Nell'ambito della Festa Provinciale dell'Unità (23 agosto - 9 settembre 2001) , in collaborazione con la Libreria Rinascita, sarà allestita nell'unità 24 degli ex magazzini generali di Verona la mostra di Davide Coltro "Viventi", a cura di Camilla Bertoni. Il pubblico costituisce parte integrante al lavoro di Coltro; ogni sera procederà infatti il "censimento dei viventi" grazie al quale, in un work in progress, prende forma l'archivio, potenzialmente infinito, delle individualità umane. Un fotocopiatore e la successiva elaborazione digitale sono gli strumenti usati. La performance, a cui tutti sono invitati a partecipare, costituisce il primo passo della ricerca di Coltro: il fotocopiatore, una macchina di cui l'artista ha dovuto imparare a sfruttare le potenzialità, sfornando una "copia", una riproposizione in chiave contemporanea della maschera dell'antichità, in realtà "smaschera" le persone rubando, a volte forzando, l'espressione di un attimo. Obiettivo primario di questa ricerca, visibile di volta in volta nelle singole installazioni, è tracciare un percorso di immagini condivisibile dalle persone che lo alimentano con le loro individualità. I singoli, "smascherati", mentre si specchiano e si scoprono nei loro ritratti, indagando se stessi intuiscono l'appartenenza alla collettività umana. I documenti dell'archivio possono essere ingranditi al computer e, a seconda delle esigenze espositive, applicati a vari supporti. Dalle scarne pareti dell'unità 24 degli ex magazzini generali emergeranno così sia le gigantografie che la raccolta in progress di espressioni registrate direttamente dal fotocopiatore. Diversamente da quello realizzato con la macchina fotografica, il ritratto "fotostatico" fa emergere il volto da una inquietante oscurità e da una mancanza di contesto che rende misteriose e affascinanti le espressioni dei viventi. La luce mediata dallo strumento meccanico, disegna nel buio con inedita definizione i particolari dei volti, caricando di valore formale queste suggestive icone. PRESENTAZIONE: sabato 25 agosto ore 18.30.
Gli avvenimenti di questi giorni hanno veramente dell'incredibile: è
innanzitutto incredibile che un ministro in carica affermi la ineluttabilità
della convivenza tra mafia e imprenditori, esplicitando così la pratica che da
sempre attuano i suoi amici del Polo (politici, mafiosi e imprenditori).
Le
sdegnate reazioni di Piero Vigna, di Maria Falcone e del magistrato Antonino
Ingroia sono di per sé eloquenti.
E ben si comprende come Pina Maisano,
vedova di Libero Grassi, l'imprenditore palermitano ucciso dalla mafia proprio
10 anni fa per essersi opposto al ricatto dell'estorsione, abbia sentito il
bisogno di scrivere al Capo dello Stato per chiedergli «se ritiene che le
dichiarazioni del ministro siano compatibili con la sua carica di
governo».
Non meno incredibile - poi - mi sembra l'ostinato silenzio che su
questa vicenda hanno sino a questo momento (sono le 16 del 24 agosto) mantenuto
il Tg1 ed il Tg2: un caso più unico che raro di servile compiacenza verso il
ministro…di turno.
Ma voi tutti non avete proprio niente da dire? Mi rivolgo
a voi, uomini e donne che avete a cuore il rinnovamento del nostro
Paese.
Avete veramente perso la capacità di indignarvi, la volontà di
difendere gli ideali in cui siamo cresciuti?
Non avete ancora capito che sono
in gioco, ormai, gli stessi basilari principi di ogni vera democrazia? Ed allora
non perdete altro tempo! Fate giungere a questo giornale, nel modo che ritenete
più opportuno, l'espressione del vostro sdegno e della vostra protesta. Antonino
Caponnetto
Anarchico e
solitario ecco il «prete salvègo» che amava i
monti
Un libro di Anderloni su don Benedetti
L'Ecuador è il quarto esportatore di petrolio di tutta l'America Latina ed il sesto al mondo. Eppure la sua situazione non è delle migliori: la sottoccupazione raggiunge 61 ecuatoriani su 100. 6 ecuatoriani su 10, poi, guadagnano meno di due dollari al giorno (fonte: quotidiano El Universo, Ecuador, 8 ottobre 2000). Qualcosa sembra non funzionare. L'Amazzonia Ecuatoriana è lo scenario di maggior biodiversità e sociodiversità di tutto l'Ecuador, con una superficie di 130.832 km quadrati che corrispondono al 45% del territorio nazionale ed al 1.6% di tutta la conca amazzonica. Questa zona è per altro considerata come una delle più importanti perché ospita circa 25.000 specie di piante conosciute che si mantengono attraverso una conservazione millenaria. L'attività che maggiormente è stata causa di distruzione di questa terra è stata l'attività legata all'estrazione del petrolio, come dimostrato dall'esperienza vissuta per trent'anni dagli abitanti delle provincie di Napo, Sucumbíos e Francisco de Orellana. Da qui deriva forse il fatto che il paradigma del progresso e sviluppo portato dal petrolio, per l'Amazzonia Ecuatoriana non sia altro che un miraggio ed una forma di complicità verso il debito estero, oltre che l'ennesima forma di aggressione della civilizzazione occidentale, dello "svilluppo" della globalizzazione, a cambio di un genocidio umano e della distruzione della fauna e della flora della regione. E' dal lontano 1941, quando arrivò la Shell a Pastaza, che le popolazioni indigene della zona si trovano aggredite in nome dagli interessi finanziari delle imprese di turno: Shell, ARCO, Tri-Petrol, CGC, AGIP, ENI ecc.. Lo stato ecuatoriano, da parte sua, poco ha fatto per difendere gli interessi dei Popoli Indigeni. Se da un lato, mediante decreti esecutivi (n°551 e 552), il Presidente dell'Ecuador ha dichiarato intangibili, protette da ogni tipo di attività estrattive in modo perpetuo, le zone Cuyabeno-Imuya e le terre abitate dagli Huaorani, dai Tagaeri e dai Taromename (Parco Nazionale Yasuni), ben poca cosa è stata fatta per le popolazioni indigene di Pastaza. Qui sono stati conferiti titoli di proprietà a 10 comunità: Pandanuque, Paparagua, Santa Cecilia, Kurintza, Elena, Bellavista, Chuyayacu, San Virgilio, Pitacocha e Liquino. Va per altro sottolineato che le leggi sulla proprietà comunale valgono unicamente per la superficie della terra. E, malgrado la Legge Forestale preveda la proibizione di attività estrattive del sottosuolo nei territori indigeni, lo stato si è avvalso della Legge sugli Idrocarburi per favorire gli interessi delle multinazionali. E' così che nel 1992, la Arco Oriente Inc. (una controllata della nordamericana Atlantic Richfield Co.) iniziò l'esplorazione della zona, scoprendo un giacimento nella zona tra i fiumi Villano e Liquino (poi nominata Campo Villano). L'ENI entrò subito in partecipazione con una quota al 40% (attraverso la AGIP OIL Ecuador). L'arrivo della multinazionale italiana era per altro datato 1987, quando AGIP Petroli acquistava una società per la commercializzazione del GPL, la ESAFI S.A. e, successivamente, istituendo l'AGIP ECUADOR S.A., per operare nel settore estrattivo (fonte:sito internet dell'ENI, http://www.eni.it ). Negli anni successivi, le proteste delle comunità indigene portarono alla firma di alcuni accordi. Agli stessi (1998-1999) parteciparono per lo stato e la parte impresariale: alcuni rappresentanti del consorzio ARCO/AGIP, Petroecuador, e Ministero per l'Energia e le Attività Minerarie; per le organizzazioni indigene: OPIP (Organizzazione dei Popoli Indigeni di Pastaza), FIPPRA (Federazione Indigena dei Popoli di Pastaza e della Regione Amazzonica) ed Asodira (Associazione per lo Sviluppo Imdigeno della Regione Amazzonica), organizzazioni che si unirono successivamente nel Fronte Indigeno di Pastaza (FIP). Tra i punti più importanti accordati nel documento "Gli Intendimenti sull'Accordo del Piano Texas", l'ARCO/AGIP si impegnava a realizzare una valutazione dell'impatto ambientale del periodo di esplorazione ed a elaborare uno Studio di Impatto Ambientale, oltre che un Piano di Amministrazione Ambientale, per il periodo di sfruttamento. Arco, in realtà, evase alle proprie responsabilità, realizzando degli studi unicamente nell'area dei pozzi di esplorazione e non sulle vie di comunicazione (fonte: Pablo Ortíz T "Globalización y Conflictos Socioambientales", Quito, Abya Yala, 1997). Di fronte al mancato compimento degli accordi da parte dello Stato e dell'ENI, le comunità di Amazanga e San Virgilio hanno presentato un ricorso di Protezione Costituzionale. Il 7 Aprile 2000, la Corte di Pastaza ha risposto negativamente al ricorso, affermando, tra le altre cose, che il pagamento per opere e servizi deve essere considerato una adeguata indennizzazione. Nel frattempo, nel 1999, l'ENI ha esercitato il diritto di prelazione per l'acquisto del rimanente 60% del Campo Villano, divenendone unica proprietaria. Le organizzazioni indigene continuano ad appellarsi al Accordo Internazionale n°169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), accordo che è per altro incluso nell'attuale costituzione dell'Ecuador e che prevede l'obbligo di consultare i popoli indigeni, di rispettare i loro interessi, le loro istanze organizzative, di assicurare loro benefici per le attività che si sviluppano nel loro territorio e l'indennizzazione per gli impatti ambientali. Di fronte all'indifferenza dello Stato ecuatoriano e dell'ENI, la comunità di Amazanga si è rivolta all'attenzione del Comitato Internazionalista Arco Iris. Ecco quindi che come richiesto da Bolívar Santi, diffondiamo la sua lettera, con la speranza che questa generi la solidarietà dovuta. (Commissione Popoli Indigeni e Direttivo Nazionale del Comitato Internazionalista Arco Iris)
Doctor Gustavo Noboa Bejarano (presidente della Repubblica
dell'Ecuador)
Palacio de Gobierno - García Moreno 1043 -
Quito (Ecuador)
Tel: 00593 - 2 - 210-300
Fax: 00593 - 2 - 580-735
calvachee@presidencia.ec-gov.net
ENI
Piazzale Mattei 1 - 00144
Tel 06 59821 - Fax 06 59822141
www.eni.it
Presidente: Gian Maria Gros Pietro (
gianmaria.gros@eni.it )
Amministratore delegato: Vittorio
Mincato ( vittorio.mincato@eni.it )
Responsabile Relazioni
Esterne: Dott. Sergio Luciano Meazza ( sergioluciano.meazza@eni.it )
AGIP Petroleum Ltd. (Filiale)
Av. Patria 640 - P.O. Box 3188
- 1280 Quito (Ecuador)
Tel. 00593 - 2 - 561710
Fax 00593 - 2 - 561798
ZOOM ASSOCIAZIONI
«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione con il Ser.Co.Ba di San Salvador avviata un anno fa a San Bonifacio (VR). Obiettivo: fornire aiuti materiali alle popolazioni terremotate del Salvador e, in particolare, finanziare la fornitura di materiale sanitario (multivitaminici) e per l'igiene personale. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.
Uscita di emergenza
Mi
sono chiesto tante volte cos'è la libertà, questa condizione di grazia che
rincorriamo e quasi mai raggiungiamo. Mi sono chiesto se esistono davvero uomini
liberi. Osservo l’intorno, le strade dove i ragazzi stazionano perché non sanno
cosa fare: per molti il tempo è una comoda convenzione, una tabella di marcia da
espletare ed ogni sur-plus di tempo è da riempire in qualche modo, e la strada
diventa il prosieguo per dare un contenuto al proprio essere. Per non parlare
degli altri ragazzi, quelli che ancora non sono uomini, e che non si riconoscono
nei più grandi, per i quali in strada c’è la scoperta del contesto di forza,
dove il legame cresce e si rafforza nella trasgressione e…..
autoghettizzazione.
Osservo ancora più in là, e vedo gli adulti tutti in corsa, tutti presi e
affannati dalle mete da afferrare, dai rimpianti che premono alle porte, dai
rimorsi che sono zittiti dal benessere da agguantare a tutti i
costi.
E osservando ancora a questi giorni, alle masse in piazza, ai giovani ed ai meno
giovani in cammino, agli slogans e agli ordini impartiti, alle grida di gioia,
alle urla di dolore, ai morti ed ai feriti, ai giusti ed agli ingiusti, mi
chiedo dove sta la libertà degli
uomini liberi, liberi di governare e di decidere per tutti. Degli
uomini liberi di non condividere né accettare deleghe in bianco, dove sta la
libertà di dissentire, di sottrarsi dall’effetto di mille politiche confutate o
che potranno esserlo in futuro.
Dalla mia cella, dalla mia testa ignorante, osservo senza il peso di una
bandiera, da reietto, da colpevole e detenuto, osservo e rifletto sulle libertà
che non hanno colore nè facili entusiasmi, le libertà che sono di tutti, e
conoscono la paura, e non mi rimane resto nelle tasche, solo somme da
pagare.
Libertà di manifestare, libertà di protestare, libertà di non accettare, libertà
di parola, libertà di prenderle e di darle, libertà di morire in nome dei più
alti ideali, eppure in loro nome sono state commesse le nefandezze più
inenarrabili.
Questa non è la trama di un film già visto altre volte, come qualcuno si ostina
a raccontare.
E’ un film nuovo di zecca, dell’era digitale, e sebbene nulla del passato potrà
mai ritornare, qui non c’è la possibilità di gridare: “ehi regista fammi uscire
dalla trama del film, mi sono stancato. voglio ritornarmene a casa”.
Con la mente ripercorro uno sceneggiato di tanti anni addietro, dove utopie e
romanticismi sociali, sconvolsero drammaticamente il paese, finchè si perse il
conto dei morti e dei feriti.
Quella fu una degenerazione sociale fisiologica al sistema di allora, il 68
reclamava il giusto cambiamento, ma pochi uomini condussero alla eliminazione
non solo di tante persone, ma addirittura di una intera generazione.
Oggi lo scenario investe una libertà
che non è quella invocata ieri, perché coinvolge confini, terre, mondi, uomini
e politiche; non ci sono più quegli
slogans né quei compartimenti stagni.
Non ci si ammazza più per concetti quali: colpire al cuore dello stato, o per
fronteggiare gli strumenti di annichilimento statuali.
In questo presente ciò che più colpisce è il canto di gioia che si innalza nelle
marce, nei raduni, parole come “solidarietà, amore, giustizia, debito dei paesi
più poveri, ambiente, organismi geneticamente modificati”. Parole
che non sono slogans, né bollettini o comunicati di alcuna nuova e scellerata
brigata, né frutto di qualche eredità inconsapevole. Parole
e stili di vita che di per sé, sono, o dovrebbero essere, diga insormontabile
per qualunque ritorno al passato, che non posseggono propri colori e brevetti,
ma sono comportamenti alti di tutti e per tutti, per te, per me, fino al
Papa.
Genova ha comunque insegnato qualcosa a ognuno di noi. Le botte fanno male, ma passano, mentre
i segni che non si vedono lasciano tracce indelebili. So per certo che alla
violenza non è possibile guarire con altra violenza.
Tanti uomini grandi per autorevolezza hanno ribadito di non cadere nella
trappola della violenza, di non riesumare pagine di un libro ingiallito dal
tempo.
Io so per esperienza che non è un’arma a fare di un uomo un rivoluzionario, so
che una pistola fa di un uomo un futuro assassino, e quando questo accade, non
ci sono giustificazioni né attenuanti: c’è il baratro, da cui risalire è assai
difficile.
Non faccio parte di alcun movimento per la pace, ma comprendo che essa
rappresenta il mondo umano senza bisogno di tessere o bandiere, è una canzone
che ha note di evidenza reale che appartengono a tutti, potenti e
non.
Non è con il bastone, con le bottiglie incendiarie, o peggio con il fucile,
che le richieste di giustizia, di
solidarietà, di democrazia possono transitare da una istanza politica a una
scelta morale, ma con la fede della ragione, della mia, della tua, dell’altro:
questo può avvicinare a un’idea di imparzialità e giustizia.
(Vincenzo Amdraous
- Carcere di Pavia
- Tutor Casa del Giovane di Pavia
- Agosto 2001)