"Una
collina in festa" - Centro Missionario dei Servi di Maria - IV° Festival
Missionario - 22-23 Settembre 2001: «PIANETA BAMBINI» a Bologna, Eremo di
Ronzano.
Programma:
SABATO 22 SETTEMBRE: Ore 16 Seminario di approfondimento sul tema: FIGLI DEL
BENESSERE E FIGLI DELLA POVERTA'. Relazionano: I bambini stranieri in Italia,
tra emarginazione e integrazione Miriam Traversi, CD/Lei Minori che delinquono:
punirli o rieducarli?Francesco Rosetti (magistrato). L'Eremo di Ronzano si trova
a Bologna, via Gaibola 18. Per prenotazioni e informazioni: tel. 051-581443 -
fax 051-333295. In caso di maltempo la festa avrà svolgimento al coperto.
DOMENICA 23 SETTEMBRE - Ore 9.30 Tavola rotonda sul tema: I DIRITTI DEI BAMBINI:
alla vita, all'ascolto, alla scuola, alla salute, al gioco…Partecipano:Rosetta
Mazzone (Avvocata);Esoh Elamè (Esperto educazione interculturale); Eustachio
Loperfido (Neuropsichiatra, presidente Associazione Casa sull'Albero); Maurizio
Millo (Magistrato); Giuseppe Stoppiglia (Presidente Macondo);Nishu Varma
(Scrittrice). Moderatore: Claudio Santini, giornalista. Ore 12.30 Eucaristia
Seguirà, per chi lo desidera, il pranzo. Nel pomeriggio: Stands: Centro
Missionario, Destinazione Chiapas, Emi, Commercio equo e solidale, Banca Etica,
Associazione Amici di Ronzano ecc. Spuntini e rinfresco (tigelle , vino, bibite,
gelati, caipirinha…) - Ore 16 Musiche e danze proposte dal complesso brasiliano
"Nelson Machado Trio".
Cooperativa La Rondine e l'Associazione “El Ceibo” vi invitano a: "Vivere un ottobre missionario equo e solidale". In programma: 26 settembre, presso il Centro parrocchiale di Prova di S. Bonifacio, alle ore 20.30, incontro con Dagoberto Suazo coordinatore cooperative produttori caffè dell’Honduras.
La FEVOSS (Federazione dei Servizi di volontariato socio sanitario) di Verona organizza un Pellegrinaggio al santuario della Madonna della Corona, domenica 30 settembre 2001, come iniziativa religiosa nell'Anno internazionale del Volontariato. La partecipazione è aperta a tutti. Programma: ore 8 - da Brentino Belluno convocazione degli escursionisti che raggiungeranno a piedi il santuario; ore 10 - da Spiazzi coloro che intendono utilizzare il trasporto con "navetta"; ore 11,30 - santa Messa celebrata per il volontariato; ore 12,30 - pranzo al sacco, un minestrone verrà offerto dalla Fevoss. Si tratta di un importante avvenimento che evocherà in molti le escursioni giovanili per raggiungere il santuario. Per motivi organizzativi si prega di dare la propria adesione (e quella di conoscenti) alla segreteria centrale: tel. 045 8002511 entro il 25 settembre. Alcuni pulmini attrezzati dalla Fevoss saranno messi a disposizione per situazioni particolari segnalate. Si fa presente che l'escursione a piedi richiede una buona condizione fisica e calzature adatte.
OFFERTA DI LAVORO: La Fevoss di Verona ricerca una impiegata full time per mansioni di segretaria amministrativa con interesse a lavorare nella realtà sociale. Requisiti richiesti: uso pc, dinamicità, capacità comunicative. Inviare il curriculum vitae a: Fevoss, via S.Nazaro 73 - 37129 Verona - fax 045 593412
Il Gruppo «Consumo Critico» Val d'Illasi e Bilanci di Giustizia organizzano GIOVEDI’ 4 OTTOBRE alle ore 20,30 presso la sala parrocchiale di San Zeno di Colognola ai Colli un incontro – riflessione su «LA VITA, I PENSIERI, GLI SCRITTI» DI DON ALBERTO BENEDETTI SEMPLICE PRETE, STUDIOSO, TESTIMONE DI PROFONDO AMORE ALLA TERRA NELL’ESSENZIALITA’ DELLA VITA QUOTIDIANA. Relatore: ALESSANDRO ANDERLONI autore del libro "IL PRETE DEI CASTAGNARI". "Ama il Creatore. Ama la terra. Lavora gratuitamente, conta su quello che hai e sii povero. Ama qualcuno che non se lo merita...Fai le domande che non hanno risposta. Investi nel millennio. Pianta castagnari. Sostieni che il tuo raccolto principale. E’ la foresta che non hai piantato. E che non vivrai per raccogliere…."
Avrò
coraggio fino alla fine dei miei giorni". È questa la solenne promessa di
Valdecy Noro, capo di una comunità indigena Wai-Wai. Suo padre pagò con la vita
l'impegno per i diritti del suo popolo. E lui oggi potrebbe fare la stessa fine.
Una lotta antica, quella delle popolazioni indigene brasiliane, che rischia di
fare un passo indietro. Lo scorso 29 marzo, il Senato ha infatti creato una
Commissione parlamentare d'inchiesta "per far luce, in 180 giorni, sulle
demarcazioni delle aree indigene, in particolare modo su quelle della fascia di
frontiera". Le argomentazioni che personalità di rilievo come Renato Lang -
avvocato, luterano, responsabile assieme al cattolico p. Antonio Fernandez del
Consiglio pastorale indigenista della diocesi di Roraima - s'affrettano a
confermare, sono due: "La terra è troppa rispetto al numero esiguo degli
indios"; inoltre, "le aree demarcate impediscono lo sviluppo del paese". Il che
è falso. "Se lo stato non si sviluppa, è perché non ha un progetto di sviluppo",
tuona l'avvocato, "come dimostra il fatto che 59 progetti di riforma agraria in
14 comuni dello stato di Roraima sono falliti". LA
QUESTIONE DELLA TERRA - Il
punto, dunque, è un altro. È la terra che fa sempre più gola anche ai bianchi.
Per il legname pregiato, i pascoli, ma soprattutto per quel che cela il
sottosuolo: l'invasione dei garimpeiros (i cercatori d'oro), dieci anni fa, ha
aperto la strada ai cercatori di platino, diamanti, zinco, titanio, tungsteno,
cassiterite, tantalo. "Solo nei territori degli Yanomami, sono state presentate
richieste di estrazione da parte di 700 società", ci ha confessato mons.
Apparecido José Dias, vescovo di Roraima. "Il colmo, poi, è che la legge per lo
sfruttamento minerario delle aree indigene, è stata proposta da un ex presidente
della Funai (l'organismo governativo che dovrebbe proteggere gli indigeni…),
Romeo Juca, ora senatore". Se questa normativa dovesse passare, darebbe il disco
verde all'incondizionato sfruttamento del sottosuolo. "Per il momento il
Parlamento federale sta cercando di resistere alle pressioni delle
multinazionali", dice ancora il vescovo. "ma fino a quando ci
riuscirà?". "Fra
l'altro, lo sfruttamento minerario - pur nell'illegalità - continua", aggiunge
Lang. "Solo questa settimana, hanno sequestrato mezza tonnellata di tantalite,
preziosissimo per la costruzione dei microchips dei computer e dei cellulari,
estratto abusivamente in area Wai-Wai, presso la Strada 29". Dunque la lista
delle società che vorrebbero aprire miniere, è lunga. Terra
sfruttata, da un lato; e terra amorevolmente coltivata dall'altro. Bianchi
contro indigeni. Per i popoli indigeni, la terra è la vita. È il luogo dove
cacciano, dove costruiscono le loro capanne (malocas), dove piantano la manioca
- dalla quale ricavano una farina, la tapioca, con cui cucinano focacce (beijù)
- e dove crescono le liane, da loro intrecciate per farne grandi
ceste.
IL
PREZZO DELL'IDENTITÀ - Una recente proposta di Legge - n. 1610/A del 1996, a
firma del senatore Romero Lucà e del deputato Luciano Pizzotto - offre alle
comunità indigene "almeno il 2%" degli utili derivanti dalla commercializzazione
dei minerali. Un miserissimo 2% non può (non deve) essere il prezzo della loro
identità, della loro cultura, della loro civiltà, valori che sarebbero
irrimediabilmente compromessi, se i bianchi invadessero anche le loro ultime
terre. Ne
andrebbe dunque della sopravvivenza di 360mila indigeni - secondo dati del Cimi
(Consiglio indigenista missionario) - che appartengono a 215 popoli e parlano
180 lingue diverse. Soltanto nel Roraima, lo stato più a settentrione del
Brasile, al confine con il Venezuela e la Guyana, vivono attualmente 40mila
indigeni, di cui 17mila Macuxì, 9mila Yanomami, 6.500 Wapichana, 800
Waimirì-Atroari, 700 Ingaricò, 600 Wai-Wai, 500 Tuarepang, 400 Yekuana, 50
Patamona.
Gli
Yanomami - un popolo che gli antropologi francesi definiscono forse il più
"primitivo" della terra, con uno stile di vita databile al neolitico, a circa
12mila anni fa - vivono in piena foresta amazzonica, praticano soprattutto la
caccia e la pesca. Al loro perfetto ecologismo, abbinano un'economia senza
proprietà privata; una vita comunitaria nelle plurifamiliari malocas (le capanne
che raccolgono fino a 8-10 famiglie per un totale di 80-100 individui);
un'esistenza non dominata dalla fretta o dall'ansia di produrre, ma capace di
ascolto, di accoglienza, di dialogo, di festa, di comunione; un'intensa
spiritualità di tipo "zoista", capace di cogliere il "soprannaturale" in ogni
creatura vivente o inanimata, con i suoi rituali officiati dagli
sciamani.
I
Macuxì e i Wapichana abitano invece la savana e sono etnie "semiacculturate",
con una profonda coscienza dei propri diritti politici e una lunga storia di
battaglie per mantenere le loro terre e la loro identità. "Noi indigeni vivevamo
bene, qui", racconta Leonardo Roseno, Macuxì, coordinatore del centro di
Maturuca. "I primi bianchi sono arrivati attorno al 1915. All'inizio, erano
cordiali. Si presentavano ai tuxauas (capi) dei villaggi, chiedendo il permesso
di tirare su una casa e di allevare il loro bestiame. Prepotenze e violenze
vennero in seguito. Le nostre terre furono invase prima dai fazendeiros, gli
allevatori, e poi dai garimpeiros, i cercatori d'oro. I primi ci hanno stretto
in una morsa con recinti e filo spinato. I secondi hanno avvelenato l'aria e i
fiumi con il mercurio usato per separare le particelle aurifere dagli altri
metalli. Tutti ci hanno decimato. Con le fucilate, a volte. O con le malattie
portate da loro, come la malaria, la Tbc o il morbillo e la varicella, che prima
ignoravano. E con una forzata, non voluta ‘modernizzazione’ che per noi ha
voluto dire soprattutto riduzione in schiavitù e alcolismo, oltreché tradizioni,
usi e lingua sistematicamente ignorati, derisi, combattuti. Essi portarono
alcolici, prostituzione, abusi sessuali. Ci fu un vero massacro da parte degli
invasori". Nel 1977, proprio a Maturuca, ci fu però una svolta. La comunità
decise di rinunciare alla cachaça, il forte liquore distillato dalla canna da
zucchero, spesso utilizzato dai fazendeiros per pagare il lavoro indigeno. Di
qui, iniziò la strenua difesa della loro cultura ed identità. Negli anni '80,
essi videro schierarsi al loro fianco la chiesa, forse desiderosa di scrollarsi
di dosso pesanti sensi di colpa per un'evangelizzazione non priva di soprusi nel
corso di 500 anni. La campagna internazionale Uma vaca para o indio (Una mucca
per indio) - messa a punto dai missionari della Consolata - fece sì che le
popolazioni indigene Macuxì, Wapixana, Ingaricò, Patamona e Taurepang avessero
mandrie a sufficienza da difendere il possesso delle loro terre. UNO
STRANO ALLEATO: L'ESERCITO - Nel frattempo si registra un'evoluzione anche dal
punto di vista giuridico. Nel 1988, viene promulgata la nuova Costituzione
federale che, tra l'altro, all'articolo 231 riconosce senza mezzi termini agli
indios il diritto "al possesso permanente" e "all'usufrutto esclusivo" delle
ricchezze naturali esistenti sul suolo, nei fiumi, nei laghi delle "terre da
loro occupate tradizionalmente". Vengono riconosciuti 594 territori indigeni, e
di essi 279 vengono registrati con apposito decreto legislativo. A tutt'oggi 315
territori non sono però ancora tutelati dalla legge. Una situazione incerta,
dunque, che sta di nuovo lentamente deteriorando. Si moltiplicano infatti i
segnali di un brusco cambiamento di tendenza. Il fatto, ad esempio, che il
ministro della Difesa, Geraldo Quintão, abbia recentemente affermato che la
demarcazione delle terre degli Yanomami, nello stato di Roraima, diventata
definitiva nel 1992, sia un "errore", è di per sé sconcertante. Un
altro caso emblematico è quello dell'area Raposa Serra do Sol - 1.651.300 ettari
abitati da circa 15mila Macurì, Wapichana, Ingarikò e Tuarepang - la cui
demarcazione giace dal 1998 sulla scrivania del presidente Cardoso che, sotto le
pressioni delle lobbies minerarie ed agricole, ne rimanda la firma. Le lobbies
vorrebbero una demarcazione "ad isole" dell'area, cioè a macchie di leopardo,
con gli indigeni confinati in piccole "riserve", e i bianchi padroni dei
territori circostanti. Dal canto loro, gli indigeni reclamano una demarcazione
ad "area continua", conformemente allo spirito della Costituzione. A
dar man forte ai poteri economici, ci si è messo anche l'Esercito che ha
rispolverato il progetto Calha norte. In esso, si afferma che gli indigeni sono
difensori inaffidabili delle frontiere, e si propone la creazione di una zona
militarizzata di circa 150 km che, guarda caso, corrisponde esattamente a quella
abitata oggi dagli indigeni. Per "militarizzare" l'area, dunque, è iniziata la
costruzione di caserme. A Surucucus, in piena zona Yanomami, subito dopo
l'inaugurazione della base militare, sono puntualmente iniziati gli abusi di
militari ai danni di donne indie. La Commissione dei diritti umani, in un
documento del 19 febbraio 2001, afferma che sono state presentate al foro di São
Gabriel das Cachoeiras almeno 157 azioni legali di indie contro militari per il
riconoscimento di paternità di bimbi nati da rapporti con loro, e che già 34 si
sono concluse a favore delle denuncianti. Ad aprile, il vescovo di Roraima,
mons. Apparecido Josè Dias, affermava che le cause in corso erano più di
240.
Agguerritissimi,
i Macuxì sono invece riusciti - almeno per il momento - a bloccare la
costruzione di un'altra caserma, a Uiramutã. Lo scorso dicembre, hanno fatto
ricorso alla Giustizia, per ottenere la sospensione dei lavori. E il giudice
federale di Roraima, Helder Girão Barreto, ha accolto la loro istanza,
ricordando che la demarcazione delle terre indigene non mina la sovranità
nazionale, mentre l'edificazione di una caserma a cento metri dall'abitato indio
metterebbe a repentaglio la cultura e l'organizzazione indigena. Purtroppo un
altro giudice federale, lo scorso 17 aprile, ha ribaltato la decisione, di fatto
riaprendo il cantiere. Ora si attende la sentenza definitiva, che spetta al
giudice Barreto ed è prevista fra sei mesi. UNA
CHIESA A FIANCO DEGLI INDIGENI - "Dal
1972 in poi, dopo il Concilio Vaticano II e dopo Medellin, la chiesa si è
schierata a fianco delle comunità indigene", dice mons. Dias. "Cioè ha
coscientizzato non solamente gli indigeni, ma anche i bianchi, molti dei quali
però temono ancora fortemente ritorsioni". Di conseguenza, restano nell'ombra.
Per tutta risposta, i muri di Boa Vista - capitale dello stato di Roraima - sono
tappezzati di manifesti contro la chiesa. Le sue colpe sono due: l'aver
insegnato agli indigeni di essere detentori di diritti; e l'aver
internazionalizzato la causa dell'Amazzonia. "Non possiamo non stare con chi è
debole e vessato: tradiremmo il Vangelo", conclude il vescovo di
Roraima.
In
prima linea, il convento dei padres italianos, come è conosciuta a Boa Vista, ai
confini tra Brasile e Venezuela, la sede dei missionari della Consolata di
Torino, sulla riva destra del gigantesco Rio Branco: da oltre un anno è sotto il
fuoco incrociato di politici, proprietari terrieri e garimpeiros. "Ce la faremo
anche stavolta", assicura p. Giorgio Dal Ben, 57 anni, di Treviso, "ma abbiamo
bisogno che si racconti quello che sta accadendo". ALESSANDRA
GARUSI - ©
MISSIONE OGGI
"SCRITTURE E LINGUAGGI DEL MONDO": VOCE ALLA LETTERATURA DEL SUD
Un turista americano passeggia munito di macchina
fotografica in un villaggio indiano, ammirando una piccola statua equestre. “Che
meraviglia!” esclamò, camminando con passo lento attorno alla statua. Aveva il
viso scottato e rosso. Indossava una camicia e un paio di calzoncini color kaki.
Accortosi della presenza del vecchio, disse educatamente in inglese,
“Buongiorno!” Il vecchio rispose in tamil puro, il suo unico mezzo di
comunicazione, “Mi chiamo Muni e le due capre sono mie e nient’altro che mie;
nessuno può negarlo, benché il villaggio sia pieno di gente pronta a calunniare
un uomo.” L’uomo rosso in viso posò lo sguardo per un momento in direzione delle
capre e delle rocce, estrasse una sigaretta e chiese, “Fuma?”. “Non ne ho
neppure mai sentito parlare fino a ieri,” rispose nervoso il vecchio,
immaginando d’essere interrogato su un assassinio nei dintorni da quel
poliziotto del governo, come rivelava l’uniforme color kaki. L’uomo rosso in
viso disse, “Vengo da New York. Mai sentito? Mai sentito parlare dell’America?”
Il vecchio avrebbe capito la parola “America” (ma non “New York”) se il nome
fosse stato pronunciato così come lo conosceva lui – “Ah Meh Rikya” – ma l’uomo
rosso in viso lo pronunciò molto diversamente, e il vecchio non ne capì il
significato. Disse con tono rispettoso, “Brutti ceffi dovunque oggigiorno. Il
cinema ha rovinato le persone e ha insegnato loro a compiere azioni malvagie.
Oggigiorno può accadere di tutto.” Il turista americano vorrebbe comprare la
statua (sacra), il vecchio pastore pensa (ovviamente) che sia interessato alle
sue due capre. Davanti alla banconota da cento rupie l’indiano è quasi
sconvolto, una fortuna travolgente ha portato questo straniero al villaggio...
Prende i soldi e se ne va, ringraziando e lasciandogli le capre. L’altro intanto
siede soddisfatto sul piedistallo della statua, immaginando che il pastore sia
andato a cercare aiuto per il trasporto. A Horse and Two Goats di Rasipuram K.
Naryan è una storia emblematica, di incontri mancati, di dialoghi impossibili,
di errori culturali, di ingenuità grossolane. Forse la storia del Nord e del
Sud. Un vecchio pastore indiano, un inglese innamorato dei ghetti sudafricani,
un briccone maliano alla ricerca di avventure, un colono bianco tra gli indios
dell’Amazzonia, pakistani a Londra e Algerini a Parigi sono tra i variopinti
personaggi che popolano un’antologia di recente pubblicazione dedicata alla
letteratura del Sud del mondo (R. Alunni, P. Deandrea, P.P. Eramo, Scritture e
linguaggi del mondo. Narrativa per l’educazione interculturale, La Nuova Italia,
Rcs Scuola, Milano 2001). L’antologia è un percorso tra romanzi e di racconti di
autori africani, indiani, asiatici e sudamericani alla ricerca di temi che vanno
da Le storie degli “altri” (l’incontro/scontro tra Nord e Sud) alle Altre
visioni del mondo (le culture e i valori oltre l’Occidente), passando per gli
squilibri e le ingiustizie del nostro sistema (Ai margini della
globalizzazione), i diritti umani e il fenomeno migratorio (Migrazioni e
culture). Compilare un’antologia di letteratura, per di più con un orizzonte
così vasto, pone certamente delle questioni molto complesse, la cui trattazione
– pur molto sintetica – può essere utile a un suo corretto utilizzo nella scuola
italiana. Intanto, che cos’è il Sud del mondo? Sono i paesi poveri che troviamo
nelle classifiche degli organismi internazionali? Ha senso adottare un criterio
economico per parlare di letteratura? E poi chiameremo Sud anche i paesi
dell’Est europeo? Oppure la Cina? Il criterio che abbiamo scelto è un altro:
nell’antologia abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla letteratura
prodotta nei paesi che hanno avuto con l’Europa prima, con gli Stati Uniti poi
un rapporto di sudditanza coloniale (o neocoloniale), senza tralasciare i
fenomeni di colonialismo ‘interno’: penso agli indigeni in America
settentrionale, centrale e meridionale, alle popolazioni caraibiche, agli
aborigeni e a tutte le grandi minoranze che nella storia hanno avuto la peggio
(dalla Turchia al Sudafrica). Allo studioso o al lettore smaliziato che ci
chiedesse che razza di criterio è mai questo, risponderemmo con un certo
imbarazzo che ne conosciamo tutti i limiti, ma che siamo altrettanto pronti a
difenderlo. Pur avendo nobili antenati nei cosiddetti post-colonial studies (di
tradizione soprattutto anglosassone e poi francese) e in quel filone di studi
che ha coniato il termine di world fiction, ammettiamo che si tratta pur sempre
di una notevole marmellata, dal momento che con disinvoltura abbiamo messo
insieme uno scrittore egiziano con uno cileno, affiancati - magari – da un
pakistano che scrive a Londra o da un indonesiano che vive negli Stati Uniti.
La nostra scelta è giustificata da
due criteri: il primo è che ci rivolgiamo principalmente alla scuola italiana,
con particolare attenzione ai programmi di insegnamento della letteratura nel
biennio e nel triennio delle superiori. Dove la presenza di autori ‘del Sud’ è
assolutamente sporadica, ma nello stesso tempo la ‘domanda’ di strumenti per
l’educazione interculturale che si integrino nel curricolo si fa sempre più
pressante. Questo ci porta a compiere scelte drastiche, a privilegiare testi di
facile lettura, adatti a un adolescente, intriganti per l’insegnante e
soprattutto ‘sfruttabili’ dal punto di vista educativo. Il secondo,
immediatamente collegato, discende da una celebre affermazione dello scrittore
nigeriano Chinua Achebe, per il quale “la cosiddetta autonomia della letteratura
è merda deodorata”: lo scrittore ha il compito di spiegare al suo popolo “dove
batte la pioggia”, secondo un’interpretazione fortemente engagée dell’attività
letteraria. Le obiezioni sono ovvie: la letteratura è prima di tutto letteratura
e non possiamo imporre o pretendere da un autore diciamo brasiliano restrizioni
tematiche o un ‘impegno’ sociale o politico che mai ci sogneremmo di chiedere a
uno europeo. A queste rispondiamo con una constatazione di fatto e una
motivazione ‘utilitaristica’: la prima è che la maggior parte della produzione
letteraria del Sud è profondamente segnata da tematiche sociali e politiche,
dalla riflessione sull’ineguaglianza, sul colonialismo, sull’ibridazione
culturale, ecc.; la seconda è che questi temi risultano per noi utilissimi per
costruire una via ‘narrativa’ all’educazione interculturale nella scuola, intesa
come riflessione/azione su tematiche globali quali l’ambiente, lo sviluppo, i
diritti umani, le relazioni tra culture. Considerati questi fini, l’utilizzo
dell’antologia risulta fortemente produttivo. Intanto perché mette di fronte la
cultura scolastica italiana, un po’ malata di eurocentrismo, a una prima
significativa constatazione: negli ultimi anni la produzione letteraria
soprattutto in lingua inglese e francese (proveniente dalle ex-colonie, ma anche
da autori di origine “coloniale” che vivono nei Paesi europei, in Nordamerica e
Canada) si è fortemente sviluppata e ha raggiunto notevoli risultati
qualitativi. Da tutto questo il mercato italiano è stato per molti anni escluso,
a parte alcune traduzioni e l’opera innovativa di alcune piccole o piccolissime
case editrici. Si tratta di testi che hanno ormai un mercato globale, non di
letteratura marginale: non conoscere le loro tematiche e il mondo che sottendono
significa isolarsi da una delle ‘correnti’ più produttive della letteratura
mondiale. In secondo luogo dare spazio nella nostra quotidianità educativa alle
voci letterarie provenienti dal Sud significa restituire nel dialogo
interculturale un ruolo di soggetti a culture che sono state per decenni
schiacciate dal colonialismo e dalle sue eredità e che nel corso del Novecento
(a parte la letteratura araba, che ha ben altro passato) hanno imparato a
servirsi in modo nuovo degli strumenti stessi dei colonizzatori (in primo luogo
la lingua). Nello stesso tempo va detto che molta di questa letteratura non va
considerata una produzione ‘etnica’ (buona per studiare storie, usi e costumi di
popoli che molti considerano ‘primitivi’): questi testi hanno – come qualsiasi
opera letteraria degna di questo nome – un valore universale, come a dire che in
buona sostanza parlano anche di noi (de te fabula narratur, diceva il buon
Orazio). Ci parlano cioè del futuro delle nostre città e delle nostre società:
l’inquietudine e l’insicurezza, i temi globali (ambiente, sviluppo, povertà e
ricchezza, violenza, potere), la multicultura e la multiappartenenza, ecc. Per
questo sono produttive in senso interculturale. In terzo luogo frequentare le
letterature del Sud ci aiuta ad assumere un approccio ‘narrativo’ alla
differenza: un romanzo crea uno spazio e un tempo di ascolto ‘lunghi’ e
particolarmente privilegiati, che spesso ci mancano quando ci capita di
incontrare il Sud del mondo nelle nostre città (il ristorante etnico, i volti
per la strada, i servizi dei media); ci trasporta su un terreno culturale
sconosciuto, provocandoci un effetto di ‘straniamento’ che forse solo in
letteratura accettiamo di sperimentare senza paura; ci fa nascere la sensazione
che ognuno (individuo, cultura, popolo) ha diritto al ‘suo’ racconto e alle sue
storie, che le storie sono infinite e che non ne esistono di superiori e di
inferiori; favorisce identificazioni (con i personaggi, con la vicenda) e
cambiamenti del punto di vista; genera probabilmente nuove storie, che il
lettore può a sua volta raccontarsi e raccontare. Le cose fin qui dette non sono
ovviamente caratteri esclusivi di un racconto mozambicano o di un romanzo
peruviano, ma lo sono in relazione ai temi che maggiormente ci interessano. Le
letterature del Sud, opportunamente sfruttate, possono sviluppare sensibilità
multiculturali (le differenze che ci separano, ma che impariamo se non altro ad
ascoltare e a capire), interculturali (il meticciato, lo scambio) e
transculturali (ciò che ci unisce al di là delle culture). Un avvertimento: il
nostro entusiasmo nel proporre la letteratura del Sud non ci ha oscurato il buon
senso. Sappiamo bene che leggere un romanzo non ci trasforma per incanto in
homines interculturales; sappiamo che questa è una lunga fatica fatta di
rapporti e conflitti reali con persone reali, rispetto e promozione di diritti
concreti, costruzione di regole e sistemi che includano invece che escludere.
Solo crediamo che la letteratura possa essere uno degli inizi possibili. (Pier
Paolo Eramo).
Attentati in USA /
1
Non ci sono parole per
descrivere lo sgomento che deriva dall'assistere impotenti alla tragedia.
Dolore e lutto per le migliaia di vittime. Paura per le conseguenze. Solo
nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione si può trovare rifugio.
In questi casi la nonviolenza sceglie il non-agire. Il rispetto per le
vittime e per l'intero popolo americano impone che il movimento
antiglobalizzazione sospenda le proprie iniziative. Il movimento per la
pace inorridisce davanti alle scene di giubilo che persone piene d'odio
hanno inscenato. Dio non voglia che chi è stato colpito così gravemente
pensi ad una risposta di tipo militare. Sangue chiama sangue, odio chiama
odio, vendetta chiama vendetta. E' una spirale impazzita che solo la
nonviolenza può fermare. Ognuno faccia la propria parte.
Mao Valpiana (Movimento Nonviolento - Verona, 11 settembre 2001, ore 18,15) Pax Christi Verona: «Orrore, immensa tristezza e grande dolore». Davanti al massacro scatenatosi
in alcune città degli Stati Uniti, il nostro primo pensiero va alle
vittime del terrorismo. Ai loro corpi. Ai loro volti. Cerchiamo di
immaginarci la loro vita quotidiana tragicamente interrotta. Vorremmo
esprimere la nostra solidarietà e la nostra commossa partecipazione alle
loro famiglie, agli amici e ai conoscenti.
Molto è ancora da chiarire sulla tragedia statunitense, ma una cosa per noi è certa. La violenza è disumana, cattiva, stupida e vile. E' un male che annienta l'umanità. Offende la civiltà. Degrada e annulla il valore delle cause che pretende di difendere. Alimenta il clima di paura. Scava ulteriori abissi di incomprensione. Allontana la soluzione dei problemi. E' anche vile perché usa persone innocenti e inermi per il proprio delirio di onnipotenza. Crea sempre una spirale terribile di odio, di sangue, di morte. E' come un buco nero del cosmo: divora ogni risorsa vitale e distrugge il futuro. Anche questa violenza riprodurrà vendette, risentimenti, intolleranze. L'esultanza di alcuni palestinesi è frutto di un dolore disperato cresciuto in un inferno di tormenti che preparerà altri inferni per sé e per gli altri. Davanti a un dramma così immane, che aggrava ogni altro dramma, sentiamo la necessità di testimoniare col silenzio operoso e con il dialogo costruttivo il valore rivoluzionario della pace. Ci sembra utili moltiplicare i momenti di riflessione e di comunicazione: sia veglie di preghiera e di meditazione, sia incontri ecumenici o interreligiosi, sia confronti e scambi culturali. La città di Verona può valorizzare in ambito internazionale il suo gemellaggio con la palestinese Betlemme e con l'israeliana Ranana, sollecitare la diplomazia delle Nazioni Unite e partecipare alla marcia della pace da Perugia ad Assisi del 14 ottobre. Dato l'aggravarsi della crisi mediorientale, ci sembra decisivo rilanciare il ruolo dell'ONU facendo anche di Gerusalemme la sede dell'ONU fino alla fine dei conflitti armati. In ogni caso, per noi è essenziale rinnovare l'impegno per promuovere il valore e il metodo della nonviolenza. E' l'unica reale novità. L'innovazione che cambia in profondità. La concreta utopia che spezza la spirale della distruzione reciproca, supera le culture del nemico, trasforma positivamente i conflitti, crea nuovi rapporti tra le persone e i popoli. Ci pare urgente accendere ogni giorno il sogno fraterno di Martin Luther King con gesti, parole e opere di pace. "La vera scelta - egli diceva- non è tra nonviolenza e violenza ma tra nonviolenza e non esistenza.Se non riusciremo a vivere come fratelli moriremo tutti come stolti". Verona 11.9.2001 Pax Christi (Verona) Attentati in USA /
2
Esprimiamo un profondo cordoglio al
popolo americano per la perdita di numerose vite umane e per le sofferenze
inflitte dall’attacco dei terroristi. In questo
momento in cui si stanno cercando le forme di risposta all’attacco
terroristico, ci perviene alla mente che, nel passato, soluzioni di pura
natura militare, non hanno sradicato le cause degli antagonismi e quindi
degli atti di guerra. Poiché le cause di questi fatti
incresciosi sembrano essere maturate nel tempo e ricercate in un sempre
maggiore isolazionismo degli Stati Uniti rispetto agli altri paesi, in una
politica estera americana volta a salvaguardare in primo luogo i propri
interessi nazionalistici, ci sembra che la soluzione ideale risieda in un
approccio combinato di natura sia politica, che strategica e militare nei
confronti dei paesi obiettivo delle presunte rappresaglie. Non solo, il tarlo degli interessi nazionalistici per una nazione
che domina la scena internazionale, come gli USA, che ha perciò
naturalmente delle responsabilità economiche, sociali, militari, e
politiche nei confronti degli altri paesi del mondo, espletate nel passato
anche nell’aiuto a molti di essi a risollevarsi dalle rovine delle guerre,
mina la credibilità stessa del suo ruolo imparziale
internazionale. Un approccio esclusivamente militare
perciò, rischierebbe di non allentare le tensioni e di non dare voce alle
crescenti opinioni e convinzioni che in mondo globale è necessario
perseguire il benessere di tutti. I paesi alleati
perciò, in questo momento di lutto, devono aiutare gli Stati Uniti, devono
altresì allearsi nella ricerca di soluzioni a patto che gli USA
riorientino la loro politica estera in una prospettiva di benessere
globale, lasciando da parte i soli interessi nazionali. Questo porterebbe ad un allentamento delle cause che hanno
maturato una così forte reazione di natura terroristica nei loro
confronti. E questa ci sembra pure la prospettiva in
cui si possa localizzare il ruolo degli USA nella compagine
internazionale. Potrebbe essere un grande passo avanti per quei principi
di solidarietà, libertà e giustizia di cui essi si fanno pure
portavoce. (Tarcisio
Bonotto Proutist Universal –
Italia Via Mezzomonte, 58 37034
Quinto di Valpantena - Verona -
Tel 045 - 551358 - Fax 045 -
551358)
PROUTIST UNIVERSAL è un'associazione
internazionale presente in 80 paesi. L'obiettivo principale è la
divulgazione di un sistema socio-economico alternativo al capitalismo
individuale e al capitalismo di stato che favorisca il benessere
collettivo e individuale. Il PROUT, Teoria della Utilizzazione
PROgressiva, sostiene la decentralizzazione economica e lo
sviluppo locale come fondamenti per una economnica equilibrata,
controllata dalla popolazione in generale.
Il PROUT è la prima teoria socio-economica a considerare l'importanza
di tutte le risorse, materiali, economiche, sociali, intellettuali e
spiritualie la loro adeguata utilizzazione per il benessere di tutti. Come
teoria socio-economica olistica il PROUT integra le varie sfere della vita
umana in una piattaforma comune per uno sviluppo a 360 gradi.
Attentati in USA /
3
Noi che cerchiamo di vivere la nonviolenza esprimiamo il dolore e la più grande pietà umana per le vittime delle stragi in USA e la solidarietà a tutti quanti nel mondo soffrono queste violenze e cercano pace e giustizia. Condannando questa enorme violenza diretta non dimentichiamo che nel mondo c’è una più profonda violenza strutturale che si esercita nell’oppressione politica, nello sfruttamento e nell’ingiustizia economica. Tutte queste violenze trovano origine e giustificazione in varie culture violente, arroganti e sprezzanti verso le altre. La critica del dominio non è mai un crimine, mentre il crimine non è mai una critica giusta ed efficace, ed è invece riproduzione e conferma dell’ingiustizia che apparentemente combatte. Ci dissociamo profondamente da coloro che hanno dimostrato esultanza perché i sentimenti di odio, che abbrutiscono l’uomo, devono essere vinti e superati in noi tutti combattendo, sì, l’ingiustizia ma con il rispetto assoluto per ogni vita . Condanniamo ugualmente ogni proposito di vendetta o pretesa di fare giustizia con le armi da parte del governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati. L’indagine ed il giudizio sui responsabili di un tale crimine internazionale che offende tutta l’umanità compete all’ONU nelle sue legittime istituzioni. (Movimento Nonviolento, Movimento internazionale per la riconciliazione - Segreteria regionale del Piemonte e della Valle d’Aosta - Torino, 12 settembre 2001). Attentati in USA / 4
Manifestando orrore e cordoglio per la
spaventosa tragedia che ha colpito il popolo degli Stati Uniti mietendo
tante vittime innocenti, non dimentichiamo la tragedia dei 120.000 che
muoiono ogni giorno di fame e che non fanno notizia, in questa società
assuefatta alla violenza, istituzionale e non. Davanti alle manifestazioni
di giubilo e alle proposte di vendetta amplificate dai media, occorre
avere il coraggio di riproporre l’urgenza della fraternità universale, a
partire da una rilettura lucida e imparziale della Dichiarazione
universale dei Diritti umani, nella convinzione che il mondo non potrà
trovare salvezza né nel mercato né nelle armi, ma solo in un generale
esame di coscienza in termini politici ed economici a livello planetario e
in un generale disarmo delle coscienze, poiché senza la pratica personale
e collettiva della giustizia non è possibile né la pace né la salvaguardia
della Terra. In particolare, si aggiungerebbe crimine a crimine, anche a
livello locale, se si dovesse strumentalizzare questa circostanza per
innalzare un muro sempre più massiccio nei confronti degli immigrati che
sono tra noi o tra il mondo ricco, ferito nel suo orgoglio, e il mondo dei
poveri che nulla chiedono se non la più equa distribuzione delle risorse
del Creato. (Tempi di Fraternità - Redazione di Asti e di
Torino).
“Non
prevalga il desiderio di una risposta violenta. Si rischia uno scenario da
terza guerra mondiale.”
di Giuliano Pontara (direttore dell’Università
della pace di Rovereto (UNIP))
“Questo agli Stati Uniti
d’America è un attacco al cuore dell’Impero: o per lo meno così sarà visto
dalla maggior parte della classe politica mondiale. Anche la difesa più
forte della storia umana, dimostra la sua vulnerabilità. E’ la
dimostrazione che non è possibile difendere un paese armandosi fino ai
denti e che è inutile promuovere costosissimi progetti di scudi stellari
perché così entra nel vicolo sempre più chiuso della violenza. Ci sarà
un’ondata di odio e desiderio di repressione enorme. I movimenti non
violenti devono cercare di fare quello che hanno sempre fatto. Questo
continuo processo di escalation della violenza la violenza della
globalizzazione sostenuta anche militarmente dalle grandi potenze - porta
inevitabilmente alla globalizzazione della violenza, alimenta il
terrorismo internazionale (di stato o meno) che colpisce sempre più la
popolazione civile. Da studioso, non posso che esprimere preoccupazione di
fronte ad uno scenario che potrebbe assumere i connotati di una terza
guerra mondiale di dimensioni terribili. Mai come ora si ripropone
urgentissimo il bisogno di ricorrere agli strumenti della nonviolenza
senza lasciarsi prendere dal desiderio di vendette. Lo ribadisco: non ci
sono altre misure contro i rischi di un’escalation se non l’intensificarsi
di processi di distensione e mi riferisco anche a tutti i conflitti locali
e a bassa intensità, come quello arabo israeliano e le molte guerre che
devastano l’Africa. I movimenti, le ong, le associazioni devono
continuare a fare quello che hanno fatto e stanno facendo, fermi nella
loro linea di nonviolenza: guardiamo all’esempio di Ghandi nei momenti di
massima tensione in India.”
Fonte: Unimondo (http://www.unimondo.org). Il professor Giuliano Pontata, dell’Università di Stoccolma e uno dei massimi studiosi di “peace research” e della risoluzione nonviolenta dei conflitti, membro del Tribunale permanente dei Popoli per conto del quale ha guidato entrambe le sessioni sull’ex Yugoslavia (Berna l995 e Barcellona 1996), da Rovereto, dove venerdì 14 settembre inaugura il 9° Corso internazionale “Diplomazia popolare nonviolenza e riconciliazione” promosso dall’Unip. Attentati
in USA / 5
La FIEI anche a nome di tutte le organizzazioni aderenti in Italia e all’estero, esprime la piena solidarietà al popolo americano e la piena e totale condanna dell’efferato attacco terroristico che ha seminato distruzione e morte tra inermi cittadini americani e presumibilmente di molti altri paesi. La Fiei è vicina in particolare ai connazionali ed ai cittadini americani di origine italiana ai quali rivolge una particolare affettuoso solidale saluto. I mandanti dei gravissimi e raccapriccianti attentati vanno al più presto individuati e puniti. Ad oggi il quadro delle responsabilità non è ancora emerso. Il perseguimento dei responsabili di un attentato senza precedenti deve essere il più rapido possibile, mirato e selettivo. La Fiei, di fronte all’attacco inaudito contro il popolo americano condanna quanti usano o intendono usare gli strumenti del terrorismo nella vana illusione di risolvere con ciò i conflitti che insorgono fra paesi. Va rivendicato il primato del confronto, del negoziato, della mediazione, del consenso della comunità internazionale per dirimere ogni contrasto fra paesi e fra governi. Pace, giustizia sociale, solidarietà fra i popoli attraverso una più equa redistribuzione della ricchezza prodotta, democrazia, devono essere i principi alla base delle relazioni internazionali. (FEI) |
ZOOM ASSOCIAZIONI
R
SGUARDI OLTRE IL CONFINE è un’Associazione culturale nata nel 2000 su proposta di alcune persone impegnate come volontari in progetti di solidarietà con il Sud del mondo e con le periferie del Nord appartenenti all’Organismo Non Governativo C.R.I.C. (Centro Regionale di Intervento per la Cooperazione)Associazione Italiana Turismo Responsabile). L’obiettivo dell’associazione è quello di promuovere una cultura libera e critica, democratica e solidale che valorizzi la conoscenza e l’interscambio culturale fra realtà diverse del Sud come del Nord del mondo in uno spirito di rispetto, autonomia e crescita reciproca. perno su cui ruota l’attività dell’associazione è il VIAGGIO, inteso come metafora di esperienza, conoscenza, coscienza, incontro e possibile trasformazione. VIAGGIO come esperienza individuale, tangente all’esperienza collettiva e oggettiva della relazione, dell’incontro con l’altro, gli altri; della condivisione di un progetto interculturale. VIAGGIO come fuga e come ricerca del sé, come capacità di guardare oltre il proprio confine esperenziale, personale e culturale per avvicinarci a realtà magari vicine ma diverse e per costruire insieme ad esse una rete di sguardi e possibilità di sognare e realizzare un futuro più giusto e sostenibile. VIAGGIO come scoperta del sogno basato su volti di genti, spiagge e mari color perla e smeraldo, relax fatto di pace di boschi, tranquillità e mistero di oasi e deserti, templi e meraviglie nascoste, albe e tramonti che ricordano gli inizi del tempo, musiche che danno senso al tempo, al corpo, al movimento, agli occhi che cercano vita. VIAGGIO come consapevolezza delle relazioni positive e negative che legano il Nord ed il Sud, il centro e la periferia; delle strutture economiche gestite dai grossi centri di potere internazionali, ma anche delle esperienze sociali ed economiche alternative che vedono protagoniste Organizzazioni Non Governative, Cooperative locali, Botteghe del Commercio Equo e solidale, Associazioni di solidarietà. VIAGGIO come rete di incontri, relazioni significanti che si costruiscono all’interno del gruppo di viaggiatori ed all’esterno con quanti lavorano, vivono, lottano dentro la realtà locale. VIAGGIO come percorso di conoscenza della realtà sociale e culturale, economica e ambientale dei popoli e dei paesi che si toccano nel rispetto delle specificità, diversità, ricchezze culturali di ciascuno. Ma non solo VIAGGIO: il viaggio non è tale se non riesce a mettere in discussione i propri sistemi valoriali e culturali; se non interagisce con la propria esperienza di scoperta e conoscenza; se non fornisce diverse chiavi d’interpretazione della realtà internazionale ed interculturale. Attorno al viaggio, l’associazione vuole tentare di costruire percorsi di conoscenza, sia attraverso l’organizzazione di seminari residenziali . Nel mese di aprile del 2001 si costituisce formalmente come associazione senza fini di lucro ed aderisce all’AITR (e decentrati sui temi legati al viaggio organizzato, sia attraverso momenti di tipo informativo e formativo, costituiti da corsi tematici, mostre, incontri, dibattiti: il rapporto Nord - Sud del mondo; l’intercultura; i popoli, le loro culture e le loro lotte; i meccanismi economici dell’ingiustizia internazionale; le proposte per una diversa economia di rispetto e cooperazione; i progetti di solidarietà ed altro che di volta in volta verrà proposto dai soci o da altre associazioni con le quali “Sguardi oltre il confine” intende collaborare, a partire da quelle che fanno riferimento ad una lettura critica dei rapporti internazionali ed a forme di turismo responsabile.
Il turismo responsabile
Per capire che cosa può
rappresentare oggi il turismo etico e responsabile, occorre considerare cosa sia
il turismo tradizionale, annoverato ormai fra i colossi industriali quali quelli
dell’auto, dell’acciaio e del petrolio. Il suo fatturato annuo,
infatti, supera già quello di alcune di loro e spesso è gestito da
multinazionali che, come in altri settori, subordinano al proprio profitto
qualsiasi danno provocato alla gente, ai popoli, all’ambiente. Il detto secondo
il quale il turismo rappresenta, per i paesi del Sud del mondo, un’opportunità
di sviluppo è un modo per falsificare la realtà, in linea con la logica della
perpetrazione del loro sfruttamento poiché: solo una minima parte del reddito
prodotto dal turismo resta nel paese della vacanza mentre la maggior parte (dal
50 al 90%, a seconda del paese) ritorna agli stati ricchi sia come recupero
degli investimenti che come movimento delle merci acquistate al nord per il
fabbisogno turistico (il consumo dei prodotti locali è alquanto
esiguo). la
presenza del turismo impone una lievitazione dei prezzi col conseguente
impoverimento delle popolazioni locali spesso tenute lontano o sapientemente
nascoste per non disturbare il popolo dei vacanzieri, chiudendogli occhi e
coscienze sulle reali condizioni socioculturali. la
possibilità di nuova occupazione locale che il turismo determina rende
traballanti le economie locali stesse poiché le rende dipendenti da un mercato,
quello turistico, assai mobile e capriccioso, legato alla moda dell’anno, alle
campagne pubblicitarie ecc.
. spesso non vengono considerati i rischi di impatto ambientale: gli studi
di fattibilità di un centro turistico non si basano sul rispetto dell’ecosistema
specifico di quel paese, ma sul soddisfacimento della domanda turistica. Si
arriva così a non considerare l'inquinamento prodotto dagli scarichi, i rischi
per flora e fauna locale, il rischio della penuria idrica per la quale la
popolazione locale non ha sufficiente acqua potabile poiché l’acquedotto deve
rifornire le piscine del centro. la
cultura locale viene considerata solo in un contesto folkloristico per cui
identità, culture, problemi vengono nascosti ai più riducendo così le
possibilità di relazioni significanti coi territori e le sue
genti.
E
il turismo cosiddetto RESPONSABILE ?
Il turismo responsabile è un modo dolce di pensare alla vacanza e di entrare in
rapporto con altre realtà, privilegiando gli ambienti e le popolazioni locali ai
circuiti del “divertimento forzato e organizzato”.
Non è la negazione del viaggio ma la sua apoteosi culturale.
E’ un sassolino nella scarpa del business turistico-affarista; un tentativo di
coniugare il bisogno di viaggiare, vedere, conoscere, riposare con il rispetto
delle culture e degli ambienti.
E’ la capacità di godere senza distruggere, la tenerezza di chi non consuma ma
vive con poesia ed interesse il tempo del viaggio, della vacanza, rendendoli
esperienza unica, irripetibile: un’opera d’arte, una musica dal
vivo.
Il turismo responsabile: esclude di avvalersi delle catene industriali del turismo tradizionale a favore di piccole imprese locali, cooperative turistiche in modo che la gran parte del denaro speso resti al paese ospite. il viaggio viene ideato e progettato attorno a rapporti reali definiti e costruiti nel paese meta. il progetto del viaggio e le cose che ad esso ruotano intorno, vengono discusse prima della partenza con lo scopo di coinvolgere i partecipanti in relazioni significanti con se stessi, con gli altri e con l’esperienza che si intraprende. si garantisce l’incontro reale con le culture e le popolazioni locali grazie al contatto stabilito in precedenza, in modo da costruire opportunità di conoscenza/conoscenze de/con le diverse realtà. come nei circuiti del mercato equo e solidale il prezzo del viaggio è trasparente: ognuno sa esattamente dove sono finiti i soldi che ha “investito” nel viaggio. Questo ed altro ancora il turismo responsabile: la sua definizione ultima infatti può essere lasciata a coloro che l’hanno scelto come modalità di vacanza e di viaggio poiché ognuno può aggiungere elementi in base alla propria esperienza, alle nuove conoscenze ed alle emozioni vissute nell’umile tentativo di comprendere e dare il proprio contributo per cambiare questo nostro piccolo mondo.
Associazione Culturale “SGUARDI OLTRE IL CONFINE” - Milano:Via Morigi 8 - 20123 MI Tel/fax.: 02/86984342 giovedì (16.00-19.00)- E-mail:sguardioltreilconfine@yahoo.it - Referente: Gabriele - 0339/5452707- Giovedì (18.30–20.30).Bergamo:tel / fax 035/360961 - E-mail irisblu.lor@libero.it ;Referente: Daniela - 0333/2028685 Lunedì (19.30 – 21.30)
«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.
PER QUANTE SCONFITTE
C’è
un momento nella vita di ognuno in cui il mondo diventa un perfetto sconosciuto.
Si
rimane con la sguardo sotto il basso dei momenti nudi che ci assalgono, e allora
non è più possibile barare con gli altri né con noi stessi. Sono attimi che attraversano le
esistenze, che investono i percorsi e non consentono ulteriori giustificazioni.
C’è improvvisa la triste consapevolezza per l’età degli entusiasmi e delle
scoperte: scomparsa, dilacerata. E’
difficile persino ricordare quell’età che è stata nostra, c’è difficoltà a
ripensare a quel che siamo stati, a quel che non ha potuto essere; ai padri e
alle madri che dovevamo essere e non siamo stati mai. Questo accade perché ti
trovi a fare i conti con “un” te stesso riprodotto a misura. “Un” te stesso poco differente da quel
che sei stato; una fotografia vivente con gli occhi grandi e sgranati su un
mondo che non riconosce altri mondi.
Immagine dai passi svelti e dai gesti bruschi per non sottostare alla
linea mediana, a volte banale, della fatica, delle regole, delle
rinunce. Non c’è
nulla di diverso tra ciò che io ero e ciò che ora ho qui davanti a me. Esiste
l’identico impulso di ribellione, il sommesso borbottio sotto il primo strato di
incoscienza. C’è l’eguale ritrosia alla normalità di questa vita. Ragazzi
difficili, ragazzi devianti, minori a rischio, c’è spreco di etichette, di
stereotipi, delle famose gabbie di partenza: un carro allegorico stipato di
tanti ieri clonati, che percorre i bordi delle nostre coscienze, senza intaccare
etiche e morali. Oggi io sono tutor nelle comunità “Casa del Giovane” di Pavia,
ascolto questi ragazzi nelle schegge di un passato che bussa alle porta di ogni
città e periferia. Un passato che sistematicamente ricompone la sua trama, si
espande, chiede aiuto in una colluttazione sorda. E’ un’eredità mai spesa fino
in fondo, forse una nemesi semi umana, una complicanza dello stabilire chi è il
destinatario, come il mittente. Di certo è umanità allo sbaraglio, che picchia
sull’uscio delle nostre sconfitte, esprime il senso della precarietà che ci
pervade e confonde, è lo scotto a margine per la torsione di una comunicazione
ridotta ai monosillabi. Eppure il passato insegue il futuro circolarmente,
incornando questo presente che non sa guardare ai troppi ieri dimenticati, per
riuscire a incamminarci con occhi e sguardi nuovi ai fotogrammi umani gia
violati. C’è un momento nella vita di ciascuno in cui è difficile riconoscersi,
ogni cosa appare distante, estranea, al cospetto di una riflessione che disegna
il desiderio di fare del bene, rendendoci conto invece di avere fatto del male.
Così diceva anche San Paolo. Si sta sul diritto della nostra incapacità, degli
ostacoli molteplici che si sovrappongono, allora viene voglia di rifugiarsi
nella preghiera per trovare una soluzione, una risposta equa. Ma in questo pregare non c’è risposta,
ma ulteriore deriva per un’accettazione supina di ciò che è. Una presunzione che sottolinea il
fallimento umano, e proprio questa constatazione dovrebbe indurci a imparare a
perdonarci noi per primi, se vogliamo percepire l’intenso bisogno di pietà e
misericordia al nostro intorno. Me
stesso per primo. Pensare di relegare lontano la problematica giovanile
distruggendo parte della nostra memoria, nella convinzione di annientare il
malessere dentro di noi, è un atto di viltà inaccettabile. Dobbiamo riuscire a
comprendere che un ragazzo in salita, affaticato, gia stanco di lottare e
vivere, non è un giovane diverso da un altro che procede spedito verso la
propria maturità. Ho
l’impressione che i diversi siamo noi, che intendiamo proprietà privata ed
esclusiva solo quelli che ce la fanno, perché sono in possesso degli strumenti
necessari per farcela. Tanti ragazzi a perdere? No. Tanti
ragazzi a ritrovarsi, dico io, e ciò potrà verificarsi, scambiandoci
vicendevolmente la vita, la nostra storia personale, le nostre paure e i nostri
desideri, tentando così di accorciare le distanze, non solo perché il verbo ci
insegna che così andiamo nella direzione di Dio. Non solo perché essere
cristiani sottende il coraggio di non volgere le spalle. Ma anche e soprattutto
perché il giungere alla realizzazione di ogni individuo, passa attraverso il
rispetto della dignità dell’altro. Lavoro con questi ragazzi, ci accompagniamo
reciprocamente in questi cammini che ci accomunano, in una interdipendenza che è
legata a filo doppio con ciò che noi chiamiamo futuro. Una rete di rapporti che
è sostegno e slancio per ogni
futura personalità matura. Perciò diciamo “basta” nei riguardi delle
aritmetiche, delle statistiche, delle diciture che ripetono mille volte fine; e
mai fine giunge agli sproloqui. Basta davvero con il sottrarre nomi alla vita e sogni ai vivi da poco
in marcia in quest’avventura esistenziale.
Basta con il dolore che gioisce e ci dispera. Forse dovremmo fare comparire ciò che
non c’è tuttora: la capacità di andare incontro all’altro. Magari facendo un
passo indietro.Vincenzo
Andraous tutor presso le comunità “Casa del Giovane” di Pavia (Giugno
2001)
Tra gli italiani cresce la nostalgia per i giorni di Mussolini
Cinquantasei anni dopo essere stato fucilato e appeso a
testa in giù a piazzale Loreto, Benito Mussolini è protagonista di un revival che fa pensare a una sorta di
riabilitazione. Gli italiani sembrano non averne abbastanza: ora la sua tomba è sorvegliata da una guardia d'onore, la sua
effigie compare su alcuni prodotti, le sue case diventano hotel e i suoi sostenitori sono al governo.
(Fonte: The Guardian, Gran Bretagna http://www.guardian.co.uk/international/story/0,3604,549154,00.html )
Mafia
"La mafia, una delle più infami società segrete che il mondo abbia mai conosciuto, è ormai scomparsa. Dopo avere
esercitato il potere in Sicilia, assassinando, ricattando e seminando terrore... è stata fortunatamente stroncata dal regime fascista".
(Fonte: Arnaldo Cortesi, corrispondente da Roma, The New York Times, 4 marzo 1928.)