Prima Festa della Rete di
Lilliput
VERONA
CAPACE DI FUTURO
...in cui oltre a presentarci in maniera festosa alla città, vorremmo proporre e discutere insieme le nostre idee, le nostre aspirazioni, i nostri sogni.
Franceschini e Marisa Dolci con laboratori a sorpresa
Sempre aperti gli STAND dei gruppi aderenti alla Rete di Lilliput di Verona. Come arrivare: Corte Molon è in Lungadige Attiraglio, vicino alla Diga del Chievo. N.B. alla domenica il lungadige è riservato a ciclisti e pedoni: in auto dovete percorrere via Mameli dopo l’incrocio con il ponte Saval, seguire le frecce. Informazioni: la segreteria della Rete di Lilliput è aperta ogni martedì dalle ore 17.00 alle ore 19.00 in via Spagna 8 – Telefono 045.8009803
30/09/01 - Soave (VR) - «Nasce il Cerchio magico»
Il Cerchio Magico è un'associazione di servizi educativi e ricreativi che, a partire dal mese in corso, inizia la sua attività in Soave e in vari comuni dell'Est veronese. Essa intende promuovere corsi e laboratori didattici per bambini e adulti, mostre e brevi stages, animazioni e manifestazioni artistiche e culturali volte alla conoscenza e all'utilizzo di varie tecniche espressive: il disegno, la pittura, la scultura, l'incisione e l'uso creativo dei materiali. Al fine di far conoscere ai bambini, genitori, insegnanti, operatori sociali e cittadini le proprie proposte, il Cerchio Magico ha ideato una presentazione un po' insolita, scevra da rituali formali, vicina il più possibile al bisogno dei bambini e delle bambine di incontrarsi, giocare, vivere a contatto diretto con l'ambiente naturale nel rispetto delle persone e delle cose. DOMENICA 30 SETTEMBRE, dalle ore 10,30 alle 18 nel verde di Parco Zanella (Soave) si potrà "entrare" nel Cerchio Magico. Durante la giornata saranno allestiti 3 laboratori (1 - L'albero dei desideri, creazioni con la carta; 2 - Terra, acqua, fuoco, creazioni con la creta; 3 - Il gioco dei colori, creazioni con materie e colore) che consentiranno ai partecipanti di sperimentare piacevolmente, in qualsiasi momento, l'utilizzo creativo della carta, della creta e del colore. Per informazioni: Paola Zinnamosca, tel/fax 045 8904308 - email: paolazin@tiscalinet.it ; Vittoria Scrinzi, 045 7450820; Luciana Bertinato, 045 7681159.
Giovedì 4 ottobre S. Francesco d’Assisi. Per inaugurare la ristrutturazione del tetto e della facciata della Casa per la Nonviolenza (Via Spagna 8, 37123 Verona), facciamo una piccola festa in via Spagna 8 (Quartiere Orti di Spagna). In un momento cupo per l’umanità, mentre la logica della guerra sembra vincere sulle ragioni della pace, vogliamo celebrare la vita dell’uomo e del santo Francesco, figlio di Pietro Bernardone, persuaso della nonviolenza. Gandhi e Capitini guardarono a lui come ad un grande Maestro. Dalle ore 16 alle ore 20 chiusura della strada al traffico. Programma: Ore 16 merenda - Ore 17 riflessione su “San Francesco alle Crociate” – testimonianze - Ore 18 incontro tra amici della nonviolenza: “che fare, oggi?” - Ore 19 aperitivo - Ore 20 cena di autofinanziamento alla Neurosteria. Una piccola festa, basata sulla gratuità, dove ognuno è chiamato a dare ciò che può per costruire insieme la nonviolenza organizzata . Una piccola festa per aiutarci ad esprimere il meglio di noi: compassione, mitezza, tenerezza, amore, umiltà: sono valori francescani universali . Una piccola festa, aperta a tutti gli amici della nonviolenza, per riscoprire le radici profonde e l’anima della cultura occidentale e di quella orientale
…Rispose il Santo: “Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. E’ dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene materiale a questo mondo.” ( Fonti francescane – La Leggenda dei Tre Compagni ). (Movimento Nonviolento - Via Spagna 8, 37123 Verona - tel. 045 8009803 fax 045 8009212 - email: azionenonviolenta@sis.it - sito: www.nonviolenti.org)
Il Gruppo «Consumo Critico» Val d'Illasi e Bilanci di Giustizia organizzano GIOVEDI’ 4 OTTOBRE alle ore 20,30 presso la sala parrocchiale di San Zeno di Colognola ai Colli un incontro – riflessione su «LA VITA, I PENSIERI, GLI SCRITTI» DI DON ALBERTO BENEDETTI SEMPLICE PRETE, STUDIOSO, TESTIMONE DI PROFONDO AMORE ALLA TERRA NELL’ESSENZIALITA’ DELLA VITA QUOTIDIANA. Relatore: ALESSANDRO ANDERLONI autore del libro "IL PRETE DEI CASTAGNARI". "Ama il Creatore. Ama la terra. Lavora gratuitamente, conta su quello che hai e sii povero. Ama qualcuno che non se lo merita...Fai le domande che non hanno risposta. Investi nel millennio. Pianta castagnari. Sostieni che il tuo raccolto principale. E’ la foresta che non hai piantato. E che non vivrai per raccogliere…."
04/10/01 - Sommacampagna (VR) - L'Ulivo: IL FEDERALISMO E LE " AREE METROPOLITANE
Il COMITATO VERONESE PER L'ULIVO invita tutti GIOVEDÌ 4 OTTOBRE ORE 20.30 Presso la Sala Consigliare del COMUNE DI SOMMACAMPAGNA per parlare sul tema: «IL FEDERALISMO E LE " AREE METROPOLITANE" Un'opportunità per lo sviluppo ?». Programma della serata: Ore 20.30 Presentazione del Comitato Veronase dell'Ulivo. Maura Zambon; Ore 20.45 Breve introduzione di ( Gustavo Franchetto Vice P. Regione Veneto); COMUNICAZIONI - ORE 21.00 Federalismo: un processo Democratico ( Sen Luigi Viviani ); Ore 21.30 Il ruolo delle partecipate e i Servizi al Cittadino e alle Imprese (Federico Testa Consigliere d'Amministrazione AGSM). Ore 21.45 i Servizi Sanitari nelle Aree Metropolitane, Dottor Giovanni Butturini; Ore 22.00 le sinergie nel sistema trasportistico e la Riforma del Trasporto Pubblico (Marchi Ferdinando CNA). Ore 22.30 La gestione del Territorio. (Arch. Magagna Claudio). Seguirà un breve dibattito.
5 e 6/10/01 - S.Martino B.A. e Verona - DANZE SACRE DELLE MASCHERE DOGON
DANZE SACRE DELLE MASCHERE DOGON spettacolo della compagnia Awa Dances from Sangha - Mali: 1) Teatro Peroni - San Martino Buon Albergo (VR) Piazza del Popolo - venerdì 5 ottobre 2001- ore 21; 2) Teatro Camploy - Verona - Via Cantarane 32, sabato 6 ottobre 2001- ore 21 - ingresso gratuito - offerta libera. Sabato 6 ottobre ore 16-18, presso atelier/palestra del teatro Camploy : «WORKSHOP DI DANZE E MASCHERE»laboratorio con alcuni danzatori e musicisti Dogon a numero chiuso - iscrizione: £. 50.000. Inoltre, sempre sabato 6 ottobre ore 18 presso il Teatro Camploy, «RITUALITÀ E MITOLOGIA DELLA SOCIETÀ DELLE MASCHERE» seminario introduttivo allo spettacolo con Sekou Dolo, Apam Dolo, Marco Gay, Lelia Pisani, Giulia Valerio. Iscrizione: £. 20.000
07/10/01 - Verona - UNA FESTA DI INCONTRO
I soci e amici di Metis Africa organizzano una giornata
dedicata all' ospitalità, all'incontro, allo scambio in onore degli Awa Dances
del Mali. Sono previste varie attività, al chiuso e all'aperto, e specialità
culinarie Corte Molon- Verona - Lungadige Attiraglio domenica 7 ottobre, dalle
ore 17 fino a tarda sera
Per informazioni e iscrizioni rivolgersi a Rita
Bartolucci - tel. 045 8303266 - e mail: mari.pat@tiscalinet.it
Metis Africa
o.n.l.u.s., con sede a Verona in via S. Felicita 9, è stata fondata per favorire
una cooperazione a specchio con la popolazione dei dogon del Mali, e per
finanziare la costruzione di una scuola elementare e di un centro di salute nel
villaggio di Bodio, vicino a Bandiagara nell' altopiano Dogon. Il progetto è
stato elaborato con O.R.I.S.S. (Organizzazione Interdisciplinare Sviluppo e
Salute).
11/10/01 - San Bonifacio (VR) - Volontari Croce Rossa
La delegazione di San
Bonifacio della Croce Rossa Italiana (CRI) organizza un corso di reclutamento di
volontari del soccorso. Per spiegare l’iniziativa si terrà un incontro pubblico
giovedì 11 ottobre alle ore 20,30 presso la sede della CRI, sita in via Tombole
a San Bonifacio. Per informazioni: tel. 0456102222, lunedì, martedì, mercoledì
dalle ore 20,30 alle 22
12/10/01 - Padova - CONFERENZA REGIONALE VOLONTARIATO GIUSTIZIA DEL VENETO
E' convocato per il giorno 12 ottobre 2001 presso la chiesa Tempio della Pace via Niccolò Tommaseo 47 Padova ( 5 minuti a piedi dalla stazione ferroviaria) alle ore 15,30 fino alle 18,30 il consiglio regionale della conferenza volontariato giustizia con il seguente ordine del giorno: Comunicazioni del responsabile regionale; Valutazione applicazione del Protocollo d'intesa negli istituti di prevenzione e pena del Veneto; Principali problemi e priorità d'intervento negli istituti di prevenzione e pena del Veneto; Programma CRVG 2001-2003; Varie ed eventuali. Auspico una significativa rappresentanza delle varie associazioni che operano in tutti gli istituti di prevenzione e pena del veneto per concentrare l'impegno su obiettivi comuni per una migliore rappresentatività e forza contrattuale. Segnalo il sito www.volontariatogiustizia.it per maggiori informazioni sulla Conferenza Volontariato Giustizia e per reperire documenti. Colgo l'occasione per anticipare alcuni prossimi appuntamenti di cui daremo maggiori dettagli: 25 ott. Riflessioni sul ruolo della persona all'interno del sistema penale, Padova; 26 ott. Giornata di studi sul volontariato penitenziario e Informazione, Due Palazzi Padova; 24/nov. Convegno "Sportelli Giustizia" CSV veneto a Verona. Il responsabile regionale Maurizio Mazzi (Associazione "LA FRATERNITÀ" Via Provolo 28, - 37132 VERONA - tel/fax 045/8004960 - cell. 347 0064001)
14/10/01 - San Bonifacio (VR) - Sul Carega con il CAI
La sezione di San Bonifacio del CAI (Club Alpino
Italiano) organizza per domenica 14 ottobre una escursione sul Gruppo del
Carega, significativamente intitolata «Compostrin, i colori d’autunno». Per
informazioni: Paolo Luciani (045 6100495).
in primo piano
INTERVISTA A GINO
STRADA (Emergency)
Dal cuore dell'Afghanistan
di VAURO
SENESI
L'Afghanistan è un pessimo posto in cui andare, di
questi tempi. Ne fuggono a centinaia di migliaia, attraverso i passi che si
affacciano sul Pakistan. A risalire la corrente sono pochi temerari,
professionisti della pace e della guerra: un pugno di giornalisti che cerca
l'imbarco su scassati elicotteri mujaheddin, un'imprecisata quantità di teste di
cuoio britanniche che ci arrivano col paracadute, sparuti gruppi di musulmani
che vanno a arruolarsi nella jihad prossima ventura, a piedi. E poi c'è un
chirurgo italiano che in Afghanistan ha un pezzo di cuore e due
ospedali.
Hanaba è nel Panshir, ben dentro la valle che fu il regno di Ahmed
Shah Massud prima che lo ammazzassero, come misura preparatoria al massacro
delle Torri gemelle. Dopo dieci giorni di tentativi, Gino Strada è riuscito a
rientrare in Afghanistan e a tornare nel "suo" ospedale, quello di Hanaba. La
ricetta è stata molta pazienza, ottime conoscenze, un buon cavallo e un telefono
satellitare. La sua organizzazione, Emergency, oltre a quello di Hanaba ha un
ospedale a Kabul (chiuso dopo un'incursione di Taleban, che non ritenevano
maschi e femmine correttamente divisi). Aveva lasciato la capitale in luglio,
quando l'Afghanistan era il paese delle donne murate nei burqua, dei buddha
scalpellati a cannonate e della povertà più spaventosa. Subito dopo gli attacchi
ha cercato di tornare, ma ora l'Afghanistan è il centro di un mirino planetario
- e della povertà più spaventosa, naturalmente. Quella non si è mossa mai.
La prima cosa che ti chiedo naturalmente è: come stai?
Bene. Insomma... voglio dire, il viaggio è stato duro, cinque giorni con la jeep e poi con il cavallo. In sella non è male, però si va sempre a quote tra i tre e i cinquemila metri, abbiamo superato un passo alto come il Monte Bianco. Un viaggio terribile anche perché tra la partenza e l'arrivo non c'è niente in mezzo, e devi pur trovare riparo.
Questo paese ti sta molto a cuore a quanto sembra.
Mi piacciono loro, mi piace la gente dell'Afghanistan. E' gente che sta pagando ormai da troppo tempo.
"Loro" non sono il nemico?
Assolutamente no. Io non mi sento più americano di quanto non mi senta afghano, anzi se devo proprio scegliere.... Credo che questo paese abbia pagato abbastanza per le scorribande di tutti quelli che ci hanno giocato, dall'Unione sovietica agli Stati uniti, dall'Inghilterra al Pakistan, all'Arabia saudita. E hanno pagato loro in carne ed ossa, non dimentichiamoci che questa guerra ha fatto una cifra vicina ai due milioni di morti. La gente che incontri è gente che non ha niente a che fare con la guerra, che non sa neanche che la guerra c'è, se non quando si trova una bomba che gli piove addosso o una mina che gli scoppia sotto. Per forza della gente così ti sta a cuore.
E' vero che le organizzazioni umanitarie e il personale dell'Onu hanno lasciato il paese?
Emergency non ha lasciato perché non abbiamo alcuna ragione per lasciare. Ciascuno fa le sue scelte, ma credo che proprio ora serva essere vicino agli afghani.Bisogna dimostrare che non stiamo giocando, perché la memoria delle cose resta e tra dieci anni diranno "sì, però quando hanno minacciato di attaccarli - speriamo sia solo una minaccia - avete mollato". Se si vuole un dialogo con queste persone, con la loro cultura, bisogna per forza fare dei pezzi di strada insieme. Altrimenti arriva lo scontro.
Ormai in Italia ti conoscono tutti, alcuni pensano che sei un eroe e altri che sei un pazzo incosciente.
Fesserie. Certamente la prima, quella di essere un eroe, ma credo anche la seconda cioè di essere pazzo. Noi siamo qui per fare il nostro mestiere, ed è quello di curare le vittime di guerra, non soltanto i feriti nel senso più lato. Perché anche chi non può avere un'appendicectomia o una gravidanza sicura perché la guerra ha distrutto tutto è una vittima di guerra. E allora che facciamo, siamo qui per curare le vittime di guerra e proprio quando la guerra si avvicina ce ne andiamo? Siamo qui semplicemente per fare il nostro lavoro, o almeno uno dei due compiti che compaiono nello statuto della nostra organizzazione.
Qual è l'altro?
Quello di promuovere una cultura di pace e di solidarietà. L'importante è capire che le due cose non sono diverse, sono semplicemente due modi diversi per riaffermare il principio che la vita umana ha un senso, un valore che mette fine a ogni discussione. Credo che la cultura di pace nasca dall'iniziativa di pace, è il fatto di fare delle cose che ti da anche diritto di parola.
Andrai anche a Kabul?
Oggi o domani mi metterò in contatto con le autorità di Kabul. Spiegheremo la situazione, spero che le autorità talebane siano disponibili. Abbiamo sempre cercato di riaprire l'ospedale, che avevamo chiuso dopo aver subito un'aggressione armata. Però in questo momento credo sia nostra responsabilità dire chiaro che, anche se non siamo d'accordo su un sacco di cose, qui c'è una potenziale catastrofe umanitaria. Allora teniamo questo ospedale pronto a funzionare, se ce ne fosse bisogno, e se poi non ce n'è bisogno tanto meglio. A me non piace parlare di pacifismo in senso astratto, e credo che aprire un ospedale dove lavora anche personale straniero sia uscire dall'astrazione.
Dicevi che molti afghani di questa guerra non sanno nulla. Che clima hai trovato tra le persone? Hanno la percezione di ciò che incombe su di loro?
Sono tutti molto preoccupati di quello che può succedere, però credo che la gente comune non capisca. Perché si sta parlando di attaccare l'Afghanistan? Perché si è identificato l'Afghanistan come la culla del terrorismo internazionale? E che c'entra la popolazione afghana? Non c'entra niente. Allora bisogna essere seri, non si può continuare con i giochini. Il terrorismo internazionale islamico è stato creato, finanziato, addestrato, pianificato dagli Stati uniti d'America insieme con l'Arabia saudita per quanto riguardava il finanziamento, e dal Pakistan per quanto riguardava l'organizzazione pratica logistica. Questo è un dato incontrovertibile, sta già nei libri di storia. Come sono arrivate fin qui persone di 22 nazionalità diverse? A Kabul ci sono algerini, sudanesi, filippini, ceceni, magrebini, marocchini, egiziani, iracheni. Chi ha dato loro le armi? Se gli Usa attaccheranno, qualche elicottero americano verrà abbattuto da missili americani.
Tra le molte ipotesi che si fanno, ora c'è quella di appoggiare la guerriglia mujaheddin in funzione anti-taleban.
Io non esprimo posizioni politico-militari. Tutte le volte stiamo a discutere di cosa fare, senza renderci conto che stiamo elaborando la terapia per un malato terminale. Ma non si potrebbe pensare alla cura quando cominciano i sintomi? Le vittime hanno tutte quante la stessa faccia, a Kabul come a New York. Preferirei che si cominciasse a ragionare sul perché ce ne sono. Anche i gesti più tremendi non nascono dal nulla.
Questi clamori di guerra hanno già provocato degli effetti?
Hanno già provocato dei morti, che mi sembra più preciso. Quando su una popolazione di una quindicina di milioni di persone poverissime si determina un aumento del costo dei generi alimentari di prima necessità (del riso, della farina, dello zucchero) del 30-40 per cento in due settimane, vuol dire che domani uno su tre non mangia. E spesso muore.
Che prospettive ha questa gente?
Qui le prospettive non sono rosee per nessuno, anche perché dall'Afghanistan se ne sono andati tutti. Hai presente la gente comune, i più poveri? Ancora una volta pagheranno loro. Io spero che si crei un grande movimento di opinione pubblica che dica: bisogna aiutare i più sfortunati, specie quando noi siamo responsabili della loro situazione. Bisogna aiutarli e non bombardarli. Perché lì dentro, sotto ciò che vedono i piloti super-tecnologici e super-intelligenti, ci sono carne, muscoli, ossa, roba che noi chiamiamo esseri umani. (il Manifesto, 27/09/01)
Marcia per la pace Perugia-Assisi
Stiamo raccogliendo informazioni sulle iniziative che si stanno organizzando in vista dell'importante appuntamento del 14 ottobre. Vi preghiamo di comunicarcele.
1°
sessione (9.00-13.00):
Ricostruzione, cooperazione, integrazione nei Balcani e dei Balcani nell’Unione
Europea: bilancio e prospettive delle politiche
istituzionali
Saluti:
Maria Rita Lorenzetti Presidente Regione Umbria; Renato Locchi Sindaco di
Perugia.
Introduzione: Giulio Marcon, Presidente dell’ICS.
Relazioni: Andrea Segrè, Università di Bologna; Milica Uvalic, già Vice Ministra
dell’Economia della FRY, Università di Perugina; Mario Zucconi, Università di
Urbino.
Interventi: Attilio Massimo Iannucci, Vice Direttore della DGCS; John Philips
Agenzia Europea per la Ricostruzione.
2*
sessione (15.00-18.30): Di
quale sviluppo economico e sociale hanno bisogno i Balcani ?
Economia locale e sociale, sviluppo comunitario, capacity building: il ruolo
della società civile e degli enti locali
Intervengono
nelle due sessioni: Fatos Lubonja
Fondazione albanese per la societa’ civile Albania; Niko Veizaj Sindaco
di Valona Albania; Gjergji Duro Sindaco di Korca Albania; Nebojsa Medojevic
Center for transition Montenegro; Sejfudin Tokic Vice President House of People
Bosnia Erzegovina; Senad Pecanin Bosnia Erzegovina; Kim Mehmeti Centro per la
comprenzione multietnica Fyrom; Mirjana Najcevska Universita’ di Skopje Fyrom;
Nedzet Mustafa Sindaco di Suto Orizari Fyrom; Flaka Surroi Community
Development Fund Kosovo; Svetlana
Vukomanovic Center for non profict Sector Serbia; Jovan Teokarevic Institute for
European Serbia; Shaip Kamberi
Presidente Comitato per la difesa dei diritti umani Valle di Presevo; Damir
Grubisa IMO Istituto per le relazioni internazionali Croazia; Zinaida Marjanovic
Donne in Nero Belgrado Serbia; Rappresentanti di associazioni, Ong, enti locali
italiani
Durante il forum verranno
presentati: l’appello: “L’Europa oltre i confini” promosso da ICS (Consorzio
italiano di Solidarietà) e Osservatorio per i Balcani; La II edizione del
dossier sulla ricostruzione dei Balcani
Promozione: Regione dell’Umbria, Comune di Perugia, Consorzio Italiano di Solidarietà, Tavola della Pace, Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace; Coordinamento ed organizzazione: Consorzio Italiano di Solidarietà; Con la collaborazione di: Osservatorio per i Balcani. (Informazioni e adesioni c/o ICS - reggiani.ics@tin.it)
Informazioni sulla «Marcia per la pace»: www.krenet.it/a/mpace
MASSMEDIA e TAM TAM vari
È in distribuzione in questi giorni il nuovo numero di "Mosaico di pace", la rivista mensile promossa da Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace. La novità principale di questo numero, firmato come sempre da padre Alex Zanotelli, missionario comboniano già direttore di "Nigrizia", è la rinnovata veste grafica che, anche grazie a quattro pagine in più, contribuisce a offrire una rivista più gradevole e più facile da leggere a quanti hanno a cuore i problemi della pace, della giustizia internazionale, della salvaguardia del pianeta, del dialogo tra le chiese in momento in cui il mondo sembra essere sull'orlo del baratro. La copertina e l'intero numero sono dedicati all'"altra-Genova". Il riferimento è ovviamente al vertice del G8 di luglio, ma soprattutto al movimento anti-global che lì si è dato appuntamento e "che ha proposto, pregato, pensato e contestato senza violenza e che oggi si interroga". A cominciare dall'editoriale-lettera aperta di Tonio Dell'Olio al Presidente Berlusconi perché "chieda scusa ai manifestanti pacifici che costituiscono stragrande maggioranza del GSF" per le affermazioni fatte il 22 luglio parlando di "collusione del Genoa Social Forum con gli elementi violenti che hanno turbato lo svolgimento delle manifestazioni". Berlusconi, infatti, "non ha atteso la conclusione delle indagini (peraltro ancora in corso), non ha ascoltato il diverso parere dei rappresentanti del GSF e ha sbrigativamente emesso la sua sentenza." E per finire, ancora una richiesta di scuse: "Delle ipocrisie dei Capi di Governo dei Paesi che figurano nei primi posti delle classifiche per la vendita di armi e per l’inquinamento ambientale, vorremmo chiedesse scusa non solo a noi ma soprattutto ai più poveri del mondo." Il dossier cerca infine di focalizzare l'attenzione sul dopo-Genova e sulle sfide che si pongono ai pacifisti: da "Globalizzazione, Crisi del Capitalismo" di Walden Bello all'agenda futura del senatore-verde Francesco Martone, dal contributo dell'ex senatore Stefano Semenzato sul progetto di scudo spaziale a un'intervista al prof. Antonio Papisca sui diritti umani e sul ruolo dell'Onu, senza dimenticare le risposte di Brunetto Salvarani alla domanda "E i cattolici da che parte stanno?". Per avere il testo completo dell'editoriale, o per ricevere una copia della rivista, rivolgersi alla segreteria di redazione: Mosaico di Pace: Via Petronelli n.6, 70052 Bisceglie (Bari), tel.080/395.35.07, fax: 080/395.34.50, e-mail: mosaicodipace@paxchristi.it
ABROGHIAMO IL RAZZISMO!
La legge sull’immigrazione, che modifica la già discutibile Legge 40/98, meglio conosciuta come Turco-Napolitano, sta per avere il suo battesimo definitivo in Parlamento. A meno di clamorosi colpi di scena (es.: approvazione di emendamenti proposti dall’opposizione), l’Italia sarà dotata della legge più liberticida e razzista d’Europa in materia di immigrazione. L’immigrato perde la sua naturale condizione di essere umano per diventare solo un ingranaggio usa-e-getta nel mondo del lavoro, nel disprezzo totale delle regole più elementari di umanità e di diritto. Proprio ora che il mondo ha più che mai bisogno dei valori legati alla pace e alla solidarietà tra i popoli, il governo Berlusconi lancia la sua sfida a questi valori. Noi la raccogliamo, mobilitandoci per una grande iniziativa volta alla proposizione di un referendum popolare per l’abrogazione della nuova legge. In attesa della pubblicazione del testo definitivo, vorremmo conoscere la vostra opinione su questa proposta. La redazione Namir dallA DENUNCIA di una nostra utente richiama - per un impegno civile - a firmare questo testo - inviandoci una email ad - artenamir@genie.it con scritto in oggetto NO AL RAZZISMO - tutte le email e le vostre opinioni saranno pubblicate all'nterno della pagina del nostro giornale - http://web.genie.it/utenti/n/namirdue/ e inviate successivamente a chi di dovere invitando i parlamentari a prenderne atto.
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
Berlusconi: coincidenze e laicità
Cari amici, Berlusconi ha infilato due perle
gigantesche...Prima ha parlato di coincidenza tra terrorismo e movimento
no-global (preferisco dire new-global o global justice o movimento per la pace),
poi ha esaltato la superiorità della "civiltà occidentale". 1. Sì, ci sono molte
coincidenze oggi. Ne elenco due. La prima riguarda la tardiva e ipocrita
scoperta dell'ampia ramificazione economica-finanziaria dell'impero di Bin
Laden, una multinazionale trasversale e intrecciata alle grandi multinazionali e
alle banche "occidentali". Anche nel "nostro" sistema economico stanno le radici
e i canali del sostegno al terrorismo. Anche questo è un aspetto della
globalizzazione neoliberista che intendiamo contrastare con la forza della
nonviolenza. La seconda concerne il tentativo (oggi ridimensionato) di
intralciare e di impedire le rogatorie internazionali (che avrebbe facilitato
corrotti, mafiosi, malavitosi e terroristi). Le multinazionali binladeniane sono
organizzazioni mafiose modernissime e sofisticate. In tale contesto, è utile
informare sulla pubblicazione della sentenza di Capaci dove si parla di
"rapporto fruttuoso" tra Cosa Nostra Dell'Utri e Berlusconi e si delinea una
trama di "convergenti interessi" da esplorare dal punto di vista penale. 2. Le
dichiarazioni berlusconiane, oltre a rivelare un'immensa ignoranza (non esiste
civiltà "occidentale" senza l'apporto arabo-mussulmano fin dal Medioevo),
collocano il Presidente del Consiglio nel partito fondamentalista (che sostiene
e alimenta altri fondamentalismi). Potrebbe essere la terza
coincidenza...Nessuno ora potrà dire che la pecora nera del governo è Bossi e
che Berlusconi è il buono, l'equilibrato che garantisce per lui e per tutti. E'
caduta la maschera... Gli esponenti religiosi che stanno rispondendo a
Berlusconi rivelano una razionalità "occidentale" assai più forte della
sua. In particolare, il messaggio profetico di Giovanni Paolo II oggi è molto
più laico dei finti laicismi di questa destra italiana e del suo maggiore
partito. Fraterni saluti. Shalom. Salam. Sergio Paronetto (Pax Christi -
Verona)
1) NORDEST E ASSALTI IN VILLA
Una Chiesa che esclude
di Umberto Mazzone. *Professore di Storia della Chiesa all'Università di Bologna
Il cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi ha colto l'occasione dell'apertura del convegno Multiculturalità e identità, promosso e organizzato dall'Istituto Veritatis Splendor per riprendere alcune tematiche che gli sono da tempo particolarmente care: la questione del dialogo tra cristiani non cristiani e tra credenti e non credenti e la questione dell'immigrazione.Personalmente rimango sempre alquanto interdetto dagli interventi del nostro cardinale. Vi è un tale spessore di sicurezze e di indiscutibilità nelle sue affermazioni che incute timore. Ne emerge una Chiesa che non sa essere madre, ma che si fa subito matrigna arcigna e pronta ad escludere.Una Chiesa la cui elaborazione teorica ruota preferibilmente intorno al pensiero della Congregazione per la dottrina della fede (ex Sant'Uffizio) piuttosto che al magistero di un pontefice prudente come Paolo Vl, la cui enciclica Ecclesia suam del 1964 diviene un po' l'origine della mancanza di chiarezza teologica sulla questione del dialogo interreligioso e di tutte le rilassatezze dottrinali successive. Il nostro Cardinale, nella sua insistenza su questi temi, coglie però dei problemi veri della nostra essere società, del nostro essere nel mondo. Mi permetto però di suggerire che la sua proposta vada ribaltata in maniera completamente speculare. Non temere che il dialogo interreligioso possa divenire causa di perdita di identità dl fede, ma riconoscere come il dialogo tra credenti e non credenti, tra cristiani e non cristiani, sia per se stesso espressione di fede e rimanga oggi, uno dei pochi spiragli aperti per una comunicazione di pace tra culture e tradizioni diverse. Non deve essere certo un dialogo "buonista" o che ricerca confusi sincretismi. Ma deve essere una relazione che permetta a partire dalle tre grandi religioni del libro, ebraica, cristiana e islamica, di svelare, qui e ora, la comune condizione umana e di evitare l’ingresso in una mentalità di guerra di religioni o di scontri di civiltà. Il dialogo, vero, forte, struggente, sofferto, diviene uno degli strumenti fondamentali per la convivenza tra gli uomini e una vita di speranza. È vera manifestazione di una fede profonda e non pasticciata. Se da tutte le Chiese, da tutte le fedi non si leva unitariamente un segnale di ribellione ad ipotesi di nuovi conflitti sempre più sanguinosi e segnati dalla differenza religiosa (ma la Chiesa cattolica già ha dato una indicazione in questa direzione con la dichiarazione di pochissimi giorni fa della Commissione degli episcopati europei che ricorda come "la nostra fede comune in un unico Dio deve condurci a perseguire il dialogo tra ebrei, musulmani e cristiani"). Nella tragica gravità del momento presente risultano quindi troppo passive e insufficienti le parole del cardinal Giacomo Biffi, che riconosce solo che "a priori non possiamo trascurare di ascoltare il non credente con qualche speranza". Credo che di ben altro spessore universale sia il dono che la fede cristiana può ancora dare ad un mondo in crisi. Infine la questione dell'immigrazione. Nulla di nuovo rispetto all'ampiamente noto, e assai discusso, intervento del 30 settembre 2000 al seminario della Fondazione Migrantes. L’invito del Cardinale ai pubblici reggitori di cercare criteri di "selezione" (ma anche la scelta del termine non pare delle più felici) basati sulla maggiore integrabilità degli immigranti, a meno di non volere sfidare "un futuro di lacrime e sangue per il nostro popolo", lascia apertamente intendere che questo criterio deve essere identificato con quello del riconoscersi nel cristianesimo. È una via che spero, per mera questione di civiltà, nessuno stano voglia perseguire. Unico elemento di distinzione che una collettività politicamente organizzata potrebbe porre è quello del riconoscersi nei fondamenti dei diritti dell'uomo così come internazionalmente definiti, ma non certo l'appartenenza ad una fede anziché ad un altra.Vedremo nei prossimi giorni se, e come, il convegno scientifico della Veritatis splendor, volutamente aperto solo a studiosi di orientamento cristiano, saprà sciogliere le rigidità del cardinale.
Nella lotta del Bene contro il Male è sempre il popolo a
metterci i morti.I terroristi hanno ucciso lavoratori di cinquanta paesi, a New
York e a Washington, nel nome del Bene contro il Male. E nel nome del Bene
contro il Male, il presidente Bush giura vendetta: "Eliminaremo il Male da
questo mondo", annuncia. Eliminare il Male? Che cosa sarebbe il Bene senza il
Male? Non solo i fanatici religiosi hanno bisogno di nemici per giustificare la
loro follia. Anche l'industria degli armamenti e il gigantesco apparato militare
degli Stati Uniti hanno bisogno di nemici per giustificare la loro esistenza.
Buoni e cattivi, cattivi e buoni: gli attori si cambiano la maschera, gli eroi
diventano mostri e i mostri eroi, a seconda delle esigenze di coloro che
scrivono il dramma.
Non c'è niente di nuovo. Lo scienziato tedesco Werner von
Braun era cattivo quando inventò i missili V-2 che Hitler sganciò su Londra, ma
divenne buono il giorno in cui mise il suo talento al servizio degli Stati
Uniti.
Stalin era buono durante la seconda guerra mondiale e cattivo dopo,
quando si mise a comandare l'Impero del Male. Negli anni della guerra fredda,
scrisse John Steinbeck: "Forse tutti hanno bisogno dei russi. Scommetto che
anche in Russia hanno bisogno dei russi. Forse loro li chiamano americani". Poi
i russi sono diventati buoni. Adesso anche Putin dice: "Il Male dev'essere
castigato". Saddam Hussein era buono e buone erano le armi chimiche che impiegò
contro gli iraniani e i kurdi. Dopo divenne cattivo. Si chiamava ormai Satán
Hussein quando gli Stati Uniti, che avevano appena invaso Panama, invasero
l'Iraq perché l'Iraq aveva invaso il Kuwait. Fu Bush Padre a occuparsi di questa
guerra contro il Male. Con lo spirito umanitario e compassionevole che
caratterizza la sua famiglia, uccise più di centomila iracheni, perlopiù
civili.
Satán Hussein continua ad essere dov'era, ma questo nemico numero uno
dell'umanità è scaduto nella categoria di nemico numero due. Il flagello del
mondo, adesso, si chiama Osama bin Laden. La Cia gli aveva insegnato tutto
quello che sa in materia di terrorismo: bin Laden, amato e armato dal governo
degli Stati Uniti, era uno dei principali "guerrieri della libertà" contro il
comunismo dell'Afganistan. Bush Padre occupava la vicepresidenza quando il
presidente Reagan disse che questi eroi erano "l'equivalente morale dei Padri
Fondatori dell'America". Hollywood era d'accordo con la Casa Bianca. A quei
tempi, venne girato Rambo 3: gli afgani musulmani erano i buoni. Adesso,
nell'epoca di Bush Figlio, tredici anni dopo, sono cattivi,
cattivissimi.
***
Henry Kissinger è stato fra i primi a reagire di fronte
alla recente tragedia. "Sono colpevoli come i terroristi coloro che gli offrono
appoggio, finanziamento e ispirazione", ha sentenziato con parole che il
presidente Bush ha ripetuto ore dopo.
Se è così, bisognerebbe incominciare
col bombardare Kissinger. Verrebbe fuori che lui è colpevole di molti più
crimini di quelli commessi da bin Laden e da tutti i terroristi che ci sono nel
mondo, in molti paesi, che agivano al servizio dei vari governi nordamericani, e
a cui diede "appoggio, finanziamenti e ispirazione": al terrore di stato in
Indonesia, Cambogia, Cipro, Filippine, Sudafrica, Iran, Bangladesh, e nei paesi
sudamericani, che subirono la guerra sporca del piano Condor.
L'11 settembre
1973, esattamente 28 anni prima delle odierne fiammate, era bruciato il palazzo
presidenziale in Cile. Kissinger aveva anticipato l'epitaffio di Salvador
Allende e della democrazia cilena, commentando il risultato delle elezioni: "Non
dobbiamo mica accettare che un paese diventi marxista per l'irresponsabilità del
suo popolo". Il disprezzo per la volontà popolare è una delle molte coincidenze
fra il terrorismo di stato e il terrorismo privato. Per fare un esempio, l'Eta,
che uccide la gente in nome dell'indipendenza dei Paesi Baschi, dice attraverso
uno dei suoi portavoce: "I diritti non hanno nulla a che vedere con maggioranze
o minoranze". Si assomigliano molto fra di loro il terrorismo artigianale e
quello di alto livello tecnologico, quello dei fondamentalisti religiosi e
quello dei fondamentalisti del mercato, quello dei disperati e quello dei
potenti, quello dei pazzi isolati e quello dei professionisti in uniforme. Tutti
condividono lo stesso disprezzo per la vita umana: gli assassini dei cinquemila
cittadini triturati sotto le macerie delle torri gemelle, che crollarono come
castelli di sabbia, e gli assassini dei duecentomila guatemaltechi, in
maggioranza indigeni, che sono stati sterminati senza che mai la tele o i
giornali del mondo prestassero loro la minima attenzione. Loro, i guatemaltechi,
non furono sacrificati da nessun fanatico musulmano, bensì dai militari
terroristi che ricevettero "appoggio, finanziamenti e ispirazione" dai
successivi governi degli Stati Uniti. Tutti gli innamorati della morte
coincidono anche nella loro ossessione per ridurre in termini militari le
contraddizioni sociali, culturali e nazionali. In nome del Bene contro il Male,
in nome dell'Unica Verità, tutti risolvono tutto prima uccidendo e poi
chiedendo. E per questa via, finiscono per alimentare il nemico che combattono.
Furono in larga misura le atrocità di Sendero Luminoso a incubare il presidente
Fujimori, che con un consenso popolare considerevole mise su un regime di
terrore e svendette il Perù per due soldi. Sono state in larga misura le
atrocità degli Stati Uniti in Medio Oriente a incubare la guerra santa del
terrorismo di Allah.
***
Sebbene adesso il capo della Civiltà stia
esortando a una nuova Crociata, Allah è innocente per i crimini che si
commettono in suo nome. In fin dei conti, Dio non ordinò l'olocausto nazista
contro i fedeli di Javè e non fu Javè a suggerire il massacro di Sabra e Chatila
o a ordinare l'espulsione dei palestinesi dalla loro terra. Javè, Allah e Dio
non sono forse tre nomi di una stessa divinità?
Una tragedia di equivoci: non
si sa più chi è chi. Il fumo delle esplosioni fa parte di una cortina di fumo
assai più grande che ci impedisce di vedere. Di vendetta in vendetta, i
terrorismi ci obbligano a procedere a sbalzi. Vedo una foto, pubblicata di
recente: su un muro di New York una mano ha scritto: "Occhio per occhio lascia
il mondo cieco".
La spirale della violenza genera violenza e anche
confusione, dolore, paura, intolleranza, odio, pazzia. A Porto Alegre,
all'inizio di quest'anno, l'algerino Ahmed Ben Bella aveva detto: "Questo
sistema, che ha già fatto impazzire le mucche, sta facendo impazzire la gente".
E i pazzi, pazzi di odio, agiscono alla stessa stregua del potere che li
genera.
Un bimbo di tre anni, di nome Luca, in questi giorni ha detto: "Il
mondo non sa dove sta di casa". Stava guardando una cartina. Avrebbe potuto
stare guardando un telegiornale. (Copyright Ips, traduzione di Marcella
Trambaioli )
“C’è un tempo per piangere e uno per gioire” dice il Qoèlet, in un lungo elenco delle possibili vicende della storia. Ma c’è un tempo che lo scrittore biblico non aveva previsto ed è il tempo dell’orrore e della confusione. E’ il tempo che stiamo vivendo. Anche quando il Qoèlet fu composto, 2200 anni fa, la storia aveva pagine sanguinose: ma tutto era (o sembrava) chiaro: l’eroismo e la ferocia, i volti degli uccisori e quelli delle vittime, i loro nomi, le conseguenze di una strage. Oggi conosciamo veramente soltanto la crudeltà del massacro, le emozioni che abbiamo provato davanti alle immagini televisive, i sentimenti che si agitano ancora in noi, la confusa certezza, dell’imminenza di una bufera nella quale potremmo essere coinvolti come foglie secche. Il primo superstite dell’orrore delle Torri che ho visto comparire sul mio teleschermo era un negro, anziano, con un cappello a visiera. Che fosse un negro, lo si scopriva soltanto guardando i suoi lineamenti, una polvere compatta lo aveva rivestito di un bianco spettrale. L’uomo portava occhiali e anche le lenti di quegli occhiali erano rese opache dalla polvere. Tuttavia egli non accennava a pulirle. Sembrava che non volesse più vedere, che andasse avanti come un automa e difatti sul suo volto non c’era altra espressione che quella dello smarrimento. Penso che camminasse cercando un luogo per dimenticare. E anch’io vorrei camminare con lui, ma quel luogo non c’è. Siamo tutti costretti a ricordare. Ma ricordare non può voler dire rimanere incapsulati in uno choc che ci impedisca di pensare e di agire razionalmente. Nelle lunghe ore in cui sono rimasto, come centinaia di milioni di persone di tutta la Terra, seduto davanti al televisore, quasi ipnotizzato, guardando quel cielo senza luce mi è capitato di ripensare a un verso di Shakespeare: “Questo mattino reca una lugubre pace. Il sole, per il dolore, non vuole mostrare il suo volto”. Quel verso sta in “Romeo e Giulietta”, tenera storia di due giovani sposi ma anche terribile racconto di un odio insensato; e certo la parola “pace” voleva dire silenzio stupefatto, orrore, senso di inermità davanti a un tetro capolavoro del male. E’ la “pace” che in queste ore inchioda anche noi: qualcuno in preghiera, qualcun altro ai tavoli su cui i generali distendono le carte geografiche e scelgono dove colpire, qualcun altro, infine - i più - in una fonda paura, paralizzante. La tragedia contemplata in diretta sui nostri teleschermi sembra prepararne un’altra, più vasta, planetaria. Ancora una guerra nella storia dell’umanità. Penso che non possiamo dimenticare la tragedia ma dobbiamo “leggerla” in tutti i suoi aspetti. Non soltanto, dunque, l’odio e la strage: ma anche la generosità con la quale il popolo di New York si è mosso subito, cercando in tutti i modi di esprimere una solidarietà attiva per le vittime del massacro e per le loro famiglie. E’ un esempio di fraternità ma è anche un’indicazione politica e di sanità psicologica. Come scrisse Sigmund Freud a Einstein poco prima del secondo conflitto mondiale, alla distruttività della propensione alla guerra si deve rispondere mobilitando l’Eros, l’amore; e il fondatore della psicoanalisi citava il vangelo “…Ama il prossimo tuo come te stesso”. Che è l’esatta antitesi del terrorismo, il quale travolge nella stessa morte i suoi autori e le loro vittime. E’ soltanto con l’amore che si può vincere l’odio. I governanti e i generali non vogliono capire che non è con le armi che si sradicherà il terrorismo: ci sarà sempre qualche disperato o qualche fanatico che deciderà di diventare una bomba umana. Le Torri erano già state attaccate (6 morti, 150 feriti) nel 1993 da un uomo – fu detto - di bin Laben. Due anni più tardi una setta fondamentalista “cristiana” americana fece saltare un grattacielo di Oklahoma City: 168 morti, 500 feriti. Quando (e se) bin Laben sarà stato preso e, come merita, esemplarmente punito per il suo crimine contro l’umanità, sarà fatta giustizia ma sradicata soltanto una delle spaventose minacce che gravano sulla nostra civiltà. La guerra può, forse, distruggere alcuni governi favoreggiatori del terrorismo, ma non deve toccarne i popoli. Se la nostra civiltà risponderà alla orribile strage delle Torri con altre stragi anche numericamente maggiori, com’è proprio di ogni guerra, non soltanto sarà compiuto un peccato mortale collettivi ma sarà più facile al terrorismo nascere e muoversi in un panorama popolare di odio accresciuto. Il miliardario Bin Laben (tale per attività capitalistiche negli Stati Uniti, in Giappone, in Norvegia etc.) non rappresenta il Sud dei poveri. E’ una scheggia impazzita dell’Islam e una persona che può permettersi il lusso di tessere una gigantesca rete di fanatici nel cuore stesso dell’impero americano. Ma non è un emissario dei poveri e non si cura del loro destino. Lo spinge il fanatismo religioso, non lo spirito di giustizia. Colpire il Sud dei poveri per distruggere il suo invisibile impero, significherebbe compiere un’immensa ingiustizia. “Rawa”, l’associazione delle donne afgane in esilio, ha pubblicato un appello in cui dice: “Il governo degli USA e il popolo americano devono sapere che c'e' una grande differenza tra la gente povera e martoriata dell'Afghanistan e i terroristi criminali Talebani e Jehadi. (…) Attaccare l'Afghanistan e uccidere la sua gente piu' derelitta e sofferente, non alleviera' in alcun modo il lutto del popolo americano”. Non aumenterà la sicurezza del Nord. Quando sono andato a controllare la citazione di Shakespeare, ho trovato che , subito dopo l’immagine del sole che non vuole vedere il massacro e dopo il grido: “Povere vittime del nostro odio!”, egli conclude la tragedia con un incitamento rivolto alla folla che va addensandosi intorno ai corpi esanimi dei protagonisti: “Partiamo di qua per parlare più a lungo di questi tristi eventi”. Io credo che sia un consiglio che ci riguarda. E’ impossibile, cercare di ragionare sui luoghi della strage, mentre riviviamo la tragedia del bambino che la madre strinse al seno mentre l’aereo su cui viaggiavano si schiantava su una delle torri o quella del marito che sapendo di dover morire entro pochi attimi telefonò alla moglie chiedendo “Sono andate a scuola le bambine? Io vi amo, tu lo sai che voi siete tutto il mio amore”; o contemplando per l’ennesima volta le immagini delle decine di persone che si gettarono impazzite dalle finestre dei grattacieli. E’ necessario scostarsi un po’, non permettere che il lutto offuschi la nostra vista perché il lutto, talvolta, genera mostri, violenza, desiderio di vendetta. E’ necessario sapere che tutto è cambiato per noi, gente del Nord; aggredita nella nostra isola di benessere in mezzo a un oceano di disperazione; ma nulla è cambiato per la miseria del Sud. Oggi il Sud sembra soltanto, sulle pagine dei giornali e nei torrenti di parole che escono dai teleschermi, una giungla da bonificare non con i trattori e con gli aratri ma con le armi più sofisticate; un cuore di tenebre da colpire a morte. Follìa! Gli studenti di Berkeley scrivono sui cartelli delle loro manifestazioni pacifiste una frase di Gandhi: “Occhio per occhio rende cieco il mondo” Noi che ci sforziamo di guardare la Terra con gli occhi del vangelo dobbiamo, dopo la sosta sulle tombe, riprendere il lavoro per un mondo più giusto. Dobbiamo reimparare l’amore e il coraggio dell’amore. Dobbiamo testardamente aprire il cuore ai poveri, volere per loro una giustizia che non è quella “infinita” reclamata dai potenti offesi ma il diritto alla vita, alla dignità e alla libertà di tutti gli esseri umani.
Bush, Bin Laden, reali sauditi: fine di una love
story
Protestano i
fedeli esecutori degli ordini finanziario-spionistici del re e della Cia. Basta
cercare su Internet
di
FRANCESCO PICCIONI
Un'intera pagina di Le Monde, domenica, a pagamento. Per
"smentire categoricamente" le voci di "complesse partecipazioni finanziarie" con
Osama Bin Laden. Prima ancora che Bush rendesse pubblica la sua ridicola "guerra
finanziaria al terrorismo", Gaith Rashad Pharaon - aristocratico saudita e
presidente della Pharaon Investment Group con sede a Parigi, tormentato da voci
di stampa decisamente malevole - si è alzato per dire "Giù le mani dal mio
onore", dai miei investimenti; dal "lavoro di una vita", diremmo in Italia. Ha
certamente le sue brave ragioni, il signor Pharaon. In fondo si è sempre mosso
tenendo ben fermo lo sguardo su due stelle polari: la famiglia reale saudita e
le covert operation della Cia. Un finanziere accorto, dunque, che da 30
anni si muove con disinvoltura e discrezione in mezzo alla spazzatura
disseminata a piene mani da quei tangheri di texani che arrivano con il sigaro
in bocca, il cappellaccio in testa e stendono gli stivali sui suoi preziosi
tavoli. E danno ordini. Lui, secondo un rapporto della Federal Reserve, aveva
accettato di buon grado di essere il front man, l'uomo di punta della
Bcci nei tentativi d'assalto alla First National Bank. Ma del resto era entrato
nella famigerata Bank of Credits and Commerce International per l'amicizia di
famiglia con Agha Hassan Abedi e lo sceicco Kamal Adham, cognato di re Feisal.
Faceva parte di quel consiglio d'amministrazione insieme a Khalid Bin Mahfouz
(sposato con una Bin Laden, indicato come un fedelissimo di Osama), lo stesso
Kamal Adham e addirittura Clark Clifford, ex ministro della difesa Usa e
consigliere di ben quattro presidenti degli Stati uniti (da Truman a Johnson),
amico dei fratelli Dulles, due "miti" nella Cia. Pharaon è una persona perbene,
rispettata. In Arabia Saudita fa affari insieme allo sceicco Abdullah Bakhsh,
altro finanziere accorto che sedeva addirittura nel consiglio di amministrazione
della Harken Energy - nell'88 - insieme ad Alan Quasha (intimo dell'ex dittatore
filippino Marcos) e George W. Bush. Una botte di ferro. I consigli di
amministrazione della Bcci e della Harken sono composti dalle stesse persone, o
comunque dello stesso giro. Gente che gestiva gli incassi provenienti da un
ricco traffico di droga per finanziare i Contras nicaraguegni prima e la guerra
in Afghanistan contro i sovietici, poi. Ma, anche lì, aveva obbedito agli ordini
Usa. O della Cia? La domanda può sembrare strana, ma proprio con quella serie di
operazioni (passata alla storia come "scandalo Iran-Contras") la Cia aveva preso
a finanziare una propria "politica estera", senza più passare attraverso il
giudizio - e il controllo della spesa - del Congresso. Osama era cresciuto anche
abbeverandosi a quella fonte, la Bcci. Ne aveva tratto tutto quanto serviva per
lanciare alla grande la "guerra santa" antisovietica, inventando quasi di sana
pianta un movimento integralista che solo nell'Iran degli ayatollah sembrava
avere qualche seguito popolare.
Ma di tutto questo la Cia, ovvero la famiglia
Bush - padre, figlio, James Baker e Dick Cheney - erano perfettamente al
corrente. Anzi: quel gioco l'avevano inventato loro. Perché, ora, additarlo
all'odio del mondo solo per la sua frequentazione con la famiglia Bin Laden?
Come scrive nel suo appello francese, quella "è una delle famiglie più
conosciute e rispettate del Medio Oriente". Lo sanno tutti, lì, che i Bin Laden
sono la faccia e la finanza pubblica della famiglia reale di Riad. E' vero, per
esempio, che in Francia controllavano la Banque Al Saudi, poi parzialmente
integrata nell'Indosuez. Ma in quel CdA - che comprendeva come sempre Salem Bin
Laden, Khalid Bin Mahfouz, lo sceicco Bogshan - il presidente onorario era il
principe Muhammad Ben Fahd, figlio del re. Un nome che era una garanzia. E' vero
anche che Yeslam Bin Salem, nella Zurich company, si era trovato in società con
la famiglia Shakarshi, noti soprattutto per il riciclaggio del traffico di
droga. Ma anche questi lavoravano per la Cia e la guerra antisovietica in
Afghanistan. Quindi era "tutto ok", no? Perché, altrimenti, i Bush ci avrebbero
tenuto tanto ad avere i Bin Laden come soci in affari? Pharaon lo sa bene: le
attività finanziarie di Salem, lo sfortunato socio petrolifero di George W. Bush
morto in uno dei tanti "incidenti" aerei che tormentano la famiglia saudita;
quelle un po' più violente di Osama; quelle di Yeslam insieme agli Shakarshi -
non avvenivano per iniziativa personale della famiglia Bin Laden. Erano
"contratti" - politici o finanziari - che recavano la firma dei due membri più
influenti della famiglia reale: i principi Muhannad Ben Fahd e Saud Ben Nayef.
Una guerra ai Bin Laden bombarda direttamente anche il trono saudita.
Il
Centro Sportivo Italiano (CSI) di Verona, in collaborazione con le ULSS 20, 21,
22 e varie amministrazioni comunali promuove anche quest’anno il Progetto
«Handicap & Sport»: una iniziativa che ha l’obiettivo di sviluppare
l’integrazione delle persone diversamente abili residenti in zona (dai 14 ai 40
anni, prevalentemente con deficit neuro-psichico), attraverso il gioco e lo
sport, negli spazi del tempo libero spesso desolatamente vuoti. Se
molta attenzione è dedicata dai vari Servizi all’inserimento scolastico e
lavorativo, alla cura e riabilitazione, poco viene fatto per promuovere la
salute e la qualità della vita, nel tempo libero, della persona diversamente abile.
Progetto «Handicap & Sport» diviene anche un’occasione speciale per
coinvolgere tantissimi giovani volontari nel giocare e fare sport con ragazzi in
palestra, in canoa, in montagna.
L’obiettivo è dunque duplice: favorire l’integrazione della persona disabile nel
tessuto sociale, utilizzando lo sport nel tempo libero come strumento di
crescita e di valorizzazione delle capacità che rendono ogni persona unica e
irripetibile; la sensibilizzazione, la formazione e il coinvolgimento della
comunità affinché possa farsi carico della possibile riduzione dell’handicap
attraverso un coinvolgimento diretto del gioco, dal quale scaturiscono nuove
occasioni di conoscenza reciproca.
UTENZA E
ATTIVITA’
Il CSI
ha rilevato come spesso l’adulto neuropsichiatrico, avendo terminato il periodo
scolastico, o non appartenendo a cooperative ed associazioni abbia l’esigenza di
svolgere attività ludico-motorio-sportiva nel tempo libero. In
questi anni hanno aderito al progetto più di 250 disabili e le loro famiglie,
oltre 300 volontari che hanno potuto apprezzare la continuità e l’intenzionalità
nell’operare nel campo sportivo ed educativo.
L’attività è diversificata secondo la conformazione dei gruppi e le capacità dei
singoli utenti, ai quali vengono proposti o giochi adeguatamente destrutturati,
oppure giochi propedeutici alla pratica sportiva, compreso l’inserimento in
società sportive locali. L’apprendimento di nuove abilità altro non fa che
aumentare in essi il livello di autostima e autonomia nella gestione del tempo
libero. Gli
utenti sono suddivisi in gruppi di 8-10 seguiti da 2-3 operatori qualificati
coadiuvati da gruppi di volontari. Nei mesi di maggio e giugno è prevista una
serie di uscite in canoa o di escursioni in montagna. Sempre in maggio viene
inoltre organizzata a Verona «La Grande Sfida» con la partecipazione di gruppi
provenienti da tutta Italia. Inoltre esiste un gruppo podistico, un gruppo sport
invernali e, nel corso dell’anno, vengono proposti tornei adattati di basket,
palla base, calcio, staffetta e palla rilanciata.
FORMAZIONE ED INVITO
La commissione «Handicap & Sport» del CSI si fa carico della formazione in itinere degli operatori, nonché della formazione di nuovi operatori e della sensibilizzazione dei volontari. L’iniziativa di quest’anno dovrebbe decollare verso il 20 ottobre e proporre iniziative fino alla metà del mese di giugno. Il CSI invita pertanto i giovani desiderosi di dedicare qualche ora del proprio tempo libero al progetto che, nelle intenzioni, verrà attivato in varie zone della provincia di Verona (San Bonifacio, Verona, S. Pietro in Cariano, Affi, Bussolengo, Sommacampagna, Isola della Scala, Legnago, Cerea, Zevio, Bovolone, Bogara e San Giovanni Lupatoto) di mettersi in contatto con il Centro Sportivo Italiano (comitato provinciale di Verona), via Seminario, 10 – sito internet: www.csiverona.it ; E-mail: csi_vr_hs@libero.it ; Tel. 045 8004917.
GREENPEACE: «PERICOLO ATTENTATI: BLOCCATE SUBITO I
TRASPORTI DI MATERIALE NUCLEARE»
Roma, martedì 25
settembre 2001 - Bisogna bloccare subito i trasporti di materiale atomico per il
rischio di attentati. Lo chiede Greenpeace, dopo che l'impianto di
riprocessamento del plutonio di Sellafield, in Inghilterra, è stato chiuso
perché le quantità di combustibile nucleare irradiato e i rifiuti ad alta
radioattività superano le capacità di stoccaggio. La decisione di chiudere
l'impianto è stata presa dall'Ispettorato inglese per le installazioni atomiche
e la chiusura è stata disposta fino a nuovo ordine. L'impianto di Sellafield
ospita ancora del materiale nucleare rigenerato proveniente dalle centrali
nucleari italiane che il nostro Paese dovrebbe riprendersi, anche se al momento
non dispone di un'impianto idoneo. Greenpeace Italia aveva bloccato 5 anni fa un
nuovo trasporto di materiale nucleare dalla centrale di Caorso (Piacenza)
all'impianto inglese. Secondo gli esperti, se venissero presi di mira dai
terroristi gli impianti di riprocessamento di Sellafield e di La Hague
(Francia), assisteremmo a catastrofi ecologiche di dimensioni immani.
Preoccupazione sul rischio attentati è stata espressa anche da Spencer Abrahams,
delegato USA per l'energia, davanti all'Agezia internazionale per l'energia
atomica (AIEA). Gli USA, riconoscendo il pericolo, hanno sospeso ogni trasporto
di materiale atomico fino a nuovo ordine. 55 tonnellate di plutonio
provenienti da diversi stati americani, in direzione della Carolina del Sud,
sono state bloccate dalle Autorità competenti. In Europa, invece, la
Svizzera ha annunciato, nonostante le proteste di Greenpeace, che non
interromperà il trasporto di materiale atomico e che un nuovo convoglio diretto
a La Hague partirà nelle prossime settimane.
In
questi giorni stavo leggendo di un convegno dal titolo: CARCERE E SOCIETA', e mi
sono chiesto perché invece non titolarlo: CARCERE E' SOCIETA'. Quell'accento
mancante a mio avviso non è cosa di poco conto, a tal punto che mi convinco
sempre di più che una persona detenuta debba fare ricorso alle proprie energie
interiori per riuscire a vincersi e migliorarsi, ciò senza l'utopia del
carcere-imbonitore, ma “nonostante il carcere”, diventando a nostra volta
soggetti sociali attivi e non solamente “soggetti passivi”. Questa
riflessione parte dalla constatazione che nonostante la mia condizione di
prigioniero, di uomo in colpa, mi ritengo comunque parte di un insieme, in
quanto: sono, vivo, miglioro, perché appunto parte di una ampia collettività.
Senza ciò io stesso non sono più. In
questi anni di impegno ho capito che é proprio dall'esperienza che nasce la
necessità di cercare ripetutamente dei chiarimenti. La
spinta a mettermi in discussione, a mettermi in gioco, per riuscire a conoscere
di più di me stesso e degli altri, mi é venuta soprattutto dagli incontri avuti
con le altre e dal confronto che ne è derivato, nel tentativo di comprendere che
rieducare, risocializzare, sarà possibile solo se la società accetterà di
diventare parte attiva di questo percorso, se essa stessa diverrà parte
essenziale di una vera azione sociale. E ciò senza usare le parole come "mezzo recitato"
per invocare il sentimento del perdono o della pietà. In questa accezione si
tratta di prendere coscienza tanto dei problemi, quanto del fatto che, per
risolverli, ci sarà sempre un costo da pagare, se vogliamo perseguire dei benefici comuni. In ballo non ci
sono solamente i dubbi derivanti dalle scienze umane, dal mistero che riveste la
natura umana, dal cambiamento auspicato e sospinto avanti dalle leggi, che
continuamente vengono emendate e stravolte dalle emergenze, leggi e decreti che
dimostrano una patologia dell'assurdo persino nella loro impossibile corretta
applicazione. Continuamente si parla di bilanci negativi tra costi
e benefici, di sterminate responsabilità, di avventati passi in avanti. Forse é
anche così, ma perché non chiedersi come sia possibile avere delle aspettative
tanto elevate circa la rieducazione, la risocializzazione, il trattamento
individualizzato, se poi gli investimenti in tal senso, solamente a parole sono
ingenti, ma nei fatti ( tutti verificabili ) sono ridicoli. Ciò soprattutto alla
luce di alcuni accadimenti che, seppur rimangono una minima percentuale
negativa, rispetto ai tanti altri casi di effettiva reintegrazione nel tessuto
sociale, comunque rappresentano uno sconvolgimento delle coscienze e degli
intelletti, per cui l'emotività induce a non vedere i vuoti a monte. Innescando
la reazione che favorisce lo scavalcamento e, peggio, la non visibilità sulla
mancanza di strutture e mezzi a supporto di quelli leggi e della stessa
ideologia del trattamento risocializzante. Il sovraffollamento é sotto gli occhi
di tutti, ma a mio modo di vedere non é solo questo il motivo di una certa
inefficacia; vi é pure la carenza di operatori penitenziari e non: di Educatori,
Psicologi, Assistenti Sociali e Magistrati di Sorveglianza, di quelle figure
cioè fondamentali, appunto, per quell'opera trattamentale di cui prima parlavo,
e che la legge stessa cita a caratteri cubitali, ma che davvero mancano. So bene
di non avere titoli nel mio
carniere per obiettare, ma confidando sul titolo dell'esperienza e dell'impegno,
ritengo che l'altro grande problema consista nel favorire e costruire una
cultura nuova più consona allo spirito delle leggi e delle norme che vigono
anche all'interno di una prigione, una cultura complementare alla Riforma
Penitenziaria e non in collisione con essa. Una
cultura nuova come ha detto qualcuno tanti anni addietro - ma che forse nessuno
ha ascoltato - che permetta, a chi vive a contatto diretto e quotidiano con il
recluso, un modo nuovo di concepire e mettere in pratica la propria
professionalità e le proprie responsabilità. Inutile negarlo, ancor ora in
questo pianeta esiste e permane uno sbilanciamento su un versante prettamente di
controllo, di disciplina, di custodia. e ciò sebbene il cammino sia iniziato da
tempo. La
domanda che sovente pongo a me stesso, ma pure agli operatori penitenziari
durante le nostre chiacchierate é: ma tutto questo non assomiglia a una
contraddizione in termini? Infatti
un carcere che risponde a condizioni strettamente custodialistiche e
prisonizzanti, è, nell'effetto, antitetico allo spirito e alle attese della
legge stessa.
Giustamente è innanzitutto al detenuto che viene chiesto di essere all’altezza
del servizio offerto ( e per me si tratta di intenderlo come una conquista di
coscienza e non solo come mera possibilità statuale ), ma tutto ciò è solo il male di superficie, perché
c’è un male più grande. Questa
prigione é per davvero un mondo che vive del suo ? Oppure il carcere é società ?
Io mi sento parte della società, da
essa provengo e ad essa intendo tornare, a fronte di decenni di carcere già
scontato. Per cui la società non può chiamarsi fuori, tanto meno considerare
questo perimetro un agglomerato o un corpo morto a lei estraneo: e questo non
solo perché lei stessa con i suoi squilibri, le sue ingiustizie e i disvalori,
ne partorisce le trasgressioni e le conseguenti devianze che comportano quel
sovraffollamento a cui prima accennavo. Il
carcere é società, proprio perché esso ha “ un prima, un durante e un
dopo”. Un
PRIMA dove l'individuo che commette il reato, viene tolto dalla società e
giustamente punito, un DURANTE in cui quel soggetto dovrà vivere e non
sopravvivere regredendo, un DOPO perché quella persona ritornerà in seno alla
società di cui é parte. Perciò
se io ritorno nella società non può esserci nessuna separatezza, estraneità,
affinché la società stessa si senta esentata dal dover fare i conti con questa
realtà. Allora
come può una società non sentirsi chiamata in causa, non avere la consapevolezza
che é suo preciso interesse occuparsi di ciò che avviene dentro un carcere,
perché volenti o nolenti, esiste un dopo, e questo dopo positivo dipende da un
durante solidale costruttivo e non indifferente. I tre
passaggi elencati dovrebbero esser il collante per quel ripensamento culturale
che alimenti attenzione solidale tra società e carcere. Perché
ho posto quell'accento iniziale? Perché ho parlato di un prima, un durante e un
dopo ? Qualche tempo addietro nel corso di un dibattito a cui ero stato
invitato, ho sentito un cittadino indicare il carcere come il contenitore dei
mostri. La sua affermazione mi ha fatto pensare. Eppure di giorno in giorno si
scopre che il mostro di turno é un magistrato, un avvocato, un politico, un
ministro; un poliziotto, il salumiere; uno di noi, uno come noi, perché tutti possiamo
sbagliare, siamo tutti a rischio. Di
seguito quel cittadino ( con cui ora é nata stima reciproca) ha contestato che
lui é sicuro di non sbagliare, di essere al di sopra di ogni sospetto, che nulla
di lui può esser messo in discussione, che insomma lui non ha e non avrà mai a
che fare con carceri e carcerati. Ascoltandolo ho ricordato quando anch'io
(certamente per altro verso), procedevo per assolutismi, per ricercati sofismi,
per visioni unidimensionali e mi ripetevo: che parlino pure, tanto non mi
beccheranno mai. Infatti da 26 anni
ho dismesso i panni del più furbo. Nel
rispetto comunque delle sue opinioni gli ho risposto che nessun uomo é un
alieno, perché tutti nessuno escluso, partecipiamo alla comune umanità, persino
in quella più derelitta e sconfitta relegata in un carcere ( ed in carcere siano
tutti degli sconfitti ). Non mi
stupisce quindi la tendenza di quanti si ritengono, sì, simili a chi sbaglia, ma
di contro ribadiscono che il detenuto non é un uomo, non é una persona, e dunque
non é un loro simile. E più
leggo queste ultime mie righe, più la mente mi porta a sperare di riuscire a
smuovere una riflessione sui
molteplici legami che rendono solidale la società al carcere, sulla necessità di
renderci conto che il problema della Giustizia e del Carcere riguarda tutti, e
tocca tutti da vicino, a tal punto che farsene carico non é un questione di pura
pietà o altruismo, bensì di un vero e proprio interesse
collettivo.
«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.
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