Carissimi, quella di quest’anno sarà una “scuola estiva” particolare, ci auguriamo di svolta e di rilancio: una scuola di riflessione e di riorganizzazione per la Rosa Bianca. Una scuola per noi, mettiamola così. Una chiamata a raccolta, di amici e simpatizzanti attivi, o che vogliono esserlo (e non di ascoltatori passivi di un qualche illuminante contributo), per capire insieme quello che dobbiamo e possiamo fare, alla luce di quanto sta accadendo nel nostro paese e nel mondo (voglio ricordare, ad esempio, che a Genova c’erano diversi aderenti della Rosa Bianca, a partire dal presidente). Il titolo che abbiamo dato alla scuola, “I cristiani nell’età di Berlusconi : resistenza e costruzione dell’alternativa”, è soprattutto rivolto a noi, a noi come persone, ma, in particolare, a noi come fondatori e animatori di una esperienza di associazione politica cristianamente ispirata. Da una parte approfondiremo, in modo collegiale e partecipato al massimo, i contenuti di un possibile schema di manifesto politico che dia chiarezza e forza alla presenza e all’attività della Rosa Bianca. Dall’altra, ridefiniremo la nostra organizzazione e gli incarichi, compreso quello del presidente il cui mandato, da molto tempo scaduto, è stato protratto in vista proprio di questa scadenza. In sostanza, ridefiniremo il patto associativo che dà senso alla nostra associazione. Mi pare perciò evidente l’importanza decisiva della prossima scuola, e il fatto che chi ha intenzione di parteciparvi lo faccia con lo spirito non dell’ascoltatore ma del protagonista responsabile in prima persona. L’importante è che alla fine della nostra “scuola” il patto associativo - sottoscritto da dieci, cinquanta o cento persone, quante saranno – sia l’inizio di una nuova stagione di cui tanti avvertono l’esigenza ma che richiede assunzione concreta di responsabilità per non restare solo buon auspicio (non possiamo perdere tempo con gli auspici, specie se buoni). Mando, quindi, a tutti voi, con il saluto più cordiale e l’augurio di una serena estate, un caloroso invito ad esserci, sul Monte Bondone, a Trento, dal 14 al 16 settembre. Ad esserci, con lo spirito di chi sente di rimettersi in gioco con questa nostra piccola e bella Rosa Bianca. A presto! Il presidente, Vincenzo Passerini
21°
scuola di formazione politica
I CRISTIANI NELL’ETA’ DI BERLUSCONI Resistenza e costruzione dell’alternativa. Trento – Hotel Montana, Monte Bondone, 14-15-16 settembre 2001 Apertura: venerdì 14, ore 19.00, con la relazione introduttiva di Vincenzo Passerini; Chiusura: domenica 16, ore 13.00 (conclusioni e pranzo) Relazioni e interventi di: Giovanni Colombo, Alberto Conci, Fulvio De Giorgi, Michele Dossi, Guido Formigoni, Paolo Giuntella, Giovanni Kessler, Paolo Marangon, Michele Nicoletti, Giorgio Tonini, Grazia Villa, Silvano Zucal. Serata pubblica: a Trento, sabato 15, ore 21.00: presentazione degli atti del seminario di Bose: Una porta per dove? La chiesa al passaggio di millennio. Iscrizioni: direttamente all’hotel Montana, gestito dai sig.ri Barbieri, posto a mt. 1500 in località Vason, sul Monte Bondone, la montagna che domina la città di Trento (a 30 minuti dalla città); tel. 0461-948200, fax 0461-948177; e-mail: info@hotelmontana.it I posti disponibili sono limitati. Quota di partecipazione: lire 150.000 (vitto, bevande incluse, e alloggio dalla cena di venerdì al pranzo di domenica). Informazioni: passeriniv@consiglio.provincia.tn.it, emanuele.curzel@katamail.com, fabio.caneri@tiscalinet.it
Le Orecchie del cardinale (Biffi)
Ricevo da un carissimo amico il n.393 (1/2001) de "il Mulino". Mi invita a leggere (pagg. 156-166) il saggio di Sandro Vesce (che riporto qui sotto) e mi scrive "sono certo che piacerà anche a te". In effetti mi è piaciuto non poco. Ho molto apprezzato questa attenta analisi della Nota Pastorale del cardinal Biffi (La città di San Petronio nel terzo millennio - 12 settembre 2000), analisi rivolta non tanto all’esame delle "esplosive" considerazioni del nostro episcopo circa l’Islam, quanto a tante piccole e apparentemente irrilevanti questioni ("…le orecchie…") di cui Biffi ha trattato in quella Nota. L’autore mostra - con grande competenza storica e notevole rigore logico - come Biffi sia caduto in non poche contraddizioni ed inesattezze: a mio modesto avviso (dove sbaglio?) ciò dimostra come anche dalle piccole cose trattate con sicumera e in modo non esatto possa emergere quella grande ancorché forse subdola arroganza, tipica di chi sente depositario della verità. (Domenico Manaresi)
Uno
studioso non dimenticato, Giovanni Morelli, centoventi anni fa insegnò agli
storici dell'arte ad attribuire le opere di pittura non in base alle parti
importanti, il volto, le mani, il panneggio, ma in base a quelle periferiche.
Ogni artista le orecchie le dipinge in libertà, non vi dà peso, parlano di lui e
sono inconfondibili. Si può calibrare un volto, per accreditarsi con la propria
bravura, o avvicinarsi a un modello nobile, o coprirsi da critiche di avversari;
in taluni casi (ma davvero non in quello di cui ci occuperemo) per incontrare il
gusto del futuro acquirente. Come minimo, dedicarsi alle parti importanti per
individuare un artista può far perdere tempo. Un po', appunto, perché “velate”
in vario modo dall'autore, un po' perché, essendo quelle su cui si accentra
l'attenzione generale, è inevitabile che le si osservi subendo l'interferenza di
moltissime voci: potendone venir arricchiti, ma, più facilmente, perdendo a
causa loro l'originalità dell'approccio; all'incirca, un conto è in un museo
accostarsi direttamente a un quadro, un conto è decifrare per prima cosa
l'etichetta postavi sotto.
Molte
cose sono state dette e scritte sul cardinal Biffi a proposito delle sue
dichiarazioni circa l'immigrazione islamica in Italia. Tali dichiarazioni però
non nascono nel vuoto. Perseguendo l'obiettivo di ricavare l'idea più esatta e
meno filtrata possibile del suo impianto di pensiero, ciò che si intende fare in
questa sede è dedicare attenzione al testo da cui tutto è partito, la Nota
pastorale La città di San Petronio nel terzo millennio, e percorrerlo
passo passo badando a taluni particolari, che siano non troppo insignificanti
(nel senso di rintracciabili in chiunque) e nello stesso tempo non troppo
centrali. Si trascureranno, per intenderci, le parti da considerare idealmente
sottolineate dall'autore. Quelli che prenderemo in esame sono alcuni elementi
marginali, in cui si sente il suo gusto, ma che egli stesso sarebbe disposto a
tagliare, seppure a malincuore, per un motivo
appropriato.
Se a qualcuno ciò dovesse sembrare troppo minuzioso, eccentrico quanto al tempo stesso pedante, abbandoni la lettura, altro non troverà. Metta però contemporaneamente una croce sulla possibilità di dissentire dal Cardinale onestamente, dandogli il suo e argomenti alla mano. Non tanto perché egli scrive, ad altro proposito, “noi siamo tenuti a rendere conto al Signore; ma solo a lui, e a nessun altro” (n. 41), che pur dando l'idea del suo temperamento potrebbe essere un pio desiderio, quanto perché il Cardinale possiede di fatto un'abilità di controversista difficilmente superabile: sul terreno scelto da lui, bravo chi passa.
“Il
bolognese più antico”
La Nota
del cardinale arcivescovo inaugura tradizionalmente l'anno pastorale della
diocesi di Bologna e intende esserne lo strumentò orientativo. Uscita il 9
settembre 2000, si presenta come un ampio documento, articolato in 64 paragrafi
e comprendente una introduzione, una conclusione e cinque parti centrali: “Il
"volto" di Bologna”, “L’ “anima” di Bologna”, “Le sfide del nostro tempo”, “I
capisaldi della vita cattolica bolognese”, “Indicazioni operative”. Si tratta
perciò, per rifarsi alla terminologia antica, non di una lettera, ma di una
epistola: un trattato che ha espressamente qualcuno come destinatario, vedremo
subito chi.
Di essa
esamineremo, ritenendolo sufficiente allo scopo che ci siamo proposti,
l'introduzione e, a seguire, la prima parte, “Il "volto" di Bologna”, in cui il
Cardinale passa in rassegna l'architettura
cittadina.
Il “volto” di questa città [...] è incontestabilmente un “volto” cristiano. Possiamo perfino congetturare che sia stata volontà esplicita di riplasmare il vecchio centro abitato in modo che richiamasse il regno di Dio [...] Questa è una città che - a saperla leggere - da ogni suo angolo rimanda alla verità e al primato del mondo invisibile. Tutto ciò si fa ancora più evidente in alcune sedi imponenti e mirabili di preghiera e di vita liturgica, che sono anche gli edifici più tipici e più ammirati (n.7).
Ma ritorniamo all'introduzione (se no inseguiremmo il dispettoso pensiero che non stia parlando di Bologna, nemmeno Assisi è descrivibile così, col vecchio centro riplasmato in modo da richiamare il regno di Dio). Vivace e gradevole nello stile quanto impegnata e seria nel progetto, “La città di San Petronio nel terzo millennio” si apre (nn. 1‑3) esprimendo gioia, coinvolgimento e fiducia:
Essere bolognesi è un dono [...] una fortuna che è opportuno saper riconoscere; [...] questa eredità chiede di essere consegnata alle generazioni future”; [...] queste pagine [...] intendono rasserenare e incoraggiare: desiderano convincere tutti che questa città [...] può affrontare con fiducia e con decisione le sfide e le incognite del futuro.
La Nota
chiarisce fin dall'inizio di indirizzarsi “a quanti si riconoscono senza
ambiguità appartenenti al "gregge" di Cristo” (n. 4), ma di essere offerta
“anche a tutti i bolognesi, nel pieno rispetto delle loro convinzioni e
della loro autonomia di giudizio”. E confida nel loro ascolto dato che
l'estensore è, sotto un certa profilo, “il bolognese più antico”: “non c'è in
Bologna né una dinastia familiare né una magistratura che possa attribuirsi
un'origine remota e una continuità storica pari a quella della cattedra di San
Petronio del quale io sono in ogni senso l'ultimo successore” (n.
5).
Nonostante
la limitazione “sotto un certo profilo” e la bonarietà del contesto, che
potrebbero farlo sembrare anodino, già questo porsi del Cardinale, vera
ouverture della sua opera, va considerato attentamente, in primo luogo
perché dà origine a una contraddizione e in secondo luogo in quanto rivendica
uno status che egli non può pretendere per se. La contraddizione è rivolgersi a
tutti (“auspichiamo che ciascuno dei bolognesi ricerchi [...] il vero bene di
questa città”, n. 5) nello stesso tempo collocandosi in una condizione
superiore. O “il più antico” lo prendiamo per un epiteto buttato là (ma il
Cardinale lo usa con convinzione e lo sviluppa nel prosieguo con coerenza),
oppure “il più antico” getta luce particolare sull'espressione “il vero bene”:
chi si dichiara più antico rivendica per se una maggiore saggezza, cosicché “il
vero bene” è lui, più di qualunque altro, a conoscerlo. Questa è la posizione di
un genitore, non di un pari, e come tale non può costituire la base di una
chiamata a raccolta che comprenda coloro i quali non si sentono figli: da figli
non ne vengono attratti, perché non sono figli; da interessati non ne vengono
attratti, perché non si può provare interesse là dove il confronto non nasce
completamente aperto. Tanto più se le posizioni sono diverse e da molto tempo
fortemente divaricate: come è la situazione a Bologna, per esperienza di tutti,
Cardinale compreso, che vorrebbe rimediarvi e appunto per questo ha steso la
Nota indirizzandola a una pluralità di soggetti.
Ma il
porsi del Cardinale non solo è in contrasto con l'intento dichiarato, chiamare
tutti a impegnarsi per il bene della città, è anche intrinsecamente
insostenibile. Il vescovo di Bologna, “ultimo successore di San Petronio”, non è
il genitore di Bologna. È vero che è istituzione cittadina molto antica, ma non
è la più antica in assoluto. Si può concedere che la successione vescovile sia
più lineare e, per il singolo passaggio, più soggettivamente consapevole; però
la magistratura cittadina, se non si fa questione di appellativi (e non di
altro: la Chiesa ha preso i vescovi dappertutto), rappresenta un susseguirsi
altrettanto privo di interruzione: mai Bologna è stata senza una amministrazione
efficace e legittima. Del resto, in una città non può verificarsi un vuoto di
potere locale che non sia del tutto momentaneo, paragonabile alla vacanza di un
vescovo, altrimenti essa crollerebbe, non sono pochi i casi di città sparite,
Velleia, in questa regione, per dirne una sola. È vero che a volte gli
amministratori devono essersi sentiti diversi dai predecessori immediati, che
magari avevano fisicamente eliminato, più di quanto sia avvenuto presumibilmente
per i vescovi. Tuttavia è ben difficile pensare che il sindaco, o comunque si
sia chiamato, di Bologna, non si percepisca, chiunque egli sia, anello di una
catena; e non avverta, insieme al peso, il respiro lunghissimo della funzione
che svolge, esistente da che la città è città.
E non vi
è dubbio, il susseguirsi degli amministratori bolognesi risale più indietro, e
dunque è più antico, di quello dei vescovi: la città, Felsina, poi Bononia, poi
Bologna, mantenutasi ininterrottamente, per secoli ha avuto amministratori
(certo, che svolgevano insieme anche funzioni religiose) quando il cristianesimo
non si era ancora affacciato e non vi erano vescovi. È indiscusso che il nucleo
di Bologna coincide con la forma e la collocazione sul terreno di Bononia; ed è
pacifico che la lingua attuale è la derivazione di quella che parlavano i
bolognesi di allora, che adoravano Iside, fra le altre divinità, e sacrificavano
all'imperatore, Gesù Cristo essendo creduto altrove e venendo predicato
in greco o in una parlata latina centro-meridionale: a parte gli almeno due
secoli di Bononia appartenente alla repubblica romana, nella nostra era l'Italia
del Nord non venne evangelizzata prima del terzo secolo, seconda metà, e San
Petronio, dal canto suo, visse all'inizio del
quinto.
A meno
che, beninteso, non si prenda in considerazione appunto questo, che religione vi
è stata ininterrottamente a Bologna dalla sua fondazione ad oggi: da questo
punto di vista il Cardinale non ha nessuno che possa dirsi più antico di
lui. Deve però accettare, in tale prospettiva, di essere succeduto ai
sacrificanti a Roma e all'imperatore romano, sommi sacerdoti di allora (del
resto, il papa si fregia del titolo di Sommo Pontefice). Nel caso però che il
Cardinale obiettasse, ed è pur vero anche questo, che tra paganesimo e
cristianesimo c'è stata una grande rottura, non potrebbe continuare ad avvalersi
dell'argomento da lui avanzato per darsi preminenza, la continuità storica
superiore a qualunque altra: se vuole essere altrettanto antico dell'autorità
civile, deve pensare di essere passato attraverso rotture paragonabili a quelle
che essa ha conosciuto, se non addirittura
maggiori.
Sia
detto per inciso. Se il Cardinale accettasse di essere “il bolognese più antico”
per questa via, di “gemmazione” dalla reggenza cittadina, che in epoca pagana
era promiscua, civile e religiosa senza distinzione né concettuale né pratica,
egli potrebbe come conseguenza vantare ciò per cui il cristianesimo non può non
essere caro a ogni europeo: a causa del chiarissimo rifiuto di rivendicare il
potere politico da parte del suo fondatore, il cristianesimo si trova alla base
della separazione, sconosciuta fuori del suo raggio di influenza, tra il campo
del politico e il campo del religioso. Ma non si presuma di suggerire al
Cardinale, che con scelta meditata è orientato in modo antitetico, come si vedrà
sempre più chiaramente andando avanti. Ci basti avervi accennato, perché
veniva da se.
Altro
aspetto da non passare sotto silenzio di questo pregnantissimo “il bolognese più
antico” è la sovrapposizione e compenetrazione che lascia trasparire, nel
pensiero dell'estensore della Nota, fra l'uomo, Giacomo Biffi, e la carica da
lui occupata, la cattedra episcopale di Bologna. Non si entri nell'argomento di
quanto questo sia suo o di tutta la Chiesa (la Chiesa, parrebbe segno contrario,
distacca soggetto e carica vescovile al settantacinquesimo anno). Resta che la
Nota pastorale confida nell'ascolto di tutti i bolognesi, anche laici, e almeno
da questi ultimi non può venir accettato questo risalto personale di Giacomo
Biffi, in quanto successore di San Petronio, come bolognese più antico e di
conseguenza più saggio. Si immagini l'accoglienza che avrebbe avuto John Kennedy
se in un discorso sullo stato dell'Unione avesse detto agli americani: confido
nel vostro ascolto perché, in quanto successore di Washington, sono l'americano
più antico. Questa identificazione, proposta a dei cittadini invece che
mantenuta circoscritta a dei fedeli (dato e non concesso che ad orecchi fedeli
suoni corretta) anzitutto mostra il Cardinale incapace di distinguere, all'atto
pratico, e forse prima concettualmente, fra cittadini e fedeli; in secondo
luogo, evoca ai laici, e perché no ai credenti, modelli di leadership superati,
tipicamente Ancien régime. Era perfettamente in linea, alla sua epoca,
Luigi XIV che diceva lo Stato sono io. Nessuno con una simile impostazione, di
essere tutt'uno con la sua carica, lo può essere oggi in una democrazia. Tanto
più inaccettabile è il Cardinale in quanto Luigi XIV occupava l'ambito civile e,
per la resistenza della Chiesa, non invadeva l'ambito religioso; mentre il
Cardinale, invocandosi il bolognese più saggio ed essendo anche vescovo della
città, finisce per non lasciare scoperto, nelle intenzioni, né l'uno, né
l'altro.
Questa sintonia fra Cardinale e Ancien régime, che qui al n. 5 fa capolino per la prima volta, oltre a ripresentarsi massicciamente nella sostanza, non è priva di riscontri espliciti nelle parti successive del testo. In una occasione, parlando dell'Università e di una donna a cui fu offerta la cattedra nel Settecento in epoca di governo pontificio, egli così si esprime: “Solo quando si impose l'ideologia progressista d'oltralpe, il maschilismo assoluto prevalse fino al secolo XX inoltrato” (n. 24). In una seconda occasione egli lamenta che alcune croci un tempo in città si trovino ora in San Petronio “rimosse dalle sedi originarie dalla prepotenza degli invasori francesi” (n. 55).
La tesi
che il Cardinale sviluppa, riassunta al massimo, si può formulare così: la città
di Bologna è frutto (esclusivo) del cattolicesimo; avrà un futuro se si manterrà
in esso. Tutto si gioca su quell'“esclusivo”, che nel volto (nel senso spiegato
sopra) della Nota è affermato di continuo, ma sottobanco, al punto da
costringerci a scriverlo tra parentesi altrimenti ci verrebbe obiettato che in
verità non è detto, mentre emerge senza possibilità di equivoco, e con tutta la
sua carica lacerante, in quei punti secondari che abbiamo paragonato alle
orecchie di un ritratto dipinto secoli fa. Proseguiamo a individuarne alcuni
nella parte che segue l'introduzione, l'unica di cui ci occuperemo da qui alla
fine e che ha come titolo “Il "volto" di Bologna”.
“La
cattedrale non è il più famoso degli edifici sacri bolognesi. Eppure tra i
nostri luoghi storici è il più illustre, il più carico di memorie,
ecclesialmente il più rilevante” (n. 13). Per valutare adeguatamente questo
passaggio della Nota è opportuno anzitutto domandarsi: a quale chiesa si sta
riferendo il Cardinale? Qual’è la cattedrale di Bologna? Nel paragrafo ad essa
dedicato passando in rassegna gli edifici cittadini, appunto il n. 13, bisogna
arrivare alle ultime righe perché egli le dia il nome, San Pietro. Veramente?
Non è San Petronio?, si chiederanno i non bolognesi e buona parte dei bolognesi
stessi, almeno quelli di oggi. No, la cattedrale di Bologna non è San Petronio.
È una particolarità che la città condivide con poche altre italiane: la chiesa
più grande e più famosa non è il duomo, vale a dire la cattedrale, vale a
dire la sede del vescovo.
Cercando
il miglior parallelo, una situazione del genere si incontra a Venezia. San
Marco, a tutti nota, fu dedicata dalla Serenissima al santo patrono della città
e non c'entra nulla con la sede vescovile. I1 vescovo, che là si chiama
patriarca, ha la sua cattedra a San Pietro di Castello, anche in quel caso si
tratta di un San Pietro, chiesa fuori mano (diversamente da Bologna),
relativamente anonima e visitata da pochi (stessa cosa a Bologna). La città di
Bologna, soltanto in astratto appartenente ai domini della Chiesa all'epoca in
cui fondò San Petronio, a un bel momento (1390) decise di dotarsi di un
grandioso edificio sacro. Per questo demolì un intero quartiere, in cui si
trovavano diverse chiese, e dedicò l'enorme costruzione, proprio come a Venezia,
al santo cittadino, San Petronio. San Pietro era il duomo ed esisteva da secoli,
ma a nessuno venne in mente di ampliarlo, oppure di compiere lo stesso
sventramento e trasferire il titolo e la dignità alla nuova chiesa in progetto.
Non era quella l'idea. Figurarsi poi dedicarla a San Pietro quando chi vantava
diritti su Bologna era il papato. Ci sarebbe mancato altro: tenendo alla propria
indipendenza, e volendo esaltarsi come città (e lodare Dio: a quel tempo i due
vissuti si compenetravano), era al santo locale, e a nessun altro, che bisognava
rendere il maggior omaggio possibile.
Se chi
legge la Nota non ha familiarità con la storia bolognese non è in grado di
rendersene conto, ma è a questo retroterra e a questo intreccio che l'allora
sindaco Imbeni, citato dal Cardinale a conferma della propria tesi, pensava
quando diceva: “I bolognesi hanno sempre amato e amano questa basilica” ‑ si
noti l'esattezza: basilica, cioè “chiesa del re”, “chiesa illustre”, e non
cattedrale, non duomo; si può esser certi che Imbeni, da comunista, in altra
occasione sarebbe stato meno bravo a raccapezzarsi ‑ “perché l'hanno sempre
sentita come una delle grandi “case comuni” della propria storia, nei cui
complessi e ricchissimi significati vive la più autentica tradizione della
città” (n. 10). Vale la pena di notare: il sindaco Imbeni, in questo discorso
tenuto in occasione del sesto centenario della fondazione di San Petronio,
dicendo “casa comune” crea volutamente un'assonanza con il Palazzo comunale,
come a dire: ci sono varie case comuni del popolo bolognese, non solo il Palazzo
comunale lo è. Il cardinal Biffi, proseguendo di suo pugno, il Palazzo comunale
lo cancella addirittura dalla piazza. Lo si ascolti: “Sulla piazza Maggiore, che
è il massimo arengo della nostra vita associata, si erge il tempio dedicato a
San Petronio, nostro principale patrono”. E prosegue: “esempio insigne del
gotico italiano [...]”; del Palazzo comunale, nulla (si abbia presente che
l'argomento di questa parte della Nota è “I1 volto di Bologna” e non, poniamo,
“Gli edifici sacri di Bologna”). La magistratura cittadina, espressione
necessaria dei bolognesi al di là della loro appartenenza o non appartenenza
religiosa, non l'ha davvero nel suo orizzonte mentale. Se uno non la conoscesse
di persona, penserebbe che in piazza Maggiore c'è soltanto San Petronio, insomma
che il massimo arengo della vita associata di Bologna è un
sagrato.
Chiarito
tutto ciò, torniamo ora al testo del Cardinale citato sopra (n. 13) e
domandiamoci come può sostenere che San Pietro “tra i luoghi storici bolognesi è
il più illustre, il più carico di memorie”. In San Petronio, chiesa di grande
fascino oltre che grandissima, fu incoronato Carlo V “sul cui regno non
tramontava mai il sole”. Vi si tennero due sessioni del Concilio di Trento, che
ha improntato il cattolicesimo per quattro secoli. Al Cardinale viene spontaneo
affermarlo perché, e in questo ha perfettamente ragione, San Pietro è il luogo
storico “più ecclesialmente rilevante”, come scrive subito dopo: infatti, in
quanto sede del vescovo, è la scaturigine dei sacramenti e il perno della vita
cattolica religiosamente intesa. Ma sostenere che è il più illustre e il più
carico di memorie è possibile soltanto se si considera vita cittadina quella che
passa attraverso le manifestazioni della fede cattolica, e spazi di altro genere
non vengono concepiti.
Nello
specifico, per far valere la sua tesi il Cardinale ha due opzioni, e
puntualmente, per quanto in contrasto l'una con l'altra, nella sua Nota le
utilizza entrambe. La prima opzione è annettersi completamente San Petronio
sottraendola alla storia civica bolognese. È quanto fa al n. 11. Dopo aver
citato Imbeni è così che prosegue: “Nessuno però può disattendere l'indole
originaria e inalienabile di San Petronio (che il sindaco aveva definito una
delle grandi “case comuni”), che è di essere una casa di Dio e quindi della
famiglia di Dio, cioè degli appartenenti alla Chiesa cattolica”. La seconda
opzione è appunto quella che stiamo analizzando, di dichiarare la cattedrale,
San Pietro, più illustre e più carica di memorie di San Petronio. Dove alla fine
il Cardinale vada ad approdare lo si scopre leggendo il paragrafo successivo, il
n. 14, che, essendo molto breve, riproduciamo per intero: “In questo tempio (è
sempre della cattedrale che parla), ci imbattiamo anche nella figura di San
Pietro che dalla nostra gente è stato venerato fin dal principio del
cristianesimo bolognese con un affetto e una devozione senza eclissi (ma poco
prima, al n.13, aveva scritto della sua chiesa che “oggi è stata riscattata
dalla malinconia di un dignitoso declino”). E così appare chiaro che tra gli
elementi originari dell'identità bolognese c'è anche il desiderio di comunione
con la sede apostolica e l'amore per il successore del principe degli apostoli”.
I1 che si regge, se si vuole affermare che attraverso i cattolici, per molti
secoli largamente maggioritari, è stato presente a Bologna, da un certo punto
della sua storia in poi, il desiderio di comunione col papa. Rimane non
stabilito in che modo l'amore per il papa contribuisca oggettivamente, è questo
che egli sostiene, all'identità bolognese considerata nella sua
specificità.
Deriva dall'ironia petroniana, il cardinal Biffi non se ne avrà a male, lui che senza sussiego ha scritto un commento teologico a “Le avventure di Pinocchio”. È il guaio di essere il bolognese più antico. Se fosse un bolognese degli anni che ha, gli si sarebbe affacciato, qui a un passo da piazza Maggiore, in un punto di via Orefici, il ricordo di un esempio ben specifico della natura di Bologna, carissimo a tutti. Don Marella si metteva lì di notte, con qualunque stagione, e all'uscita dei ristoranti, sorridendo, aspettava in abito talare, da vecchio, la carità per i suoi poveri.
Bologna
si caratterizza per i suoi portici che, rispetto a città di pari dimensioni, la
rendono unica in Italia e probabilmente nel mondo. Dentro la terza e ultima
cerchia di quelle che furono le sue mura se ne contano trentotto
chilometri.
Vale la
pena di soffermarsi sul fatto che i portici in Emilia tanto meno si incontrano
nelle città quanto più ci si distanzia dal capoluogo regionale. Benché la
regione non sia mai stata, si può dire, sotto un unico governo dalla caduta
dell’Impero romano sino all'unità d'Italia, i portici sembrano dipendere dalla
vicinanza di Bologna, come piante che non devono venir allontanate troppo dal
loro habitat altrimenti non si mantengono. Modena è porticata, benché assai
meno. Reggio e Ferrara, più lontane, hanno porticata solo una grande arteria.
Parma, più lontana ancora, non ha portici, se non alcuni recentissimi, e li
avverte così estranei a se da chiamare l'unica via secondaria che da un lato li
possiede “Borgo Colonne”.
Poiché
il cristianesimo è altrettanto storico e altrettanto sentito nelle cinque città,
non viene spontaneo fare riferimento ad esso come causa dei portici. Perché a
Bologna sì e altrove, a parità di devozione, sempre meno? Bisognerebbe che qui e
non là si fossero verificate situazioni particolari concernenti la fede, ma non
se ne conoscono. Riguardando in linea di massima tutte le vie e non avendo
specifiche funzioni religiose, per il fenomeno bolognese sembrerebbe dover
essere ipotizzato un insieme di cause profane, sia storico-economiche, sia
politico-sociali. Una temperie culturale, un gusto, anche, forse; ma si rischia
di finire nell'impalpabile, o nel comico involontario della tiritera: il gusto
per i portici, dimostrato dai portici, fu la causa dei portici. Gli studi sulla
prerogativa bolognese dei camminamenti coperti non la spiegano fino in fondo,
arrivano soltanto a renderla più comprensibile - è singolare oltretutto trovare
una città interamente porticata in un clima né piovoso né nevoso e invece molto
umido e fermo, cosa che richiederebbe insolazione e aerazione a pena di maggiori
rischi sanitari per gli abitanti.
Bologna
era cristiana, certo, quando si orientò collettivamente per questa soluzione
urbanistica e perseverò in essa, ma per vedervi un'origine cristiana
occorrerebbero quanto meno indizi specifici, altrimenti tutto ciò che nacque
allora dovrebbe essere detto cristiano: non riuscendo dopo di che a distinguere
uno spazio laico (la mortadella è cristiana?) e non riuscendo a riservare alla
Chiesa un margine di innocenza, perché a fil di logica anche le brutture, se
tutto dipendeva da lei, le saranno imputabili. Si rispecchia pienamente il
pensiero di chi accusa Dio di essere responsabile del male, se si sostiene che
qualsiasi opera, in epoca di prevalenza cristiana, dipese dal
cristianesimo.
Parliamo a nome nostro, perché il Cardinale non condivide queste preoccupazioni, che forse giudicherebbe dettate da “invidiabile candore”, come la domanda: “Ritiene anche lei che l'Europa sarà cristiana o non sarà?”, che riferisce essergli stata rivolta anni addietro (n. 50), e non rinuncia ad occuparsi dei portici in funzione della sua tesi: Bologna è cristiana, sia ancora cristiana o non sarà più Bologna. Diamogli anche qui la parola: n. 17, “I portici”, riprodotto quasi integralmente.
Bologna infine è la città dei portici. Questo è uno dei dati esteriori che più vistosamente entrano a determinarne l'aspetto. A differenza di quanto abbiamo notato fin qui, il portico a prima vista non pare possedere direttamente una finalità religiosa, anche se per la verità è stato spesso realizzato fin dai primi tempi per favorire l'accesso a luoghi sacri particolarmente cari, come San Luca e Santa Maria lacrimosa degli Alemanni.
Cosa
capisce qui il lettore? Che portici e imponente uso religioso dei portici
(svariate centinaia di metri fuori città per gli Alemanni, quasi quattro
chilometri per San Luca) nascono insieme, e quindi un rapporto, almeno su questa
base, deve essere istituito. Peccato che non sia andata così: l'uso dei portici
per importanti scopi religiosi è di molto posteriore alla loro comparsa, che è
medioevale. Per scopi religiosi sono stati usati quando erano la sigla
indiscussa della città: quello di Santa Maria lacrimosa degli Alemanni risale al
1631 e quello della Madonna di San Luca al 1674, quattro secoli e più li
separano dunque dai “primi tempi”.
Il
Cardinale, prima di concludere:
“Come si vede, anche questa caratteristica bolognese può essere valutata come un risultato o almeno un indizio di una mentalità imbevuta di cristianesimo”, si appella a un'altra ragione: “È probabile che alla fortuna di questo elemento architettonico, abbiano contribuito motivazioni economiche e addirittura fiscali. Ma è indubbio che esso oggettivamente rivela un'attenzione agli altri che è consentanea allo spirito del Vangelo. I proprietari che, erigendo le loro case e i loro palazzi, costruiscono anche il portico, non pensano solo a se stessi: si preoccupano di agevolare la via che è loro antistante”. Peccato, anche stavolta, che i fatti stiano in altro modo, il Cardinale ha una visione troppo poco “comunista” di Bologna antica: non si trattava di una decisione dei proprietari, ma del Comune (l'amministrazione civica, perbacco, che in piazza Maggiore lui ha appena cancellato). I portici medioevali a Bologna erano, e anche quelli di oggi lo sono, di proprietà delle case, a cui il Comune consentiva a quell'epoca di protendersi sulla strada, ma non con un comodo sporto, come si tendeva a fare, bensì con un più costoso elemento architettonico, che fosse percorribile ai cittadini e di cui i proprietari si accollassero la manutenzione. I1 Cardinale, senza volerlo, ed è ancor più significativo, sposta nuovamente anche qui i primi portici a quando servirono per le grandi opere religiose, cioè nel Seicento avanzato, perché aggiunge: “Le strade antiche, che non avevano marciapiedi, erano dominio incontrastato dei cavalli e delle carrozze”. Nel Medioevo cavalli ce n'erano anche, più asini e muli, ma carrozze nessuna, dovevano ancora apparire.
Abbiamo un ultimo dei nostri punti secondari (per convenzione, orecchie) da prendere in esame. I1 Cardinale, che di tener desta l’attenzione del lettore è veramente capace, chiude questa parte della sua Nota “col botto”.
Mette conto qui di rilevare incidentalmente che perfino il “Nettuno” - monumento che spicca nel “volto” della città ed è comunemente ritenuto il più “laico” - è il prodotto di una “committenza ecclesiale”. È stato eretto nel 1563 (l'anno in cui si conclude il Concilio di Trento) per volontà del papa Pio IV e soprattutto del cardinale legato, che si chiamava Carlo Borromeo. Nasce, come si vede, nel pieno della così detta Controriforma a opera del più austero degli uomini di Chiesa di quel tempo. La statua del Giambologna è un'evidente glorificazione del corpo umano e raffigura una divinità pagana chiamata, come tutto il mondo classico, a mettersi al servizio della visione cattolica del committente. Il quale dimostra così una libertà di spirito e una larghezza di vedute, che dovrebbero mettere un po’ in crisi qualche convenzionale giudizio storico e molti luoghi comuni (n. 19).
Mette in
crisi senz'altro, a prima vista. San Carlo Borromeo è il santo che tutti
ricordiamo effigiato, col gran nasone, in adorazione del crocefisso tenuto fra
le braccia davanti a se come se non esistesse nient'altro. È del resto verità
storica che fu il grandissimo campione che portò la Controriforma a dispiegare i
suoi effetti. Qui ce lo si presenta, per di più, cardinal legato di Bologna
(cioè massima autorità amministrativa cittadina in tempo di dominio pontificio)
che decide l'erezione del Nettuno! Non ce lo aspetteremmo, ma, procedendo con i
riscontri, forse apparirà che non abbiamo tutti i torti a mancare di questa
aspettativa. I1 Cardinale riferisce una cosa vera e poco conosciuta (Carlo
Borromeo cardinal legato di Bologna). Però dovrebbe un minimo contestualizzarla.
Carlo Borromeo, diventato cardinale nel 1560, aveva ventun'anni e se ne avesse
avuti quindici sarebbe stato lo stesso. Eletto papa suo zio, Pio IV, si trovò
prontamente coperto di un gran numero di cariche, oltre che di prebende e
sinecure. Gli fu data persino la segreteria di Stato. La sua collocazione
indiscussa era la corte pontificia, a Bologna non era previsto che mettesse
piede, né ve lo mise mai se non per pochissimi giorni e di passaggio. Era stato
immediatamente destinato ad essere arcivescovo di Milano, ma anche questo non
significava alcunché quanto alla residenza: non si immagini la Chiesa dopo
Carlo Borromeo uguale a quella prima di Carlo Borromeo. E neppure lo
si pensi investito della Chiesa ambrosiana essendo già vescovo o almeno prete.
Diventerà l'uno e poi l'altro proprio nel 1563, che non fu tanto l'anno del
Nettuno (finito nel 1566), quanto quello in cui si riuscì a terminare il
Concilio di Trento (ce lo ha ricordato il Cardinale en passant) e quello
in cui Carlo Borromeo, dopo la morte del fratello maggiore unico maschio,
accentuò la sua conversione: rinunciando a lasciare la porpora per continuare il
casato (nel 1545 i Farnese avevano ricevuto dallo zio Paolo m uno stato
addirittura, Parma e Piacenza) si impegnò con tutte le sue energie nella riforma
di Milano, in cui volle risiedere, e della Chiesa universale, che non perse
minimamente di vista. Prima facendosi forte del papa, poi, alla morte di questi
(1565), come arbitro dell'elezione del successore Pio V, egli fu in quegli anni
la figura di maggior spicco nella Chiesa e quella in cui erano riposte le
speranze dei riformatori.
Ebbe
tempo, ebbe voglia, ebbe inclinazione per un dio pagano in posa trionfante e con
il membro scoperto? Per una statua in accordo con ciò contro cui lottava con
tanto zelo? Le biografie fondamentali ne tacciono completamente. Le cronache di
Bologna ricordano un vice legato Pier Donato Cesi a cui risalgono quegli
interventi urbanistici (ci fu anche l'Archiginnasio), di certo voluti dal papa,
a Roma non meno patrono di artisti e architetti. Ma il Cardinale dice che la
statua la dobbiamo espressamente al desiderio di Carlo Borromeo, e il Cardinale
è un uomo d'onore.
A noi
riesce ragionevole pensare che quello fu uno degli ultimi frutti (buono, perché
no) dell'epoca precedente, che non tramontò di colpo, è ovvio, né poteva essere
soppiantata per decreto. Fu durissimo per la Chiesa, prese decenni e comportò
conflitti di ogni tipo sterzare dall'umanesimo e passare dalla forma
pretridentina a quella tridentina. A conferma dell'essere avvenuta l'erezione
del Nettuno a cavallo di queste due epoche contrapposte e del trovarsi il
ventiquattrenne Carlo Borromeo soltanto all'inizio della seconda e
impossibilitato a influire su ogni cosa che si progettasse, quando la
Controriforma fu completamente affermata alla statua furono imposte brache di
bronzo, che non furono tolte se non molto dopo, arrivata ad esaurirsi quella
rigida e austera stagione.
Sia
nostro questa volta l'inciso. Possiede qualcosa di spaesante, unheimlich,
essere qui a patrocinare la figura storica di un santo, e di un santo
ufficialissimo, nei confronti di qualcuno che è cardinale di Santa Romana
Chiesa, oltretutto milanese di origine, che vita e opere di lui le conosce a
menadito. Questo a riprova di quanto si diceva: nel cardinal Biffi si incontra
un interlocutore senza riguardi di sorta, che sa il fatto suo ed è capace come
pochi di paradossi e di invenzioni; un interlocutore con cui, com'è come non è,
difficilmente qualcuno degli stizziti che ne dicono male scende in concreto a
confrontarsi. Va riconosciuto al cardinal Biffi di avere più di molti suoi
critici il coraggio (e il gusto) di uscire allo scoperto e di prendere di petto
le cose.
C'è
dell'altro, però. Il Cardinale si distingue, allo stesso tempo, per una assoluta
coerenza di fondo. Ci sono almeno due motivi, oltre stupire, per i quali tira in
ballo inopinatamente San Carlo, entrambi irrinunciabili per lui. Uno è, come
sempre, saltare a piè pari la natura per far risalire tutto al divino rivelato,
di conseguenza cristiano, di conseguenza pienamente posseduto dalla Chiesa
cattolica. Noi siamo portati a pensare che esiste una psicologia nelle persone,
che è un dato laico, di natura, certamente dovuto a Dio, ma creazionale,
pre-cristiano. Se Carlo Borromeo aveva mentalmente certe caratteristiche e non
era dissociato, certamente non gli erano proprie le caratteristiche opposte; per
cui nella Chiesa c'è il santo come lui, asceta, infaticabile, pugnace, mistico,
alla Paolo di Tarso, e c'è il santo laico, coniugato, borghese, umanista, come
Tommaso Moro, per non andare troppo lontano da quel periodo. Se si macerava per
il crocefisso e imponeva processioni in tempo di peste, l'armonioso e possente
Nettuno non c'entrava con lui; con Tommaso Moro dialogante e grecista sì, non
con lui. Per il Cardinale, invece, questo che diciamo è pressappoco aria fritta:
se uno è santo, è completo su tutta la linea, non ha senso, in definitiva, porsi
il problema di sue incompatibilità naturali. Appunto, uno spazio laico non c'è.
Soltanto a parole egli acconsentirebbe all'assioma cattolico (e tridentino) che
la grazia porta a perfezione la natura, non la distrugge. Tutte le prevedibili
conseguenze di ciò, fedeli al dichiarato progetto di non chiosare oltre
l'indispensabile, le lasciamo alla riflessione di chi vorrà
dedicarvisi.
Il suo
secondo principale motivo per unificare in Carlo Borromeo Umanesimo e
Controriforma è di natura ecclesiologica e comprenderlo porta a inquadrare con
accresciuta chiarezza la posta in gioco. La fede cattolica ha queste due
certezze, e sono tra quelle basilari: la Chiesa è santa; la Chiesa non
è ancora il Regno di Dio. Dalla loro modulazione reciproca derivano
conseguenze, per i credenti e di riflesso anche per i non credenti, che non è
esagerato definire enormi: se la Chiesa non è santa, Cristo è venuto
sulla terra per modo di dire e non c'è speranza per le nostre colpe; se
la Chiesa è già il Regno di Dio, tutto ciò che non è Chiesa è destituito
di effettivo valore, è buio e tenebre nella misura in cui non prende luce
direttamente da essa: non ha diritti propri, al limite estremo, non c'è.
Nello spazio intermedio tra le due verità, che è di ardua definizione e non
è altrettanto sistemato dal magistero, il sentire del Cardinale è molto vicino
alla prima (la Chiesa è santa) ed è molto lontano dalla seconda (la Chiesa non è
ancora il Regno di Dio).
Umanesimo
e Controriforma vengono unificati nel Borromeo perché per il Cardinale non
esistono tempi diversi nella Chiesa, un'epoca prevalentemente fatta in un modo e
un'epoca prevalentemente fatta in un altro, scorta di tempi diversi che non
riusciremo ad esaurire, tornerà prima il Signore. La Chiesa è semper idem,
sempre la stessa cosa e sempre, tutta quanta, in atto. Non si dovrà la
decisione a un suo suggerimento, ma si può scommettere senza alcun pericolo di
rimetterci che egli si è sentito perfettamente rappresentato da una iniziativa
come proclamare simultaneamente santi Pio IX e Giovanni XXIII. La Chiesa come
egli la concepisce, al di là delle parole con cui può girarci intorno, è senza
profeti e senza peccatori, il peccato in realtà non c'entra con la Chiesa (per
sostenerlo ha anche scritto un libro, secondo logica, “La sposa chiacchierata”).
Non è disonestà intellettuale, è frutto del suo vissuto intimo scrivere di Pio
IV e di Carlo Borromeo senza neanche far presentire il nepotismo. Esso infatti,
“a ben guardare”, ecclesialmente non esiste, è un peccato di Pio IV e non
riguarda che lui, così come non è vicenda da affrontare (anche) con
l'antropologia, la sociologia, la psicologia, la storia, con le scienze
dell'uomo insomma - chiaro, se vanno rispettate integralmente nell'autonomia dei
loro statuti, altrimenti ben vengano.
La
Chiesa cattolica è tutto, ha tutto e deve ora, di per sé, comprendere
tutti. Non è così perché i credenti non si danno abbastanza da fare e non sono
abbastanza santi (= obbediscono al vescovo: “Ascoltate il vescovo, se volete che
Dio ascolti voi” (n. 4): Ignazio d'Antiochia, in questa sua frase, è l'unico
padre della Chiesa a venire citato). Il considerevole spazio dedicato nella Nota
ai musulmani e alla loro asserita incompatibilità con l'Italia, è qui che si
radica, non altrove. Come nel Cardinale manca il concetto di un ambito laico,
altrettanto è assente quello di un tempo prima della Rivelazione e quello
di un tempo ulteriore rispetto alla Rivelazione, un tempo escatologico,
che ancora non c'è. Il Regno di Dio non è presente oggi in enigma, come visto
dentro uno specchio: dopo la venuta di Cristo è già in qualche modo tutto in
questo mondo e attraverso Pietro, vicario di Cristo, è già in qualche modo
tutto, adesso, nel papa e nella Chiesa cattolica. Certo, il Cardinale ci conta,
al ritorno del Signore, “venga il tuo Regno” si prega ogni giorno, la Chiesa
risplenderà di più, ma null'altro che magnificamente di
più.
Suggello perfetto di tutto ciò è quel Nettuno che egli orgogliosamente sostiene essere stato “committenza ecclesiale”. Già a quell'epoca si era capaci di distinguere correttamente fra vescovo della città, a cui apparteneva l'ecclesiale - e infatti non fu il committente del Nettuno - e cardinal legato, a cui spettava il governo: costruire, nel caso, le fontane. Non è ipotizzabile maggiore chiarezza di quella fornita da questo esempio, se per il cardinal Biffi anche costruire le fontane appartiene alla Chiesa e compete al ministero che ha ricevuto da Dio.
Non era luogo (forse) perché il Cardinale raccontasse nella Nota la storia di Gaetana Agnesi, la donna chiamata in cattedra nel Settecento dall'Università di Bologna. E non sarebbe luogo farlo qui, fuoriesce dal discorso. Ma un discorso che non trattiene l'umano che vi si affaccia è un discorso? Essa ci è parsa così memorabile, toccante e con movenze di tempi andati che ci onoriamo di inserirla, trascrivendola dall'Enciclopedia Italiana, edizione 1949.
Le
Istituzioni analitiche dell'Agnesi (milanese, nata nel 1718) furono
stampate nella casa di lei nel 1748. Qualche mese prima della pubblicazione del
suo lavoro ella era stata aggregata all'Accademia delle Scienze di Bologna. Il
papa Benedetto XIV ricevette una copia delle Istituzioni e rispose
congratulandosi e inviando doni. Con un breve, le venne offerta la cattedra di
matematica all'Università di Bologna. Cosi nacque la leggenda secondo la quale
ella insegnò veramente in quella città, mentre invece non volle mai accettare la
cattedra, malgrado le sollecitazioni degli accademici bolognesi. Ma pubblicato
il suo libro (le Istituzioni, pregevoli per ordine e chiarezza, vennero
tradotte in francese e in inglese, e studiate come le migliori del loro genere
finché, a loro volta, vennero sostituite dalle opere di Eulero), ella segui
quella che era sempre stata la sua inclinazione; e specialmente dopo la morte
del padre, avvenuta nel 1752, si dedicò per intero alla religione e alle opere
di carità: curava gl'infermi nella sua casa dove aveva istituito un ospedale. E
mentre il suo nome era ancora ricordato tra gli scienziati per i suoi lavori
matematici, ella li aveva lasciati da tempo, come risulta da un fatto
particolare. Nel 1762 le furono inviate, dall'Accademia di Torino, delle
dissertazioni intorno al calcolo, perché le esaminasse; v'erano alcuni articoli
del Lagrange e tra questi l'esposizione del metodo che poi costituì il
calcolo delle variazioni. Ella rispose che “le serie occupazioni sue
l'impossibilitavano a ricevere questi contrassegni non meritati dell'altrui
stima”. L'arcivescovo di Milano la chiamò come visitatrice a direttrice d'un
ricovero per i vecchi e le vecchie prive d'assistenza. Infine durante gli ultimi
quindici anni della sua vita rimase tra le vecchie del Luogo pio Trivulzio, dove
morì nell'inverno del
1799.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Dalla Chiesa. Ne ha facoltà per 11 minuti.
DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Ministro, oggi noi chiediamo le sue dimissioni. Avremmo preferito poter contare sulla Commissione d'inchiesta e solo dopo arrivare alla formulazione di eventuali richieste come quella oggi presentata. Il senatore Nania ieri ci ha spiegato le ragioni per le quali tale commissione d'inchiesta non è stata concessa: ha evocato il pericolo di una influenza indebita sull'operato della magistratura e credo che tale evocazione abbia qualcosa di fondato. Ma certo bastava introdurre delle regole che mettessero in condizione questa commissione d'inchiesta di agire su versanti diversi da quelli sui quali ha titolo per indagare la magistratura. Faccio degli esempi che credo lo stesso senatore Nania coglierà nella loro fondatezza. È probabilmente irrilevante sul piano penale per la magistratura sapere se è vero che il venerdì gli apparati tecnologici della sala operativa della questura di Genova sono saltati più volte appena introdotti, ma politicamente è importante sapere se le Forze dell'ordine erano state preparate, in tutti i modi, a fronteggiare quegli eventi. È probabilmente irrilevante sul piano penale sapere se mentre i black bloc venivano guidati da personale di Genova nelle loro scorribande – così ci ha riferito il questore – i poliziotti venivano invece guidati dalla sala operativa da funzionari non genovesi che non conoscevano neanche le vie della città: è però politicamente rilevante saperlo! Non è rilevante sapere penalmente forse quali erano le ragioni per cui è stato consentito l'accesso ad alcuni parlamentari alla sala operativa dei Carabinieri, ma politicamente questo fatto è rilevante. Forse non è rilevante penalmente sapere se è vero che, al momento della partenza, contingenti di poliziotti e di carabinieri hanno ritmato l'urlo: "Uno di meno!": forse soltanto un orribile urlo di gioia penalmente non rilevante, ma politicamente non è irrilevante sapere se sia vero o no. Queste informazioni si possono avere con gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria e per questo la commissione d'inchiesta era importante e non per interferire con il lavoro della magistratura. A questo punto chiediamo conto a lei non avendo potuto appurare, fino in fondo, i fatti per le troppe cose che sono successe per la prima volta: ci sono troppe prime volte in questa vicenda! Certo, vi è stata una straordinaria violenza degli assalti che sono stati condotti contro le forze dell'ordine e questo è il punto di partenza che si tende, nelle polemiche, a dimenticare. La violenza che è stata condotta però non giustifica le tante prime volte che cerco di elencare; costringe casomai noi a riflettere più in profondità sui rapporti tra ogni forma di opposizione e la violenza. Ma l'irruzione nella scuola non ha rapporti con quelle violenze ed è una prima volta nella storia della Repubblica! Le torture di Bolzaneto sono una prima volta, signor Ministro: non è mai accaduto neanche sotto il terrorismo, con le uccisioni e i morti del terrorismo o della mafia, che venissero torturati mafiosi o terroristi. In questo caso, invece, sono stati torturati manifestanti fermati spesso a caso in piazza. La quantità di persone innocenti… VOCE DAL GRUPPO FORZA ITALIA. Tuo padre si rivolta nella tomba! DALLA CHIESA (Mar-DL-U). No, mio padre non si rivolta nella tomba, caro mio, perché quando venne torturato il terrorista Di Lenardo mio padre disse: "con me non è mai stato torturato nessuno" perché sapeva che quando delle persone finiscono nelle mani della polizia e dei Carabinieri, che li hanno presi anche sostenendo scontri e sacrifici duri, poi non gli torcono un capello. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e Verdi-U). E' proprio sbagliato l'indirizzo! La quantità di persone pestate in piazza, innocenti e non violente (perché non è di violenti che si parla), la presenza di uomini di partito nelle sale operative ...(Commenti del senatore Schifani)… Non di uomini delle istituzioni di Governo, ma di uomini di partito che hanno rivendicato di esserci stati. L'intimazione ad urlare: "Viva il Duce!": non era mai successo, neanche negli anni più duri della contestazione! È la prima volta che accade questo, com'è la prima volta che accade che vengano messi mani e piedi addosso ad avvocati i quali cercano di esercitare i diritti della difesa; è la prima volta che viene messo il manganello sulle spalle di parlamentari. Ma io penso che chiunque di voi dovrebbe essere interessato a questo perché chiunque può trovarsi ad intervenire in una situazione non obiettivamente ingiusta, ma che lui reputa ingiusta. Il rifiuto di accesso ai rappresentanti diplomatici: anche questa è la prima volta! Quando vi sono tante prime volte e quando si è incominciato – ne sono testimone – con un clima di dialogo, non può che essere intervenuto qualcosa che ha modificato il clima originario. In quei due giorni è cambiato il clima; si è instaurato un clima politico che ha prodotto effetti disastrosi, un clima della prima volta, un clima di mancanza di sensibilità. Vorrei invitarvi a riflettere su questo punto. E' possibile, signor Ministro, che né lei, né il prefetto, e neanche il questore abbiate sentito il dovere – come ha fatto il presidente della Camera Casini – di indirizzare una parola di ringraziamento al padre di Carlo Giuliani che in quel momento, pure infiammato e addolarato, ha speso parole di pace e di buon senso per tranquillizzare gli animi e per evitare guasti ancora peggiori? Nessuno lo ha ringraziato. Credo vi sia una colpa grave in quanto è accaduto. La polizia, i carabinieri, le Forze dell'ordine in generale, si sono conquistati, nel corso di questi anni, un alto prestigio e un'alta credibilità; li hanno conquistati non gratuitamente, ma a colpi di sacrifici. Hanno perduto i loro uomini nella lotta contro la mafia, contro la camorra, contro il terrorismo. Anche le persone che avevano culturalmente maggiori pregiudizi nei confronti delle Forze dell'ordine sono state costrette con il tempo a ricredersi e hanno stabilito un rapporto di fiducia. E' una forza dello Stato democratico il fatto che tutti i cittadini, e non soltanto una parte, abbia un pieno rapporto di fiducia con le Forze dell'ordine. Questo rapporto si è oggi incrinato e dobbiamo agire in tutti i modi affinché sia pienamente recuperato. Non possiamo certo fare prediche ad un sovversivo o a un camorrista su come deve considerare le Forze dell'ordine; un sovversivo o un camorrista vedranno sempre il carabiniere o il poliziotto come uno "sbirro", come un avversario. Ma il giovane non violento di 20 anni, che vuole cambiare il mondo, ha il diritto di vedere il poliziotto o il carabiniere come colui che difende l'esercizio dei suoi diritti. Dobbiamo mantenere tale conquista fondamentale degli ultimi decenni all'interno del patrimonio dello Stato. Qualcuno può accarezzare il sogno di una polizia o di Forze dell'ordine di parte, o addirittura di partito; sarebbe un disastro al quale dovremo opporci in tutti i modi, anche superando difficoltà psicologiche che possiamo trovare in giovani che guardano più generalmente al centro-sinistra. Dobbiamo superare questo rischio, dobbiamo garantire a questo Paese che le divise siano di tutti. E' un calcolo miope quello che è stato fatto, quel via libera dato non già alle culture migliori, bensì agli istinti di minoranze che hanno evidentemente ritenuto, in quel clima, di poter dare libero sfogo, in certi momenti, a quegli istinti. Avete ragione voi: gli uomini erano gli stessi. Ma come mai sono accadute tante "prime volte", a parità di uomini, se non perché è cambiato il clima politico? Il clima non è cambiato subito perché, all'inizio, vi è stato un tentativo di dialogo da parte del ministro Scajola e da parte del ministro Ruggiero. Cos'è cambiato in quei due giorni? Certo, vi sono stati assalti, ma la nostra polizia ha la professionalità per saper resistere a quegli assalti - ciò era stato garantito giustamente negli incontri preparatori - senza cedere a tutte queste prime volte. Ricostruiremo un rapporto di fiducia, signor Ministro, se ci sarà verità; non speculazioni, ma verità. Abbiamo il diritto ad avere la verità; ce lo ha chiesto il Presidente della Repubblica, ce lo chiede il Paese, ce lo chiede l'opinione pubblica internazionale. Non riduciamo questo problema ad una questione di rapporti fra Polo e Ulivo. Non capiremmo alcunché, se pensassimo che quanto accaduto a Genova sia riconducibile a tali rapporti o ai rapporti tra il singolo e le Forze dell'ordine o i sindacati di polizia. Vi è una frattura rispetto alla quale dobbiamo intervenire con il massimo di coscienza, di consapevolezza e di amore per il nostro Paese. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U, Aut, Misto-Com, Misto-SDI). Guai a chi pensasse di ricondurre tutto a quelle dinamiche; solo chi non ha a cuore le divise e il loro rapporto con lo Stato può ricondurre tutto alle piccole polemiche interne al Senato o alla Camera. Questa è la ragione per cui mi rivolgo a lei, signor Ministro. Non avrei voluto personalmente fare la parte di chi chiede le sue dimissioni. Per le ragioni che ho illustrato prima, credo che la Commissione di inchiesta sarebbe stato lo strumento più appropriato. Non si è capito che avrebbe potuto essere istituita una Commissione di inchiesta autolimitata in alcune modalità di intervento, ma fortemente autorizzata ad intervenire nell'acquisizione di informazioni e capace di fornirci il giudizio politico più coerente e sereno. Non è un processo, signor Ministro. Ho riscontrato delle prime volte, accadute tutte insieme. Le chiediamo conto di quel clima e forse non dobbiamo chiederlo soltanto a lei, forse non dobbiamo chiederlo principalmente a lei. In ciò siamo agevolati perché lei, in quei due giorni – non è mancanza di rispetto, ma una valutazione obiettiva di ciò che è accaduto e delle informazioni diffuse pubblicamente e a volte privatamente – si è dimesso da solo e ha abdicato al suo ruolo di Ministro dell'interno. Il Ministro dell'interno, in quei due giorni, lo ha fatto l'onorevole Gianfranco Fini; ne ha formalmente i titoli, ma il Paese ha il diritto di sapere chi fa il Ministro degli interni nei due giorni cruciali in cui tutto il mondo ci guarda e per i quali ci siamo preparati per circa otto mesi. (Vivi applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U, Aut, Misto-Com, Misto-SDI. Molte congratulazioni).
Apprendiamo dalla stampa che il Senatore del
centro-destra Maurizio Ronconi ha svolto ieri una interpellanza urgente al
Ministro degli Interni riguardo ad un "campo militare dei rivoluzionari di tutto
il mondo". E' chiaro ad ogni persona dotata di buon senso che si tratta di una
bufala colossale. Siamo al quarto giorno del Campo antimperialista e centinaia
di persone hanno partecipato ai lavori, ascoltato relatori da tanti paesi,
incontrato e conosciuto delegati di numerosi movimenti di liberazione. Allo
stesso tempo decine di giornalisti hanno potuto vedere coi loro occhi cosa sia
il Campo antimperialista: un incontro internazionale che, nella massima
trasparenza, cerca il dialogo e l'unità con i popoli oppressi dell'Africa,
dell'Asia e dell'America latina, per costruire un movimento internazionale
contro la globalizzazione capitalista. Fino a prova contraria esercitiamo dunque
un diritto costituzionalmente sancito, che difenderemo con le unghie e coi
denti, anche contro chi, come il Senatore Ronconi, facendo leva sulle più
becere pulsioni reazionarie tenta, non ancora sazio del sangue versato a Genova,
di istigare le forze di Polizia ad usare il manganello, a spedirci in galera, a
chiuderci la bocca. L'interpellanza di Ronconi, prima ancora che spaventarci, ci
ispira un profondo senso di pena. Che un Senatore della Repubblica scivoli così
in basso, che menta in modo così spudorato, che istighi in modo sfrontato alla
repressione; la dice lunga non solo sul suo mediocre spessore politico. Ci dice
quanto marcio sia il centro-destra che rappresenta e quanto forti siano le
tendenze antidemocratiche che albergano in esso. Per simili avversari vale il
vecchio adagio: "tagliate le teste ai vostri nemici, non per avere nemici senza
teste, ma solo per scoprire quanto esse siano vuote". No alla globalizzazione
imperialista! Unità dei lavoratori e dei popoli oppressi di tutto il mondo! Non
ci sarà pace senza giustizia! (
Testimoni di Genova
Per informazioni e adesioni inviare una mail a: testimonidigenova@noprofit.org
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"Questo rovescio di Lendl è potentissimo, sembra una bomba al nepal" - Giampiero Galeazzi
"Tutti si aspettavano un punteggio più largamente" - Toto Schillaci
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"Certo, non ho un fisico da bronzo di Rialto" - Totò Schillaci
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"Io credo che gli Europei sono una cosa mondiale" - Stefano Tacconi
"Ho preso un dosso che mi ha sbandato, ho perso tanto, poi prima dell'intermedio un sassetto sotto i sci col mio peso ne risentivo sotto le lamine che tenevo poco. La seconda son partito un po', non dovevo partire così piano però ho recuperato: peggio di settimo e meglio di secondo non ho fatto... Mi sto preparando per questi anni dispari andava sempre male, 89, 91, 93, spero che vadi bene" - Alberto Tomba
"Allora mi sono girato su se stesso..." - Riccardo Ferri
"E' l'unico italiano che nel SuperG riesce a tenere gli sci uniti. Larghi ma uniti" - Furio Focolari
"Non mettiamo il carro davanti ai buoi, ma lasciamo i buoi dietro al carro" - Giovanni Trapattoni
"E' l'ultimo anello che mancava al nostro collage" - Sandro Ciotti
"Questo è un altro paio di scarpe" - Lothar Matthaus
"Oggi gli spettatori sono stati 230 mila lire" - Simona Ventura
"Ora vi proponiamo un summit: sì, un sommario, non è la stessa cosa?" - Alba Parietti
"Apro una piccola parente" - Jose Altafini
"Ferri ha riportato - lo dico per tranquillizzare i famigliari - la frattura della mandibola" - Enzo Foglianese
"Mi hai tolto la palla di bocca" - Alba Parietti
"Io la Laura Antonelli me la farei ancora" - Maurizio Mosca
"Andrea Moreno sta andando molto bene, è gia nel sedere di Berger" - Andrea De Adamich
"E' sempre meglio venire da dietro" - Nils Liedholm
"Il propagarsi o l'essere protagonista comunque sulla base quotidiana dei mezzi di comunicazione è un'esigenza che molti hanno, ma che è altamente inflazionistica" - Giovanni Trapattoni
"Qui al Processo le polemiche fioccano come nespole" - Aldo Biscardi
"C'è maggior carne al fuoco al nostro arco, anche se l'arco lancia le frecce" - Giovanni Trapattoni
IN PROGRAMMA
venerdì 5 ottobre 2001 - ore
21
spettacolo
Teatro Peroni – San Martino Buon
Albergo
Awa Dances – Sangha (Mali)
Danze sacre
delle maschere Dogon
in collaborazione con il Comune di San Martino Buon
Albergo (VR)
Sabato 6 ottobre
2001
Teatro Camploy - Verona
ore 21
Awa Dances – Sangha (Mali)
Danze sacre
delle maschere Dogon
in collaborazione con la
Fondazione AIDA
L’ingresso allo spettacolo sarà gratuito - offerta libera
ore 16 - 18
workshop di danze e
maschere
con alcuni danzatori Dogon,
organizzato da Metis Africa
partecipanti: 20 persone
quota di iscrizione: lire 50.000
ore 18 - 20
seminario introduttivo
Ritualità e mitologia
della società delle maschere
con: Marco Gay, Sekou Dolo, Apam
Dolo, Lelia Pisani e Giulia
Valerio
quota di iscrizione: lire 20.000
Tutto ricavato sarà devoluto ad un progetto per l’educazione e la salute in un’area rurale dell’altopiano Dogon
Domenica 7 ottobre
2001
dalle ore 12
Corte Molon
Pomeriggio in compagnia ai Dogon: iniziative varie, materiale informativo, cucina, musica ???
laboratorio didattico
attività di formazione e informazione agli insegnanti in
collaborazione con alcune scuole nel mese di settembre e incontro di introduzione allo spettacolo per gli
allievi presso il Teatro Camploy
ore 9-13 del 6 ottobre
Per informazioni e prenotazioni al work shop e al seminario: Onlus Metis Africa - via Santa Felicita, 9 – Verona tel. 045 8303266 – 045 8032507 e-mail mari.pat@tiscalinet.it
Proposta di un viaggio nella Repubblica del Mali
ORISS e METIS, due associazioni senza scopo di lucro italiane, si sono impegnate in un progetto di cooperazione internazionale: la costruzione, l’equipaggiamento e il funzionamento per tre anni di una scuola elementare e di un centro di salute misto (ove guaritori e personale sanitario collaborino) a Bodio, sull’altopiano dogon di Bandiagara, in Mali. Come in altri interventi precedenti, le associazioni promuovono cooperazione «a specchio», che preveda cioè un ritorno in Italia; e quindi curano informazione e formazione, gemellaggi (soprattutto scolastici) e altre forme di scambio (artigianato, arte, ecc.). In questo quadro, viene proposto un viaggio in Mali per piccoli gruppi (massimo otto persone), accompagnati da italiani e maliani che conoscendo davvero le realtà locali siano in grado di farle visitare «dal di dentro».Due gruppi si stanno costituendo, in due periodi diversi: Gruppo 1, dal 23.12.01 al 6.01.02; Gruppo 2, dal 16.01.02 al 30.01.02.
Programma provvisorio
1.Partenza
dall’Italia e arrivo nel pomeriggio a BKO (Air France, via Parigi).
Pernottamento in casa attrezzata.
2.Trasferimento per strada (auto private) a Djenné, arrivo la sera,
pernottamento in casa attrezzata.
3.Visita di Djenné; la sera trasferimento a Sangha con macchine private e
pernottamento all’Hotel Campement. 4.
Partenza per la visita guidata alla falesia e ai villaggi dogon. Due opzioni: un
trekking di due giorni o percorso di due giorni in auto 4x4 con pernottamento in
case private o tende. 5. Fine
della visita all’altopiano dogon e pernottamento a Mopti in casa
attrezzata. – 7. –
8. – 9. Partenza da Mopti in piroga a motore privata, con cucina, per Timbuctu.
Soste lungo il fiume, pernottamento in tende (con materassi e zanzariere)
fornite dall’organizzazione. 10.
Arrivo a Timbuctu, pernottamento in casa attrezzata. 11.
Visita di Timbuctu e alla biblioteca Ahmed Baba. 12.
Partenza per Bamako in aereo (se disponibile) o con macchine
private. 13. –
14 Arrivo a Bamako, visita della città e dei mercati con accompagnatore.
Pernottamenti
in casa attrezzata. 15.
Partenza per l’Italia.
Questo programma può subire variazioni o per esigenze degli organizzatori, o per particolari esigenze del gruppo. Il costo del viaggio è di £ 2.300.000 escluso viaggio aereo e vitto. Di questa somma, £ 500.000 sono destinate al «Progetto per l’educazione e la salute in un’area rurale dell’altopiano dogon» e saranno versate dai partecipanti direttamente sul conto corrente del Progetto al momento dell’iscrizione definitiva al gruppo, entro il mese di Settembre c.a. (saranno restituite in caso di annullamento del viaggio da parte delle Associazioni per cause di forza maggiore).Un incontro dei partecipanti ai due gruppi con alcuni degli organizzatori avrà luogo in Italia nel mese di Ottobre. Sono disponibili indicazioni bibliografiche per eventuali approfondimenti. Si raccomanda di prenotare i voli il più presto possibile per trovare tariffe convenienti.Per l’ingresso in Mali è obbligatorio il visto (Ambasciata del Mali a Roma, £ 50.000) e la vaccinazione contro la febbre gialla. Altre vaccinazioni sono consigliate, così come la profilassi antimalarica. Un medico è a disposizione dei partecipanti per consigli e per valutare particolari situazioni. Per informazioni e contatti: Piero Coppo e-mail pierocop@tin.it, Giulia Valerio e-mail giulia-valerio@iol.it
14 ottobre: Marcia Perugia -
Assisi
[Dal
programma di convocazione della marcia Perugia-Assisi del prossimo 14 ottobre
2001 riportiamo i seguenti stralci. Per ulteriori informazioni, per adesioni e
per contatti con la Tavola della Pace che promuove l'iniziativa: Tavola della
pace, via della Viola 1, 06122 Perugia, tel. 075/5736890, fax: 075/5739337,
e-mail: mpace@krenet.it, sito: www.krenet.it/a/mpace; o
anche:
Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace, via della Viola
1, 06122 Perugia, tel. 075/5722479, fax: 075/5721234, e-mail: info@entilocalipace.it, sito: www.entilocalipace.it]
*
Premessa
"Un altro mondo e' possibile. Costruiamolo insieme". Con questo
slogan, il 26 settembre 1999, decine di migliaia di persone provenienti da ogni
parte del mondo (dopo aver partecipato alla 3a Assemblea dell'Onu dei Popoli)
hanno camminato insieme da Perugia ad Assisi chiedendo all'Italia, ai governi e
a tutte le istituzioni internazionali di "cambiare le priorita' della politica e
dell'uso delle risorse rimettendo al centro le persone, i popoli e il rispetto
dei loro diritti fondamentali". Al centro di quella Marcia c'era la proposta di
costruire una grande alleanza mondiale di cittadini, organizzazioni della
societa' civile, comunita' ed Enti Locali impegnati a "sostituire la cultura
della competizione selvaggia con quella della cooperazione, la cultura della
guerra con la cultura della pace, l'esclusione con l'accoglienza,
l'individualismo con la solidarieta', la separazione con la condivisione,
l'arricchimento con la ridistribuzione, la sicurezza nazionale armata con la
sicurezza comune". Oggi quello slogan e quell'obiettivo appaiono sempre piu'
concreti e urgenti. La necessita' di "agire insieme, con audacia, operando oltre
le frontiere e le diversita' come un fronte unico, con una strategia globale e
una consapevolezza comune" e' condivisa da una rete sempre piu' fitta di
organizzazioni della societa' civile attive e di istituzioni locali in tutto il
mondo. La Tavola della pace e il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per
la Pace intendono dare un ulteriore contributo a questo processo organizzando la
4a Assemblea dell'Onu dei Popoli e una nuova edizione della Marcia per la Pace
Perugia-Assisi che si svolgeranno dall'8 al 14 ottobre 2001.
* Gli obiettivi
generali
- Globalizzare i diritti umani, la democrazia e la
solidarieta';
- Rafforzare la societa' civile mondiale;
- Costruire
un'Europa di pace. Con la 4a Assemblea dell'Onu dei Popoli e la Marcia per la
pace Perugia-Assisi del 14 ottobre 2001 ci proponiamo di: 1. promuovere la
globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della solidarieta',
sollecitando un cambiamento delle priorita' della politica e dell'uso delle
risorse; 2. contribuire alla costruzione e al rafforzamento della societa'
civile mondiale, della sua capacita' di proposta e azione comune per la pace,
un'economia di giustizia e la democrazia internazionale; 3. contribuire alla
costruzione di un'Europa aperta e solidale, strumento di pace, giustizia e
democrazia nel mondo; 4. promuovere la costruzione di una rete europea delle
organizzazioni e istituzioni locali che operano per la pace; 5. promuovere la
costruzione di un "network per la globalizzazione dal basso" e di un "Forum
permanente della Societa' Civile Mondiale"; 6. costruire una coalizione
internazionale in vista della Conferenza dell'Onu "Financing for Development"
(Finanza per lo Sviluppo) (Messico, marzo 2002); 7. rilanciare le proposte della
societa' civile mondiale, in vista della conferenza dell'Organizzazione Mondiale
del Commercio (Qatar, novembre 2001); 8. sollecitare l'intervento dell'Europa e
dell'Onu a favore della pace in Medio Oriente, nei Balcani, in Africa, in
Colombia, in Turchia, etc. 9. promuovere una campagna (e una coalizione)
internazionale per il rafforzamento e la democratizzazione dell'Onu; 10.
promuovere una campagna (e una coalizione) internazionale contro il progetto di
scudo spaziale americano, per il disarmo e la prevenzione dei conflitti. Con
queste iniziative intendiamo dare seguito agli impegni assunti a New York dal
Millennium Forum e contribuire alla preparazione del secondo Forum Sociale
Mondiale di Porto Alegre (Brasile, gennaio 2002).
La 4a Assemblea dell'Onu
dei Popoli, la Marcia per la pace Perugia-Assisi e le iniziative collegate sono
inoltre:
- uno strumento per: 1. promuovere l'alleanza tra quanti, in Italia
e nel mondo, sono impegnati contro la guerra, la poverta' e il disordine
internazionale, per la pace, un'economia di giustizia, i diritti umani e la
democrazia; 2. presentare al nuovo Governo e al nuovo Parlamento un pacchetto di
proposte per accrescere l'impegno dell'Italia per la pace e la giustizia nel
mondo; 3. richiamare l'attenzione dei mezzi di comunicazione sulle principali
proposte e iniziative della societa' civile e degli Enti Locali per la pace,
un'economia di giustizia e la democrazia internazionale; 4. suscitare un ampio
dibattito internazionale sulle responsabilita' e il ruolo dell'Europa nell'era
della globalizzazione ("Oltre l'Euro") mettendo a confronto la societa' civile
europea e quella del Sud del mondo; 5. dare nuovo impulso all'impegno per la
pace nel nostro paese; 6. sollecitare il coinvolgimento dei giovani e del mondo
della scuola; 7. sostenere le principali campagne nazionali e internazionali in
corso per la pace e un'economia di giustizia (debito, acqua, Tobin Tax, farmaci,
etc.); 8. dare voce alla domanda di pace e giustizia di tanti popoli e persone;
9. proporre una visione del mondo che dobbiamo costruire; 10. democratizzare,
rinnovare e rilanciare la politica estera italiana, sollecitando la sua apertura
alla societa' civile. - un modo per portare alla luce il lavoro di migliaia di
volontari, associazioni e istituzioni locali impegnati per la pace, la giustizia
sociale e lo sviluppo umano, la difesa dei diritti umani;
- un invito a: 1.
riflettere sul contributo che ciascuno puo' dare nella vita quotidiana alla
costruzione di un mondo piu' giusto e solidale; 2. aprire le nostre comunita'
locali ai problemi del mondo promuovendo l'idea della cittadinanza europea e
planetaria, la solidarieta' e la cooperazione internazionale;
- un
contributo: 1. allo sviluppo della societa' civile mondiale; 2. alla crescita
della solidarieta' e della cooperazione internazionale; 3. al dialogo
interculturale; - una grande iniziativa di educazione alla pace, alla
mondialita' e alla solidarieta'. Il mondo ha bisogno di pace e di giustizia, di
garantire a tutti l'accesso ai diritti umani fondamentali e di gestire il bene
pubblico globale attraverso istituzioni internazionali democratiche.
* Marcia per la pace Perugia-Assisi: Cibo, acqua, istruzione e
lavoro per tutti. Una marcia per cambiare le priorita' della politica e dell'uso
delle risorse; per rimettere al centro le persone, i popoli e i loro diritti;
per rispondere alla domanda d'aiuto e di giustizia di miliardi di persone; per
promuovere la globalizzazione dei diritti umani, della democrazia e della
solidarieta'; per promuovere il bene comune globale; per costruire una nuova
Europa aperta, solidale, strumento di pace nel mondo; una nuova Onu e un nuovo
ordine internazionale pacifico e democratico; una marcia per i giovani; alla
riscoperta del valore della solidarieta' e della
condivisione.
Casa delle Arti
e del Gioco 15 settembre
2001
09.00à Accoglienza
Presentazione di Mario LODI
09.30à (Relazione con
video)
OMBRE CHE
CAMMINANO
Cinema e serie di animazione per i bambini e le
bambine
Carlo RIDOLFI
Gruppo di lavoro sui Linguaggi Multimediali della Casa delle Arti e del Gioco
10.30à Pausa
10.45à (Relazione)
STRISCE E
NOTIZIE
I fumetti per i bambini e le bambine
Enrico FORNAROLI
Accademia delle Belle Arti di Carrara
11.45à (Relazione)
BIT-GENERATION
Tecnologie dell’informazione e della comunicazione per i bambini e le
bambine
Linda GIANNINI
Insegnante scuola
materna
Tutor Progetto MULTILAB – Tecnologie Didattiche-Educative
13.00à Pausa pranzo
14.30à Ripresa dei lavori in
gruppo
1.
Cinema e
Tv.
2.
Fumetti
3. Videogiochi e Internet
16.45à Pausa
17.00à Ripresa dei lavori in
plenaria
Presentazione dei lavori di gruppo
Discussione
18.00à Conclusione dei
lavori
Saluto
«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione avviata un anno fa a San Bonifacio. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.