggio del mondo intero". A
questa "grande area islamica" si rivolgono gli appelli di bin Laden e seguaci.
Di questa grande area è suddito (dal punto di vista energetico) il nostro mondo,
la nostra produzione, il nostro consumo. "Se Osama bin Laden o chiunque altro al
suo posto riuscisse a costruire - facendo leva sulla guerra santa contro gli
infedeli - un fronte comune dei popoli e dei regimi che stanno tra il Kazakistan
e il mar Rosso, non l'Opec ma il mercato petrolifero mondiale avrebbe trovato il
suo padrone assoluto. Con conseguenze che è eufemistico definire devastanti per
un'economia planetaria ancora così dipendente dalle forniture di
greggio".
Argomenti ineccepibili. Ma allora perché, si chiede Riva, se ne
parla così poco? Perché "un velo di ipocrisia" avvolge quest'argomento oggi come
lo avvolgeva al tempo della guerra del Golfo? Perché "gli interventisti della
sinistra evitano di usare l'argomento del petrolio nei loro dibattiti con i
pacifisti" (che invece quell'argomento lo usano eccome, arrivando a conclusioni
opposte a quelle belliche di Riva)? "Forse pesa ancora sulle loro coscienze
l'antico vizio di considerare gli interessi economici come un frutto avvelenato
della logica capitalista"? Rimettiamo i piedi per terra, compagni: la guerra del
greggio si fa e si dice. (il Manifesto, 24/10/01)
L'ansia di sicurezza che cancella i diritti
di Stefano Rodotà
CONFESSO di provare disagio e irritazione di fronte a molti
degli scritti che accompagnano la discussione cominciata con l'attacco alle Twin
Towers. Ma non mi infastidiscono i luoghi comuni che riemergono in situazioni di
emergenza, la retorica del dolore e delle emozioni, i commenti scritti con
l'elmetto. Il disagio mi coglie soprattutto di fronte a scritti che pure
largamente condivido, ma che, per l'autore o il tema affrontato, mi spingono a
chiedere: perché solo adesso? Nelle discussioni di queste settimane, infatti,
non si riflette soltanto la drammaticità d'un tempo nuovo. Compaiono questioni
già note, e fino a ieri neglette; argomenti molte volte svolti, e fino a ieri
considerati improponibili. Sì che si potrebbe essere spinti a concludere che,
invece della radicale discontinuità di cui insistentemente si parla, stiamo
spesso assistendo al ritorno di logiche e temi abbandonati. Il «nulla sarà come
prima» diventa così l'obbligo di liberarsi di pregiudizi che, «prima»,
impedivano di guardare a realtà che già allora esistevano. La pagina bianca
nella quale, dopo l'11 settembre, un mondo impietrito e impaurito sembrava
precipitato, si rivela, invece, piena di segni trascurati per insipienza o
presunzione, e sui quali oggi si è obbligati a tornare.Gli esempi sono ormai
folla. Proclamano la necessità di uno Stato palestinese anche molti che avevano
perseguito o appoggiato politiche, se non ostili a questa soluzione, certo
distaccate e disattente. Preoccupate analisi sulla povertà escono dalla penna di
personaggi che di questo tema s'erano liberati con una scrollata di spalle, che
l'avevano liquidato come retorica «terzomondista». S'invoca la solidarietà,
mentre ieri s'inneggiava ai pamphlets che la dileggiavano. L'intervento pubblico
nell'economia viene invocato da sacerdoti dello Stato minimo e del liberismo
estremo, e si riscoprono le virtù di quell'intervento non solo per fronteggiare
situazioni di emergenza, ma come strumento indispensabile per regolare un ciclo
economico negativo che le sole forze del mercato non sono in grado di
correggere.
Chi pensa che questa diversa linea corrisponda meglio alle
necessità del mondo dovrebbe dichiararsi soddisfatto. Faccio volentieri questa
dichiarazione. Ma devo subito dopo interrogarmi sulla consistenza culturale e
sulla tenuta politica di questo rovesciamento di posizioni. A guardar bene,
taluni mutamenti erano cominciati già al tempo del G8 di Genova. Viviamo dunque
in un mondo in cui, per aprire gli occhi sulla realtà, è necessario subire un
trauma? Analizzando le conseguenze dell'«economia della paura», Paul Krugman ha
sottolineato che l'attacco terroristico renderà possibili negli Stati Uniti
interventi antirecessivi pubblici fino a ieri impensabili per la mancanza delle
condizioni «politiche». Ma questo passare dalla congiuntura alle condizioni
generali di funzionamento del sistema vuol dire che, insieme alle Twin Towers,
sono crollati molti dei modelli interpretativi che nel decennio passato hanno
orientato le dinamiche politiche, economiche, sociali. Oggi è indispensabile
valutare quali altri modelli siano adeguati ai tempi che dovremo vivere.
Sovrastati dalla tragedia della guerra, rischiamo di imporci una moratoria della
riflessione sul futuro. Penso, invece, che rimanga attuale l'esempio di Lord
Beveridge il quale, mentre le V2 tedesche cadevano su Londra, fiduciosamente
scriveva il piano che avrebbe portato il suo nome e fondato il Welfare State.
Ripartiamo dalla globalizzazione che qualcuno dà per sepolta proprio nel momento
in cui il mondo si scopre unificato come mai era stato prima, visto che in ogni
angolo del pianeta decisioni politiche, reazioni sociali, pulsioni esistenziali
hanno i medesimi punti di riferimento, e si sviluppano partendo dalle stesse
immagini che ci inviano le televisioni d'ogni paese. Chi ragiona in termini di
fine della globalizzazione probabilmente ha ancora davanti agli occhi solo il
modello della globalizzazione attraverso i mercati, che s'era voluto imporre
come l'unico possibile. Ma proprio perché questo modello subisce i contraccolpi
della nuova situazione, siamo obbligati a riconoscere che l'unificazione del
mondo segue anche altre strade. Per la verità, avremmo dovuto accorgercene anche
prima. Da tempo si sottolineava che, accanto alla globalizzazione attraverso il
mercato, si scorgeva il modello della globalizzazione attraverso i diritti. Oggi
si riconosce l'insufficienza analitica del primo modello, il suo essere fonte di
conflitti non risolvibili al suo interno, e si accetta il confronto con l'altro.
Si rende così più evidente l'esistenza di un potere doppiamente «asimmetrico»,
visto che il governo del mondo aveva finito con l'essere affidato ad un'unica
superpotenza e al sistema delle imprese transnazionali, con un evidente deficit
di democrazia ed una caduta di legittimazione di questi «governanti». Diventa
così ineludibile il tema del modello di governo democratico del mondo.
Ma i
neofiti della globalizzazione attraverso i diritti compiono la loro conversione
in un momento scomodo. Non solo l'accettazione di quel modello implica che il
valore di riferimento divenga il rispetto dei diritti fondamentali, e non più la
sola logica di mercato. Rende anche più difficile affrontare il tema della
guerra secondo gli schemi tradizionali, dunque senza attribuire un valore
primario ai diritti di tutti coloro i quali possono essere vittime di azioni
militari. E impone di guardare in modo meno sbrigativo alla questione dei
rapporti tra libertà e sicurezza. Su questa tema bisognerà tornare perché la
costruzione della democrazia è sempre stata legata all'espandersi delle libertà
- dall'habeas corpus al diritto al silenzio dell'accusato, all'inviolabilità dei
diritti fondamentali. Le democrazie non possono conoscere sospensioni delle
garanzie costituzionali. Il bilanciamento tra valori può variare storicamente,
ma esige sempre garanzie adeguate. E poiché si fanno continui riferimenti alle
reazioni dell'opinione pubblica americana citando l'altissima percentuale della
popolazione disposta ad accettare limitazioni dei diritti, vorrei ricordare che
vi è una parte di quei sondaggi, taciuta nelle nostre cronache, che mostra come
gli interpellati, con percentuali persino più alte, esigano garanzie per
limitare nel tempo le restrizioni e controllare chi eserciterà i nuovi poteri.
Le nostre discussioni rischiano d'essere inquinate da disinformazione. Si
dovrebbe sapere che negli Stati Uniti non esistono documenti d'identità, fino a
ieri non v'era nulla di paragonabile ad un ministero dell'Interno, i giudici
autorizzavano solo il cinque per cento delle intercettazioni richieste dalla
magistratura. Quali travisamenti può determinare una discussione americana
trasferita in un'Europa dalle condizioni istituzionali quasi del tutto opposte?
Si prospetta un'ingannevole ricetta: «meno privacy, più sicurezza». La formula è
doppiamente ingannevole. Sul piano pratico, perché vi sono situazioni in cui
solo una maggior tutela della privacy individuale può far crescere la sicurezza
collettiva. Basta pensare alle liste dei passeggeri degli aerei, oggi
accessibili per moltissimi soggetti, e che possono fornire informazioni preziose
ai terroristi, sia indicando chi viaggia, sia svelando dati apparentemente
innocui come le abitudini alimentari dei passeggeri che hanno richiesto un pasto
speciale, e che possono rivelare che su quel volo si trova un gruppo di ebrei
ortodossi.
Sul piano dei princìpi, il riferimento alla privacy induce a
pensare che si tratti di poca cosa, di modesti sacrifici. E invece così non è,
perché dietro quella parola si scorgono libertà essenziali del nostro tempo: le
forme della comunicazione, le nuove possibilità di discriminazione, la
costruzione stessa della personalità. La privacy, in questo suo più ricco
significato, costituisce ormai un elemento essenziale della cittadinanza della
nostra epoca, della «cittadinanza elettronica». Bisogna diffidare dell'argomento
di chi sottolinea come il cittadino probo non abbia nulla da temere dalla
conoscenza delle informazioni che lo riguardano. «L'uomo di vetro» è una
metafora totalitaria, perché su di essa si basa poi la pretesa dello Stato di
conoscere tutto, anche gli aspetti più intimi della vita dei cittadini,
trasformando automaticamente in «sospetto» chi chieda salvaguardia della vita
privata. (segnalazione di Paolo Veronese)
"Bush ha firmato ieri la legge antiterrorismo, approvata giovedì sera dal Senato con 98 voti a favore e un solo contrario, e soprannominata pomposamente «legge del patriottismo americano». "Criticato dalle associazioni per la difesa dei diritti civili, che temono "anni di piombo" anche negli Stati Uniti, il provvedimento rafforza enormemente i poteri della polizia e del Fbi. "Gli stranieri potranno essere detenuti per sette giorni senza motivazione". (La Repubblica, 27-10-01).
"La legge amplia i poteri della polizia in tema di intercettazioni telefoniche, spionaggio della posta elettronica e controllo dell'uso di Internet, oltre ad aumentare i controlli alle frontiere, istituire reati equivalenti ai nostri «associazione sovversiva» e «fiancheggiamento» ed estendere la detenzione preventiva senza accuse fino a sette giorni (Bush l'aveva chiesta a tempo indefinito). (Il Manifesto, 27-10-01).
"... il giro di vite legislativo ha sollevato preoccupazioni sulle potenziali violazioni dei diritti civili e della Costituzione. "L'unico senatore a votare contro la legge, il democratico Russ Feingold, ha accusato la nuova legislazione di ampliare eccessivamente i poteri di perquisizione e di arresto senza espliciti collegamenti con sospette attività terroristiche" (IlSole24ore,27-10-01). Gli immigrati sospettati di legami terroristici potranno essere detenuti fino a sette giorni senza la formulazione di accuse; e la legge, "in alcune circostanze, concede proroghe per periodi di sei mesi"(IlSole24ore, 27-10-01).
di Alex Zanotelli
La Comunità dei
frati minori di San Bernardino,
L'associazione "La Fraternità" di Verona, La Ronda della Carità invitano tutti gli interessati a: Proposta formativa per
gruppi e volontari che si occupano di persone
senza tetto. Gli incontri si terranno
di venerdì dalle ore 18.00 alle 19.30 presso: sala conferenze del
convento di San Bernardino in via A. Provolo 28 ; cappella San Francesco
della chiesa di San Bernardino
l'ascolto della parola di Dio . Con il seguente
programma:
Data |
Relatore |
Argomento |
|
|
|
02/11/2001 |
Sergio
Pighi |
Le regole della
convivenza |
16/11/2001 |
Frati di San
Bernardino |
Ascolto della parola
di Dio |
30/11/2001 |
Maurizio
Zanon |
Il lavoro in gruppo
(ore 19.00 - 20.30) |
18/01/2002 |
Jeanne Piere
Piessou |
La condizione dello
straniero irregolare |
08/02/2002 |
Renzo
Fior |
L’accoglienza |
15/03/2002 |
Frati di San
Bernardino |
Ascolto della parola
di Dio |
05/04/2002 |
Valeria
Marchesini |
La situazione dei SFD
e le risposte dei veronesi |
19/04/2002 |
Frà Federico
Righetti |
La carità
evangelica |
IL 9 NOVEMBRE SIA SCIOPERO GENERALE
L’annichilimento che ha preso il corpo sociale dopo gli attentati dell’11 settembre sta lentamente scemando. Con molta fatica nei luoghi di lavoro la discussione si sta facendo più attenta, meno schiacciata dalle terribili immagini delle Twin Towers. Cresce la consapevolezza che l’avversario di classe, sta approfittando della guerra e dell’orrore per affondare i suoi denti nelle carni del corpo sociale. La finanziaria di guerra, proposta dal governo dei ricchi rafforza certamente il legame stretto tra il no alla guerra e l’ostinata difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori. L’attacco, violentissimo, che il governo e i padroni stanno portando al mondo del lavoro è null’altro che la conseguenza delle scelte del G8, quel G8 che in centinaia di migliaia abbiamo contestato a Genova e che ha segnato l’inizio di una fase di repressione propedeutica alla criminalizzazione di tutti coloro che osassero contestare ieri il G8 oggi la guerra, il WTO, la finanziaria. Lo scenario che si propone al mondo del lavoro è davvero terribile. Si combatte una guerra- che sta mietendo centinaia, forse migliaia di vittime civili in Afghanistan che si vanno a sommare a quelle di New York - che serve agli Stati Uniti a ridisegnare il proprio ruolo e la propria collocazione geopolitica nell’Asia del petrolio, del gas e dei corridoi in cui passano. Che nulla ha a che vedere con la ricerca e la punizione dei colpevoli della strage dell’11 settembre quanto piuttosto a provare ad utilizzare il vecchio ma collaudato metodo della guerra e quindi dell’economia di guerra per uscire da una recessione e una crisi economica molto simile a quella del ’29. Crolli di borsa che coinvolgono i piccoli risparmiatori, licenziamenti di massa a partire dalle compagnie aeree di tutto il mondo ma che stanno già aggredendo i settori del turismo e delle assicurazioni, cassa integrazione sono solo le prime avvisaglie del costo sociale di questa guerra. La finanziaria per il 2002 si inserisce perfettamente in questo quadro. Privatizzazioni ed esternalizzazioni di pezzi fondamentali delle tutele dei cittadini, scippo dei patrimoni immobiliari degli enti previdenziali che, con la scusa di sottrarli alla speculazione, vera, delle cooperative, vengono regalati alla speculazione finanziaria, definitivo smantellamento della previdenza pubblica, della scuola, della sanità che dovranno lasciare il passo al modernismo del privato, sgretolamento progressivo ed inarrestabile della funzione della pubblica amministrazione intesa come elemento di garanzia dei diritti uguali per tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, blocco per l’intero 2002 di qualsiasi assunzione, che non sia flessibile, interinale, a tempo ecc., nella pubblica amministrazione con buona pace di centinaia di migliaia di LSU e precari a vario titolo che da anni lavorano in nero negli uffici pubblici, attacco frontale all’autonomia negoziale delle parti nei contratti di secondo livello e stanziamenti da “pane e salame” per i contratti pubblici. Scomparse le decantate riduzioni delle aliquote IRPEF, si riducono gli stanziamenti per gli Enti Locali che dovranno pertanto inevitabilmente ricorrere a nuove tasse e gabelle locali. A questo poi si aggiunge il tentativo del governo, attraverso il Libro bianco di Maroni, di destrutturare e deregolamentare definitivamente il quadro delle tutele del lavoro, già pesantemente compromesse dalla suicida riforma “federalista” attuata dagli apprendisti stregoni del centro sinistra. Ci sono, ci sembra, mille buoni motivi per affrontare subito e con un momento generale di lotta le questioni che la fase ci pone davanti. Scegliere, di nuovo, di affrontarle separati, categorialmente, pensando che sia giusto, nella fase mutata, lavorare a strappare pezzettini di garanzie in più per il proprio settore nascondendo e nascondendosi così la realtà, ci sembra infantile, inconcludente e, ci si lasci dire, di “segno moderato”. E’ ipotizzabile che i lavoratori della sanità siano oggi da soli in grado di respingere il Patto di stabilità del sistema sanitario varato dal governo e che taglia 50.000 posti letto e 30.000 posti di lavoro? E’ ragionevole ipotizzare per i lavoratori del trasporto aereo una capacità categoriale di lotta tale da impedire i licenziamenti? Qualcuno può pensare che spetti ai lavoratori dell’INAIL o dell’ISTAT dare battaglia contro la privatizzazione di questi enti che, si badi bene, si occupano di tutela degli infortuni sul lavoro e di ricerca scientifica e non di pizza e fichi? Riteniamo che compito delle organizzazioni sindacali oggi sia quello di costruire il più vasto e forte movimento di risposta su questi terreni che sono strettamente intrecciati con la critica di massa alla guerra. Vogliamo dire con franchezza che riteniamo legittimi tutti gli scioperi che attraverseranno queste prossime settimane, così come francamente vogliamo dire che uno sciopero della scuola che affronti il “suo” pezzo di finanziaria, o quello della fiom che rivendica una piattaforma tutta interna alle compatibilità del 23 luglio, o gli appelli all’unità con quella sinistra sindacale che ancora una volta sta dimostrando tutta la sua subalternità alle scelte concertative, tutt’oggi rivendicate da Cgil, Cisl e Uil, ci sembrano un po’ poca cosa di fronte alla pesantezza dell’attacco e alla drammaticità degli scenari di guerra. Non c’è da parte nostra, come pure qualcuno lascia affiorare tra le righe dei tanti articoli pubblicati in questi giorni, voglia di egemonia o di piegare altri alle nostre scelte e alle nostre esigenze. La scelta del 9 novembre ci sembra corretta sia rispetto all’avvio della discussione al Senato sulla Legge finanziaria, sia rispetto all’escalation della guerra e all’appuntamento, che non abbiamo dimenticato, del WTO. C’è invece sicuramente la consapevolezza della necessità di una risposta alta e unitaria che abbiamo proposto a tutti ricevendo in cambio la conferma degli scioperi categoriali e proposte di nuovi scioperi generali, turandosi il naso sui compagni di viaggio, da tenersi nella seconda metà di novembre o a dicembre. Gli scioperi non sono come le ciliegie, una tira l’altra, soprattutto in una fase delicata come questa. Se ce ne saranno le condizioni politiche e la comprensione dei lavoratori non ci tireremo certo indietro, oggi ci sentiamo però di rilanciare l’invito a tutti perché il 9 novembre diventi una grande giornata di lotta con lo sciopero generale e la manifestazione nazionale a Roma - alla vigilia tra l’altro della parata guerrafondaia indetta da Berlusconi per il 10 - che vorremmo fosse fatta propria da tutti coloro che sono contro la guerra, la finanziaria, lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. CANAVESI RENZO (SLAI-COBAS), LEONARDI PIERPAOLO (RDB), TIBONI PIERGIORGIO (CUB)
ASSOCIAZIONE PROGETTI ALTERNATIVI
E' ATTIVO IL SITO www.paea.it DELL'ASSOCIAZIONE PAEA - PROGETTI ALTERNATIVI PER L'ENERGIA E L'AMBIENTE.TEMI TRATTATI DAL SITO : INFORMAZIONI SULL'ASSOCIAZIONE E SULLE SUE ATTIVITA', LA MOSTRA ITINERANTE, "CASA ECO-LOGICA", IL CENTRO "SOLARIA" SULLE TECNOLOGIE ALTERNATIVE, E LA PERMACOLTURA, DIDATTICA AMBIENTALE, FITODEPURAZIONE, BIOEDILIZIA E CASE PASSIVE, RISPARMIO ENERGETICO E IDRICO, ENERGIE RINNOVABILI, CENTRI EUROPEI SULLE TECNOLOGIE ALTERNATIVE, DOCUMENTAZIONE.
SOAVE: «IL CERCHIO MAGICO»
Come abbiam già comunicato, nei giorni scorsi è iniziata l'attività del «Cerchio Megico», l'associazione di Soave che promuove varie attività con e per i bambini. La manifestazione di inaugurazione ha visto la partecipazione attiva di tanti bambini e bambine e di numerosi adulti: un segno chiaro della forte richiesta di vivere tempi e spazi da dedicare alla creatività e alla libera espressione per una migliore qualità della vita di tutti noi. «In questi giorni siamo felici di comunicarvi l'uscita del cd-rom: "Sogno Soave di piccolo segno" una favola a capriole tra fantasia e realtà, raccontata dai bambini di una classe della Scuola Elementare anche grazie al nostro apporto» spiegano le promotrici dell'iniziativa.Chi è interessato alla visione del cd, o vuol prendere contatto con il Cerchio Magico, contatti lbertinato@mbservice.it
Un referendum per la legalità
La legge
sulle rogatorie, anziché ratificare un trattato con la Confederazione Elvetica,
teso a rendere più rapida,
efficace, semplice, la collaborazione giudiziaria tra i due Stati nella
lotta contro il crimine, soprattutto dei "colletti bianchi", vanifica di fatto
l'acquisizione di prove che riguardano migliaia di processi (per corruzione,
riciclaggio, traffico d'armi, pedofilia, terrorismo…) e per il futuro rende al
limite dell'impraticabile le indagini per rogatoria. Un regalo alla
delinquenza, un rifiuto a
globalizzare la lotta contro il crimine, che spinge l'Italia ai margini del
mondo occidentale. Questa legge indegna, e oltretutto "pasticciata", ha l'unico
effetto di garantire nuove prescrizioni,
e dunque ulteriori impunità, agli amici di Berlusconi e a Berlusconi
medesimo. Un referendum è dunque necessario per abrogare tanta inciviltà
giuridica. Un referendum che veda protagonista la società civile e non si riduca
perciò a un mero scontro fra schieramenti di partito. Come cittadini, questo è
il minimo che dobbiamo fare.
Roberto
Benigni, Andrea Camilleri, Paolo Flores d'Arcais, Dario Fo, Alessandro Galante
Garrone, Rita Levi Montalcini, Dacia Maraini, Federico Orlando, Alessandro
Pizzorusso, Franca Rame, Pietro Scoppola, Paolo Sylos Labini, Antonio
Tabucchi
Chi intende aderire può farlo tramite l'e-mail di «MicroMega» (micromegaforum@katamail.com) o delle riviste «Il ponte», diretta da Marcello Rossi, e «Critica liberale», diretta da Enzo Marzo (ilponteed@iol.it md1736@mclink.it).
C'è una congiura buonista su Verona?
Qualcuno si ricorda del famigerato caso Marsiglia? Qualcuno si ricorda dei cori e dei bu-bu allo stadio Bentegodi? Qualcuno si ricorda delle polemiche nazionali su Verona città razzista? Qualcuno si ricorda dei cattolici tradizionalisti, delle loro pasque veronesi e messe in latino? Qualcuno si ricorda della campagna di boicottaggio del canone Rai annunciata (e mai portata avanti) dal Sindaco Sironi? Allora si diceva che era in atto una congiura (ordita a Roma, con sede in Viale Mazzini e ramificazioni in tutte le redazioni dei quotidiani) contro la nostra città, vittima innocente di invidia e cattiveria altrui. Tanta acqua è passata sotto i ponti dell’Adige, ma Verona è ancora sulle prime pagine di tutti i quotidiani e al centro di molti servizi Rai. Questa volta , però, i capi della congiura sono diventati buoni. Forse si tratta di uno degli effetti collaterali del tragico 11 settembre. Tutti parlano bene di Verona, e di quel suo quartiere che si chiama Chievo. Verona, la città con due squadre modello. Verona, la città di provincia che ha una squadra con scudetto e l’altra capolista. Chievo-Verona, la squadra di quartiere i cui giocatori, tutti insieme, costano come le gambe di un VIP della Juve. Miracolo Chievo. Miracolo Hellas. Ma anche miracolo Verona. Il frate-Vescovo convoca i capi di tutte le religioni per una comune preghiera per la pace; in piazza Brà non riecheggiano più gli slogan nazisti di Forza Nuova, ma si sente solo il mantra buddhista e la nenia ebraica; sul Liston non arriva più l’eco dei proclami della Rosa dei Venti, ma solo quello di letture coraniche e bibliche; scout in divisa e ragazzi di parrocchia hanno rubato la scena a gay e centri sociali.Nei servizi della Rai il bar della Pantalona ha preso il posto dei covi di naziskin; il torototela viene cercato e intervistato come una volta si faceva con Amos Spiazzi. Le dirette tivù non sono più affidate a Michele Santoro, ma a Sandro Ciotti. Verona la nera è diventata gialloblù. Verona bigotta è diventata ecumenica. La congiura è morta; viva la congiura. (Alberto Tomiolo - Candidato Sindaco di Verona)
Dov'è finito il PRG di Verona?
Dopo l’ultimo Consiglio Comunale (Verona, ndr) di luglio la maggioranza aveva ribadito ancora una volta la volontà di concludere la legislatura approvando il nuovo PRG. L’estate è passata ed il Consiglio Comunale ha ripreso a riunirsi dopo la metà di settembre. La maggioranza ha però imposto la discussione su una delibera che modifica il regolamento; e dopo un mese di riunioni, che si sono concluse miseramente con la mancanza del numero legale, del dibattito sul PRG non si vede nemmeno l’ombra. I prossimi tre Consigli Comunali, programmati per i giorni 25, 26 e 31 ottobre non vedono all’ordine del giorno il punto sul Piano Regolatore. Durante l’ultima seduta dell’Ufficio di Presidenza che, a maggioranza, decide l’ordine dei lavori, ho chiesto che fine abbia fatto il Piano Regolatore; ho chiesto anche che il Sindaco e l’Assessore competente vengano alla prossima riunione dei capigruppo a riferire le loro intenzioni sul Piano. Mi è stato risposto con qualche risatina… come per dire “ecco il solito ingenuo che non ha capito i giochi della politica…”. Io non so quali siano questi giochi della politica, ma so che per mesi e mesi il Sindaco e la maggioranza hanno posto come punto qualificante di questa legislatura l’approvazione del PRG; so che l’ordine degli ingegneri e l’associazione dei costruttori hanno detto che senza il nuovo PRG la città resta ferma; so che vari gruppi di potere, in assenza di un Piano definito, stanno spingendo per far approvare varianti su varianti e ottenere nuove lottizzazioni a macchia di leopardo. Cemento che cola su Verona senza una visione unica, senza una regola, senza una programmazione. Qual è la verità? La maggioranza che guida questa Amministrazione, vuole o non vuole il Piano Regolatore? I voti per approvarlo in fretta ce li hanno: perché non li usano? Oppure, si preferisce “tirare a campare” ancora qualche mese e sfogliare il carciofo foglia dopo foglia con tante varianti che fanno la gioia di piccoli e grandi speculatori? Qualcuno ha il coraggio di dire come stanno le cose? Dov’è finito il Piano Regolatore? Per trovarlo dobbiamo rivolgerci alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” Dobbiamo offrire una taglia a chi lo porterà in Aula, vivo o morto? Se una Amministrazione non riesce (o non vuole) far approvare il PRG, non è meglio che si dimetta e convochi i cittadini a nuove lezioni? Grazie, se qualcuno vorrà rispondermi seriamente, senza risatine… (Mao Valpiana - Capogruppo Verdi della Colomba - Verona)
Circolo della Margherita
Caro amico, il risultato dell’ultima competizione elettorale segnala certamente una nuova attenzione alla vita politica. Un'attenzione che non si sviluppa per i canali tradizionali degli iscritti ai Partiti ma ha notevoli riscontri a livello di elettorato se è vero, come è vero, che il differenziale di voti tra preferenze dei Partiti fondatori e simbolo della margherita è di circa il 30%. Chi è sensibile al futuro del quartiere, della città, della regione e del Paese, sta certamente attraversando un momento delicato e critico, per quanto riguarda il ruolo che, vorrebbe e, forse, dovrà svolgere tra la gente, nelle realtà associative, nelle istituzioni. Dobbiamo decidere più che in fretta quello che vogliamo fare e come fare. Ti scrivo perché so che la Margherita con il suo animo sgombro da pregiudizi e con lo spirito di rappresentare una nuova stagione della politica italiana ti affascina, ma non sai come dire la “tua” e, forse, non credi che questo nuovo soggetto politico possa esprimere, realmente, qualcosa di nuovo. Un film già visto, penserai e non riesco poi a darti torto. Però, permettimi, voglio dirti una cosa: la Margherita, senza di te e altri come te, rischia realmente di avere di nuovo solo il nome ma niente più. Qualcuno scriveva: «La Margherita è una scelta tesa a formare un "cartello" che da soggetto elettorale si vuole trasformare in "nuovo soggetto politico" (con la bacchetta magica), i cui soci fondatori sono quanto rimane di uno stantio "popolarismo" (Sturzo era avanti un bel po’ rispetto ai suoi emuli), i "liberal opportunisti" di Dini e i "ribaltonisti" di Mastella sempre pronti a cambiare casacca. Magari lasciando un pò di spazio (un posto non si rifiuta mai) al doppiogiochista D’Antoni o al "giustizialista" Di Pietro (se ritorna all’ovile). Ma che bella compagnia di riformatori! E’ questa la Margherita che vogliamo? Una compagine rissosa e conservatrice ?». Direi proprio di no, ed è proprio per questo che ti scrivo, la Margherita non vuole delegittimare la cultura politica che contribuì alla costruzione dell’Italia, non vuole gettare via il bambino con l’acqua sporca, ma vuole impedire certamente che apparati preoccupati più della loro sorte che della nazione possano tenere in ostaggio la politica italiana. La Margherita sicuramente trae origine dalla spinta unificante di quattro partiti in crisi, ma con una consapevolezza, quella di non lasciarla crescere con il solo ricorso alle consuetudini dei partiti classici, ma creando un’area politica adatta ad interpretare ed accogliere gli elettori non di partito, i gruppi sociali organizzati, le liste civiche le associazioni, i comitati e i giovani, non solo, dunque, un vestito nuovo, ma una politica nuova con gente nuova. Un gruppo di amici vicino all’associazionismo ha creduto, sin dall’inizio, che la Margherita potesse essere realmente l’ultima grande occasione per il centro del centro- sinistra, per affermare i propri valori e porsi, come una solida seconda gamba, nell’Ulivo e con encomiabile sforzo sta cercando,sin da giugno scorso, di animare il dibattito per tentare di rendere autentico questo processo costituente, che dovrà vedere la nascita di un nuovo partito. Ancora qualcuno scriveva: «Non vogliamo come “Margherita” percorrere la strada del “nuovo” alla moda, più vecchia che mai, dell’attaccamento al potere, senza cultura e consistenza. Non vogliamo essere né sentirsi vuoti, veniamo da culture ricche e tuttora attualissime, come quelle ispirate dalla tradizione liberal democratica, federalista e quella cattolica popolare. proprio dall’incontro di queste culture, dal loro contaminarsi, può rinascere un nuovo umanesimo che concili finalmente economia, mercato, tecnica e umanità. E tutto questo, lo vogliamo ribadire con forza, sotto i venti della guerra, attraverso l’approfondimento culturale, lo spirito di tolleranza, il rispetto reciproco, il dialogo, il confronto , la proposta». E noi aggiungiamo: siamo stufi di sentire leader politici, eletti, segretari di partito tranciare giudizi su bipolarismo e alternanza, finanziamento dei partiti e delle scuole private, la democrazia, il primato della persona sulla politica, la sicurezza, l’ecologia, la tolleranza il lavoro e altro senza verificare come la pensino coloro che hanno la presunzione di rappresentare. Caro amico ti chiedo scusa per essere entrato di prepotenza, con questo mio scritto, in casa tua, ma sulla base di queste considerazioni, insieme ad altri due amici ho deciso di creare un circolo della Margherita, una sfida e un’avventura alla quale ti chiedo di partecipare, e insieme apriremo banchetti sulle piazze, incontreremo la gente, distribuiremo materiale elaborato da gruppi di lavoro su temi di rilevanza sociale, e ancora, insieme, diremo la “nostra” sulla politica locale e nazionale. Riappropriamoci della politica, anche tu hai diritto di dire la “tua” e non solo, su: cultura, educazione e formazione, diritto al benessere, volontariato, federalismo, istituzioni, sicurezza, ambiente, territorio e infrastrutture, mercato globale, giovani. Ti aspettiamo, venerdì 13 novembre alle ore 20,45, presso l’auletta della canonica di San Giovanni Evangelista via del Quadrato 2 Santa Lucia (Verona) per iniziare a “lavorare” insieme e con spirito di servizio, creare qualcosa di nuovo, comunque non mancare anche se sei solamente curioso. Ciao Francesco Roncone, Gustavo Pasquali guspasq@tin.it
«Progetto Sorriso»
è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un
anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle
popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura
di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per
INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per
versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il
conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp
numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo:
località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento:
"Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto
raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano),
incaricato per le operazioni bancarie.
altrePAROLE
Ogni uomo ha per prossimo tutti gli uomini. (Sant'Agostino)
... Ne deriva che la guerra non solo
e' una catastrofe, ma puo' essere
seguita soltanto da una pace che
costituisce in se' una nuova catastrofe. (Simone Weil)
Dal 6 agosto 1945 la liberta' degli
uomini e' cambiata. Ognuno di noi, lo
voglia o no, e' diventato responsabile
dell'uomo. E' responsabile non solo
di se stesso, ma del genere umano.
(Hildgard Goss Mayr)
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