«il
GRILLO parlante» N.36 è stato
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PRUDENZA
"Anche se l'elefante è dimagrito,
non oserà attraversare un ponte di liane" (proverbio Toma - nazione:
Guinea)
Provo orrore di
tutti quelli che, come usano i generali, pensano che si
possa metter tra
parentesi il fatto che una vita umana sia distrutta. (Pedalino)
Appuntamenti da non
perdere
23/08/01 - SOAVE (VR) - I
100 PASSI
Presso
il Parco Zanella di Soave (VR), proiezione del film "I 100 passi" di Marco
Tullio Giordana (ITALIA 2000 - 114 min.) con Luigi Lo Cascio, Luigi Maria
Burrano, Lucia Sardo. Ingresso £ 5000. Il palinsesto è promosso da
Legambiente.
23/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala dibattiti - ore 21,30 «L'Unità ritorna tra noi»,
incontro con il giornalista Piero Sansonetti.
Arena spettacoli - ore 21.00 «Les Tambours Du Bronx».
23/08/01 - LEGNAGO
(VR) - FESTIVAL ETNICO (presso Parco comunale)
Area Cinema - ore 21,30 «Afro Cuban Express» rassegna di
cortometraggi africani e cubani
24/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala
dibattiti - ore 21,30 Giancarlo Caselli, Maurizio de Luca e Antonio Ingroia
presentano il libro «L'eredità scomoda - da Falcone ad Andreotti: 7 anni a
Palermo» (ed. Feltrinelli).
Arena
spettacoli: ore 21.00 Ilaria Peretti & Double Side «Stream of freedom -
Janis Joplin Tribute»
Concerti gruppi
DAGADA (Rock) e SHIVA (Alternative Rock). Inizio ore
21,30
24/08/01 - LEGNAGO
(VR) - FESTIVAL ETNICO (presso Parco
comunale)
Area
Convegni - ore 20,30 Tavola rotonda «Alternativa Porto Alegre. Uno sguardo sui
nuovi modelli di sviluppo» Interverranno: Gianni Minà, G. Rasimeli (Presidente
Cons. nazionale ARCI) e Titti Valpiana (deputata PRC)
Area
Concerti - ore 22,30 «Capoeira Angola Vadacao»
25/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala dibattiti - ore 21,30 "Scrittori in festa. Scrittori in
piazza», incontro con "Festivaletteratura" di Mantova
Arena Spettacoli - ore 21 Ballo liscio con «Gli Zeta»
Concerto dei REGINA MaB (Rock). Inizio ore
21,30
25/08/01 - SOMMACAMPAGNA (VR) - POPOLI IN
FESTA
Sabato 25 agosto,
nell'ambito della fiera, ci sarà a Sommacampagna la serata di Popoli in festa. Questo appuntamento annuale ha ormai una lunga
storia, la stessa storia del Comitato
per l'Educazione alla Mondialità
che insieme all'Assessorato alla Cultura organizza l'avvenimento. Nato negli anni della guerra in Iraq, appena
precedenti la guerra nell'ex-Jugoslavia, il Comitato ha fatto incontrare la
nostra Comunità con testimoni di grandi avvenimenti internazionali e con
gruppi provenienti dal mondo. Ha in
seguito organizzato innumerevoli viaggi nei campi profughi per portare aiuti
offerti dalle famiglie di Sommacampagna, ha lavorato perché i profughi dei campi
non si sentissero abbandonati e perché in un campo nascesse una scuola. Ha
sostenuto progetti di solidarietà e di sviluppo, ha fatto in modo che un giovane
serbo in pericolo perché contrario alla guerra fosse accolto dalla nostra
Comunità, ha partecipato a tutte le edizioni della marcia Perugia-Assisi, ha
organizzato serate culturali. Spesso ha collaborato e collabora con altri
Comitati comunali e con associazioni nazionali. Ogni anno il Comitato ha organizzato serate di
incontro con altre culture, specialmente attraverso la musica e il cibo. Sabato
25 agosto in Piazza Carlo Albero, vicino al Municipio, dalle ore 20.00 si
potranno gustare piatti tipici di vari paesi dell'America Latina, dell'Asia e
dell'Africa. Per tutta la serata del 25
agosto si potrà ascoltare il gruppo Ziganamama e danzare con la sua
musica. Il gruppo nasce nel 1997 con l'intento di far conoscere, attraverso la
musica e la danza, ad un pubblico il più possibile vasto la cultura e le
tradizioni del popolo rom e del popolo ebraico, accostando due etnie che, pur
presentando evidenti diversità, sono accomunate dallo stesso culto per la
libertà.
25/08/01 - LEGNAGO
(VR) - FESTIVAL ETNICO (presso Parco comunale)
Ore 17 - Teatro, spettacolo
di clownerie
Area convegni - ore 18
Tavola Rotonda: «La ricchezza dell'Africa: un continente oscurato dalle potenze
occidentali». Interverranno: Padre Gino Barsella (Direttore di Nigrizia);
Esponenti delle comunità africane presenti sul territorio.
Area concerti - ore 21,30
Spettacolo di trampolieri
Area concerti - ore 22,30
Concerto M.Camardi presenta «La frontiera scomparsa» con Kammerensemble, viaggio
contaminato da jazz e suoni del mondo.
DAL 23/8 AL 9/9
- VERONA - COLTRO... IN MOSTRA
Nell'ambito della Festa Provinciale dell'Unità (23
agosto - 9 settembre 2001) , in collaborazione con la Libreria Rinascita, sarà
allestita nell'unità 24 degli ex magazzini generali di Verona la mostra di
Davide Coltro "Viventi", a cura di Camilla Bertoni. Il pubblico costituisce
parte integrante al lavoro di Coltro; ogni sera procederà infatti il "censimento
dei viventi" grazie al quale, in un work in progress, prende forma l'archivio,
potenzialmente infinito, delle individualità umane. Un fotocopiatore e la
successiva elaborazione digitale sono gli strumenti usati. La performance, a cui tutti sono invitati a
partecipare, costituisce il primo passo della ricerca di Coltro: il
fotocopiatore, una macchina di cui l'artista ha dovuto imparare a sfruttare le
potenzialità, sfornando una "copia", una riproposizione in chiave contemporanea
della maschera dell'antichità, in realtà "smaschera" le persone rubando, a volte
forzando, l'espressione di un attimo. Obiettivo primario di questa ricerca,
visibile di volta in volta nelle singole installazioni, è tracciare un percorso
di immagini condivisibile dalle persone che lo alimentano con le loro
individualità. I singoli, "smascherati", mentre si specchiano e si scoprono nei
loro ritratti, indagando se stessi intuiscono l'appartenenza alla collettività
umana.
I documenti dell'archivio possono essere ingranditi al computer e, a seconda
delle esigenze espositive, applicati a vari supporti. Dalle scarne pareti
dell'unità 24 degli ex magazzini generali emergeranno così sia le gigantografie
che la raccolta in progress di espressioni registrate direttamente dal
fotocopiatore. Diversamente da quello realizzato con la macchina fotografica, il
ritratto "fotostatico" fa emergere il volto da una inquietante oscurità e da una
mancanza di contesto che rende misteriose e affascinanti le espressioni dei
viventi. La luce mediata dallo strumento meccanico, disegna nel buio con inedita
definizione i particolari dei volti, caricando di valore formale queste
suggestive icone. PRESENTAZIONE:
sabato 25 agosto ore 18.30.
26/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala dibattiti - ore 21,30 Vincenzo Cerami presenta
«Fantasmi» (Ed. Einaudi), partecipano Vincenzo Mollica e Milo Manara.
Arena spettacoli - ore 21 Ballo liscio con «I Barry»
Concerto dei DIRGE (Croosover) e NOVADIVA (Rock italiano).
Inizio ore 21,30
26/08/01 - LEGNAGO
(VR) - FESTIVAL ETNICO (presso Parco comunale)
Parco giochi, ore 17 - Spazio bimbi con spettacolo di
burattini
Area convegni, ore 18 - Tavola Rotonda «Sem Terra e bambini
di strada. Il Brasile dei contrasti» Interverrà G. Stoppiglia (Presidente
Associazione Macondo)
Area concerti, ore 21 - Teatro, da un testo di E.Galeano "Las
palabras andantes", voce recitante di F. Rinaldi, accompagnato da
chitarra.
Area concerti, ore 22 - Ritmi caraibici
27/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala dibattiti - ore 21,30 Domenico Starnone presenta "Via
Gemito" (Ed. Feltrinelli, premio Strega 2001), introduce Giulio Galletto,
critico letterario.
Arena spettacoli - ore 21 Ballo liscio con «I Rodigini»
Concerto della ZANETTI JAZZ QUINTET (Jazz). Inizio ore
21,30.
28/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Arena spettacoli - ore 21 ballo liscio con Ruggero
Scandiuzzi
29/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Arena spettacoli - ore 21 Francesco De Gregori in
concerto
Concerto dei FARABRUTTO (Combat-Rock), un viaggio tra
il sociale e il sogno. Inizio ore 21,30.
31/08/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala dibattiti - ore 21,30 Gianni Minà presenta
«Latinoamerica - e tutti i Sud del mondo». Partecipano: Gabriele Colleoni
(giornalista) e Giorgio Gabanizza (esecutivo nazionale di "Altri Mondi")
Dance Music: Lounge, Chill Out, Chill House, Jungle, Rap,
Sincro House - Special Guest DJ CHILL. Inizio ore
21,30.
01/09/01 - MILANO
- THAILANDIA
Serata
dedicata alla Thailandia al Festival dell'Unita' di Milano - Lampugnano,
con Nicoletta Negri (info: seiko@katamail.com)
01/09/01 - VERONA - FESTA
DE L'UNITA' (presso ex Magazzini generali - info:045
8203050)
Sala dibattiti - ore 21,30 Gianfranco Pasquino presenta
«Critica alla Sinistra italiana» (Ed. Laterza). Introduce Giangaetano Poli,
presidente della Direzione Provinciale DS
Arena spettacoli - ore 21 Ballo liscio con Loretta
Giorgi
12/09/01 - MILANO
- NICARAGUA
Serata dedicata al Nicaragua al Festival dell'Unita' di
Milano - Lampugnano, con Augusto Colombo. (info:
seiko@katamail.com)
in primo piano
Padre Alex Zanotelli
presenta il libro:
«LORENZO MILANI “I CARE
ancora” Lettere, progetti, appunti
e carte varie inedite e/o restaurate» a cura di GIORGIO PECORINI
- (EDITRICE
MISSIONARIA ITALIANA)
Su
una parete della nostra scuola c'è
scritto grande: "I
care". È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. "Me ne
importa, mi sta a cuore". È il contrario esatto del motto fascista "Me ne
frego". (Don Lorenzo Milani: Lettera ai giudici, 1965)Stasera
ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio
mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino: "Il priore non riceve perché
sta ascoltando un disco". [...]
Volevo anche scrivere sulla porta "I don't care più", ma invece me ne
care ancora molto.
(Lettera di don Milani a Francuccio Gesualdi, 4 aprile
1967)
PRESENTAZIONE
di p. Alex Zanotelli
Giornate
intense queste a Korogocho, giornate piene di tensione, perché il problema della
terra, su cui la baraccopoli è costruita, diventa sempre più
scottante.
Korogocho, una delle peggiori baraccopoli alla periferia di Nairobi, è costruita
su una piccola collina di due chilometri per uno. I1, 60% della popolazione
della città ‑ oltre due milioni di persone ‑ è costretta a vivere nell'l,5% del
territorio della municipalità, "sardinizzata" in oltre cento baraccopoli dove il
degrado ambientale, urbano e sociale è spaventoso. Korogocho potrebbe essere
l'ultimo girone infernale di questa "città del sole" governata da un apartheid
economico raffinato.
In tale situazione non è facile unire i poveri, divisi oltre tutto tra
proprietari delle baracche e affittuari (oltre l'80%!). Noi ci siamo schierati
decisamente a fianco dei più poveri... Lavorare e lottare con gli impoveriti dal
sistema non è facile, proprio perché si è al limite dell'umano. Ma proprio per
questo abbiamo scelto di essere qui. È una lotta difficile questa: camminare con
loro, lavorare con loro, lottare con loro. È una sfida unica. È un osso duro per
i nostri denti ("fai largo ai poveri, senza farti largo" diceva don Milani)...,
ma è proprio per questo che ho scelto di esserci. Gesù non ha fatto lo stesso
nella sua Galilea delle genti? È stato davvero volto dell'Abbà per tutta la
poveraglia della sua terra impoverita dall'imperialismo romano.
Penso che se don Milani fosse vivo oggi farebbe anche lui l'opzione dei poveri.
È questo il significato dell'opzione per Barbiana (per Milani era una scelta,
non un esilio!). "Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e
stranieri", afferma nella Replica ai Cappellani Militari, "allora vi dirò che
reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato e
privilegiati e oppressori dall'altro. I primi sono la mia patria, i secondi sono
i miei stranieri".
Ecco perché quando mi è stato chiesto di scrivere la presentazione di questo
libro ho sentito l'obbligo di accettare. n legame che mi unisce a don Milani, e
al suo alunno Francesco Gesualdi, è molto forte. Don Milani è stato uno dei
maestri più influenti della mia vita. Né avrei mai pensato di diventare compagno
di cordata del suo amatissimo discepolo, Francuccio. La vita sembra tutta un
caso... poi scopri che qualcuno con mano invisibile (non quella del mercato, per
fortuna!) sa riannodare tanti fili sparsi.
Non ho mai conosciuto don Milani di persona. Negli anni in cui il suo nome
veniva alla ribalta io ero ben lontano dall'Italia, negli USA a studiare, e poi
in Sudan. Fu infatti a El‑Abeid, nel lontano 1967, che cominciai a leggere di
don Milani sulle pagine de "Il Regno". Fui folgorato dalle sue posizioni
sull'obiezione di coscienza, sulla guerra, sull'esercito..., sulla storia
italiana letta da un'altra prospettiva. La Lettera ai giudici fu certamente il
testo che più mi colpì, perché veniva a scardinare una mia cultura personale
militarista e violenta. Fu questo per me l'inizio di un ripensamento radicale
delle mie posizioni, che mi porterà quindici anni dopo, precisamente nel 1985,
al lancio di "Beati i Costruttori di Pace" (per me fu un cambiamento a 180
gradi).
Questo movimento era il tentativo di saldare il binomio Vangelo e pace dentro la
Chiesa del Triveneto ("Beati" nasce nel cuore della Chiesa del Nord‑Est).
Purtroppo, il tentativo naufragò subito. E pensare che l'arcivescovo di Udine,
Battisti, aveva già preparato una bella lettera pastorale a nome dei vescovi del
Triveneto in risposta a "Beati". Ma la reazione delle forze politiche italiane
(DC in testa!), in particolare di Spadolini ("quei preti rossi del Triveneto") e
l'opposizione rabbiosa della segreteria di Stato fecero fallire il primo serio
tentativo di far assumere ufficialmente l'istanza della nonviolenza evangelica
dalla Chiesa italiana. Battisti pubblicherà poi quella lettera a nome proprio. E
tra i vescovi del Triveneto e "Beati" regnò il gelo! L'allora arcivescovo di
Trieste, Bellomi, che aveva firmato a nome dei vescovi (con la benedizione del
cardinale Cé) fu marginalizzato. Ne soffrì molto (non potrò mai dimenticare le
sue lacrime quando venne a salutarmi a Korogocho).
E per la Chiesa, in chiave di pace, si è continuato così fino ad oggi, con la
celebrazione del Giubileo delle Forze Armate e il rifiuto del Giubileo degli
Obiettori (il cardinale Biffi non ha forse affermato che "la nonviolenza non è
una virtù evangelica"?!)
Ma la pace è solo uno dei problemi che questa nostra Chiesa non riesce ad
affrontare seriamente. Economia e politica sono due aspetti fondamentali del
vivere umano che come Chiesa non riusciamo a coniugare in modo serio. Una
realtà, questa, che don Milani aveva colto bene nella Lettera a don Piero, in
appendice ad Esperienze pastorali: "Parli dunque pure il prete di governi e di
politica, ma solo per criticarli. Mostri al cristiano soltanto quanto lontano
egli sia dall'ideale altissimo del Cristianesimo e mai lodi le realizzazioni
terrene dei cattolici che (se anche dovessero divenire molto meglio di quel che
tragicamente sono) saranno sempre orribili parodie dell'ideale".
Niente meglio di questa affermazione esprimeva il mio stato d'animo quando
lavoravo alla rivista dei comboniani "Nigrizia". Quello che sentivo più forte
era proprio questo tradimento. Il tradimento delle istanze evangeliche, in
un'Italia retta in primis dalla DC che diceva di ispirarsi a principi cristiani,
mi appariva talmente ovvio che solamente un cieco poteva non vederlo. (La Chiesa
ufficiale, con larga benedizione vaticana, si ostinava a sostenere che questo
era il "minor male" per salvarci dal "grande male", il comunismo. Si esaltava
così il trionfo dei principi machiavellici: il fine giustifica i mezzi!). In
tutto questo, gli scritti di don Milani mi hanno sovente illuminato e stimolato
(insieme a quelli di due suoi grandi amici preti, Balducci e Turoldo! Furono
questi i miei maestri, non Marx!).
Si arrivò così al noto editoriale: Il volto italiano della fame africana
("Nigrizia", gennaio 1985). Scoppiò il finimondo politico ed ecclesiastico. Il
siluramento fu automatico (aprile 1987). Anche per me, però, Korogocho non fu
l'esilio, ma una scelta voluta e ricercata. Era il bisogno di sentire sulla mia
pelle la tragedia dei poveri. Era un imperativo di prete e di missionario. Sono
dodici anni che cammino nelle strade fangose o polverose dei poveri.
Proprio all'inizio di questo mio camminare a Korogocho fui raggiunto da una
lettera del "cucciolo" di don Milani, Francuccio Gesualdi. Mi chiedeva se potevo
scrivere una presentazione del suo libro Lettera ad un consumatore del Nord, che
si richiamava senza dubbio al genere tipico della scuola di Barbiana: la
Lettera.
Non conoscevo personalmente Francuccio. Accettai alla fine il suo invito. Era il
primo testo che scrivevo da Korogocho, dove ero arrivato solo da qualche mese.
Con la fionda di Davide si intitolava quella presentazione. Da qui nacque
un'amicizia con Francesco Gesualdi, che andò sempre rafforzandosi.
Fu grazie a lui che mi buttai nell'avventura della campagna contro la Del Monte.
Fin dal mio arrivo a Korogocho avevo seguito, ma dall'esterno, la gestione di
quella multinazionale. Ma ero talmente preso dalla realtà di Korogocho che non
trovavo tempo per altro. Gesualdi continuò a stuzzicarmi, forse memore delle
parole che gli aveva scritto il vecchio maestro: "Mi piacerebbe che tu lavorassi
nel sindacato a livello di rapporti internazionali con il Terzo
Mondo".
Fu solo nel '97 che un giovane laureato di Korogocho, Stefen Onma, si rese
disponibile per una ricerca seria che coinvolse il sindacato di Daniele Knile,
splendida figura di resistente. Una volta compiuta la ricerca, Gesualdi venne di
persona per valutare la situazione. Fu una gioia ospitarlo nella nostra baracca.
Decise che si poteva lanciare una campagna di boicottaggio contro la Del Monte
(era la prima volta che questo avveniva nell'Africa Nera!), una campagna che ha
dato molto in fretta i suoi frutti. Siamo infatti alla vigilia di un insperato
successo: la Del Monte sembra ormai pronta a trattare.
Questa vittoria si proietta su altre drammatiche realtà di sfruttamento:
l'industria dei fiori, del tè, del caffè. È l'inizio di qualcosa di nuovo in
Africa. E questo grazie a un discepolo di don Milani, che tenta di tradurre il
messaggio del maestro nell'oggi.
Questo mi sembra molto importante, perché ci ricorda quanto sia giusto il non
utilizzare nessuno, perché ciascuno è chiamato da Dio a rispondere creativamente
al momento storico che vive. Don Milani ha risposto creativamente al suo tempo
con la scuola di Barbiana; il suo discepolo con il consumo critico, con i nuovi
stili di vita, con i boicottaggi: "Là dove oggi si può e si deve fare nuova
scuola, nuova educazione per la liberazione degli oppressi per la difesa della
natura, per la speranza delle future generazioni".
Purtroppo la Chiesa italiana non ha ancora capito la "profezia" di don Milani,
né che grande dono è stato per lei. Nei vari anniversari, non una parola da
parte della Conferenza Episcopale Italiana sulla sua figura. Che vergogna! "Il
suo maggiore tormento ‑ scriveva Liana Fiorani ‑ fu di non essere riconosciuto
come prete al centro della Chiesa e non ai margini. Voleva essere prete,
nient'altro che prete!".
Più intelligente, in questo, il politico Veltroni che ha scippato il motto di
don Milani "I care" per farlo divenire quello del suo partito, senza però
assumere lo spessore polisco del pensiero del priore di Barbiana. Questo
significa strumentalizzare don Milani! Allo stesso modo non è giusto sbandierare
Korogocho senza assumere le istanze politiche degli impoveriti. C'è più
che mai bisogno oggi di giovani ("ho voluto più bene a voi ragazzi che a Dio" ha
scritto don Milani nel testamento) che abbiano il coraggio di rispondere
creativamente alle nuove sfide che incombono nella storia umana. Giovani decisi
a battersi per un'Italia capace di futuro, per un mondo capace di futuro. "Non
vedremo sbocciare santi - scriveva don Milani - finché non ci saremo costruiti
dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all'ingiustizia
sociale". Spero che il grido immenso di sofferenza degli impoveriti di
Korogocho e di tutte le Korogocho del mondo trovi menti e cuori attenti. Don
Milani avrebbe esclamato: "Me ne care ancora molto!". (padre Alex Zanotelli)
MASSMEDIA e TAM TAM
vari
ALCUNI LIBRI SULLA
CARRIERA DI UN PRESIDENTE
1) Michele
Caccavale, Il grande inganno, Kaos, Milano 1997; 2) Pino
Corrias, Massimo Gramellini, Curzio Maltese, 1994. Colpo grosso, Baldini &
Castoldi, Milano 1994; 3) Floriano De Angeli (a cura di),
Archivio Berlusconi, Cuccia & Co., Mafia Connection, Gropello C.
1994; 4) Floriano De Angeli (a cura di), Berlusconi 1,
Mafia Connection, Gropello C. 1993; 5) Floriano De Angeli
(a cura di), Galassia Berlusconi. 1. Mappa generale, Mafia Connection, Gropello
C. 1994; 6) Floriano De Angeli (a cura di), Galassia
Berlusconi. 2. Mappa dei transfughi e riciclati della Prima Repubblica, Mafia
Connection, Gropello C. 1994; 7) Giuseppe Fiori, Il
venditore, Garzanti, Milano 1995; 8) Claudio Fracassi,
Michele Gambino, Berlusconi. Una biografia non autorizzata, suppl. ad
"Avvenimenti", Roma 1994; 9) Procura della Repubblica di
Palermo, Direzione distrettuale antimafia, L'onore di Dell'Utri, Kaos, Milano
1997; 10) Giovanni Ruggeri, Berlusconi. Gli affari del
Presidente, Kaos, Milano 1994;11) Giovanni Ruggeri, Mario
Guarino, Berlusconi. Inchiesta sul signor TV, Kaos, Milano
1994; 12) Leo Sisti, Peter Gomez, L'intoccabile.
Berlusconi e Cosa nostra, Kaos, Milano 1997; 13) Tribunali
di Milano e Napoli, Le mazzette della Fininvest, Kaos, Milano
1996; 14) Elio Veltri, Marco Travaglio, L'odore dei soldi.
Origini e misteri delle fortune di Silvio Belrusconi, Editori Riuniti, Roma
2001.
PARCO DEL
GIGANTE
Il Parco del Gigante, con un intervento organico, ha
rivisitato le carrabili forestali e gli antichi sentieri trasversali esistenti,
adattato il tracciato alle due ruote ed alle quattro zampe, collocato la
segnaletica, evidenziati i servizi per ciclisti, cavalli e cavalieri. Per
questo motivo si è pensato di realizzare una guida, dedicandola a
tutti coloro che intendono esplorare il parco:
Ciclopista Ippovia del
Gigante (£.14.000). Questa propone sostanzialmente tre itinerari per
MTB. Il percorso principale è costituito dal collegamento est-ovest di
tutto il fronte a ridosso del limite toscano, il secondo itinerario si
dirama lungo l'anello del Ventasso, mentre seguendo
l'ultimo percorso si raggiungono le località delle pendici nord del
Cusna scollinando al passo della Cisa. La
Ciclopista Ippovia del
Gigante ha anche la sezione dedicata al trekking a cavallo. Alla
realizzazione di questa carto-guida hanno contribuito TUTTINBICI-FIAB-Reggio
Emilia, FITEEC-ANTE Emilia Romagna, Servizio Regionale Parchi e Riserve, Regione
Emilia Romagna. I libri Ediciclo, li potrete trovare nelle migliori librerie, o
richiederli direttamente alla casa editrice che si riserverà di effettuare degli
sconti in caso di ordinativi cospicui. (
www.ediciclo.it)
E' uscito, edito dalla Rete Bioregionale Italiana e
Arianna Editrice il libro di Gary Snyder «Ri-abitare nel Grande Flusso». "Gary Snyder, è
autore di "Turtle Island", per il quale ha ricevuto il premio Pulitzer nel 1974,
"The Practice of the Wild" (Nel Mondo Selvaggio, red edizioni 1992) "Coming into
the Watershed" e molti altri libri di poesia e saggi. Gary Snyder ha scalato
montagne, studiato Zen in Giappone, incontrato il Dalai Lama nel 1962 ed è stato
uno dei padri fondatori della Beat Generation. Dal 1985 insegna all'Università
della California a Davis. Nel corso di quattro decenni Gary Snyder si è dedicato
ad una singolare ed originale visione che fonde il Buddhismo Zen, la tradizione
dei Nativi Americani, i valori dell'ecologia e della wilderness. Questa visione
ha informato il suo lavoro, ha ispirato il movimento Bioregionale e la Deep
Ecology e ha creato un peculiare modello per ciò che significa essere umani
oggi."
Indice:
Consapevolezza
Madre Terra: le sue balene (poesia) - L'energia è eterna gioia
Chi siamo, dove
siamo Per/Da Lew (poesia) - Entrando nel cinquantesimo
millennio
Il selvatico dentro, il selvatico
fuori Senza (poesia) - L'etichetta della libertà
La Bioregione
Per tutti (poesia) - Arrivando nel Bacino Fluviale
Il posto e la
pratica Manici d'ascia
(poesia) - Kitkitdizze: un nodo nella
Rete
Ecologia profonda Alle cascate di Frazier
Creek (poesia) - Onorando il selvatico (intervista)
Il libro costa £. 14.000 e si può richiedere alla:
Rete
Bioregionale Italiana c/o Lato Selvatico, Via Bosco 106, 46020 Portiolo
(MN) Bioregione Bacino Fluviale del Po - Tel. 0376/611265 E-Mail.
morettig@iol.it Versamenti sul ccp. n°
14831242 intestato a Moretti Giuseppe, Via Digagnola 24, 46020 Portiolo (MN).
Aggiungere £. 2000 per spese postali
* Sconti per ordini superiori
alle 5 copie.
PRAXIS
E' disponibile il n. 21 di PRAXIS rivista
per un nuovo orientamento rivoluzionario
Contiene:
- A Ponente. Note
su una manifestazione oscurata
- E ora? Genova è stata una prova
generale. Tiriamo le prime somme. - di M. Priorati
- La Battaglia di Genova.
Può questo nuovo movimento darsi una prospettiva rivoluzionaria? - di D-17
-
La Trappola di Genova - Il presagio della battaglia e la polemica col
movimentismo - AA.VV
- Sri Lanka: il J.V.P., lo sciovinismo singalese e la
questione Tamil
- Critica della religione e realizzazione della filosofia
nella tradizione dialettica - di S. Garroni
- Materialismo e soggettivismo -
di V. Coordiner
- Intransigenza e dogmatismo. Il caso Bordiga - di M.
Ciotti
- L'ultimo Althusser e il materialismo aleatorio - di C. Preve
-
Antifascismo ribelle. Ad ottanta anni dalla prima resistenza antifascista - di
E. Francescangeli
- Fascismo di sinistra, Thiriartismo e nazional-comunismo -
Risposta ad E. Francescangeli
Per abbonarsi o avere una copia omaggio
contattaci: marxista@tin.it -
tel-fax: 0742.78828
SITI DA
VISITARE
2) LA REDAZIONE NAMIR - sperimenta per la prima volta la
pubblicazione di un libro nato per Internet. Molti di voi
conosceranno LUANA in rete per i suoi articoli graffianti - ed e' proprio con
questa autrice che desideriamo iniziare questa sperimentazione letteraria
- pubblicando «AIRONE BASSO» di Luana lulù con la sua intervista, lo puoi
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casa editrice.
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI &
OPINIONI
NOI, COSTRUTTORI DI FAME
di
DON TONINO BELLO
(articolo
pubblicato sul Manifesto del 20 agosto 1992, dieci anni fa. Segnalazione di
Domenico Manaresi)
TRA
LE INVOCAZIONI delle litanie dei santi che si cantano ancora oggi in chiesa, ce
n'è una che dice così: “A peste, fame et bello, libera nos Domine”. Liberaci, o
Signore, dalla peste, dalla fame e dalla guerra.
Vien da pensare che, più che da un uomo di Dio, sia stata compilata da una
commissione di sociologi. Perché, rapida come un telegramma, riassume
interminabili trattati sulla fenomenologia delle interconnessioni tra armi,
miseria, droga e tutti gli altri accidenti che ci tolgono la pace. Forse
dovremmo sorridere meno delle giaculatorie. Di queste frecce veloci, cioè, che
vanno verso il cielo. Se non ce la sentiamo di usarle come preghiera potrebbero
servirci almeno come modello di analisi.
La peste, la fame e la guerra, appunto. Le loro idre stanno funestando, tutte
tre assieme, gli ultimi scampoli di ferragosto. E, una volta dribblate le
vicende di W.Allen, i problemi di Funari e lo spettro reviviscente di Maradona,
atterriscono i lettori da tutte le righe del giornale.
Anzitutto la peste. Non quella bubbonica. Ma quella che lascia i segni di ben
altri lividi: la droga. In questi giorni, sequestri a quintali in ogni angolo di
porto. Turbe di giovani travolti dalla bufera. Genitori distrutti, senza approdi
di speranza al loro tormento. Corteggio di violenze, che germogliano su questa
libidine dell'assurdo. Esplosione di criminalità legata agli osceni mercati di
morte. Rituali tenebrosi, che la diaspora livida delle siringhe evoca
all'alba…
E poi la guerra. Questa guerra disumana dei Balcani che, alle consuete
scenografie delle madri che si disperano e dei roghi che crepitano sulle macerie
di antiche civiltà, aggiunge i fotogrammi dei lager dove la gente viene
sterminata con allucinante premeditazione. Questa guerra contro cui le nostre
ambiguità riduttive, le approssimazioni di comodo le reticenze dettate dalla
paura di apparire troppo ingenui ... non ci hanno fatto gridare con più
coraggio, con maggiore tempestività e senza sconti di copertina. E
infine la fame. Quando fino a ieri dicevamo che ci sono cinquanta milioni di
persone che muoiono ogni anno per mancanza di cibo si poteva anche rimanere
indifferenti di fronte a questa aritmetica della miseria. Ma oggi che perfino i
rotocalchi rosa riproducono lo smarrimento delle madri della Somalia che
stringono figli smagriti a seni senza latte, non possiamo più continuare a
vivere come prima. I fantasmi di questi infelici dovrebbero perseguitarci come
l'ombra di Banquo perseguitava Macbeth. E le fugaci zoomate dei teleschermi su
queste larve di umanità dovrebbero bloccarci la digestione.
SOMALIA: terra disperata, dove la bomba “M” (miseria) sta mietendo più vittime
della bomba “H”. Somalia: pista obbligatoria per l'atterraggio della nostra
attenzione sul pianeta della fame. Somalia: provocazione per tutti coloro che si
sono comodamente sistemati al banchetto della vita.
Perché non sono i coperti che mancano sulla mensa. Sono i posti in più che non
si vogliono aggiungere a tavola! E' ora
di muoversi. E' già scattata la catena della solidarietà, e va dato atto a tanti
organismi umanitari, alla Caritas in primo luogo, del coraggio con cui stanno
sfidando le nostre pigrizie balneari.
Ma non vorremmo che le nostre fossero risposte date solo agli assalti emotivi,
pagando il pedaggio al sentimento con l'“una tantum” di una buona offerta per i
diseredati africani.
La tragedia della Somalia ci obbliga a prendere sul serio uno slogan di qualche
anno fa che diceva: contro la fame, cambia la vita! Convèrtiti, cioè. Metti da
parte l'egoismo. Rifiuta l'idolatria del danaro. Guàrdati dal demone perverso
dell'accaparramento. Battiti perché cambino certe leggi che regolano il mercato.
Favorisci col tuo impegno l'avvento di un nuovo ordine economico
internazionale.
Ma questa tragedia ci impegna anche a reagire con coraggio nei confronti di
tutte quelle forme di cooperazione internazionale in cui non si faccia leva
sulla crescita autonoma dei popoli. Se l'epilogo di una lunga storia d'impegno
finanziario dell'Italia col governo della Somalia è questo, allora c'è da
rivedere criticamente una formula tanto enfatizzata, ma che alla fine non si è
discostata gran che dai moduli del più ripetitivo e interessato
colonialismo. A
questi due cambi di mentalità dobbiamo volgere l'attenzione nel prossimo futuro.
Con atteggiamento pensieroso e gravido di progetti, oltre che
commosso. Senza
questo atteggiamento tutti gli altri discorsi sulla solidarietà risulteranno
ambigui. Se pure non si porteranno dentro i germi dell'egoismo, destinati
tristemente a produrre “fiori del male” in un deserto di
violenza. DON
TONINO BELLO,
Vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi
LUCIANO BENINI: DOPO GENOVA,
LA NONVIOLENZA
Johan Galtung, il più importante studioso di teoria e pratica
di risoluzione nonviolenta dei conflitti, dice che la violenza diretta e' tipica
dei dilettanti mentre quella indiretta e' prerogativa dei professionisti. I
governanti, i militari, gli opinionisti e i sostenitori dei paesi più ricchi e
industrializzati del mondo, i G8, sono responsabili, a vari livelli, di un
sistema politico-economico che produce miseria per i quattro quinti dell'umanità
e morte per fame di 40 milioni di persone ogni anno; sono responsabili della
quasi totalità della produzione ed esportazione di armi e della morte di
centinaia di migliaia di persone nelle varie guerre dall'Iraq alla Serbia; le
loro scelte stanno mettendo a repentaglio la stessa vita futura del pianeta con
disastri ambientali sempre più gravi. Eppure presso l'opinione pubblica riescono
a passare, essendo professionisti della violenza, addirittura per benefattori
dell'umanità, tutti intenti a stanziare fondi per questa o quell'altra emergenza
sanitaria o sociale. All'opposto qualche centinaio di giovani, convinti che
spaccare la testa a qualche poliziotto equivalga a far fuori un po' di soldati
dell'impero, rischiano di apparire, agli occhi dell'opinione pubblica, come i
veri violenti, mentre in realtà sono solamente dei dilettanti della violenza. Il
movimento anti-globalizzazione e' a favore dell''unificazione del mondo umano.
Il movimento e' mondiale: internazionale, interculturale, intergenerazionale,
altruista. E' contro una mondializzazione iniqua, nella quale cresce la
ricchezza per pochi e cresce l'ingiustizia per molti. E' a favore dell'ONU e
contro ogni organizzazione o riunione di alcuni (G8, NATO, ecc.) contro altri.
Chiede la cancellazione del debito estero (che i paesi impoveriti hanno già
abbondantemente pagato) e l'introduzione della Tobin Tax contro le speculazioni
finanziarie. Attua il risparmio etico e il consumo critico. Susan George, una
delle menti più lucide del movimento antiglobalizzazione, ha scritto che "per la
prima volta nella storia esiste un movimento mondiale che porta avanti delle
rivendicazioni non legate ai propri interessi ma agli interessi di tutti, un
movimento che avanza richieste in favore e in difesa dell'umanità intera",
aggiungendo che "si tratta del più importante movimento mondiale da almeno
trent'anni a questa parte". In effetti quello che ha cominciato a coagularsi a
Seattle e ha preso corpo fino a Genova e' un movimento che ha saputo dare
compattezza e prospettiva ad una miriade di gruppi e associazioni terzomondiste,
ambientaliste, dei diritti umani, pacifiste e nonviolente che da decenni operano
in tutto il mondo a favore della giustizia, della pace e della salvaguardia del
creato. Un movimento del genere ha, a mio avviso, tutte le potenzialità per
mettere a repentaglio il potere del sistema militare-industriale che tiranneggia
il mondo almeno dalla fine della seconda guerra mondiale. Un sistema iniquo nato
col colonialismo e rafforzatosi col neocolonialismo e che voleva chiudere
definitivamente il cerchio affidando alla trinità satanica, come la chiama
Zanotelli (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione
Mondiale del Commercio), il governo del mondo. Scongiurato l'accordo sul MAI col
quale si sarebbe tolto ai governi il diritto di legiferare in materia di
commercio e finanza internazionale, il potere mondiale tenta comunque, con
l'idolo della globalizzazione, di trasformare il mondo in un immenso mercato
globale senza regole e senza etica. Che la globalizzazione sia questa e non le
amenità con cui politici e analisti cercano di spacciarla per darne una
interpretazione positiva e' affermato a chiare lettere anche al punto 19 del
documento preparatorio del sinodo dei vescovi cattolici che si terrà dal 30
settembre al 27 ottobre 2001: "Gli effetti della globalizzazione si sentono
ormai con la logica impietosa di programmi economici ispirati ad un liberismo
sfrenato che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri,
esclusi come sono dai programmi di sviluppo, al punto che alcuni parlano ormai
di un nuovo disordine mondiale. Preoccupa giustamente il futuro se sono lasciate
fuori della giusta partecipazione al bene comune intere popolazioni che
appartengono alla stessa famiglia di Dio ed hanno in comune gli stessi diritti.
Spesso le comunità indigene sono derubate delle ricchezze delle materie prime e
delle risorse naturali dei propri Paesi in uno sleale sfruttamento del
territorio e delle popolazioni. Perfino la terra, nonostante una sensibilità
sempre più positiva verso l'ecologia, soffre, come forse non era accaduto prima
nella storia dell'umanità, di cambiamenti climatici dell'ecosistema che
suscitano interrogativi sul futuro del nostro pianeta. Preoccupa la degradazione
dell'ambiente". La Chiesa, che nel secolo diciannovesimo per opporsi al marxismo
aveva visto la classe operaia e i poveri, cioè i privilegiati del Signore,
allontanarsi da essa in una lacerazione che solo di recente comincia ad essere
ricucita, ha saputo intuire in tempo la straordinaria importanza di un movimento
come quello antiglobalizzazione e vi e' entrata in pieno con cardinali, vescovi,
preti e suore, singoli credenti e associazioni ecclesiali e laicali, con la sola
eccezione di Comunione e Liberazione. "Globalizziamo diritti e solidarietà",
dice la Chiesa cattolica, questa e' la globalizzazione che ci piace. In questo
quadro da un anno migliaia di gruppi e associazioni preparavano l'evento di
Genova per offrire all'opinione pubblica mondiale l'immagine di un movimento
pacifico e nonviolento, e per questo forte e risoluto, in grado di contestare
puntualmente le sciagurate scelte dei G8 e di proporre una alternativa seria e
credibile al sistema politico-economico oggi imperante. Era chiaro che tale
sistema, costituito da governanti, militari, opinionisti e sostenitori dei paesi
più ricchi e industrializzati del mondo, avrebbe fatto di tutto per screditare
il movimento e farlo passare come una massa confusa e violenta di giovani senza
idee e senza prospettive. Per questo occorreva fare di tutto per non cadere
nelle trappole preparate dal sistema. A Genova erano presenti due-trecento mila
persone pacifiche e motivate, pronte a manifestare le proprie idee e a non
cadere in nessuna provocazione alla violenza. Sul versante opposto c'erano i
Black Blocks, veri professionisti della violenza, nazi-fascisti e militanti
senza alcuna ideologia o idea, che si addestrano per distruggere, ferire e
provocare disordini. Poi c'erano qualche migliaia di "tute bianche", giovani dei
centri sociali il cui leader qualche mese prima di Genova aveva farneticato di
guerriglia urbana, Genova a ferro e fuoco, alzare il livello dello scontro,
invadere la zona rossa, portare l'attacco al cuore dello stato e via dicendo.
Qualche giorno prima di Genova le tute bianche avevano poi accettato di
partecipare alle manifestazioni solo difendendosi e senza alcuna forma di
violenza, con gli scudi ma senza bastoni. Ma intanto la violenza, almeno quella
verbale, era stata seminata e qualcuno, purtroppo, c'e' andato di mezzo. Non so
bene come siano andate le cose, se l'uno voleva far fuori un poliziotto
credendolo un soldato dell'impero e l'altro ha dovuto difendersi sparando,
oppure se per difendersi dalle camionette della polizia lanciate contro i
manifestanti Carlo Giuliani ha preso in mano un estintore. Ciò che non si puo'
accettare e' che due ragazzi poco più che ventenni si siano trovati di fronte,
uno con un estintore in mano e l'altro con la pistola. Coloro che volevano
trasformare le iniziative di Genova in violenza e morte hanno avuto buon gioco.
Perché c'e' stata tanta violenza a Genova? Anzitutto occorre porsi le domande
che si e' posto don Oreste Benzi e la comunità Papa Giovanni XXIII: "Come e'
possibile che ventimila uomini (tra agenti e carabinieri), e gli otto servizi
segreti più efficienti del mondo, non sapessero dell'esistenza e delle
intenzioni dei circa duemila appartenenti al gruppo dei Black Blocks, nonostante
le precise e circostanziate denunce della Provincia di Genova e di molti
cittadini che da parecchi giorni avevano indicato i luoghi dove alloggiavano e
si armavano? Come mai le forze dell'ordine non sono intervenute per arrestarli e
disarmarli preventivamente? Come hanno potuto i Black Blocks muoversi
liberamente in una città militarizzata con continui controlli a tappeto su ogni
singolo cittadino? Rispetto a quanto detto e unitamente alle numerose
testimonianze oculari, chiediamo ai vertici competenti delle forze dell'ordine
di far luce in modo inequivocabile sulle inquietanti ipotesi di connivenze con i
Black Blocks". Va detto in aggiunta che a Genova erano stati mandati nuclei
speciali di poliziotti che hanno di fatto gestito l'intera operazione convinti
che con un governo di destra potevano permettersi qualunque violenza, sapendo di
restare impuniti. E se si aggiunge che fra le forze dell'ordine c'erano molti
giovani di leva, senza alcuna preparazione specifica su come affrontare
manifestazioni di piazza, si capisce bene come ci possa essere stata tanta
violenza gratuita. Non si tratta di avanzare una generica accusa a poliziotti e
carabinieri (che nella stragrande maggioranza dei casi sono giovani che
rischiano quotidianamente la vita per una paga non certo adeguata, anche se fra
di loro c'e' stato chi picchiava vantandosi di agire in conformità all'ideologia
fascista), ma di chiedere con forza che sia individuato e punito chi ha
deliberatamente organizzato le cose perché la violenza scoppiasse invece che
fosse fermata sul nascere. Esemplare a tal proposito la dichiarazione di Luigi
Bettazzi, Antonio Riboldi e Giuseppe Casale - vescovi emeriti in pensione di
Ivrea, Acerra e Foggia - che hanno sentito il dovere morale di non rimanere
nell'ambiguità. "In cinquant'anni di episcopato, dalla fine dell'ultima guerra,
non avevamo mai veduto simili efferatezze. Di fronte alle immagini di brutale e
selvaggia violenza di molti tra polizia e carabinieri ci domandiamo da cosa sia
generata questa deriva pericolosa. Molti agenti picchiavano la gente comune -
famiglie con bambini, giovani e studenti appartenenti ad associazioni di
volontariato sociale, perfino disabili - come se stessero punendo l'espressione
di idee non gradite a qualcuno. (...) La Chiesa e i cristiani non possono
tacere, men che meno per opportunità contingenti, quando la dignità umana di
chiunque viene calpestata e umiliata". E per fortuna che ancora una volta la
nonviolenza ha limitato i danni. Ecco una notizia ANSA del 20 luglio: "Devo
ringraziare quei quindici che si sono messi in ginocchio e ci hanno salvato". A
parlare e' un poliziotto. Esprime graditudine nei confronti di un gruppo di
pacifisti che, all'arrivo del corteo dei Black Blocks, si sono inginocchiati in
fondo a via Palestro, davanti allo schieramento dei poliziotti, invitando il
gruppo a fermarsi. Si era appena conclusa la manifestazione pacifica e colorata
degli ambientalisti e della Rete Lilliput partita da piazza Manin. Il corteo si
era sciolto, dopo le azioni simboliche davanti alla grata di protezione alla
zona rossa di via Assarotti, e una parte dei manifestanti si era riversata su
piazza Marsala per un sit-in. "Toglietevi il casco" ripetevano i giovani
all'indirizzo dei poliziotti in assetto antisommossa. Gianluca, 21 anni, ha
raccolto l'invito e subito dopo tutti gli altri lo hanno seguito. A quel punto
una ragazza entusiasta si e' alzata ed e' andata ad abbracciare il poliziotto.
"Noi ci siamo tolti il casco - dice un altro poliziotto - e loro ci hanno
dimostrato solidarieta'. I Black Blocks di fronte a loro hanno desistito". E
ancora val la pena di ricordare come segno di speranza l'immagine di Luca, un
uomo sulla sedia a rotelle, che durante il sit-in nonviolento in piazza Portello
(uno dei varchi della zona rossa) riceve la bandana da un commosso poliziotto
che ringrazia i giovani per la testimonianza offerta. Ha scritto Enrico
Peyretti: "Pensiamo e scriviamo "nonviolenza" in parola unica per dirne la
grande valenza positiva, non di pura e insufficiente astensione dal dare inizio
alla violenza, come quando si pensa e si scrive l'espressione in due parole
("non violenza"), pura negazione relativa e transitoria. La nonviolenza in quel
significato positivo, attivo, costruttivo, e' radicalmente alternativa anzitutto
alla prima e maggiore violenza, quella strutturale dell'ingiustizia sistematica,
poi anche alla violenza fisica, materiale, interiorizzata nella rabbia di chi
protesta unicamente o principalmente in modo negativo e distruttivo. Chi fa così
imita, riproduce e addirittura giustifica la maggiore violenza strutturale,
regalando agli oppressori (e ai loro strumenti umani, le polizie) la possibilità
di apparire oppressi agli occhi dell'opinione pubblica più condizionata, ma
anche giustamente offesa per azioni distruttive a danno non certo dei potenti,
ma di terzi incolpevoli". L'alternativa al sistema politico-economico-militare
dominante passa in pieno attraverso l'assunzione chiara e consapevole, personale
e politica, tattica e strategica, della nonviolenza. Ne saranno capaci i gruppi,
i movimenti, i partiti che da Genova sembrano vogliano imboccare la strada
dell'alternativa? [Ringraziamo Luciano Benini per averci inviato questo
intervento. Luciano Benini e' presidente del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), uno dei più importanti movimenti nonviolenti. Per contatti:
lucben@libero.it] (Centro di ricerca per la
pace <
nbawac@tin.it>)
AZIONE DI PACE PER L'AFRICA:
"NOUS VOULONS LA PAIX"
Quanto valgono un bambino o una donna africana? L'Africa non
ci chiede anzitutto compassione, ne' soldi, ne' progetti. Le persone in Africa,
come nelle altre parti del mondo, vorrebbero essere riconosciute nei loro
diritti e incontrate nel loro quotidiano, sentirsi come noi appartenenti a un
unico mondo e partecipare con responsabilita' alla stessa storia. Ci riesce piu'
facile contestare i potenti che ascoltare e prendere sul serio i poveri. Eppure
basterebbe cosi' poco. Nel marzo scorso a Butembo (nord Kivu), in occasione del
Simposio Internazionale per la Pace in Africa (S.I.P.A.), siamo stati testimoni
di un evento emozionante: la sola ma numerosa presenza di persone semplici
provenienti da vari paesi del mondo, ha favorito l'esplosione della speranza di
un'intera popolazione, che con l'accoglienza e la festa ha in qualche modo
anticipato la gioia della pace. Ha visto i rappresentanti della società
civile del Kivu protagonisti del dialogo per il superamento del conflitto armato
con la nonviolenza. Ha ottenuto a sorpresa un risultato immediato con il ritiro
delle postazioni militari da alcune localita'. La guerra, iniziata il 2 agosto
1998, nella Repubblica Democratica del Congo e' sopita lungo i vari fronti, ma
e' tuttora attiva all'interno dei territori con scontri e saccheggi da parte di
bande armate, chiudendo tutta la popolazione in una morsa progressiva di
impoverimento, di paura e di oppressione. A Moba e a Kalemie, nell'est del
Paese, il 75% dei bambini muore prima di aver raggiunto i 2 anni. E sempre
nell'est, dall'agosto '98 all'aprile 2001, su 20 milioni di abitanti, sono 2,5
milioni i morti per causa della guerra (Rapporto dell'International Rescue
Commitee, aprile 2001). Non sono numeri o fredde statistiche: sono volti, nomi,
persone come noi. Le migliaia di mani strette a Butembo volevano esprimere una
volontà di solidarietà duratura e non occasionale e continuano ad interpellarci
sulle forme da dare al nostro impegno di pace. La porzione di mondo alla quale
apparteniamo spende la maggior parte della vita per stare dentro alla logica del
mercato, rincorrendo un benessere da consumare sulla pelle degli altri. Perché,
assieme alla porzione di mondo che non ha voce ne' diritti, non convogliare le
energie per la vita e la gioia delle persone, realizzando un benessere da
condividere? Acquisterebbero un senso diverso anche le nostre giornate. E' tutta
l'Africa che ci interpella ma partiamo dalla situazione concreta dei Grandi
Laghi. Con questo appello vorremmo raggiungere quante più persone possibili in
tutta Europa per realizzare tre iniziative: 1) un incontro-convegno il 18
ottobre a Bruxelles al Parlamento Europeo con le ONG europee per sollecitare i
responsabili dell'Unione Europea a perseguire una politica piu' attiva e piu'
coerente per la pace in Africa; 2) un'assemblea sull'Africa "Dalla schiavitu' al
diritto" dal 7 al 9 dicembre a ridosso della Giornata della Dichiarazione
Universale dei Diritti dell'Uomo; 3) un incontro a Kisangani a fine febbraio -
inizio marzo 2002 (S.I.P.A. 2) con i rappresentanti della società civile della
regione dei Grandi Laghi per ascoltarli, affiancarli e farcene portavoce, dando
anche alla nostra azione e ai nostri rapporti maggiore continuità e concretezza.
E' stata scelta Kisangani perché città martire, dove tutti gli eserciti si sono
scontrati e perché centro delle contraddizioni di tutte le parti attualmente in
conflitto. Siamo ancora attesi, in tanti, da tutte le organizzazioni della
società civile che continuano a lottare e a rischiare per uscire dalla guerra e
costruire la pace nella libertà e nella democrazia. Spesso pensiamo che siamo
troppo piccoli per affrontare problemi cosi' grandi; rinunciamo gia' in
partenza, perche' solo i potenti possono decidere! Eppure sappiamo quanto siamo
importanti per le persone che amiamo e per quelle da cui siamo amati! Anche noi,
come tanti, ci sentiamo in difficolta', ma confidiamo in questa forza che e'
dentro al cuore di ciascuno. Finora sono state le merci a dettare legge, noi
crediamo nella forza dell'incontro fra i popoli, al loro prioritario diritto
alla pace, per questo vogliamo camminare assieme. Sappiamo che la situazione di
grande sofferenza delle popolazioni in Africa dipende anche dal modo in cui
viene perseguito e gestito il potere a livello locale, ma siamo consapevoli che
la responsabilita' della riconciliazione e della pacificazione dei popoli e'
anche nostra e non ci vogliamo sottrarre o delegare ad altri il compito della
costruzione e della salvaguardia della pace. Promotori: Associazione nazionale
Beati i Costruttori di Pace; Chiama l'Africa; Operazione Colomba - Associazione
Papa Giovanni XXIII; Emmaus; Agesci; Missionari Comboniani; Missionari
Dehoniani; Missionari Saveriani
Segreteria organizzativa c/o Beati i
Costruttori di Pace, tel. 049/8070522, tel./fax 049/8070699, e-mail:
beati.africa@libero.it
MARIA LUIGIA CASIERI:
COSTRUIRE LA PACE COMINCIANDO DAL BAMBINO
Non credo che cominciare dal bambino possa significare
illudersi che l'incontro con un insegnante illuminato o il fugace passaggio in
una scuola buona possa lasciare una traccia indelebile nella storia di un
bambino, con la speranza che questo poi fruttera' quando sarà uomo. Costruire
oggi sul bambino perche' diventerà l'uomo di domani, la classe dirigente di
domani o semplicemente il cittadino di domani. Troppa acqua dovrà passare sotto
i ponti, e con l'acqua troppe ore di televisione, troppi compagni furbastri,
troppi adulti "insensibili" ed insensati, troppe frustrazioni o troppo poche,
troppe istituzioni, organizzazioni, dei saperi, delle relazioni... troppo o
troppo poco di tutto. I risultati non sono garantiti, il nostro frutto e'
fragile, e' deperibile, non sopravvive agli scossoni e nemmeno al pacato, quasi
impercettibile ma non invano, fluire del tempo. E allora cominciare dal bambino
significa innanzitutto cominciare dagli adulti per il bambino, cominciare da
quegli adulti che assumono verso i bambini e le bambine il ruolo di genitori, di
educatori, di insegnanti, di formatori ed in special modo da quegli adulti che a
diverso titolo fanno parte dell'organizzazione scolastica istituzionalmente e
formalmente investita del compito della formazione e dell'istruzione. Ebbene qui
si pongono molte domande, domande che interpellano gli insegnanti soprattutto ma
non solo, in quanto professionisti, in quanto membri ed espressione di
un'istituzione, in quanto persone. La prima domanda e' fondante e investe la
credibilità delle persone e delle strutture e impone lo scandaglio su quanto e
dove e come i proclami teorici siano contraddetti ed inficiati dalle reali
scelte concrete, quelle che passano ad esempio attraverso le scelte e la
distribuzione delle risorse. Cominciare dal bambino dunque non e' tanto perché
oggi noi si costruisca e si modelli, come novelli creatori, l'uomo nuovo che
renderà migliore il domani, ma perché noi oggi con le scelte e le pratiche che
poniamo in atto costruiamo quell'eredita', dono o fardello che i bambini e le
bambine porteranno con se'. Non solo, ma nel loro crescere troveranno comunita'
di adulti in cui radicarsi e con cui dialogare, in cui trovare il proprio spazio
di impegno e in cui vedere riconosciuta la propria identita'. Qual e', dunque,
il momento magico in cui un bambino non e' più un bambino e ci si aspetta che si
assuma delle responsabilità, quando si guarderà intorno e cercherà quelle
comunità di adulti... Ebbene il momento e' adesso, la resa dei conti e' già
iniziata, il dialogo tra generazioni non si improvvisa e non viene da solo.
Basta guardare le nostre città, i nostri condomini con garage e posto-macchina
ma senza un posto per i bambini, dove si invecchia tristemente nella solitudine
che accelera una senescenza illusoriamente contrastata dai farmaci. Ma e'
possibile anche un condominio dove nel garage i bambini si incontrano, dove una
nonna forse senza nipoti scende a prendere il fresco e a cercare irrequieta
compagnia, dove una mamma indaffarata approfitta dell'occhio vigile di questa
nonna improvvisata, qualcuno racconta, qualcuno discute, qualcuno annaffia un
vaso di fiori. Ancora una volta la centralita' del bambino comporta una
ridefinizione delle priorità intorno a cui una società si organizza. Guardiamo
per un solo momento alle relazioni tra genitori e figli ponendo fugacemente una
questione, come un sasso gettato in uno stagno. Considerare il bambino come se
fosse l'ombelico del mondo e dargliene l'illusione, evitare di contraddirlo, di
porre limiti e confini, di proporre regole e responsabilità, nell'intento di
sottrarlo a frustrazioni e sofferenze, a sforzo e sacrifici, rende i bambini più
forti, più consapevoli, più liberi, più umani o ne denega il diritto
fondamentale di radicarsi in una relazione seria e reciprocamente impegnativa e
responsabilizzante, in cui il bambino trae la propria sicurezza non dalle
strategie di evitamento dei genitori ma dalla loro capacita' di farsi carico
delle sue sofferenze, di rielaborarle e restituirle dotate di senso, tali
da poter essere contenute ed affrontate? Da ultimo uno sguardo alla scuola.
Mille letture sarebbero possibili, mille approfondimenti. Anche qui ci limitiamo
ad una sola inquadratura. E' opportuno riflettere sulla pluralità di
appartenenze in cui la scuola e le scuole sono radicate, perché l'assenza di
appartenenze rende una scuola sradicata, disadattata, priva di radici e di
prospettiva sul futuro, luogo di superficiale indifferenza, inadatto alla
costruzione di radici e identita'. La pluralita' di comunità da cui la scuola e'
attraversata, dalla comunità scientifica alle comunità che incarnano valori
religiosi o politici, consente la realizzazione di due dimensioni molto
importanti. In primo luogo l'infanzia e' presa sul serio e interpella gli adulti
su ciò che per loro conta. Una credibile idea di scuola non e' quella che
inganna i bambini trastullandoli con cose di poco conto. Ciò su cui chiediamo ai
bambini di investire importanti porzioni di tempo e di farlo dentro la scuola e'
la costruzione condivisa, dialogata, di punti di vista sull'uomo e sul mondo,
che consentano di costruire conoscenze e competenze all'interno di un sistema di
credenze e di significati, di relazioni e di scelte morali. Su questo stesso
percorso l'adulto non può non essere a sua volta coinvolto. Qui si giocano molte
responsabilità personali ma anche molte responsabilità istituzionali. Si pensi
all'uso "usa e getta" che spesso si fa della scuola per l'infanzia, quando la
frequenza diventa saltuaria e quando i tempi di tale frequenza possono essere
condizionati da esigenze talvolta in evidente conflitto con i bisogni formativi
e dove i tempi curricolari non sono mai stati stabiliti. Ma si pensi anche alla
riforma della formazione dei docenti in cui una volta di piu' si riproduce la
spaccatura all'interno della funzione docente tra insegnanti di scuola primaria
e di scuola secondaria, in cui deve essere sembrato normale al legislatore che
per insegnare ai bambini piccoli fosse sufficiente una conoscenza superficiale
di un po' di tutto. Temo chi pensa di poter ingannare l'infanzia. In secondo
luogo e' possibile pensare la scuola come crocevia di pluralismo, luogo
privilegiato in cui le differenze coesistono democraticamente e dove si impara a
riconoscerle, a valorizzarle come ricchezza ma anche ad assumersi la
responsabilita' di operare delle scelte. E' evidente che investire piuttosto sul
diritto a scuole separate significa, a monte, riconoscere che non e' possibile
ne' dialogo, ne' condivisione, ne' crescita comune nella reciproca conoscenza e
convivenza; significa pensare che sia lecito trasmettere l'idea che esista una
sola visione del mondo o che una sola sia quella giusta: la propria. Le scelte
dell'oggi sono il destino di domani, ogni profezia si autorealizza. Temo
chi teme la convivenza delle diversita'. [Maria Luigia Casieri e' nata a Portici
(NA) nel 1961, ha organizzato a Viterbo insieme ad altri il "Tribunale per i
diritti del malato". Assistente sociale, ha svolto un'esperienza in Germania
nell'ambito dei servizi di assistenza per gli emigrati italiani. Rientrata in
Italia si e' impegnata nel settore educativo. Per dieci anni ha prestato
servizio di volontariato in una casa-famiglia per l'assistenza ai minori. Dal
1987 e' insegnante di ruolo nella scuola per l'infanzia]
PER UN
PUGNO DI COLTAN
Nelle foreste del Congo si estrae un "misterioso" minerale da cui si
ricava il tantalio, essenziale per produrre computer, telefoni cellulari,
play-station. Migliaia di garimpeiros della new economy si affannano attorno al
coltan, combattono tra loro e distruggono l'ambiente. Assediati da piccoli
eserciti di taglieggiatori e da grandi masse affamate
MARCO
D'ERAMO
Secondo il giornale L'Avenir di Kinshasa
dell'8 agosto, sei congolesi rischiano la pena di morte, dopo essere stati
catturati dalle truppe rwandesi, perché tre di loro hanno rifiutato di vendere
ai soldati i loro 25 sacchi di coltan, giudicando irrisorio il prezzo offerto.
Su un altro giornale di Kinshasa, Le Phare, questa volta del 5 agosto,
compare la notizia che prigionieri hutu sono stati inviati nella regione del
Kivu (nord est del Congo) per estrarre artigianalmente coltan. Nel capoverso
successivo, lo stesso articolo elenca i massacri e gli incendi perpetrati nella
zona a seguito di una spedizione congiunta di soldati ugandesi e congolesi
inviata a Butembo per recuperare un carico di "almeno 5 tonnellate di coltan".
Di 1.500 prigionieri rwandesi inviati in Kivu a scavare coltan parla anche il
sito congoonline.com. Dal canto suo, il giornale New Vision di
Kampala (Uganda) lascia intendere che la famiglia del presidente ugandese
Youweri Museveni deterrebbe azioni nella compagnia congolese Dara Forest che
commercia in coltan.
Ma che diavolo è questo coltan? E perché mai è tanto
ricercato? E' con stupore che scopriamo che senza il coltan, il nostro mondo
tecnologico si fermerebbe subito. E' dalla raffinazione del coltan che si estrae
il tantalio, un elemento metallico (numero atomico 73), assai simile al niobio,
scoperto nel 1802 dal chimico svedese Gustav Eckeberg, un materiale che ha
caratteristiche utilissime: è pesantissimo (ha peso atomico 180,9: tre volte più
pesante del ferro, appena più leggero dell'oro), è assai resistente al calore
(ha un punto di fusione elevato: 2996 C), è inattaccabile da quasi tutti gli
acidi a temperatura ambiente ed è un ottimo conduttore. La polvere di tantalio è
un elemento indispensabile per fabbricare i condensatori che regolano il flusso
di corrente nei circuiti integrati. Condensatori al tantalio si trovano
praticamente in ogni computer, in ogni palmer, in ogni telefono cellulare, in
ogni play-station. L'anno scorso, nel 2000, quando la new economy era in
pieno boom, si registrò una temporanea penuria di tantalio sui mercati mondiali
e pare che proprio a questa penuria fu dovuto il ritardo con cui arrivò nei
negozi la tanto pubblicizzata Play Station 2 della Sony.
Ora, questo minerale
si trova in abbondanza nel terriccio della foresta pluviale nelle regioni
interne del Congo ed estrarlo è assai facile, basta disboscare un po' di
foresta, scavare e filtrare il fango con dell'acqua, finché il coltan si
deposita al fondo (grazie al suo peso). Da un certo punto di vista, l'estrazione
del coltan è perciò egualitaria: bastano un'ascia, una pala, un setaccio in
fondo alla giungla. In una giornata, un uomo forte riesce a setacciare circa un
chilo di coltan. In questo paese distrutto da cento anni di colonialismo e da
una recente guerra civile che - solo nel Congo orientale - ha fatto più di 2,5
milioni di morti, questo residuo scuro al fondo dei secchi rappresentava una
manna dal cielo.
I garimpeiros della new economy
E così, quando
i prezzi del coltan hanno cominciato a salire sul mercato mondiale, ecco
un'ondata di congolesi riversarsi nelle giungle orientali, garimpeiros
dell'hi tech (vedi oipaz della settimana scorsa): all'inizio
di quest'anno il coltan valeva 80 dollari Usa al chilo. Decine di migliaia di
persone si sono precipitate nelle giungle della Okapi Found Reserve, fino ad
allora regno delle giraffe okapi, di circa 10.000 elefanti e dei Mbute, cioè i
pigmei che vivevano di caccia e raccolta. Solo in questa riserva si aprirono 20
miniere (tutte illegali) a cielo aperto.
Una reporter del New York Times
Magazine ha visitato uno di questi campi che all'epoca del suo massimo
splendore ospitava 300 minatori e 37 prostitute (ma nel più affollato campo
della regione bivaccavano 3.000 minatori e centinaia di prostitute), con la
"madama" locale che affittava una capanna e una donna a un minatore per un chilo
di coltan al mese (ma per una ragazza giovane ci voleva un chilo in più) e che
poi vendeva pane e cibo a prezzi astronomici in coltan, come anche gli
antibiotici contro la gonorrea (27 dollari per ogni cucchiaino di antibiotico in
polvere), col risultato curioso, riferisce la giornalista americana, che in
fondo alla giungla tropicale vedevi comparire all'improvviso ragazze
pittatissime camminare a piedi nudi nella melma con in mano le scarpe con i
tacchi alti, a cercare cibo in un villaggio vicino.
Per un paio di mesi un
minatore poté guadagnare circa 2.000 dollari al mese, in un paese in cui la
maggior parte della gente tira avanti con un dollaro ogni cinque giorni. E
questo nonostante i soldati ugandesi chiedessero ogni giorno la loro parte di
coltan (due cucciai da minestra) in cambio di sigarette e una bottiglia di
birra, e poi le varie fazioni di guerriglia chiedessero il pizzo (in coltan) per
assicurare la protezione. Proprio come i garimpeiros sudamericani, i
minatori di coltan hanno sperperato i soldi guadagnati in birra, in poveri beni
di consumo (una radio a pile), in cibo. E come i garimpeiros, dopo il
loro passaggio hanno lasciato la desolazione.
Per i loro setacci hanno
strappato la corteccia a migliaia di alberi di eko, indispensabili ai
pigmei perché di essi si nutrono le api.
In 10.000, tra minatori e
commercianti, si sono precipitati nel Kahuzi-Biega National Park, dove, prima
della guerra civile, vivevano 10.000 gorilla: ora sono meno di 1.000, uccisi
dalle trappole o dalle mine: "rischiano di essere la prima specie di grandi
primati portata all'estinzione dalla tecnologia avanzata", ha scritto un
rapporto dell'Iucn (World Conservation Union), che ogni anno riferisce
all'Unesco e al suo World Heritage Bureau and Committee sullo stato di
preservazione dei siti naturali considerati patrimonio dell'umanità. Le foto dei
gorilla morti hanno fatto il giro del
mondo.
Ecodevastazione
Come scrive la reporter del New York
Times Magazine, "la storia del coltan sembrava chiara: la globalizzazione
stava causando la rovina in un paese disperato. Per la nostra passione per i
gingilli elettronici, guerriglie si arricchivano, gorilla venivano massacrati, e
gli indigeni venivano pagati una miseria per devastare l'ecosistema locale".
Perché davvero il coltan "è il rovescio melmoso della faccia ecologica
dell'economia high tech". Conrad non avrebbe potuto immaginare che
quest'impasto fangoso sarebbe stato il cuore di tenebra della civiltà
informatica: il coltan della sua epoca era quel caucciù per cui Leopoldo del
Belgio fece tagliare nasi e mani ai congolesi e per cui cinque milioni di loro
morirono prima che l'augusto sovrano cedesse allo stato belga il proprio
possedimento personale. Davvero bisognerebbe rileggere alla luce di oggi l'aureo
libretto di Mark Twain.
Così, di fronte allo scandalo crescente, a marzo, lo
Iucn ha chiesto un embargo per il coltan proveniente dal Congo e dai paesi
limitrofi. E poiché le multinazionali dell'alta tecnologia ci tengono molto alla
propria immagine ecologica e ambientalistica, di industrie "rispettose
dell'ambiente", molte di loro hanno accettato: così la Motorola e la Nokia hanno
chiesto ai propri fornitori di non usare tantalio proveniente dal Congo. I
maggiori produttori di condensatori al tantalio, come Kemet della South Corlina
o Cabot Corporation (Boston) hanno chiesto ai propri fornitori di certificare
che il tantalio non venga dall'Africa centrale.
La realtà è molto meno
chiara: intanto l'amore per i gorilla delle grandi imprese del settore si è
espresso a costo zero quando hanno accettato di rispettare l'embargo, cioè senza
intaccare minimamente i loro profitti, perché proprio in quel momento la
recessione colpiva la new economy. La domanda di telefonini e computer
crollava (come il corso delle azioni high tech) e perciò i loro magazzini
erano stracolmi di tantalio e di condensatori, tanto è vero che tra marzo e
giugno il corso del chilo di coltan è passato da 80 a 8 dollari. In secondo
luogo, è aumentata moltissimo l'estrazione di coltan in Australia, dove ormai il
gigante minerario Sons of Gwalia fornisce la metà del tantalio
mondiale.
Supplizio di Tantalo
Così oggi, i campi di minatori
delle giungle orientali del Congo sono spopolati. Qualcuno continua a scavare,
ma molto più a lungo e per molto meno soldi. Voci di protesta cominciano a
levarsi contro l'embargo voluto dalle Nazioni unite: anche gli ambientalisti
locali sostengono che l'estrazione del coltan è comunque meno distruttiva del
disboscamento, l'altra risorsa a portata di mano. E poi, bene o male, il coltan
iniettava un po' di denaro, qualche centinaio di milioni di dollari, in
un'economia disperata. Anche se la fetta maggiore andava agli eserciti, alle
bande, ai politici e ai profittatori, un qualche rivoletto di quella manna
scura, umida e pesante finiva nelle tasche di qualche dannato della
terra.
Adesso, neanche più quello. "Vi importa più delle foto di gorilla
morti che della vita degli uomini" dicono. Perché è sempre più vero il bruciante
aforisma di quella grande dama keynesiana che fu l'economista Joan Robinson:
"Essere sfruttati è terribile, ma il peggio è quando non c'è nessuno che ti
sfrutti". Così anche in un altro senso il coltan rischia di essere per la new
economy quello che fu il caucciù per il colonialismo imperialistico di fine
Ottocento: gli eccidi, lo schiavismo, le devastazioni imposti dalla monocultura
del caucciù si rivelarono vani e svanirono nel nulla appena fu inventata la
gomma sintetica. Così le vite vendute dei minatori congolesi stanno
diventando "vite svendute", grazie ai rifornimenti dall'Australia.
Uno dei
più crudeli miti greci è quello del supplizio di Tantalo, il figlio di Zeus che
osò imbandire agli dei le carni del loro figlio Pelope, e fu perciò condannato
al suo proverbiale supplizio: eternamente morire di sete e fame davanti a una
fresca sorgente che scorre e irresistibili manicaretti ambedue irraggiungibili.
Il Congo è uno dei paesi al mondo più forniti di ricchezze naturali, il suo
sottosuolo è una vera cornucopia. Ma i suoi umani muoiono di fame e di stenti
camminando su tanta ricchezza. Sono milioni di Tantali. Forse è per un'ironia
del destino che il metallo del coltan porti il nome "tantalio" in onore del
semidio greco, visto che nessuno riusciva a dissolvere l'ossido di questo
metallo negli acidi: trovare il procedimento giusto risultava un vero supplizio
di Tantalo. (articolo segnalato da Paolo
Veronese)