il GRILLO parlante
per un'informazione equa e solidale nell'Est veronese
 
supplemento a "la Voce Civica", Aut.Trib.VR n.1215 del 27 maggio 1996 - Direttore Responsabile: Amedeo Tosi

La responsabilità degli articoli e delle informazioni è tuttta ed esclusiva dei rispettivi autori. «il GRILLO parlante» ospita volentieri ogni opinione e si assume la responsabilità degli articoli «a cura della Redazione» e di quelli non firmati.

Il sentiero che porta verso le persone amate non ha spine (Proverbio Duala - Nazione: Camerun)

 
Il Genoa Social Forum invita tutti coloro che erano a Genova a mandare le loro testimonianze scritte, fotografie o video al gruppo di lavoro del Gsf e al settimanale Carta. L'indirizzo del Gsf è via San Luca 15/9, 16124 Genova, tel. 010 2461749, fax 010 2461413, e.mail info@genoa-g8.org, webmaster@genoa-g8.org. L'indirizzo di Carta è via Flaminia 259, 00196 Roma, tel. O6 36005613, fax 06 36005677, e mail alfabeto@carta.org. Le testimonianze scritte vengono pubblicate sul sito di Carta, www.carta.org.
 

Musica e cucina etinca
Artigianato
Arte
Libri 
 
Sabato 4 agosto 2001
dalle ore 19
 
Festa migrante
organizzata dal coordinamento Cesar K di Verona
 
presso il bocciodromo «Gavagnin»
via Montelungo 3 - Borgo Venezia (Verona)

 
 
G8: TESTIMONIANZE
 
Cntinua la pubblicazione delle testimonianze arrivate in Redazione e redatte dai partecipanti al vartice dei G8
 
 
Testimoni di un massacro

Le manifestazioni di Genova sono state represse nel sangue. Un morto, 600 feriti, molti dei quali gravi, oltre 200 arrestati tra i manifestanti, 90 feriti tra le forze dell’ordine, 100 miliardi di danni stimati alla città. Genova si è rivelata una trappola, nonostante le rassicurazioni del Governo: uno schieramento imponente di polizia che non ha fermato i manifestanti violenti (i cosidetti Black Block o Tute Nere, su cui molto ci sarebbe da discutere); ma ha assalito con cariche, lacrimogeni, idranti e pestaggi agghiaccianti i manifestanti pacifici. Donne, vecchi e anche disabili sono stati dispersi in maniera brutale, moltissimi traumatizzati. Come è stato possibile che con migliaia di uomini delle forze dell’ordine poche centinaia di manifestanti siano riuscite a scorazzare per ben due giorni e mettere a ferro e fuoco una città? Ancora più inquietante è l’irruzione della polizia in assetto antisommossa nella sede del Genoa Social Forum e in un dormitorio di fortuna allestito in una scuola concessa dal comune. La polizia ha distrutto i computer sequestrando tutti i dati raccolti dal pool di avvocati del Genoa Social Forum stesso, contenenti anche le denunce di molti manifestanti riguardo alle prevaricazioni portate dalle forze dell’ordine. Il massacro della gente che dormiva è già stato ampiamente documentato: basti ricordare le terribili immagini di giovani ancora dentro il sacco a pelo che venivano trasportati sanguinanti sulle ambulanze. l Verona Social Forum, organismo di coordinamento tra varie associazioni di Verona, condanna ogni forma di violenza in quanto contraria alla libera convivenza e al rispetto dei diritti della persona. Sottolinea, inoltre, che l’informazione non ha tenuto conto delle motivazioni che hanno spinto trecentomila persone, come te, a scendere in piazza il 21 Luglio. Mostrando solo le immagini delle violenze i media hanno tentato di cancellare quasi completamente le proposte di cambiamento e di alternativa a questa economia che strozza e sfrutta ogni giorno centinaia di milioni di persone.NOI PENSIAMO CHE UN MONDO DIVERSO E MIGLIORE SIA DAVVERO POSSIBILE E TI INVITIAMO A COSTRUIRLO CON NOI. (Rete Lilliput Verona e Coordinamento laico antirazzista Cesar K)

Fabio Lucchesi (Rete Lilliput)

Questo è il primo messaggio che riesco a scrivere dopo una settimana. Credo che sia perciò necessario anche scusarmi con voi. L’eccezionale "concentrazione" di eventi di questa settimana genovese ha di fatto reso evidente la nostra insufficiente organizzazione nella gestione di eventi come questo. La mancanza d’informazioni dirette è solo un aspetto di questa questione che credo faremo bene a porci per il futuro. La Rete Lilliput è stata indiscutibilmente protagonista all’interno del Genoa Social Forum e dele sue iniziative tanto che la maggior parte di noi è stata "risucchiata" dalle necessità organizzative urgenti. Il sottoscritto è stato letteralmente sommerso dall’esigenza di coordinare i lavori del Public Forum che, sia detto per inciso, è stato un pezzo importantissimo della mobilitazione contro il G8 e che è stato possibile soprattutto grazie all’impegno assoluto della Rete (non avendo però a disposizione neppure un computer nella struttura messa a disposizione è stato però impossibile render conto in diretta di questo lavoro, cercherò di farvi un resoconto complessivo entro un paio di giorni). Tutte le persone del nodo lillipuziano genovese hanno lavorato al massimo per le mobilitazioni di questa settimana (penso a Stefano Lenzi "perno" dell’ufficio stampa ad Alberto Zoratti e Chiara Malagoli impegnati nelle continue riunioni sull’organizzazione delle mobilitazioni comuni del Genoa Social Forum ed in quelle specifiche dei lillipuziani e dei gruppi d’affinità per le azioni dirette nonviolente a tutti i lillipuziani genovesi sommersi dalle necessità organizzative del Forum e delle manifestazioni, a Valerio impegnato a tenere il minimo di contatti indispensabili per le manifestazioni). Mi consolo solo il fatto che l’abbondante cronaca uscita in queste settimane sui giornali abbia riflesso, tutto sommato, abbastanza fedelmente quello che stava accadendo a Genova. E’ però sicuro che anche nel corso delle mobilitazioni di piazza è emersa una nostra difficoltà ad organizzarsi, a far circolare le informazioni, a prendere decisioni in tempo rapido. E’ questo un aspetto da tenere sicuramente in considerazione per il futuro. Abbiamo bisogno di una maggiore organizzazione della rete, di migliori canali di comunicazione, di dedicare più energie e competenze al lavoro interno di discussione, decisione e collegamento.

La"violenza"

Dopo una lunghissima e difficile discussione tra le varie componenti del Genoa Social Forum su come fosse possibile manifestare a Genova in maniera determinata ma senza violenza gli ultimi due giorni delle mobilitazioni genovesi sono invece stati segnati dalle violenze degli altri. Per chi ha vissuto direttamente le giornate del 20 e del 21 non ci possono infatti essere dubbi che la terribile violenza scatenatesi a Genova è stata subita dal GSF, anzi ha avuto come principale obiettivo proprio la distruzione delle mobilitazioni che in questi mesi avevamo messo in piedi. Su questo non possono esserci dubbi. Ho ancora negli occhi il fumo dei lacrimogeni e l’immagine dei tanti lillipuziani caricati dalla polizia a Piazza Manin (dove tutti assieme avevamo costruito la nostra "piazza tematica") mentre a mani alzate eravamo quasi riusciti ad impedire ai black block d’invadere la nostra zona. Risultato della giornata una carica ed un bel po’ di manganellate ai lillipuziani, un difficilissimo rientro al luogo d’incontro a Piazzale Kennedy, mentre i black continuavano a far ciò che volevano in città. Come non ricordare ancora il lungo spezzone del corteo del 21 caricato pesantemente dalla polizia sulla salita di fronte al mare mentre lo spezzone più consistente della Rete aveva appena fatto in tempo a deviare in fretta e furia fra il fumo dei lacrimogeni o l’incredibile scena da "deportazione cilena" a cui ho assistito sabato sera mentre un centinaio di poliziotti e carabinieri impedivano l’accesso alla scuola di fronte all’ufficio stampa del Genoa Social Forum dal quale continuavano ad uscire persone selvaggiamente picchiate e caricate in fretta e furia sulle ambulanze? E’ importante ricordare che né nel giorno del 20, né nella difficilissima giornata del 21 la violenza è scaturita dalle manifestazioni organizzate dal Genoa Social Forum. Ma certo rimane il problema politico vero: al di là delle provocazioni ed infiltrazioni della polizia, della sicura presenza all’interno del blocco nero di pezzi dei movimenti fascisti, come è possibile difendersi dalla violenza gratuita di chi crede che la propria protesta si esprima semplicemente nel devastare ogni cosa e che, fatalmente, considera chi organizza una protesta politica contro la globalizzazione come il proprio vero nemico, senza dover per questo abbandonare la piazza e le mobilitazioni di massa per colpa di qualche migliaio di persone organizzate scientificamente nel distruggere tutto? E’ indiscutibile che la grande partecipazione di massa al corteo del 21 (nonostante le terribili violenze culminate nella morte di una persona il giorno prima) esprime, oltre all’adesione ideale all’idea di una diversa globalizzazione, la voglia di "riprendersi le piazze" di un movimento forse strutturalmente debole e scarsamente organizzato ma ricco d’ideali politici e di voglia di partecipare. E’ perciò un compito assolutamente necessario trovare le forme possibili per esprimere questa voglia di "contare" senza incorrere nella violenza di venerdì e sabato scorso.E’ sicuramente un problema nostro (i lillipuziani non possono essere ridotti al silenzio) ma anche di tante altre realtà del Genoa Social Forum che in questi anni hanno pensato di poter "organizzare" ed "indirizzare" una certa dose di violenza all’interno delle proprie forme di mobilitazione (penso ad esempio all’universo dei centri sociali e dei cobas).Penso che rivendicando radicalmente il diritto di manifestare e di violare certi divieti a Genova durante il vertice abbiamo condotto assieme una grande operazione politica i cui risultati in questi mesi si sono visti. Ma l’impermeabilità di istituzioni internazionali come il G8 (avete notato la scelta del paesino sperduto in Canada per il prossimo vertice G8 che fa il paio con il Quatar del WTO?) rende indispensabile continuare a pensare ad una strategia di mobilitazioni di piazza che però non possono più essere realizzate al costo delle violenze subite e dei rischi ancora maggiori che abbiamo corso sabato. Fra l’abbandono del "conflitto" di piazza e l’eccessiva ostentazione di una "violenza controllata" (ma che controllare realmente è sempre più impossibile) deve esistere un’altra alternativa ed è un preciso compito politico necessario saperla trovare. Si tratta in un certo senso di reinventare una strategia nonviolenta che non sia né "rassegnazione", né semplice rifiuto della violenza come scelta individuale ma sappia comunque organizzare le persone per resistere alla violenza strutturale di questa globalizzazione. Che ne direste di dare finalmente avvio a quel percorso di ricerca sulla nonviolenza che a Marina di Massa intuimmo come necessario ma a cui non abbiamo mai dato corso se non come discussione teorica? Mi sembra invece che la mobilitazione di Genova segni concretamente la necessità "pratica" d’individuare un nuovo percorso fattibile.

Il Genoa Social Forum

Credo che potremmo scrivere a lungo sul paradosso per cui una struttura evidentemente debolissima dal punto di vista organizzativo e con notevoli differenze al proprio interno come il Genoa Social Forum sia riuscita ad innescare un dibattito politico così forte ed importante come quello in cui abbiamo assistito in queste settimane a proposito del G8.

Restano per me alcuni dati di fatto essenziali:

  • La mobilitazione del GSF rimane un pezzo importantissimo di una possibile "strategia lillipuziana" per una diversa globalizzazione. La Rete Lilliput ha contribuito fortemente a condurre avanti questa esperienza ed a questo punto dobbiamo considerare seriamente quali possono essere i futuri sviluppi di questa esperienza. E’ chiaro infatti che se non abbiamo nessun interesse ad annullare la nostra specificità in una più vasta "rete di reti" allo stesso tempo non possiamo non tener conto della necessità sempre più urgente di confrontare le nostre mobilitazioni con altri soggetti a noi esterni ma con cui vogliamo dialogare (ed anche con altri soggetti che ancora non fanno parte di questo dialogo come il sindacato). Perciò la proposta di trovare momenti futuri di mobilitazione comuni anche più centrati sui contenuti come la creazione di un coordinamento italiano del World Social Forum di Porto Alegre o la costruzione di una mobilitazione italiana a novembre cogliendo l’occasione del vertice della FAO a Roma che coincide con l’apertura del vertice dell’OMC in Quatar sono secondo me da prendere altamente in considerazione.

  • Allo stesso tempo occorre rispondere tutti quanti al nuovo tentativo di "criminalizzazione" della protesta, alla nuova strategia della tensione, ai fatti inaccettabile della "notte cilena" di sabato scorso a Genova. Il GSF ha già individuato per domani un primo momento comune di mobilitazione per la libertà di manifestare e contro la criminalizzazione del movimento davanti alle prefetture italiane ed è bene che tutti i lillipuziani raccolgano questo invito facendo valere appieno i contenuti che ci portano a rivendicare la scelta di scendere in piazza oltreché la battaglia indispensabile per la democrazia ed il diritto di manifestare.

  • Infine, come già accennato prima, occorre anche con altri soggetti condurre un confronto sulle possibile strategie di mobilitazione per il futuro superando l’impasse molto pericolosa dell’impossibilità di scendere in piazza senza incorrere nei vecchi stereotipi delle manifestazioni contro la repressione o della "militarizzazione" delle mobilitazioni.

Da ultimo un saluto a tutti i lillipuziani che hanno partecipato alle manifestazioni genovesi ed un abbraccio particolare (senza nessuna retorica) a tutti quelli che sono stati coinvolti nelle cariche della polizia pagando con la paura o con le ferite il prezzo di una democrazia sempre più difficile.Un ringraziamento particolare anche a tutti gli amici genovesi per l’incredibile mole di lavoro svolto. Fabio Lucchesi (Rete Lilliput)

Stefano Agnoletto (GSF)

Cari amici, allora io ero a Genova. Io ho visto.  Non date retta ai giornali ed ai telegiornali. E' stata una cosa pazzesca, un massacro. E' difficile raccontare cio' che e' avventuto tra venerdi' e sabato. Per farlo mi aiuto con quello che ho visto io e quello che hanno visto altri carissimi amici presenti a Genova. Vi prego di avere la pazienza di leggere e' veramente la cronaca di un incubo che difficilmente sentirete sui grandi mass media.
 
1.Io arrivo Giovedi' a Genova dopo la festosa manifestazionedei migranti, 50.000 persone. Ci sono i campi di raccolta, siamo tantissimi. Migliaia di persone assolutamente pacifiche, un clima meraviglioso (vi ricordate i campi scout?)  si discuteva si cantava si stava bene insieme. Scout e militanti, volontari e professionisti e venerdi' mattina iniziamo le piazze tematiche in una citta' blindata:le varie associazioni si troveranno sparse nella citta' per fare un assedio festoso con danze, performance e slogan alla famosa linea rossa. A questo punto sul lungo mare arriva il famoso blak blok, alcuni di loro vengono visti parlare con la polizia, altri direttamente escono dalle loro fila.Parlano soprattutto tedesco.  Iniziano a sfasciare tutto. Polizia e carabinieri stanno fermi. I Black block cercano di infilarsi nel corteo dei lavoratori aderenti ai COBAS e altri sindacati,  di cui picchiano uno dei leader, vengono respinti a fatica. Poi i black blok puntano sulla prima piazza tematica (centri sociali), piombano armati fino ai denti. La polizia li insegue, i manifestanti si trovano attaccati prima dai black e poi dalla polizia che a quel punto inzia le cariche violentissime. I Black se ne vanno e piombano sulla piazza dove c'era la rete di Lilliput (commercio equo, gruppi cattolici di base, Mani Tese..ecc.). La gente facendo resistenza pacifica cerca di  allontanarli. La polizia insegue: carica la piazza. La gente alza le mani grida pace! Volano lacrimogeni manganellate. Ci sono feriti. I Black se ne vanno e continuano a distruggere la città... 300-400 del Black Bloc vagano per Genova, chi li guida conosce perfetttamente la citta': il loro percorso di distruzione punta a raggiungere tutte le piazze tematiche dove ci sono le iniziative del movimento.. E' impressionante. Si muovono militarmente, si infiltrano, i capi gridano ordini, gli altri agiscono. E a ruota arrivano polizia e carabinieri. Intanto nella piazza tematica dove c'e' l'ARCI e l'Associazione Attac ecc.: tutto va bene, nel primo pomeriggio si decide di andarsene dal confine con la linea rossa fino ad allora assediata con canti, scenette, ecc. La gente sfolla verso Piazza Dante, la polizia improvvisamente lancia lacrimogeni alle spalle,. Fuggi fuggi generale. Gli ospedali si riempiono di feriti. Molti pero' non vanno a farsi medicare in ospedale: la polizia ferma tutti quelli che ci arrivano. E' sera. La gente e' sconvolta, molti inziano a essere presi dalla rabbia. Dei black improvvisamente non si ha piu' notizia.  Alla cittadella dove c'e' il ritrovo del Genoa Social Forum saremo diecimila.E' arrivata la notizia della morte del ragazzo.
C'e' paura, i racconti di pestaggi violentissimi si moltiplicano. Ragazzi e suore che piangono. C'e' un sacco di gente ferita. Un anziano che piange con una benda in testa, è un pensionato metalmeccanico. C'e' Don Gallo della Comunita' di San Benedetto. C'e' la mamma leader delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina, quelle che da anni cercano notizie dei loro figli desaparecidos: dice che e' sconvolta per quello che ha visto con i suoi occhi, gli ricordano troppo l'Argentina della dittatura: non pensava fosse possibile in Italia. Intervengono mio fratello, Luca Casarini delle tute bianche e Bertinotti (l'unico politico che ha avuto il coraggio di correre ) calmano tutti: ragazzi non uscite in piccoli gruppi, non accettate la sfida della violenza. Si decide che la risposta sara' la grande manifestazione del giorno dopo, saremo in tantissimi, pacificamente contro tutte le provocazioni e le violenze di black block e forze dell'ordine. Il senatore Malabarba racconta che e' stato in questura. Ha trovato strani personaggi vestiti da manifestanti, parlano tedesco ed altre lingue straniere. Confabulano con la polizia e poi escono dalla questura.  Scoppia improvvisamente un incendio in una banca vicino alla cittadella. Gli elicotteri ci sono sopra: per piu' di 40 minuti non arriva ne' pompieri ne' niente. Di notte uno dei campi dove siamo a dormire, il Carlini, viene circondato dalla polizia. Entrate a perquisire, fate quello che volete. La gente piange: implorano di non essere ancora caricati. La polizia entra: nel campo non trova niente.
 
2. Sabato: la grande manifestazione, siamo veramente una moltitudine. Il corteo parte, ci sono mille colori. Gente di tutto il mondo. Tutte le associazioni, il volontariato, i contadini, i metalmeccanici, i curdi, ....ecc. Canti, danze, mille bandiere. Piazzale Kennedy. Non ci sono scontri. Non c'e' niente. Sbucano i black Block La polizia improvvisamente, senza alcun motivo, spacca in due l'enorme manifestazione. . Si scatena la guerra. Cariche dovunque, manganellate. Sono impazziti. La polizia carica i metalmeccanici della FIOM, i giovani di Rifondazione. Iniziano inseguimenti per tutta Genova. Chi rimane solo è inseguito, picchiato. Decine di persone testimoniano di inseguimenti e pestaggi solo perche' riconosciuti come manifestanti. E' picchiato dalla polizia un giornalista del Sunday Times (sul numero di oggi racconta la sua avventura...) In un punto tranquillo della manifestazione, sul lungomare, improvvisamente da un tetto vengono sparati lacrimogeni che creano panico. Usano gas irritanti, producono dermatiti, non fanno respirare. I Black Bloc? compaiono e scompaiono, nessuno li ferma. Attaccano un ragazzo di Rifondazione. Gli spaccano la bandiera e lo picchiano. Attaccano a pietrate i portavoce del Genoa Social Forum. Spaccano vetrine ed incendiano. Sono armati fino ai denti: ma come ci sono arrivati nella Genova blindatissima? La testa della grande manifestazione è tranquilla, il Genoa Social Forum fa l'appello di defluire con calma, di non girare da soli per la citta'. Veniamo indirizzati verso Marassi dove ci sono i pulman di quelli arrivati la mattina. Siamo fermi li'. Non si puo' andare avanti: a piazzale Kennedy e' guerra. Siamo in tanti fermi, seduti per terra. Improvvisamente partono i lacrimogeni. Fuggi fuggi generale. Si cerca di tornare verso la cittadella del Genoa Social Forum: passano camionette della polizia da dove urlano: vi ammazzeremo tutti!  La seconda parte del corteo non arriverà mai alla piazza dove era prevista la conclusione. Tutte le persone vengono caricate indistintamente sul lungo mare. Chi riesce scappa nei vicoli verso la collina, dove si scatena una vera e propria caccia all'uomo. Sabato notte, la manifestazione era ormai finita da alcune ore, la polizia irrompe nella Sede stampa del Genoa Social Forum. Picchiano tutti con una violenza impressionante. In particolare sono interessati alla documentazione (testimonianze, video, foto...ecc.) che raccontano quello avvenuto tra venerdi' e sabato: sono molti attenti a distruggere tutto. Vengono distrutti tutti i PC e tutto il materiale che trovano, viene arrestato l'avvocato che coordina il gruppo di avvocati presenti a Genova. Viene distrutto o portato via anche tutto il materiale che gli avvocati avevano raccolto per difendere le persone arrestate. Adesso non si sa piu' neanche quante sono e quali sono le accuse. Durante la perquisizione, fatta senza alcun mandato, a parlamentari, avvocati, giornalisti e medici e' impedito di entrare. Le famose armi comparse oggi in conferenza stampa ieri non si erano viste....rimangono i feriti e gli arrestati. Del black blok non si sa piu' niente.
Vi assicuro, due giorni da incubo: black block e forze dell'ordine hanno fatto un massacro e volevano farlo. Poliziotti e carabinieri erano stati montati in modo pazzesco, fin da venerdi' mattina urlavano e insultavano.. Gli hanno veramente lavato il cervello. E poi oggi a sentire televisioni e leggere giornali:  Dio mio sembra proprio un regime: dove hanno scritto la verita' che tutti noi che eravamo li' abbiamo visto?  Divento poi matto a pensare che alcuni potranno ancora pensare: "voi contestatori, dite le solite cazzate..." Non fatevi imbrogliare, abbiate il coraggio di mettere in discussione i vostri convincimenti sulle meravigliose forze dell'ordine italiane e sugli apparati democratici del nostro Stato.
A Genova veramente e' avvenuto qualcosa di pazzesco.
Hanno inaugurato il nuovo governo....
Un'altra piccola cosa: sul giovane ammazzato. La sapete la prima versione della questura prima che comparissero i video? ammazzato da un sasso lanciato da altri manifestanti.. Se pensate che molta della documentazione raccolta da testimoni e' stata distrutta dopo l'irruzione alla sede del Genoa Social Forum di questa notte....ci rimangono le "sicure" versioni delle forze dell'ordine...
Meditate e per favore fate girare,  stampate, parlate, c'e' bisogno di raccontare la verita'. A vostri amici, parenti, colleghi di lavoro. Vi prego non voltatevi dall'altra parte. Grazie (Stefano Agnoletto)

PS:Mio fratello e' distrutto, mi ha detto: è pazzesco, sembra di essere nell' America Latina negli anni 70. Forse neanche lui aveva capito fino in fondo con chi aveva a che fare e che governo e responsabili delle forze dell'ordine potessero arrivare a tanto.

Andrea e Marina (Verona)

"Io e mia moglie siamo andati sabato 21 lug. a Genova. Ci siamo sentiti la sera prima  con dei nostri amici preoccupati dai fatti accaduti. Eravano indecisi se partire o meno. Alla fine siamo partiti. Sapevamo che potevamo rischiare e putroppo alla fine abbiamo rischiato. Ci siamo trovati in mezzo ai lacrimogeni più di una volta senza volerlo. Sottolineo senza volerlo perché eravamo nel corteo dei manifestanti  con la Rete Lilliput di Verona. Purtroppo tra di noi abbiamo visto persone dei gruppi più estremisti attrezzate allo scontro e soprattutto lasciate libere di attrezzarsi. Gli scontri sono stati inevitabili molto probabilmente voluti anche da chi stava dall'altra parte a difendere il diritto dei governanti a riunirsi ma non il diritto di manifestare di chi pacificamente voleva dire la sua.  I manifestanti pacifici si sono trovati di fatto ad essere messi in mezzo senza alcuna tutela. In quei momenti c'erano solo due fazioni contrapposte in uno stato di guerriglia mentre i "grandi" tranquillamente si scambiavano convenevoli raggiungendo accordi per lo più di facciata seduti nelle loro poltrone. Credo che ognuno di noi non lo rifarebbe. Essere lì a rischiare di prenderle solo perchè si faceva parte del gruppo dei manifestanti é stato avvilente. I messaggi che maggiormente sono passati per lo più li conosciamo tutti. Le frasi che senti dalla gente sono del tipo sono tutti violenti, anarchici, che non hanno voglia di lavorare... Dei contenuti invece se ne è parlato poco. Ed è invece lì la grande sfida e il percorso che dobbiamo fare tutti noi pur con i nostri limiti e condizionamenti. Non basta secondo me fare slogan e manifestazioni sebbene importanti. Lo stesso essere non violenti richiederebbe un approfondimento (non violenza é anche verbale). Forse comunque al di là di tutto è iniziato un cammino di persone sempre più numerose che hanno un credo comune e che iniziano ad esporsi. La scena più bella che ho visto quasi a  simbolo di speranza é l'immagine di un bambino piccolo che in braccio probabilmente alla sua baby-sitter da un palazzo di Genova salutava il gruppo dei manifestanti i quali tutti a loro volta entusiasti e inteneriti ricambiavano il saluto. Quel bambino forse ci guardava pieno di fiducia e di speranza ... "

Ormezzano

Voleva soltanto filmare le manifestazioni. E' stato arrestato e pestato a sangue. Contro di lui, soltanto un verbale-fotocopia. Dice di aver perso i suoi ideali, io li ho ritrovati. Un minuto dopo essere uscito dal carcere di Pavia, liberato da un magistrato genovese che non ha creduto all'atto di accusa stilato in fotocopia per tanti, resistenza e lesione a pubblico ufficiale durante la contestazione al G8, e che non ha neppure convalidato l'arresto, mio figlio ha disobbedito a me ed a sua madre. Gli avevo chiesto di farmi vedere tutte le ferite coperte dagli abiti, mi ha detto di no, dovevo "accontentarmi" dello scempio visibilissimo sul viso, otto punti al sopracciglio, un occhio circondato dal viola dell'ecchimosi e invaso dal sangue, il labbro rotto, e della visione della schiena, piagata dalle manganellate e dai  colpi calati col calcio del fucile. Oh, si vedevano anche i segni delle manette che  gli erano state strette troppo fortemente ai polsi, ma dire manette è un errore, il  termine tecnico è un altro che lui sa e io no, sono specie di ceppi che segnano la  carne. I pantaloni scendevano perchè la cintura non c'era più, era stata sfilata di brutto all'ingresso in cella, rompendo tutti i passanti, e si vedeva qualcosa  delle mutande piene di sangue. Però lui  non ci ha lasciato vedere tutto, non  voleva farci del male con quello "spettacolo". Erano le 19 di lunedì. Settantacinque ore prima mio figlio, che ha 26 anni ed è creatura gentile, tenera, prudente sino ad essere paurosetta, massima esplosione di  esuberanza fisica il tifo urlato e cantato per il suo e mio Toro, aveva compiuto il  grave errore di partire con amici da una località di mare in provincia di Savona per andare a Genova e filmare - lui che studia anche giornalismo televisivo a Torino e mette insieme documentari  assortiti - qualcosa del Genoa Social   Forum, della contestazione contro il G8. Filmare e basta, cercando immagini di protesta corale e coreografica, filmare accanto a un gruppo di vecchie signore che vendevano magliette-ricordo. Una carica dura delle forze dell'ordine, è la zona dove è stato appena ucciso quel  ragazzo, le signore alzano le mani, i suoi amici scappano, lui non può perchè cercando di allontanarsi si inciampa, cade, resta in ginocchio, a mani alzate. Gli piombano addosso, quelli delle forze dell'ordine, e gli spaccano la telecamera  e la faccia, gli tatuano la schiena, gli martoriano tutto il corpo. Tanti vedono, nessuno può intervenire. Se lo disputano come ricettacolo di colpi poliziotti e carabinieri: ad un certo punto lui si trova con una mano nella manetta di un agente, l'altra nella manetta di un  carabiniere. Implora una scelta, mica possono squartarlo. Se lo aggiudicano i carabinieri, che lo portano via, gli dicono che un loro commilitone è stato ucciso, in una caserma, questo sarà lo spunto per altri pestaggi, stavolta specialmente con calci. C'è anche il passaggio in un ospedale per una medicazione, fra medici sbalorditi, indignati. Poi - ormai è notte - via su un torpedone verso il carcere di Pavia, la  cella di isolamento: la richiesta di poter orinare prima del viaggio viene respinta con un pugno sul viso ferito e invito al fachirismo o al farsela addosso, comunque unica violenza fisica da parte della polizia penitenziaria. Poi la prigione, senza ora d'aria, con poco cibo e l'acqua calda del rubinetto. Passa tutto il sabato, passa tutta la domenica. Tocca agli infermieri del carcere inorridire per le ferite da medicare. Al lunedì mattina la decisione del magistrato, sollecitato da un bravo avvocato che sa smontare le accuse inventate sul verbale in fotocopia, come quella di detenere uno scudo in plastica, vistoso e imbarazzante, ancorchè strumento di difesa, non di offesa, ma inesistente, inventato. Fra la decisione del magistrato e la scarcerazione passano sei ore per le cosiddette pratiche burocratiche. Sei ore di vita libera tolte ad un ragazzo pienamente scagionato. Sei ore di attesa per noi nel forno davanti al carcere. E' uscito senza la telecamera ed  uno zainetto, spariti. Gli hanno ridato il telefonino, lo aveva in tasca, è stato distrutto dalle manganellate. Ho saputo venerdì nella notte, da una  telefonata dei carabinieri, che era in arresto e "stava benissimo". Non mi hannno detto altro. Mi sono precipitato a Genova, comunque. Era l'alba di sabato, telefonando ai carabinieri ho saputo che ero stato stupido a mettermi in viaggio, chissà dove era mia figlio, Mi hanno detto comunque di un avvocato di ufficio, nome e cognome: ma al telefono c'era soltanto una  voce meccanica. Ho trovato aiuti da  giornalisti amici, ho trovato un bravo avvocato, la procura di Genova era aperta e collaborativa, ho saputo del  trasferimento a Pavia. Ho goduto della posizione di giornalista per rintracciare qualche informazione, molta solidarietà. Ed anche per essere allenato a come avrei visto mio figlio: colleghi esperti mi hanno detto, sì, di prepararmi a vederlo conciato male. Ma nonostante tutto da venerdì notte alla fine della giornata di lunedì ho vissuto una situazione da "Missing", il film americano sulla tragedia del Cile ma anche sull'angoscia che ti prende quando sai poco o nulla di una persona cara portata via, nella mio angosciata particolare esperienza di immaginarti il figlio con le sue ferite, per anestetizzarti all'impatto (non servirà a nulla, sarà comunque una cosa tremenda).
Un bravo magistrato ha interrogato, eseguito riscontri, ascoltato testimonianze, e non ha creduto alle accuse a mio figlio elencate in un verbale che pareva proprio prestampato, eguale per tanti, ha creduto al racconto dolente ed angosciato di un ragazzo nonostante tutto più stupito che indignato, più sereno che dolente. Nella giornata passata fuori dal carcere di Pavia ho parlato con tantissimi parenti e amici di altri di quei provvisori desaparecidos. Ho visto uscire dal carcere altri ragazzi coperti di ferite. Ho potuto anche pensare che a mio figlio è andata bene, non è stato colpito alla pancia, ha avuto un avvocato solerte, ha trovato i suoi genitori fuori dal carcere ad aspettarlo, nei limiti del possibile confortarlo. Una parlamentare che ha visitato il carcere ha parlato a noi in attesa di ragazzi feriti, distrutti, piangenti, brutalizzati direttamente dai colpi presi, indirettamente dalla situazione kafkiana dell'isolamento. Lui mi ha detto che le visite di parlamentari e consiglieri regionali sono state un balsamo comunque, per quel poter parlare serenamente di qualcosa con qualcuno, senza prendere colpi e ricevere insulti (una bella - cioè orribile - antologia, quella delle aggressioni verbali in pratica continue, l'ha messa per iscritto quando in carcere ha avuto una penna e qualche foglio, c'è davvero tutto per umiliare uno che patisce anche le parole). Ho provato a chiedermi, da democratico assoluto, disperato, se proprio non è possibile ad un cittadino filmare della sua Italia, oltre che i monumenti e i tramonti e le feste di famiglia, anche una manifestazione di protesta senza dover essere brutalizzato, ridotto ad un manichino sanguinolento, sfregiato sul viso per sempre, da forze dell'ordine violente con i deboli e impotenti di fronte ai veri violenti, visibilissimi, colpibilissimi, le tute nere, nella fattispecie di Genova. Cercherò di saperlo per vie legali, confido nella legge. Mio figlio mi ha detto - spero perchè ferito ed umiliato, non perchè definitivamente portato ad una scelta - che rinuncia agli ideali. Ma non ci credo. E comunque ha rifornito di ideali me.  

Tiziana Valpiana (deputata)

Ho partecipato assieme a 300.000 persone, a migliaia di iscritti a Rifondazione Comunista, all'intero gruppo parlamentare e alla direzione del partito alle manifestazioni di Genova contro il G8 e oggi, the day after, piena di dolore e di rabbia come cittadina che non si adatta a pensare che poche persone si arroghino il diritto di decidere i destini del mondo, come mamma di una figlia dell'età di Carlo, come parlamentare che vede con preoccupazione il proprio Paese scivolare su una china autoritaria voglio testimoniare quanto ho visto e vissuto in queste giornate 'cilene' e aggiungere, come farò in Parlamento quando il Ministro dell'Interno Scajola verrà a riferire (e non deve dimenticare che parlamentari comunisti, verdi e Ds erano tra la folla e non accetteranno giustificazioni a posteriori ai comportamenti violenti e irresponsabili delle forze dell'ordine), la denuncia personale delle violazioni dei più elementari diritti e delle regole della convivenza civile cui ho assistito in prima persona. Raggiungo i cortei attraverso quartieri periferici devastati: macchine rovesciate, cassonetti di traverso nelle strade, negozi bruciati… Ma che succede?  Da mesi il GSF ha dichiarato pubblicamente che i suoi manifestanti non compiranno alcun atto di violenza e che rispetteranno la città e le persone, le forze dell'ordine hanno schierato mezzi e uomini senza precedenti, i controlli sono e sono stati ferrei, la polizia è ovunque. Di fronte a Piazzale Kennedy assisto, spaventata, a uno di questi assalti: il gruppetto è piccolissimo, la violenza devastante, tutto in pochi minuti viene distrutto e bruciato, senza alcun intervento. Solo quando mi sto allontanando per l'impossibilità di respirare per il troppo fumo nero, arriva un'autopompa dei vigili del fuoco, lasciando ai ragazzi dai volti coperti tutto il tempo di andarsene indisturbati. Come hanno fatto questi black blockers a eludere i controlli alle frontiere, come possono continuare a distruggere indisturbati tutto ciò che incontrano? Sono contestatori radicali, provocatori, 'complici' o strumenti di chi vuole distruggere la voce del movimento contro la globalizzazione? A poco a poco la risposta, purtroppo, mi si rende evidente. La violenza gratuita di frange armate estranee al GSF e stranamente lasciate entrare nel nostro Paese, libere di scorrazzare e devastare delegittimano tutto il movimento e danno il pretesto per intervenire più brutalmente che mai nei confronti di tutti, senza fare distinzioni di sorta e intorbidire, stravolgere, manipolare, nascondere le idee, le ragioni, i messaggi e le proposte del movimento davanti all'opinione pubblica. Hanno lasciato spazio a una spirale di violenza per delegittimare l'intero movimento pacifista, per cancellare una straordinaria mobilitazione nonviolenta. L'epilogo tragico, la città messa a ferro e fuoco, la caccia al manifestante nei vicoli e sul lungomare sono frutto dell'incapacità e dell'improvvisazione o risultati cercati con metodo? Anch'io, come tutti i presenti a Genova,  posso testimoniare che in alcune occasioni le forze dell'ordine (potremo ancora chiamarle così?) hanno lasciato agire indisturbati i violenti o, addirittura, non hanno minimamente cercato di impedire che si infiltrassero nei cortei per poter poi usare lacrimogeni e violenza alla cieca, travolgendo persone volontariamente inermi, con le mani alzate o seduti a terra. E' un caso o un calcolo che nella jeep da cui sono partiti i colpi che hanno assassinato Carlo vi fossero militari di leva giovanissimi e inesperti, anziché professionisti in grado di affrontare situazioni d'emergenza? Di fronte allo sbandamento per una violenza superiore a quanto mai ci saremmo aspettati, l'assemblea tragica seguita all'assassinio di Carlo riesce, nonostante tutto, ad arginare la inefficace ma comprensibile tentazione di alcuni di 'rispondere' e a confermare per sabato una grande manifestazione assolutamente pacifica. Gli avvocati del GSF contattano i parlamentari: molti sono stati i fermati, è stato loro impedito di incontrare gli avvocati e bisognerebbe capire che fine hanno fatto. In una decina ci rechiamo dal questore con un elenco di 'desaparecidos' per chiederne notizie. Anche qui restiamo completamente spiazzati da un atteggiamento del tutto inedito: il questore ci fa rispondere che non ci riceve. Decidiamo di restare perché abbiamo il diritto, come rappresentanti del popolo, di essere ascoltati, ma solo dopo un'ora di anticamera mi viene l'idea di telefonare al Ministro dell'interno per denunciare questo rifiuto. "Ci penso subito io" e, dopo pochissimi minuti, ecco apparire il questore disponibile all'incontro, assieme al vice capo della polizia Andreassi, tesi e imbarazzati per la figuraccia rimediata, ma anche per non essere in grado di darci notizie certe sui nomi dei fermati, per non saper riconoscere da dove vengano i bossoli che abbiamo raccolto per terra, per dover ammettere di non essere stati in grado di fermare i -secondo loro- 3000 black block presenti in città che hanno dato vita a centinaia di focolai. L'incontro si conclude con promesse per l'indomani: la strategia sarà modificata e tutto filerà liscio perché è chiaro anche a loro che la stragrande maggioranza dei manifestanti è pacifica e che il diritto a manifestare va comunque tutelato.  La manifestazione sabato mattina è imponente: le 300.000 presenze ci rassicurano, ma, appena partito il corteo, al lancio di un sasso da un'altura fuori dal percorso, la polizia risponde con il lancio di un lacrimogeno che si ferma ai nostri piedi, nelle prime fila dei responsabili del GSF, dei parlamentari, del servizio d'ordine.  Non è un buon auspicio, ma il corteo parte, forte della determinazione di tutti a manifestare in pace. Di polizia neanche l'ombra, eppure in migliaia di manifestazioni di dimensioni estremamente più ridotte siamo abituati a sentirci 'scortati' da chi un po' ci controlla e un po' ci protegge. Dopo una giornata tragica come quella di ieri, invece, niente: nessun cordone a gestire una massa così imponente, per impedire che si infiltrino elementi estranei di disturbo, per proteggere da possibili incursioni laterali… Decidiamo di sfilare velocemente per dare spazio alle migliaia e migliaia di persone che premono, siamo veramente ansiosi di arrivare alla meta, di sapere che tutto è filato liscio. Ma le notizie che ci giungono sono di continue interruzioni del corteo, di irruzioni, di assalti delle forze dell'ordine contro la manifestazione per l'ingresso di elementi estranei e incappucciati che la polizia stessa aveva spinto inseguendoli verso il corteo. Fumogeni, lacrimogeni, idranti, manganelli, inseguimenti: senza un perché, senza un motivo scatenante. Solo violenza cieca e devastante. Siamo ormai in Corso Torino, verso la fine del percorso, quando ci troviamo di fronte gruppi di incappucciati armati di mazze e bocce di ferro e, subito dopo, il cavalcavia della ferrovia sotto il quale dovremo infilarci, al di là uno spiegamento di poliziotti in assetto di guerra. Non ci sentiamo di imbottigliare lì dentro centinaia di migliaia di persone per non cadere nella trappola di scontri con i violenti che fornirebbero l'alibi a interventi per ristabilire 'l'ordine'. Decidiamo di sederci a terra e non proseguire fino a che non avremo garanzie che il corteo possa procedere indisturbato oltre quell'imbuto (ma chi ha pensato il percorso?)  Ebe Bonafini, leader della Madri argentine di Piazza di Maggio, José Bové, don Vitaliano della Sala, Vittorio Agnoletto, il sindaco di Porto Alegre e tutti i parlamentari presenti nella prima fila del corteo si siedono a terra, imitati dalle file successive, ma sappiamo di non poter restare per molto, considerata la  moltitudine che preme alle nostre spalle. Così chiamo il numero della Digos che il questore ci aveva lasciato la sera prima per le emergenze. La risposta è agghiacciante: se non potete proseguire disperdetevi, quasi fosse semplice disperdere 300.000 persone, volatilizzarle. Insistiamo per un incontro, la risposta è disarmante: "non sono pratico di Genova (la perfetta efficienza delle forze dell'ordine era stata più volte garantita dal Governo in Parlamento!), se volete parlarmi venite voi". A un momento di smarrimento (c'è o ci fa? Per quale motivo vogliono il disordine?) segue immediatamente la necessità di dare uno sbocco al corteo che preme e in 5 parlamentari più il portavoce Agnoletto ci avviamo, attraversando con tranquillità almeno apparente lo sbarramento dei black block armati, dentro il tunnel alla fine del quale finalmente parliamo con un responsabile che riusciamo a convincere a spostare macchine e uomini alla testa del corteo per garantirne il proseguimento. Macchine e blindati arrivano 'sgommando'  e con fare 'rambesco' si pongono alla nostra testa: è inevitabile che dal corteo partano al loro indirizzo grida  'assassini' e non solo per Carlo, ma per tutto un comportamento incomprensibile che lascia ai responsabili del corteo compiti di ordine pubblico che spetterebbero alla polizia che, intanto, fomenta e profitta del disordine per colpire violentemente alla cieca chi capita. Così nell'ultimo mezzo chilometro abbiamo finalmente chi ci apre la strada come avrebbe dovuto fare fin dal mattino. Ma i problemi non sono finiti: la piazza dove termina la manifestazione è assolutamente insufficiente ad accogliere tutti i partecipanti: ma chi l'ha scelta sapeva in anticipo che alcuni spezzoni non sarebbero mai arrivati perché ricacciati indietro e fatti fuggire dalla furia cieca di poliziotti ed elicotteri utilizzati per disperderli? Il tesserino di parlamentare mi consente l'ingresso nella "zona rossa" e decido di rendermi conto di cosa succede anche lì: per potersi riunire, scavalcando le istituzioni internazionali competenti e legittimate, gli 8 capi dei governi dei paesi più ricchi e potenti del pianeta hanno dovuto desertificare una città, militarizzarla, impedire fisicamente alle persone di esistere, blindandosi dietro a grate di ferro e containers che rendono spettrale l'ambiente, facendosi proteggere da decine di migliaia di poliziotti forniti di autoblindo, armati e in tenuta antisommossa. Sanno di non avere alcuna legittimità dal punto di vista delle regole della democrazia rappresentativa, sanno che le loro politiche di rapina e di morte stanno conducendo la terra sul ciglio di una catastrofe climatica, che fame, siccità, povertà, guerre e conflitti, malattie (curabili se il profitto delle imprese farmaceutiche non fosse più importante di una vita umana) sono conseguenze dirette e sempre più drammatiche delle loro decisioni. Sempre di più sentono il fiato dei popoli sul collo e hanno paura, perché non bastano soldi, armamenti, media e potere politico per poter continuare a dettare indisturbati gli indirizzi all'intero pianeta. Il re è nudo: lo percepisco non solo dal silenzio surreale e dall'odore acre di paura che si respira nella zona rossa, ma addirittura dai patetici limoni finti attaccati alle piante davanti a Palazzo Ducale, dalle facciate di cartapesta volute dal nostro Presidente del consiglio per nascondere a se e agli altri il mondo reale. E quando il mondo irrompe sulla loro scena, quando la presenza massiccia di giovani, di uomini e di donne consapevoli, quando la crescita esponenziale di un movimento determinato a far valere i diritti di molti contro i privilegi di pochi sottrae loro legittimità simbolica denunciando che altro non sono se non un club privato di ricchi-potenti che con mezzi economici, con la miseria, lo sfruttamento, la schiavitù, il ricatto del lavoro nero porta avanti solo i propri interessi contro quelli dei popoli, non  hanno esitato anche qui -anche in quello che avrebbero voluto come "salotto buono" per mostrare i loro volti generosi- a usare direttamente e in modo pochissimo elegante quella violenza che quotidianamente esercitano in ogni luogo del pianeta. (Tiziana Valpiana - deputata)

SANGUE, SANGUE DAPPERTUTTO
di Nando dalla Chiesa

Prima doverosa premessa (oggettiva): a Genova le forze dell'ordine hanno dovuto fronteggiare uno degli episodi piu' violenti e prolungati di guerriglia urbana dell'intero dopoguerra. Ragionarne dopo è compito sempre piu' facile che affrontare gli eventi nel loro svolgimento. Solidarieta', dunque, a chi si è esposto per due giorni ad attacchi fisici durissimi e sistematici. Seconda doverosa premessa (soggettiva): il Genoa social forum avrebbe dovuto tracciare con piu' decisione le proprie distanze dai gruppi violenti gia' due mesi fa. Chi è passato per la tragica lezione degli anni settanta sa che non sono possibili le mezze misure di fronte ai comportamenti sovversivi sulla piazza (i celebri "compagni che sbagliano"). Alla fine paga sempre chi sta dalla parte dei piu' deboli. Detto questo, e non per formalita' ma per convinzione, va aggiunto che quello che è accaduto durante la perquisizione notturna nella sede del Genoa social forum e soprattutto nell'istituto "Pertini" dove erano ospitate decine di manifestanti, tra i quali si sospetta anche dei black bloc, è stato di una gravita' intollerabile. Ho visto di persona che cosa è accaduto in quella scuola durante la perquisizione. Ne sono rimasto gelato, sconvolto. Per la violenza in se' e per il pensiero che uomini in divisa, tutori della legge, rappresentanti di uno Stato democratico e liberale, abbiano potuto compiere un tale scempio. Le tivu' l'hanno gia' mostrato, ma senza rendere ragione sufficiente dello spettacolo. Macchie, laghi di sangue rappreso dappertutto, sui pavimenti. Poi chiazze e strisce lungo lo zoccolo delle pareti, tracce silenziose (a venti ore di distanza) del pestaggio di chi sta dormendo a terra o (meno probabile, viste le testimonianze) a terra è comunque costretto. Ma anche strisce di sangue sulle pareti all'altezza degli occhi, come se la testa di altri fosse stata schiacciata e trascinata, gia' sanguinante, contro la parete, anche giu' per le scale, come dimostrano le strisce in diagonale lungo le scalinate. Sangue a terra, al primo, al secondo e al terzo piano. Ciocche di capelli per terra, non si puo' sapere se maschili o femminili. Un dente, perfino, con la sua lunga radice, vicino a una pozza rossobruna. Porte divelte a calci, vetri infranti, e altro sangue ancora lì vicino alle finestre sfondate. Come se un gruppo umano fosse stato oggetto, piu' che di una perquisizione, di una spedizione punitiva. L'orrore che ho provato, per chi ha subito la violenza, per il prestigio delle divise, per quello che puo' succedere oggi nel nostro Paese, mi ha fatto associare le immagini a quelle di "Garage Olimpo", il film sulle atrocita' commesse nell'Argentina dei desaparecidos. Anche quelle commesse e giustificate perché "con i terroristi non si puo' scherzare". Qui cercavano dei black bloc, viene spiegato. Giusto. Magari li avessero cercati quando, giovedì scorso, il professor Eugenio Massolo, non anonimo cittadino ma assessore provinciale al Patrimonio, aveva avvertito il Capo di gabinetto della prefettura che in via Maggio i black bloc stavano accumulando mazze e altre armi improprie. Era andato qualcuno a vedere. Poi avevano concluso che l'intervento era ''tecnicamente inopportuno". Hanno mercato i black bloc così, dopo i disastri, facendo un disastro umano e giuridico che spiega le diffidenze dell'Europa civile per governi come il nostro. Dicono che bisogna capire le nostre forze dell'ordine, che dopo due giornate di tensione questo ci può stare. No, non ci puo' stare. Avere combattuto una guerriglia durissima per due giorni non autorizza nulla di simile. Autorizza permessi premio, riconoscimenti professionali, indennizzi economici una tantum. Non autorizza la liberazione dei peggiori istinti del saccheggio o della vendetta, come era consentito dai capitani di ventura ai propri mercenari dopo le battaglie. In altra sede si stabilira' se vi sono state benevolenze o timidezze indebite verso una parte dei violenti di Genova e se vi sono state provocazioni e di che tipo. Ma una cosa e' chiara (in accordo, lo ribadisco, con le due premesse iniziali): sono stati commessi molti abusi verso cittadini inermi, mentre cittadini sospettati di devastazione sono stati, piu' che legittimamente indagati e perquisiti, pestati in massa. E inoltre diversi avvocati sono stati insultati (uno addirittura si e' visto piantare un lancialacrimogeni in faccia, e' stato minacciato e colpito con un calcio) mentre alcuni di loro non hanno potuto verificare i verbali di perquisizione dei propri assistiti. Fino alla perquisizione di sabato notte. Con le autorita' di polizia che al telefono garantivano al sindaco Pericu che tutto stava avvenendo sotto la direzione della magistratura mentre della magistratura sul posto non c'era ombra. Anzi. La procura genovese alle ore 21,30 di domenica, nonostante il pieno di immagini televisive, ancora non aveva disposto né rilievi né sopralluoghi. Il sangue era lì dappertutto ma nessuno (per troppo imbarazzo?) aveva sentito il dovere di mandare a vedere. L'Italia, sia chiaro, non puo' essere il Bengodi dei facinorosi. Ma non è nemmeno il Sudamerica. Bisogna che lo capisca chi ha guidato quell'operazione notturna con un senso di impunita' tale da non temere la presenza, sul posto, di giornalisti avvocati e perfino di un gruppo di parlamentari. Ma di questo clima di impunita' (che è tutto e assolutamente politico) deve rispondere anzitutto il ministro Scajola. Che deve rispondere anche di un'altra colpa, gravissima e ugualmente politica. Quello di avere consentito che divise che sono il simbolo dello Stato e che nei decenni hanno conquistato una loro credibilita' grazie al sacrificio di una moltitudine di uomini conosciuti o meno conosciuti - caduti contro la criminalita' urbana, contro la mafia, contro il terrorismo - siano state infangate per una notte da chi ha agito sotto la piena copertura dei propri superiori. Il prestigio delle divise, lo si ricordi (e va ovviamente ricordato a un ministro dell'Interno assai piu' che a un sovversivo) è un patrimonio incalcolabile di ogni Stato democratico. In Italia non c'e' posto per Garage Olimpo. E chi lo ha pensato, o ha permesso che altri lo pensassero, deve pagare.

BLITZ ALLA SCUOLA DIAZ

Sabato 21 luglio, serata: dopo il secondo giorni di folli scontri che hanno devastato Genova ritorno in via Cesare Battisti alla sede del GSF, sconsolato, consegno le immagini video raccolte nelle ore precedenti. (...)Ad un certo punto un urlo: La polizia!. Mi affaccio alla finestra del secondo piano, decine di poliziotti stanno facendo irruzione nel cortile, qualcuno tira un cassonetto posacenere dalla finestra per ostacolare il loro intervento. I poliziotti gridano, sembrano furie impazzite, sono urla di guerra, brandiscono manganelli, indossano il casco, qualcuno ha scudi e armi in mano. E' un incubo, non posso crederci: che si fa?. Sono solo nell'aula. Non ho nulla da nascondere, ma so per certo che questo non basterà ad arrestare la loro furia. Esco nel corridoio. Per fortuna c'è altra gente rimasta sul mio piano. Siamo una trentina scarsa. Raduniamo tutte le cattedre e i banchi contro la porta vetrata del piano per cercare di barricarci: servirà a poco, ma ci dà il tempo di organizzarci. La radio dei manifestanti del GSF, radio GAP, non ha smobilitato e continua a lavorare da questo piano. E'l'unico media insieme a Carta, Manifesto e Indymedia (al piano superiore) ad essere rimasto attivo. Non solo, la radio sta trasmettendo ancora in diretta. Tutti negli studi della radio! Ci rifugiamo lì. L'età dei presenti è bassa, tutti sotto i trent'anni. Alcune ragazze piangono per la paura e per lo shock. Aspettiamo solo l'ingresso dei poliziotti, è questione di attimi. Nessuno ha nulla da nascondere, la radio prosegue la diretta, gli ascoltatori vengono informati in tempo reale di quel che sta accadendo, questo ci infonde speranza. Do uno sguardo dalla finestra dell'aula dove sono stati allestiti gli studi di radio GAP, dà INCUBO SUDAMERICANO. Eccoli, entrano, stanno per alzare i manganelli, sono già in 5 dentro l'ULa. Si fermano, vedono la radio: e'una diretta, quello che ci farete sarà raccontato a migliaia di ascoltatori in diretta. Si bloccano: non vi faremo niente, stiamo solo controllando. Dateci i vostri documenti. La nostra risposta è decisa, niente documenti, niente schedati, niente segnalazioni. Qual è il vostro mandato, questo è un luogo pubblico, regolarmente concesso dal Comune di Genova al GSF, non abbiamo nulla da nascondere. Si incunea nell'aula una troupe televisiva di France 3, ormai siamo salvi, lo sappiamo. La nostra attenzione precipita quindi ancora fuori, alla finestra, affacciati per osservare quel che sta succedendo per strada e nella scuola di fronte. e' un incubo. Ma dove siamo? La scena, militari in azione, pestaggi gratuiti, forse dovrei definirli linciaggi veri e propri, tutto mi rimanda al film Missing, questo è il Cile anno 1972, dittatura Pinochet, è un film, non può essere vero. Intanto sento distintamente le urla disperate dei ragazzi selvaggiamente inseguiti, assaliti fino allo scempio, provenire dalla scuola Diaz;, sento vetri infranti, rumori violenti ed indistinti. Sento le urla dei militari che si incoraggiano e si eccitano durante l'impresa: decine di ragazzi armati che pestano altrettanti ragazzi indifesi e disarmati, molti dei quali nel sonno. Nel loro caso non esiste la Legittima difesa perché solo chi è armato di pistola può difendersi legittimamente e ammazzare qualcun altro. E' questo che ci vogliono dimostrare? Arrivano le prime ambulanze, portano via i primi ragazzi stesi, con la testa sanguinante, il volto coperto di sangue, i vestiti macchiati di rosso, la testa fasciata. Alla fine sono più di 50 i ragazzi che vedrò dalla finestra essere trasportati stesi fuori dalla scuola. Intanto i militari formano un cordone di scudi davanti all'ingresso della scuola, non fanno entrare nessuno. Sono passati 15 minuti, non si sentono più rumori, ormai il massacro è avvenuto. Ad un certo punto escono infermieri che tengono una coperta, dentro c'è qualcosa di molto pesante. E' un ragazzo. Il panico si diffonde: E'morto! Le grida di sgomento echeggiano per la via. Non è morto, lo portano via dentro una coperta perché si suppone una frattura alle vertebre o al torace: Ma come li hanno picchiati quei bastradi?. Poco dopo un'altra identica scena, molti di loro sono privi di sensi. Nel frattempo arrivano le telecamere di tutte le televisioni, la stampa solo ora è presente in maniera massiccia. Arrivano i parlamentari avvisati per telefono, Agnoletto discute con il capo della Polizia, rilascia le prime dichiarazioni alla stampa. I poliziotti ora sono fuori dalla scuola, il loro lavoro l'hanno compiuto, indisturbati, impuniti. Ora cercano di mantenere l'ordine.
UNO SPETTACOLO ORRIBILE
Alla fine se ne vanno. Sono passate quasi due ore dalla loro irruzione. Intanto sono sceso per strada anche io. La prima cosa che faccio istintivamente è entrare nella scuola, ormai deserta. Sono tra i primi ad entrare. Lo spettacolo è orribile: devastazione ovunque, macchie di sangue, copiose, fresche, in molteplici punti. Sono sconvolto. Sui muri le impronte delle mani insanguinate, probabilmente sono stati perquisiti contro il muro nonostante perdessero sangue e fossero feriti. Per le scale in un angolo ci sono macchie di sangue sul muro all'altezza di 50 cm da terra. La scena mi si compone nella mente: il ragazzo accucciato, con la testa tra le mani in mezzo alle ginocchia, le spalle nell'angolo, colpito a ripetizione dai manganelli, usati a rovescio dalla parte del manico, poi colpito a gionocchiate, a colpi di scarponi sul torace, più poliziotti che infieriscono su di lui finché lo lasciano in una pozza di sangue. Bastardi! Su un muro della scalinata c'è una strisciata di sangue lunga 4 metri, ad un'altezza dagli scalini di circa 2m-2m e ½. Significa che qualcuno è stato sbattuto e strisciato contro un muro e infine scaraventato per le scale: uno scempio. Fotografi e cameramen riprendono ciò che trovano, siamo tutti sconvolti, qualche ragazzo piange sconsolato e disperato, qui dentro aveva amici. Alle 4 del mattino raggiungo l'ospedale San Martino di Genova dove sono stati trasportati molti dei ragazzi che dormivano nella scuola Armando Diaz, ho il pass di giornalista accreditato per il G8, non devo aver paura. Davanti al Pronto Soccorso mi ferma una collega: Non entrare, ieri tutti i giornalisti che c'hanno provato sono finiti appesi ad un muro. E poi, vista l'aria che tira, non ci mettono niente a farti sparire. I primari dell'ospedale sono praticamente sequestrati, nessuno rilascia dichiarazioni, il personale medico ausiliare è omertoso, ma più che altro ha una fifa bestiale. Si discute quiNon entrare, ieri tutti i giornalisti che c'hanno provato sono finiti appesi ad un muro. E poi, vista l'aria che tira, non ci mettono niente a farti sparire. I primari dell'ospedale sono praticamente sequestrati, nessuno rilascia dichiarazioni, il personale medico ausiliare è omertoso, ma più che altro ha una fifa bestiale. C'è anche Ricky Tognazzi, le sue impressioni sono le stesse che abbiamo avuto tutti assistendo a quanto avvenuto in via Cesare Battisti: è roba da Stato sudamericano. Il classico colpo di coda: dopo tre giorni in cui hanno favorito di fatto gli incidenti, e dopo che il G8 di fatto è stato oscurato, hanno voluto dare una lezione a modo loro. (...) I tempi che si prospettano davanti sono duri, compagni, anzi: durissimi. (Michelangelo, radio Onda d'Urto)

BOTTE DA ORBI

Alfonso De Munno, 26 anni, fotografo freelance di Roma. Capelli castano chiaro lunghi, occhi blu. Ha un piede fratturato, una costola incrinata. Il viso tumefatto, il corpo pieno di lividi. Il suo racconto è lucido e concitato. "Mi portano a Bolzaneto verso le 16.30 di sabato. Sono già stato pestato a sangue dalla guardia di finanza mentre scatto alcune foto dei black bloc. Arrivo alla caserma in camionetta, assieme a una ventina di fermati. Ho le mani legate, lacci neri di plastica, molto stretti. Il benvenuto: ci lanciano fuori dal pullman e iniziano manganellate e insulti. "Perché non provi a chiamare Bertinotti o il tuo amico Manu Chao?". La colonna sonora dell'orrore è una cantilena, i celerini la sanno a memoria. Adesso anch'io l'ho imparata, purtroppo: "un due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, a morte gli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove". Finisco nell'ultimo stanzone della caserma. Mi tocca una nuova dose di calci e pugni. Rimango a terra, non posso più alzarmi: ho il piede fratturato, la costola dolorante. Vedo uno spettacolo dell'orrore: una ragazza svedese viene portata via per i capelli, i celerini spengono le sigarette sulle mani di un francese. Un ragazzo si fa la pipì addosso per la paura o perché non ce la fa più. Nessuno di noi si può muovere. Un agente corpulento entra nella stanza e inizia a massacrare un ragazzo perché "l'ho visto in piazza che mi insultava". Pochi minuti dopo passa un carabiniere che raccomanda ad altri due: "Quelli della celere è meglio non farli entrare". Ma il peggio inizia quando arriva la polizia penitenziaria: non ho mai visto tanta violenza in vita mia. Si infilano i guanti neri imbottiti e per un'ora non smettono di menare. Continuo a sognare un tizio che viene sbattuto contro il muro e lascia sulla parete un rigagnolo di sangue. Finalmente, verso le 4 di mattina partiamo per il carcere di Alessandria. Ancora qualche botta. Poi la pace, se di pace dopo l'inferno si può parlare". Alfonso è stato rilasciato lunedì sera. E' assistito dall'avvocato Simonetta Crisci. Adesso è a casa sua, non riesce a dormire, oggi andrà in ospedale. Né in caserm, né a Bolzaneto ha potuto avere un referto medico. Sporgerà denuncia per gravi lesioni volontarie. "Voglio un processo per ciò che è successo a Bolzaneto dice . Deve essere qualcosa di esemplare, di cui parlerà tutta l'Europa". Gli sono stati "sequestrati" i dodici rullini che aveva scattato prima del "lager". Ma i ricordi sono impressi nelle sue cellule, ormai. Dice: "Saprei riconoscere tra mille i miei torturatori". (Anais Ginori, 26 luglio 2001)

Roberta

Scendo dal Parco a Punta Vanzo e sento la conferenza stampa. Finalmente so le cose e sono scioccata. Finita la conferenza sto per andare via. E c'è uno zoppicante con la testa e la mano rotta che mi chiede se voglio delle coperte. Gli dico no grazie sono già troppo carica io e mi faccio raccontare perché è fasciato. E in stato confusionale e non riesce a trovare il numero dell'avvocato, perché aveva un foglio della Questura che diceva che il giorno dopo deve ripresentarsi in questura e ha paura di riprenderle. Questo è quello che mi ha detto: "Venerdì sono andato al pronto soccorso spontaneamente perché avevo la testa spaccata, dai manganelli (ho visto la sua maglietta tutta sporca di sangue n.d.r.). Sono venuto da solo a Genova. Era meglio se andavo a vedere il concerto di Vasco Rossi. Mi sono trovato per sbaglio in prima linea. Avevo in mano una carota e un albero di gomma piuma mi hanno rincorso e me le hanno date. Appena ricucito in testa hanno preso la barella quelli della polizia politica e mi hanno portato nel bunker. Lì c'era anche una ragazzina greca alta così (un metro e mezzo) che piangeva come una neonata, era ricoperta di sangue e loro continuavano a bastonare. A me mi hanno fatto fare il corridoio: una fila di poliziotti da una parte e una fila dall'altra e io dovevo passare in mezzo mentre questi tiravano calci e pacche sulla schiena, e dappertutto. Poi uno mi ha pestato il piede e mi ha detto cammibastardo! Ho provato a camminare e lui ha pestato ancora di più mi ha rotto il dito. Poi un altro mi ha preso la mano e tirando due dita per parte me l'ha aperta. Ho sentito un dolore atroce poi più niente: ho guardato la mano ed era tutta brandelli di carne." Voleva passare la notte a Genova, nel sacco a pelo e all'aperto perché non aveva più soldi per tornare a casa (i poliziotti si sono presi tutto, telefono, L. 400.000 ecc... a parte le borse). L'ho convinto a venire a Nervi con me, e in un posto nascosto abbiamo montato la tenda. Prima di andare a dormire siamo andati a prendere un gelato, siamo andati a vedere l'ex stazione di S. Ilario quella di Boccadirosa - De André. Appena parlavamo di quello che era accaduto a Genova, ci accorgevamo di avere poliziotti in borghese che ci seguivano, e non capivamo da dove erano sbucati. Scappo via da Genova. Non ne posso più. Spero che questa sia mia paranoia e che finisca presto perché non ho fatto niente, e faccio l'impiegata comunale per una Giunta di Forza Italia. Amo il mio lavoro e credo di farlo bene. Voglio bene al mio capo che è dello stesso partito di Berlusconi. Io adesso ho paura. (Roberta)


 
MASSMEDIA e TAM TAM vari
 

APPELLO IN FAVORE DI VITTORIO AGNOLETTO

sulla VICENDA della CONSULTA NAZIONALE TOSSICODIPENDENZE

25 luglio 2001 - Il Ministro del Welfare Roberto Maroni ha annunciato che intende revocare al dott. Vittorio Agnoletto la nomina a membro della Consulta del Ministero per le politiche delle tossicodipendenze (composta da 70 esperti che offrono gratuitamente la loro consulenza), di cui il dott. Vittorio Agnoletto fa parte dal 1993. Tale decisione costituirebbe non solo una perdita di competenza e professionalità all’interno della Consulta, ma minerebbe la capacità della stessa, espressa sino ad oggi, di rappresentare la pluralità delle posizioni rispetto ad un tema così controverso e complesso quale quello delle tossicodipendenze. Vogliamo ricordare che la partecipazione a questa Consulta, così come per tutte le commissioni scientifiche, è fondata sulla competenza professionale e il curriculum scientifico dei singoli membri e non certo sull’identità di opinione politica con l’esecutivo momentaneamente al governo. Siamo convinti che tale criterio debba essere sempre salvaguardato.

Le prime firme

Francesco Maisto – Membro della Consulta Nazionale per le Tossicodipendenze e Magistrato; Leopoldo Grosso – Membro della Consulta Nazionale per le Tossicodipendenze e Gruppo Abele; Luigi Agostini – Membro della Consulta Nazionale per le Tossicodipendenze e CGIL Nazionale; Clara Baldassarre – Membro della Consulta Nazionale per le Tossicodipendenze; Franco Chirco – Membro della Consulta Nazionale per le Tossicodipendenze; Achille Saletti – Membro della Consulta Nazionale per le Tossicodipendenze e Presidente Saman; Marisa Gualzetti – Asat, Sondrio; Donatella Aiello – Associazione GAMMA, Sondrio; Dr. Antonio Clavenna -  Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri", Milano; Andrea Morniroli - Cooperativa Dedalus, Napoli; Sergio D’Angelo – Presidente Consorzio Gesco, Vicepresidente Regionale Lega Coop, Campania; Rubens Curia - già membro della Presidenza della Commissione Nazionale AIDS e Malattie Infettive Emergenti; Roberto Nardini - Gruppo S.I.M.S., Pietrasanta (Lucca); Stefano Costa (Portavoce dei Verdi di Milano); Christiana Soccini e Vincenzo Ferri - Centro Studi Arcadia, Desenzano sul Garda (Brescia); Dr.ssa Maria Gigliola Toniollo - CGIL Nazionale - Ufficio Nuovi Diritti; Pia Covre e Carla Corso – Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, Pordenone; Don Mario Vatta – Comunità di San Martino al Campo, Trieste; Fabio Omero – Coordinatore Unità di Strada Sert Trieste e Consigliere Comunale DS; Fulvio Camerini - Senatore; Tutti i lavoratori e le lavoratrici del progetto regionale di RDD, Drop In Project 57 – Bologna; Sergio Lo Giudice - Presidente nazionale Arcigay; Egizio  Bosio  Savigliano, Nunzia Guerra, Olivia Fagnoni, Lucio Gamberini , Dora Scala, Gianna Milano, Antonio Maisto, Paola Maisto, Anna Conforti

PER ADESIONI: fuoriluogo@fuoriluogo.it

Le adesioni si raccolgono anche sul sito www.fuoriluogo.it

 

Gatti imbottigliati - Petizione
 
Il messaggio in questione serve a raccogliere firme per bloccare l'affare ad una testa di ..... di giapponese, che vende gatti imbottigliati (vivi assolutamente coscienti) e la cosa peggiore e che la sta facendo diventare una moda in USA. Questo giapponese mette il cucciolo del gattino in una bottiglia di vetro con una sonda che penetra dall'ano e ha un'uscita per liberarsi dall'urina e delle feci. Tutto questo per fare prendere al gatto la forma di una bottiglia. Il micio viene alimentato con sostanze chimiche che lo renderanno sterile, rendendo inutili i suoi testicoli. Quindi il gatto vive cosi la sua vita, una vita di torture e sopravvivenza, non puo muoversi ne camminare, ne pulirsi.. e una vera tortura per questo povero animale. Vi prego di aiutarci firmando perche e una moda che sempre piu prende spazio a New York, China, Indonesia e Nuova Zelanda l'animale viene visto come un soprammobile...Se volete maggiori informazioni.... andate a visitare il sito:

http://www.bonsaikitten.com/

Quello che stiamo cercando di fare e raccogliere delle firme in tutto il mondo per non permettere a questa societa giapponese di continuare con questa vergogna.... e mandare queste firme ad una societa che protegge gli animali in Usa e Messico. Vi ringrazio per l'attenzione e spero che manderte questa lettera ad altre persone, non solo amanti degli animali, ma anche della decenza e della vita... aggiungete il vostro nome alla lista e mandate la mail ad altre persone... Come farlo... usate un sistema di copia ed incolla... se non siete capaci fatevelo spiegare da qualcuno... oppure Premete con il mouse tutto il testo pressando contemporaneamente il tasto Ctrl+C (Copia). Aprite un nuovo messaggio nella vostra posta elettronica e tenendo pressato Ctrl+V nellla mail che state per mandare incollate il testo aggiungendo il vostro nome come hanno fatto molti prima di voi.. Invia la mail finale a tutte le persone presenti nella tua rubrica, se riceverai questa lista con piu di 500 persone allora per favore manda una copia di questa mail:

mailto:anacheca@hotmail.com

Grazie di cuore...


1.-Ana Checa Mexico, D.F.
2.-Manolo Aller Mexico D.F.
3.-Alberto Huerta Mexico D.F.
4.-Manuel Gutierrez Mexico DF
5.-Marco Zapata Madrid
6.-Teresa Morato Mexico D.F.
7.-Ximena Goyenechea Mexico D.F
8.-Larissa Lara Mexico D.F.
9.-Marina Arencibia Venezuela
10.-Ana Maria Carvajal Venezuela
11.-Edgard D'Angelo Venezuela
12.-Claudia Marquez Venezuela
13.-Derek Ludovic Venezuela
14.-Rodolfo Placencia Venezuela
15.-Marbella CaceresVenezuela
16.-Maria Cristina Caceres Venezuela
17.-Ana C. Castro, Venezuela
18.-Victoria Sanchez, Venezuela
19.-Maria Editha Valdeavellano, Chile
20.-Patricio aldeavellano, Chile
21.-Reinaldo Lopez, Venezuela
22.-Paula Aedo, Chile
23.-Constanza Carrasco, Chile.
24.- Cecilia Noton, Chile
25.-Carlos Eduardo Briones Bolbaran, Chile
26.-Ximena Alejandra Briones Bolbaran, Chile
27.-Pamela Andrea Roa Alarcon, Chile
28.-Gabriela Beatriz Christiny Guajardo, Chile
29.-Magdalena Amenabar Iniguez, Chile
30.-Indra Soledad Kleinhempel Valladares,Chile
31.-Monica Marisol Moreno Muga,Chile
32.-Pilar Rebolledo, Chile
33.-Andrea Villagra,Chile
34.-Claudia Jerez, Chile
35.-Erna Zagal ,Chile
36.-Andrea Munoz,Chile
37.-Jacqueline Mateluna, Chile
38.-Beatriz Crovetto, Chile
39.-Karin Schepoks
40.-Jorge Wilson
41.-Veronica Schauenburg, Chile
42.-Mariana Reinoso, Chile
43.-Paulina Vera, Chile
44.-Veronica Vallejos Marchant,Chile
45.-Maria Jose Rosello, Chile
46.-Paula Andrea Lopez Urzua, Chile
47.-Lorena Burotto,Chile
48.-Soledad Aravena, Chile
49.-Catalina Garcia, Chile
50.-Daniel Jimenez, Chile
51.-Stephanie Ellies, Chile
52.-Claudia Villagra Huijse, Chile
53.-Maria Teresa Espindola Gomez, Chile
54.-Tatiana Espinoza Silva, Chile
55.-Gonzalo Tomasell
56.-Sebastian Grandon G, mare tranquilitatis
57.-Carlos Escobar Bastias,Chile 58.- Pamela Guajardo,Chile
58.-Rosa Anton Albarracin, Barcelona, Espana
59.-Nicolas Bergh, Chile
60.-Alejandra Menzel, Chile
61.-Ricardo Menzel, Chile
62.-Michael Lambie D., Chile
63 -Harry Lozano Jeffs, Chile
64.-Patricio Barrios K., Chile
65.-Daniel Bennasar Diaz., Espana
66.-Daniel Areste Hernandez, Espana
67.-avi Segarra Roman, Espana
68.-Eduard Martinez Bernal,Espana
69.-Adrian de la Prada, Espana
70.-Victoriano Tamayo Pintos,Barcelona - Catalunya - Espana
71.-Cristina Pena, Barcelona Catalunya - Espana
72.-Xavier Sole i Maso,Barcelona -Catalunya -Espana.
73.-Carlos Rodriguez-Martos Iglesias - Catalunya -Espana
74.-Miryam Cruz Berbegal Barcelona -Espana
75.-Lolo Martinez del Toro Barcelona - Espana
76.-Tomi Berbegal MingoteBarcelona - Espana
77.-Jose Cruz Miguel Barcelona - Espana
78.- Angeles Del Toro Barcelona - Espana
79.- Montse Martinez del Toro Barcelona - Espana
80.- Gema Moral Martin Barcelona - Espana
81.- Manolo Martinez Carreno Barcelona -Espana
82.-Crisanto Gomez Jimenez- Barcelona - Espana
83.-Ricardo SanzSole -Barcelona - Espana
84.-David QuintanaEstall- Barcelona - Espana
85.-Paloma Carballal Recoder Barcelona,Catalunya, SP
86.-Judith Hernanz Ladcani-Barcelona-Espana
87.-Pau Carreras Llige -Barcelona - Catalunya
88.-Arnau Quintana Pujol - Barcelona - Catalunya
89.-David Mormeneu Pascual -Barcelona - Catalunya
90.-Marc Pijoan Josa - Barcelona - Catalunya >
91.-Marta Rocamora Gimenez - Sligo - Irlanda
92.-Heiko Eser -Sligo - Irlanda
93.-Miquel Angel Parra Marin - Barcelona -Catalunya
94.-Sira Andreu Rahola - Badalona - Catalunya
95.-Diana Arias Burguera Barcelona - Catalunya
96.-Joan Saez Morato -Barcelona - Catalunya
97.-Silvia Saez Nunez- Barcelona - Catalunya
98.-Marta Sabate Fontanet- Barcelona- catalunya
99.-Ivan Anton Albarracin,Barcelona,Catalunya
100.-Juan Carlos Sastre, Barcelona
101.-M.Rosa Hernandez Fructoso, Barcelona Espanya
102.-Guillermo Cadavid Garcia,Barcelona - Espana
103.-Tomas Muniesa Silva,Barcelona - Espana
104.-Cristina Kim, Barcelona - Espana
105.-Juan Manuel,Barcelona ESPANA
106.-David Castro,Barcelona-ESPANA
107.-Montse Mateos, Barcelona - Espana
108.-Mireia Bartrina Jurado -Barcelona, Espana
109.-Angel Manuel,Melilla-Espana
110.-Lucia Munoz Zamora, Murcia - Espana
111.-Pedro Antonio Caballero Marin, Murcia - Espana
112.-Angel Zapata Gonzalez, Murcia -Espana
113.-MARIA ENCARNA MARTINEZ BAEZA, MURCIA-ESPANA
114.-Vicenta Cutillas.Abanilla. Murcia
115.-Antonio Martinez Lopez Murcia.Espana
116.-Francisco Marin Yagues.Murcia.Espana
117.-Encarna Baeza Lopez Murcia.Espana
118.-Antonio angel Sanchez Pinar.Murcia.Espana
119.-Julian Illan Nicolas. Murcia.Espana
120.-Jose Gonzalez Abellan. Murcia.Espana
121.-Daniel Cobacho Perez.Murcia.Espana
122.-Jose Ato Abellan Lopez. Murcia.Espana
123.-Rosario Martinez Baeza.Murcia.Espana
124.-Agustin Garcia Canovas.Murcia.Espana
125.-Miquel Vila Fortuny.Barcelona.Espana
126.-Miquel Vila Aymerich.Barcelona.Espana
127.-Jordi Vila Fortuny.Barcelona.Espana
128.-Joan Vila Borrell.Barcelona.Espana
129.-Ma. Antonia Vila Borrell.Barcelona.Espana
130.-Josep Vila Puigdomenech.Barcelona.Espana
131.-Josep Vila Aymerich.Barcelona.Espana
132.-Pere Lopez Vicente.Barcelona.Espana
133.-Montserrat Escale Aregay.Barcelona.Espana
134.-Anna Lopez Congost.Barcelona.Espana
135.-Sara Fugarolas.Barcelona.Espana
136.-Lourdes Altimira Forteza.Barcelona.Espana
137.-Yolanda Reche.Barcelona.Espana
138.-Imma Pera Tort.Barcelona.Espana
139.-Marta Puig. Barcelona.Espana
140.-Antonio Castellon Arnau.Barcelona.Espana
141.-Marta Vila Fortuny.Llerona-Barcelona.Espana
142.-Nuria Vila Fortuny.Llerona-Barcelona.Espana
143.-Lluis Sanz Sanz.Barcelona.Espana
144.-Montserrat Vila Fortuny
145.-Marc Sanz Vila.Llerona-Barcelona.Espana
146.-OriolSanz Vila.Llerona-Barcelona.Espana
147.-Mireia Sanz Vila.Llerona-Barcelona.Espana
148.-Marta Jose Casan. Barcelona.Espana.
149.-Montse Estevez. Barcelona.Espana.
150.-Sandra Rodriguez. Barcelona. Espana
151.-Imma Sarriera. Barcelona.Espana
152.-Elisabeth Escudero. Espana.
153.-Maria Jose Saiz. Espana
154.-Rosa Pujolas, Barcelona
155.-Angel Ma Aledo.Vitoria
156.-Jose Ramon Rodriguez. Vitoria
157.-Eduardo A.Garcia Sanchez. Barcelona
158.-Loli Rodriguez Garcia. Barcelona
159.-Maria Fontes. Valencia
160.-Marta Mateo.Valencia.Espana
161.-Emma Ferrer. Valencia.Espana
162.-David R. Cavada. Sto. Domingo. Rep. dominicana
163.-Emma C.Stubbs-Michel; Santo Domingo, Republica Dominicana
164.-Diego L.Rosario; SantoDomingo,Republica Dominicana
165.-Mariah C.Gonzalez; Santo Domingo,republica dominicana
166.-JoseTejeda: Santo Domingo,Republica Dominicana.
167.-Claudia Mordan; Santo Domingo,Republica Dominicana.
168.-Mayra Cartagena; Santo Domingo, Rep. Dominicana
169.-Paola Espinoza Barreda. Sinaloa Mexico.
170.-Marisol Cota Gastelum, Sinaloa, Mexico.
171.-Lolys Chinchillas, Sonora,Mexico
172.-Yannin Rivas, Sonora,Mexico
173. -Fernanda Rivas,Sonora Mexico
174.-Maria Andrea Rivas, Sonora Mexico
175.-Jorge Fernando Rivas, Sonora Mexico
176.-Aaron Rivas, Sonora Mexico
177.-Jesus Rivas, Sonora Mexico
178.-Mayra Rivas, Sonora Mexico
179.-Jose E. Angeles C, Sonora Mexico
180.-Jeannette Botello, Cd.de Mexico
181.-Alejandro Garcia Romero. CD de Mexico.
182.-Eduardo Garciatorres Resano , CD Mexico
183.-Ivett Villa Cristiani, Cd. de Mexico
184.-Mauricio Rojas Martinez
185.-Enrique Ballesteros Duran
186.-Gabriela Gonzalez Escalante, Puebla,Mexico
187.-Cinthya Garcia Guerrero, Puebla, Mexico
188 -Alessio D'Anna Prestileo, Palermo,Italia
189 -Cinzia Panzolato, Bergamo, Italia
190.-Marco Lecchi,Bergamo,Italia
191.-Bruno Bugiani, Milano, Italia
192.-Omar Nicola,Varenna LC Italia
193.-Simonetta Cochi, Milano, Italia
194.-Ludovica Scalzo, Milano, Italia
195.-Marella Pessina, Milano, Italia
196.-Riccardo Assi, Milano,Italia
197.-Elettra Bertonotti, Milano, Italia
198.-Andrea Fresco, Milano, Italia.
199.-Lucia Nicolai, Milano - Italia
200.-Teresa Brancia, Milano - Italia
201.-MASSIMILIANO LISTA
202.-paola cretella
203.-Ivano Colicchio, Napoli - Italia
204.-Stefano Cassetta , Torino - Italia
205.-Barbara Burlamacchi , Torino - Italia
206.-Gian Marco Centinaio, Pavia - Italia
207.-Simona De Santis, Milano - Italia
208.-Gianfranco Bos,Milano - Italia
209.-Filippi Umberto, Monza (MI) - Italy
210.-Tuggia Marco, Monticello C. - Italy
211.-Barbiero Lucia, Vicenza - Italy
212.- Firolli Anna, San Bonifacio - Italy
213.- Amedeo Tosi, San Bonifacio - Italy



 
INFORMAZIONI, RIFLESSIONI & OPINIONI
 
Viaggio in Guatemala 
 
Planet Team Viaggi e Rete Radie Resch di Solidarietà organizza viaggio in Guatemala dal 14 Agosto al 30 Agosto. Lo stesso viaggio verrà effettuato dal 23 al 5 Gennaio ( sono apee le iscrizioni ). Per informazioni: planetviaggi@tiscalinet.it
 
 
Un campo tra i TIR
Verona, 16 famiglie sinti trasferite con la forza sulla tangenziale
di PAOLA BONATELLI - VERONA

Li hanno fatti spostare con la forza in un'area contigua all'entrata della tangenziale sud di Verona (un camion ogni 5 secondi), dove forse la Croce Rossa Internazionale attrezzerà un campo di quelli che si piantano nelle zone di guerra.
E' finita così (per ora) l'odissea di 16 famiglie di sinti italiani, di cui molti nati e residenti a Verona, che erano stati sgomberati una settimana fa con un'ordinanza del comune da un'area vicina allo stadio Bentegodi.
Una settimana in cui la comunità era salita alla ribalta delle cronache cittadine perché madri e figli, accampati dopo lo sgombero in un parcheggio della circonvallazione cittadina senza acqua, luce e gas, avevano fatto il bagno nella fontana della centralissima Piazza Bra. Un modo di dare visibilità alla loro condizione che aveva trovato subito solidarietà: l'editore Giorgio Bertani, capogruppo dei Verdi nella circoscrizione del centro, aveva mosso mari e monti, prefetti e vescovi per risolvere la situazione. Era intervenuto persino Marcello Pigozzi della Liga Veneta, non si sa se per ragioni politiche o umanitarie. Il vescovo l'altroieri era andato a far visita alle famiglie accampate nel parcheggio. 55 persone, di cui 32 minori (15 tra gli 0 e i 6 anni) sotto un sole implacabile e senza un posto dove andare, nonostante la residenza nel comune: "Non hanno nessun diritto, - ha detto il nazional alleato Fabio Gamba, assessore alla sicurezza, alla deputata di Rifondazione Tiziana Valpiana che lo interpellava sullo sgombero, ricordandogli le Carte dei diritti - c'è un'ordinanza comunale e l'area dello stadio ci serve per le feste".
Infatti, implacabili come il sole e come Gamba, i vigili municipali guidati dal maggiore Giuseppe Ferrero coadiuvato dal tenente Sterzi, si sono presentati nel parcheggio con uomini e carri attrezzo per la rimozione dei veicoli. Hanno sollevato di peso Giorgio Bertani, sdraiato davanti ai camper dei sinti per impedirne la partenza, l'hanno caricato malamente in auto provocandogli contusioni multiple (10 giorni di prognosi), hanno letteralmente aggredito le donne coi bambini in braccio (quattro contuse tra le donne, due tra i bambini) per spostarle e far partire i camper, il tutto davanti agli occhi di carabinieri, poliziotti e digossini, incerti se intervenire o meno (per difendere i sinti, da quello che si capiva dalle espressioni allibite). Il raid, che probabilmente costerà qualche denuncia ai ferrei tutori dell'ordine (o del disordine, ci pare di poter dire), è stato denunciato nel pomeriggio in consiglio comunale da Giorgio Bragaja di Rifondazione, giunto immediatamente al parcheggio della vergogna con altri consiglieri dell'opposizione. E ora, la sindaca forzista Michela Sironi si indignerà di nuovo se qualche incauto operatore dei media definirà Verona (o almeno la sua giunta comunale) profondamente razzista? Chiedetelo ai trenta bambini che vivono da oggi sulla tangenziale.
(Alessia Berardinelli - Verona)

 
Oltre il G8 - Fermare lo scudo spaziale

Non solo complimenti, sprechi, vanità e promesse.  E' servito.  Il vertice dei G8 è servito per capire l'attuale tipo di politica internazionale dei  "grandi" della terra. E' stato utile, soprattutto, all'amministrazione Bush, appoggiata dalla Gran Bretagna e, ora, dal governo Berlusconi, per sostenere e diffondere lo "scudo spaziale". 
In concreto, da un lato il  "fondo-elemosina"  sull'Aids, che significa  un dollaro per ogni cittadino povero del mondo, senza impegni  contro il monopolio delle multinazionali sui prezzi e sul brevetto dei  farmaci.  Dall'altro lato, il lancio dello  "scudo spaziale" che entrerà in funzione nel 2004, per una spesa di  64 miliardi di dollari. Tra i 2010 e il  2020, la voragine di spesa  complessiva potrà raggiungere  i   300 miliardi di dollari. Faccio una riflessione divisa i due parti. La prima riguarda il rischio di populismo totalitario: come può Berlusconi aderire al progetto statunitense senza dibattito parlamentare, violando la Costituzione e attaccando gli altri paesi europei contrari alla grande follia? La seconda concerne il futuro del mondo: confrontare le spese per lo "scudo spaziale" con la morte per fame e malattie di un bambino o di una bambina  ogni  8 secondi , o con l'uccisione di  1300 persone al giorno nei conflitti armati, vuol dire camminare sull'abisso dell'ingiustizia planetaria. L'ha denunciato una Conferenza dell'ONU sulle "armi leggere" qualche giorno fa. L'ha ricordato Giovanni Paolo II a Bush il 23 luglio, parlando della "tragica linea di demarcazione" tra i potenti e i poveri. Rammento un importante documento della S. Sede del 1976.  In esso è scritto che la corsa agli armamenti non è solo "un pericolo" per tutti. E', soprattutto, "un'aggressione che si fa crimine: gli armamenti, anche se non messi in opera, con il loro alto costo, uccidono i poveri, facendoli morire di fame". Il "popolo della pace" ha davanti a sé il grande obiettivo di impedire "un'aggressione che si fa crimine". I vescovi statunitensi di Pax Christi ne stanno parlando da tempo. Fermare lo "scudo spaziale" con la forza creativa della nonviolenza. Sergio Paronetto (Pax Christi -Verona-)

 
Il volto di Fakhra

La terribile storia di una giovane donna pakistana deturpata dal marito con l'acido. Una storia di violenze. Da ballerina di un quartiere a luci rosse di Karachi a moglie di un ex deputato, "acidificata" e violentata dopo essere stata deturpata
 
di GIULIANA SGRENA - ROMA

Minuta, accovacciata sul lettino dell'ospedale Sant'Eugenio di Roma, solo una piccola mano affusolata decorata da un braccialetto che sporge dalla sua tunica rosa lascia immaginare la sua bellezza distrutta, così come i piccoli piedi anch'essi fortunatamente sfuggiti alle bruciature e ornati da una cavigliera ricordano il suo passato di ballerina. Ninnoli che contrastano con un viso sfigurato ma che fanno intuire il suo coraggio per continuare a vivere. "Anche se a volte ho pensato che sarebbe stato meglio morire", dice Fakhra Khar. Ventidue anni, una tragedia alle spalle e una speranza di tornare a vivere che forse i chirughi plastici riusciranno a soddisfare, grazie all'aiuto, finora, della casa di cosmetici Sant'Angelica, ma soprattutto alla pervicacia di Tehmina Durrani, la scrittrice pakistana diventata famosa con il libro autobiografico "Schiava di mio marito".
Tehmina è riuscita a portare Fakhra in Italia ed è accanto a lei mentre insieme - Tehmina traduce Fakhra dall'urdu - ci raccontano una terribile storia che le ha indissolubilmente unite anche nella lotta per il riscatto delle donne pakistane.
Fakhra, nata e cresciuta in un quartiere lumpen di Karachi, dove la principale attività è la prostituzione, ha cominciato a fare la ballerina a dieci anni. A quindici è nato suo figlio. "Vivevamo in sette in due stanze in un edificio noto con il nome fantasioso di 'uccello dalle mille storie'. Avevo diciotto anni quando ho incontrato Bilal, ex deputato e figlio dell'ex governatore del Punjab, che voleva sposarmi. Anche se mia madre mi diceva di non farlo perché era un uomo ricco, arrogante e pericoloso per la povera gente come noi, io l'ho sposato. Ero felice, avevo ottenuto quella rispettabilità che non avevo mai avuto. Dopo che con il matrimonio ero diventata legalmente una sua proprietà, Bilal mi faceva controllare da una guardia del corpo ed era violento. Dopo un anno sono tornata dalla mia famiglia". Ripercorrere questa storia è una sofferenza, forse per dissimulare Fakhra continua a muovere la mano sinistra.
Si rendeva conto che l'aspettava una vendetta, quindi dopo quattro giorni è andata dalla polizia per denunciare d'aver abbandonato il marito e di temere ritorsioni. "La mattina dopo, racconta, stavo ancora dormendo con mio figlio accanto, quando Bilal ha fatto irruzione nella stanza con due gorilla, uno era armato. Mi ha svegliata e, ancora prima che mi rendessi conto di quanto stava succedendo, mi ha afferrata per i capelli e mi ha buttato sul viso una bottiglia di acido mentre il bambino fuggiva urlando". Sul suo corpo e soprattutto sul viso le ferite bruciano ancora.
Ha passato quattro mesi nell'ospedale di Karachi: "Ero in una lunga corsia piena di donne bruciate, chi con l'acido chi con il kerosene, dai mariti sospettosi o dai pretendenti rifiutati, stavamo in due per letto, poche riuscivano a sopravvivere". Dopo alcuni interventi di chirurgia plastica per ricotruirle almeno la pelle del viso e del collo, nulla da fare per l'ochio perso, il naso di cui resta una vaga sembianza, le orecchie semidistrutte... è stata rimandata a casa. In ospedale, dicevano i medici, rischiava solo nuove infezioni. Il paradosso: tra tanta indigenza e sofferenza arrivavano i mazzi di fiori inviati da Bilal a Fakhra!
Tornata a casa il cognato non voleva saperne di lei e l'ha relegata in un angolo della cucina, con divieto di entrare nelle altre stanze, la madre (eroinomane) era l'unica persona che l'accudiva, il figlio per i primi due mesi si è rifiutato di vederla. "Volevo morire, continua Fakhra. Così quando Bilal ha chiamato per dire che voleva occuparsi di me, ci ho creduto e ho accettato di tornare con lui. Sono stati sei mesi di tortura: ha ricominciato a picchiarmi e a violentarmi sostenendo che ora solo lui poteva volermi". Finché Bilal ha deciso di trasferirsi a Lahore, dove si trova la fattoria del padre, ma la famiglia non accettava la presenza di Fakhra così ridotta.
A questo punto Bilal ha chiamato Tehmina Durrani per chiederle di convincere il padre Mustafa Khar, ad accettare Fakhra in casa. Tehmina che contro Mustafa, il famoso "feudal lord" della sua autobiografia, aveva già combattuto le sue battaglie non voleva immischiarsi nella faccenda, "ma alla fine ho accettato di vedere Fakhra, e dopo averla vista: non era più nulla, era solo la forza dell'anima che aveva dentro, ho pensato, racconta Tehmina, che dovevo fare qualcosa per lei e ho chiesto a Mustafa di accettarla per spirito umanitario".
Fakhra era ancora nella sua casa quando Tehmina è partita per venire in Italia a ritirare un premio della Sant'Angelica. Un'occasione, e quale migliore di una casa di cosmetici per trovare un aiuto per Fakhra? La soddisfazione di Tehmina - per la risposta positiva - si scontrava con la paranoia di Bilal che nel suo delirio si possesso non solo aveva ridotto in quello stato Fakhra, ma continuava a seviziarla e si opponeva a qualsiasi cura. "Vuoi cambiare faccia? Questa è la faccia che ti meriti", diceva. Quando Tehmina Durrani è tornata a Lahore, Fakhra era sparita. Era stata portata alla fattoria, dove veniva reclusa e sottoposta a ogni tipo di violenze. Finalmente la ragazza riusciva ad inviare un messaggio con richiesta di aiuto a Tehmina attraverso un inserviente della fattoria Khar, particolarmente coraggioso. L'unica speranza della povera donna era legata alla scrittrice. "Le ho risposto - ricorda Tehmina - di non perdere la speranza", avrei trovato il modo per liberarla.
Non era facile. Occorreva un escamotage: mandare le figlie - Mustafa è il padre dei quattro figli, due maschi e due femmine, di Tehmina - a trovare il padre alla fattoria, cercare di vedere Fakhra e sostenere che doveva assolutamente essere visitata da un medico, cosa peraltro vera: l'unico occhio era particolarmente sofferente dopo che il marito le aveva buttato in faccia un piatto di curry bollente. L'escamotage funzionava e con altri sotterfugi la scrittrice riusciva a tenere lontana Fakhra dalla fattoria, il problema era ora quello di ottenere i documenti per portare in Italia la ragazza che non aveva nemmeno una carta di identità. Bilal si opponeva al fornire i documenti alla moglie e aveva anche cercato di rapire il figlio di lei per ricattarla. Ma era stato preceduto da Tehmina che, avvertito il pericolo, aveva recuperato il figlio a Karachi per portarlo a Lahore. Tutti i tentativi di ottenere i documenti per Fakhra e il figlio attraverso il governatore e il ministero degli interni fallivano, anche perché, sostenevano, vi sono i mezzi per curarla in Pakistan e non si può sporcare il nome del paese portandola all'estero. Falliti tutti i tentativi, "dopo tre settimane, racconta Tehmina, ho convocato una conferenza stampa con Fakhra e il suo bambino per far conoscere il caso all'opinione pubblica: perché mai una ragazza che non ha avuto nessuna opportunità nella vita, nessun lavoro, nessuna giustizia - è stata bruciata dal marito che gira libero - dovrebbe sacrificarsi per il Pakistan?"
A quel punto è intervenuto il presidente in persona, il generale Musharraf, che ha fornito i documenti. Fakhra e il figlio sono così partiti per l'Italia con Tehmina Durrani, mentre a Lahore Bilal continua a minacciare di morte la scrittrice e suoi figli. Minacce a cui non può essere estraneo il padre, sostiene Tehmina.
Fakhra è esausta, da quando è stata ricoverata non riesce a dormire, per ora le stanno facendo tutti gli esami, ma già si parla di numerosi interventi, oltre una trentina nel corso di tre anni. Un percorso lungo e difficile. Ma Fakhra è pronta ad affrontarlo: ha ritrovato la speranza, vuole, deve sperare, e non solo per se stessa. Vuole lottare per una nuova vita certa che potrà giocare un ruolo per tutte le vittime sfigurate dall'acido, contro la prostituzione del suo quartiere di Karachi, "un pozzo dal quale non si riesce ad uscire". La ragazza ricorda: "quando io sono stata bruciata con l'acido, le donne del mio quartiere si sono sentite più deboli perché tutti gli uomini hanno cominciato a minacciarle: avete visto?, anche a voi succederà lo stesso. Ma quando il mio caso è stato ripreso dalla stampa, si sono sentite un po' più forti. Ora siamo noi a minacciare gli uomini che ci terrorizzano".
Una delle battaglie da intraprendere, spiega Tehmina Durrani, è quella contro chi vende e acquista acido. Occorre imporre una licenza, come per chi compra un fucile, anche l'acido è un'arma. E occorrono punizioni esemplari per chi non rispetta queste regole.
Che cosa si può fare? Tehmina vuole realizzare un progetto: costruire in Pakistan una casa per proteggere le vittime (di cui non si conosce nemmeno il numero), dare loro assistenza medica e psicologica, un luogo per sopravvivere e stabilire contatti con i paesi - Italia, Francia, etc. - dove è possibile realizzare interventi che le rendano più accettabili, innanzitutto a se stesse. Inoltre occorre un impegno dei paesi occidentali per la formazione dei medici di Pakistan, India e Bangladesh, i paesi interessati da questa tremenda piaga. Una promessa di impegno in questo senso è venuta dal sindaco di Roma Veltroni che ha incontrato Fakhra e Tehmina.

G9 il futuro.

CRISTO non ricordo il nome di quel docente universitario della sapienza di Roma che disse in una trasmissione televisiva che comunque le centrali nucleari erano sicure, che da quando le hanno costruite si sono sempre dimostrate sicure, piu' sicure di qualsiasi altro mezzo inventato dall' essere maschile per emettere energia... perche' noi donne ne abbiamo altra ..di energia ..mai cosi' nociva e sprecata sempre per pulire casa e la tv del berlusca.
Vestiva di giallo, camicia gialla, giacchetta chiara cravatta gialla - e occhiali sfumati in giallo... mi sono detta, senza pensarci troppo - strana la scelta del colore strano lui strana la sua sfumatura allegra - e infatti non mi sbagliai era ed e' un uomo triste - docente dell'universita' di Roma in ingegneria..qualcuno mi aiuti non ricordo il nome e la cosa mi fa imbestialire tanto...ma come ci si puo' farci insegnare da certi imbecilli ? cosa saranno le  generazioni future ? - quale alternative per il rispetto del mondo andiamo a cercare ? -
Ero molto piu' piccola quando successe il caso dello scoppio della centrale nucleare in russia - molto piu' piccola - ma non dimentico la faccia di mio nonno che guardava in alto dall'orto.. Guardava le nuvole .. Dicendomi che non vedeva tracce di quella nera fatta di polvere che poteva uccidere le persone. Poi ascoltavo la radio, il suo, quello di legno con le manovelle grosse - cercavo di ascoltare tutti i radiogiornali - nonno non aveva la tv - ...eravamo in italia, in un paese tutto americano - ma la nuvola non sembrava rispettare confini - e ad un tratto proprio dalla russia, la nuvoletta fetente,  sembrava dirigersi verso il nostro stivaletto.. Cernobyl voleva unirci tutti.
Oggi sappiamo che morirono solo 90 persone, come dice il nostro professorone - una cosa banale se si pensa all'energia prodotta da una centrale nucleare per scaldare corpi e accendere luci - una cosa talmente banale, che lui stesso non dice che ancora nascono bambini malformati in russia e molti continuano a morire di leucemia per quella piccola stramaledetta centrale nucleare.. Chissa' se il nostro professorone con la sua cravatta gialla sarebbe mai salito sull'aereo che ando' a bloccare la nuvoletta innocente ? quei due piloti e altre persone sono decedute, non ne ricordiamo il nome, non sappiamo chi erano...pero' possiamo pensare che oggi ci attende un futuro peggiore. anche se ci hanno salvato la vita.
Abbiamo mille modi di fare energia alternativa - utilizzare il vento - le correnti d'acqua - fiumi cascate - addirittura riprodurle artificialmente - abbiamo le onde del mare - la luce del sole con i panelli solari - per i motori abbiamo l'idrogeno - il gas - potremmo mettere anche dei microcip e ciop sulle chiappe dei maschi e quando fanno l'amore - su e giu' - producono energia...almeno quella. da ficcare tutti insieme nel cervello dei potenti. quando anche le donne cambieranno stile di accoppiamento, invece di stare sdraiate come un lenzuolo, anche a loro metteremo dei microcip sul seno, ma e' la mentalita' che deve modificarsi, da quella sessuale al rispetto della vita. ed e' questo che a Genova non accadrà.
E allora siamo tutti a contestare, non vorrei che questo incontro si limitasse ad un - io c'ero - ma non ci faccio. Siamo tutti a Genova come la finale di roma parma - poi cosa facciamo ? - torniamo a casa ?. ci ricorderemo dell'incontro delle bombe fatte per terrorizzare - delle spranghe della linea gialla e quella rossa - dei forum e delle discussioni - mentre bush comincera' a far crescere le sue altre 40 centrali nucleari da ucciderci tutta l'america ?.. non ha rispettato i patti - i patti sono patti - ma come si puo' con quella faccia fare accordi? I ricchi sono al sicuro - hanno i loro bunker contro l'atomica - magari la tirano sulla testa di qualcuno ma loro sono tranquilli -. E allora questa notte ho sognato una Genova deserta - atri 8  capi di stato e che si incontravano sotto le fogne - in un grande tubo di metallo -

1 - oggi sono definitivamente scomparse le tartarughe marine - i pesci non esistono piu da tempo - abbiamo un cavallo solo e maschio senza cioe' la possibilita' di fecondarlo artificialmente per permetterne la riproduzione...ma lo stallone e la sua idea c'e'..e' come noi americani.

2 - le piante sono tutte secche c'e' solo una foglia verde avvistata in giamaica cosa sara' ? - abbiamo deserto al polo nord - i ghiacciai a causa dell'inquinamento prodotto si sono sciolti tutti definitivamente non c'e' piu' nulla da mettere nei drink - la temperatura e' aumentata l'ossigeno scarseggia anche nelle nostre riserve...possiamo inventarlo ma abbiamo ucciso tutti gli scienziati perche' non volevano riinventare il capitalismo...per i cadaveri c'e' peste e colera fuori ma non abbiamo nessuno che prenda un virus

3 -  un mare di petrolio  - oggi non c'e' piu' nessuno in grado di guidare una macchina a 70 gradi all'ombra - tutti coloro che utilizzavano aria condizionata non ci sono piu' non hanno capito che non bastava proteggersi dal caldo era altro che bisognava migliorare.. Comunque per non disperdere energia abbiamo eliminato la pubblicita' del pinguino ..

4 -  nel nostro bunker mia moglie sta per partorire - ora pero' vorrei da voi un consiglio su quale futuro adottare per mio figlio ..anche se so  che non potete darmi una risposta precisa.. Vi prego di aiutarmi. lo facciamo diventare un calciatore ?

5 - quegli stronzi che hanno voluto fare la rivoluzione - mio nonno lo aveva detto - guardate che dopo il capitalismo non c'e' nulla .. Voi dovete capire che la globalizzazzione e' un'altra delle nostre stronzate per permettervi di non crepare immediatamente. noi capitalisti siamo finiti.. Finiti capito ?... non abbiamo nulla da darvi o riconvertiamo immediatamente la nostra energia - oppure ci adattiamo alla globalizzazione.. Comunque morirete in tanti lo stesso. noi no. ora ci dobbiamo difendere dal vostro attacco. non hanno voluto ascoltare - e cosi'.. Ci sono rimaste solo due bombe atomiche non sappiamo a chi tirarle.. Abbiamo pero' oltre 100 aranci grandi come persone tutti transgenici quelli inventati per gli idioti del passato - sono ancora freschi - alcuni anni di succhi sono ancora disponibili..non deteriorano mai.

6 - non ho nulla da dire - solo che i rifiuti prodotti sono tutti nel deserto proprio in quel punto scoperto da quell'imbecille  giornalista italiana - naturalmente continuiamo a nascondere le prove. non si sa. in un futuro... comunque ci scarichiamo ancora e non abbiamo nessun africano da corrompere anche se sono gli unici che possono girare tranquillamente a queste temperature .. A chi lo raccontano ?

7 - secondo le mie analisi - non so per quanto ancora possiamo sopravvivere - siamo rimasti in otto con le relative parentele - ma siamo bloccati in questa enorme fogna che ci siamo costruiti - certo fuori non possiamo andare ...la merda che abbiamo prodotto ci potrebbe uccidere - non c'e' aria non c'e' luce - non c'e' piu' cibo.. Alberi piante animali. ci sono ancora qualche-  pelle nera -  in circolazione - ..ma non possiamo dire che siamo finiti..che il capitalismo e' finito, quindi io direi di organizzare la prossima riunione..

8 - mi arriva ancora qualche email .. Non capisco da dove..il testo e' vecchio tanto. dice .....- se dopo Genova non si formeranno gruppi di organizzazione per l'ambiente in tutto il mondo - se la cultura del rispetto non superera' di molto la sottocultura dell'individualismo e dell'egoismo - se questo G8 - sara' una gran cagnara oggi ...e domani tutti i vacanza nelle nostre macchinine con il bollino blu'  - a comprare ombrelloni cremine gioielli diamanti pellicce e cappotti di peli di cane...allora abbiamo perso - definitivamente...invito tutti all'organizzazione futura progettuale - alla comunicazione - e alla veglia pratica del mondo. (Luana)

ACCORDO RAGGIUNTO SUL CLIMA: ORA INIZIA IL DURO LAVORO

Bonn, 23 Luglio 2001 - La comunita' internazionale ha finalmente mosso un secondo passo per combattere il riscaldamento globale, trovando un accordo sulle regole necessarie per attuare il Protocollo di Kyoto. Greenpeace ha rivolto un ulteriore appello a tutti i paesi coinvolti, in particolare a Giappone, Russia, Unione Europea, Canada, Australia, Nuova Zelanda affinche' ratifichino in via prioritaria il Protocollo. In particolare, Greenpeace si rivolge al Giappone affinche' onori il Protocollo di Kyoto e si impegni definitivamente alla sua ratifica sulle nuove basi dell'accordo di Bonn, anche senza gli Stati Uniti.
Benche' l'accordo contenga diversi aspetti problematici Greenpeace ritiene essenziale che entri in vigore al più presto e non oltre il Summit Rio+10 che si terra' a Johannesburg, in Sud Africa, a settembre 2002. L'architettura legale del Protocollo, che formalmente impone ai Paesi aderenti la riduzione delle emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra, e' un gradino essenziale nell'avvio di un'azione globale per ridurre le emissioni dei gas serra. L'Unione Europea ed i paesi in via di sviluppo hanno svolto un ruolo di leadership nel salvare i negoziati di Bonn dal fallimento perpetrata dal Giappone dal Canada e dall'Australia. Molte parti dell'accordo sono state indebolite grazie agli sforzi di questi Paesi."Se ci si domanda se questa versione annacquata del Protocollo possa essere veramente efficace, bisogna anche chiedersi chi e' stato a combatterlo più violentemente" ha dichiarato Bill Hare direttore politico della campagna clima per Greenpeace "La risposta e' l'OPEC, l'industria del petrolio e le sue associate, e naturalmente gli Stati Uniti. Questa volta il loro tentativo di far fuori il Protocollo di Kyoto e' fallito, ma ci e' mancato poco che riuscissero a centrare il loro obiettivo, e la versione di compromesso e' più debole di quella approvata a Kyoto". L'energia nucleare non rientra nel Protocollo di Kyoto. Il suo  finanziamento non e' previsto nelle sezioni del protocollo che  riguardano il Clean Development Mechanism o il Joint Implementation.  I tentativi dell'industria nucleare di sfruttare il problema dei cambiamenti climatici non ha portato a molto -un altro chiodo conficcato nella bara dell'industria nucleare. Greenpeace ha richiesto che adesso i Paesi non abusino delle scappatoie messe a  disposizione dall'accordo di Bonn. L'organizzazione lavorera'  attivamente per evitare che i governi usino le scappatoie quali  "l'aria calda" o i "pozzi di assorbimento" invece di ridurre le  emissioni dei gas serra attraverso interventi nazionali. (Fonte: Greenpeace www.greenpeace.it )

In questo articolo pubblicato sul Sole 24 ore di lunedì 16 luglio u.s. l'AGIP viene citata come una impresa che ha presentato un "bilancio sociale" con alto indice di sostenibilità! Da quanto risulta da altre notizie, di seguito riportate, non pare che sia proprio così. Quindi.......attenzione al pieno Agip!

1 - Il mercato apprezza l’impresa etica
di Francesco Pacifico
 

Investimenti per la tutela dell’ambiente, progetti per la salute dei lavoratori, finanziamenti finalizzati al benessere sociale: nella comunicazione finanziaria e nei sistemi di reporting cresce l’importanza delle attività "etiche" delle imprese. E in Italia e all’estero decollano le iniziative. È della scorsa settimana a Londra la presentazione del Ftse4Good: otto indici inglesi per il mercato azionario, divisi per aree geografiche e operativi dal prossimo 31 luglio, nei quali vengono "quotate" (basandosi sulla qualità e sulla quantità) le performance sociali di aziende di tutte il mondo, che per farne parte devono soddisfare rigidi requisiti come stabilità ambientale, rapporti con gli investitori e appoggio dei diritti umani. Paletti inderogabili ai quali non si adeguano le industrie impegnate nella costruzione di armi o nella manifattura del tabacco, ma non Intesa, Unicredito (inserito addirittura nell'indice Global 100), San Paolo Imi e Assicurazioni Generali. Strumenti indispensabili visto che le dichiarazioni dell'amministratore delegato di Ftse international, Mark Makepeace: «I fondi a livello mondiale investono sempre di più in quelle società che definiscono responsabili socialmente». Senza dimenticare che questo indice londinese era stato preceduto da uno analogo, ideato nel 1999 dalla Dow Jones: il Dow Jones Global Sustainability Group index. Proprio le richieste degli investitori come di istituzioni internazionali quali l'Onu e l'Ue, spingono sempre di più le aziende a presentare bilanci "etici", sociali o ambientali, che progressivamente si stanno accorpando, vista la comunanza degli argomenti, nei bilanci della sostenibilità, come previsto dal modello "Global reporting initiative". Senza dimenticare poi che in un futuro non molto prossimo — la Shell prevede cinque anni — indicatori finanziari e etici potrebbero fondersi in un unico consuntivo. Anche l'Italia sembra muoversi, anche se lentamente, verso questa direzione se nel 2000 40 aziende hanno presentato un bilancio sociale, 150 uno ambientale, e quasi una decina (come Telecom, Unicredit, Falck e Agip) sulla sostenibilità. Proprio la nascita di questo reporting ha spinto gli organizzatori dell'Oscar di Bilancio e della Comunicazione finanziaria (promosso da Ferpi con la cooperazione, tra gli altri, di Sodalitas, la Fondazione Enrico Mattei, l'Ania e il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti) a premiare per l'edizione 2001 (oltre ai migliori consuntivi civilistici, ambientali e sociali), anche quello della Sostenibilità. La giuria (composta tra altri da Sodalitas e Fondazione Mattei) per decretare i vincitori userà gli stessi criteri per i tre tipi di bilanci etici, valutando tra gli altri la capacità di comunicare i valori come quella di coinvolgere gli stakeholders, i sistemi di governance e gestione per assicurare il rispetto degli impegni, la trasparenza e la completezza, la verifica di revisori terzi. Le richieste di partecipazione vanno inviate (allegando documentazione sul l'esercizio fiscale 2000 e sugli strumenti di comunicazione entro il 30 settembre) via e-mail a oscardibilancio@ferpi.it o in versione cartacea a Segreteria del premio "Oscar di bilancio", via Larga 13, 20122 Milano.

 
2 - L'Agip nel Niger
"Non volevano che venissi a dire a un pubblico italiano cosa fa l'Agip dalle mie parti, nel delta del Niger". Intervista a Oronto Douglas
MARINA FORTI - INVIATA A GENOVA

Oronto Douglas, nigeriano, di professione avvocato, dice che la lezione è stata nuova e amara: "Ho imparato che non avere in tasca un bel pacchetto di soldi è un reato punibile con l'immediata espulsione". Si riferisce a quando martedì è stato trattenuto per ore dalla polizia di frontiera all'aeroporto di Amsterdam: proveniente da Lagos, Nigeria, era diretto a Genova dove è ospite del Public Forum. Interrogato (dove va, perché, a fare cosa), in mancanza di una qualsiasi irregolarità nel suo visto per l'Italia gli è stato contestato che non aveva in tasca abbastanza denaro per sostentarsi. Ordinarie angherie di frontiera verso un cittadino di un paese africano? Non solo. "So benissimo che i soldi erano una scusa. Volevano impedire che venissi a dire a un pubblico italiano cosa succede dalle mie parti, nel delta del Niger, e cosa ci fa l'Agip".
Già, perché Oronto Douglas è un avvocato ambientale e per la difesa dei diritti umani. Uno dei legali che hanno cercato di difendere lo scrittore e ambientalista Ken Saro Wiwa, divenuto leader del movimento della popolazione Ogoni contro la Shell e la devastazione ambientale da questa provocata nel delta del Niger - regione di grandi giacimenti petroliferi. Saro Wiwa, condannato a morte dopo un processo sommario, è stato impiccato nel 1995 con altri otto attivisti Ogoni, quando la Nigeria era sotto dittatura militare. Di questo è venuto a parlare Douglas, ieri, al Forum genovese sul "debito ecologico e sociale del nord" (ne parliamo in questa pagina). "Decine di comunità e villaggi continuano a subìre gli attacchi armati di squadre paramilitari per conto delle compagnie petrolifere, sostenute dallo stato nigeriano. E l'Agip è complice dello stato nigeriano", denuncia. "In breve, è una questione di diritti umani violati, violenza ecologica, distruzione del tessuto sociale, ingiustizia economica, militarizzazione e oppressione: tutto in nome del petrolio".

E' cambiato qualcosa dopo l'esecuzione di Ken Saro Wiwa?

Assolutamente no. L'impiccagione di Ken Saro Wiwa è stata la manifestazione di una mostruosa ingiustizia, quella perpetrata dalla Shell nella regione Ogoni e quella dello stato nigeriano. Ma la violenza non si è fermata. Considera che il generale Olugsegun Obasanjo è arrivato al potere nel maggio del 1999, dopo elezioni dette democratiche. E che una delle sue prime mosse, il 20 novembre dello stesso anno, è stato mandare 4.000 soldati dell'esercito contro la comunità Ogi, seimila persone, lasciando villaggi devastati: in quel solo episodio sono state uccise 2.000 persone, secondo l'organizzazione Human Rights Watch di Londra. Nelle regioni petrolifere del delta del Niger continua la violenza contro le persone e quella ambientale; continuano la militarizzazione e l'oppressione.

Può dare un'idea di cosa significa inquinamento, nel delta del Niger?

Secondo il rapporto sulla Nigeria pubblicato dalla Cia quest'anno nel delta è stato disperso l'equivalente di 10 volte il carico perso dalla petroliera Exxon Valdez in Alaska. E' un inquinamento di dimensioni monumentali, dispersioni dovute a sistematici guasti e incidenti ai pozzi e alle condutture. Lo so, le aziende petrolifere dicono che sono sabotaggi, ma la realtà è una criminale noncuranza da parte di chi opera in Africa - in Europa o negli Usa non si permetterebbero inosservanze del genere. Parlano tanto di fermare l'immigrazione o di "alleviare la povertà". Ma permettendo che continui un simile inquinamento stanno creando e condonando la povertà. Ogni società umana dipende dall'agricoltura, ma qui stanno devastando i principi della sopravvivenza: l'acqua - e nel delta del Niger i corsi d'acqua sono stati uccisi, mio padre era pescatore ma non c'è più nulla da pescare - e la terra per coltivare. Poi hanno imposto una censura sistematica, soppresso la libera espressione, represso ogni protesta.

Aurora Donoso, del gruppo ecuadoriano Accion Ecologica, dice che bisogna chiedere la moratoria delle attività petrolifere mondiali: smettere di scavare nuovi pozzi. Lei è d'accordo?

Sì, per tre ragioni. La prima è che abbiamo bisogno di proteggere gli ecosistemi fragili, di frontiera, perché sono l'unica sicurezza di poter bilanciare le distruzioni avvenute altrove: una foresta vergine ricca di biodiversità è una preziosa riserva a cui attingere se resta intatta. La seconda ragione riguarda sia il Sud che il Nord: è il cambiamento del clima. Stiamo già bruciando abbastanza petrolio e gas e inviando fin troppo carbonio nell'atmosfera. Infine, dobbiamo cominciare a parlare del futuro: la questione del debito ecologico e sociale deve diventare coscienza comune delle nuove generazioni in Europa e in America. Verrà il momento in cui il Nord dovrà risarcire questo debito: perché non cominciare subito?

3 - Nel nome del petrolio
Ambientalisti e indigeni contro l'Agip in Nigeria ed Ecuador
MA. FO. - GENOVA

E' stata nominata più volte, l'Agip. L'azienda petrolifera italiana è stata citata a proposito della Nigeria e dell'Ecuador. Organizzazioni ambientaliste e movimenti per i diritti umani in entrambi i paesi le attribuiscono pesanti responsabilità sia nella distruzione ambientale, sia per pratiche ben poco democratiche verso la popolazione che ha la ventura di vivere nelle sue zone d'operazione. Non è l'unica azienda petrolifera a cui si possano muovere addebiti simili, ma ci interessa perché è roba di casa nostra. Ecuador Accion Ecologica, gruppo qui rappresentato da Aurora Donoso, ha spiegato al Public Forum genovese come l'Agip sia nel consorzio europeo che ha deforestato oltre mille ettari di foresta amazzonica tropicale già solo nella fase di esplorazione per un nuovo progetto petrolifero nel sud del suo paese, scaricando rifiuti tossici nei fiumi e nei suoli e costruendo un oleodotto di 136 chilometri che traversa zone di foresta ancora intatta, riserve ecologiche e zone coltivate; e tutto questo senza consultare le popolazioni locali. "Oggi l'Agip è coinvolta in un nuovo progetto, un nuovo oleodotto per il greggio pesante, che traverserà il paese da est a ovest, dall'Amazzonia alla costa del Pacifico, per 500 chilometri". Le popolazioni indigene e gli ambientalisti avversano il progetto sia perché aprirà alla devastazione altre zone di foresta vergine, ma anche perché spingerà ad aumentare la produzione petrolifera. La stessa Agip è sotto accusa in Nigeria. Nel paese africano l'Agip partecipa al più grande progetto attualmente in sviluppo, l'impianto Bonny Island Lng per la liquefazione del gas naturale (costa 3,8 miliardi di dollari ed è nel Rivers State, nel delta del Niger). Il progetto è stato finanziato nel '95, subito dopo l'esecuzione di Ken Saro Wiwa e altri attivisti, tra le critiche delle organizzazioni per i diritti umani. Dal Rivers State giungono continue notizie di uccisioni e sequestri di persone: a mantenere l'ordine e soffocare le proteste sono mobilitati polizia ed esercito. L'Agip è stata accusata di aver in diverse occasioni fornito i mezzi con cui militari e paramilitari vanno a "riportare l'ordine", operazioni che si saldano con morti e villaggi incendiati. Ne avevamo già sentito parlare, ora Oronto Douglas conferma e rincara. Del resto, dice, "un documentario prodotto dalla Rai mostra tutto questo". Già, un documentario di Silvestro Montanaro (andrà in onda il 29 luglio in C'era una volta, Rai3). L'autore conferma: "L'Agip è accusata di violare le norme sull'impatto ambientale, mantenere rapporti ambigui con la polizia e i militari nigeriani, fomentare i conflitti tra le comunità locali. Ma mostreremo anche che là nel delta a Port Harcour, un milione di abitanti, capitale mondiale dell'energia, la sera gli abitanti devono accendere le candele".



ZOOM ESTATE
invito alla lettura & varietà
 
Globalismo e antiglobalismo
di David Held e Anthony McGrew
Il Mulino, £ 16.000

Il Mondo non è in vendita
di José Bové e Francois Dufour
Feltrinelli, £ 20.000

WTO
di Lori Wallach e Michelle Sforza
Feltrinelli, £ 13.000

A mio figlio, all'alba del terzo millennio
di gilbert Sinoué
Corbaccio, £ 16.000

Contro il capitale globale - Strategie di resistenza
di Jeremy Brecher e Tim Costello
Adelphi, 14.000

Organismi geneticamente modificati. Storie di un dibattito truccato
di Anna Meldolesi
Einaudi, £ 24.000

Il continente invisibile
di Kenichi Ohmae
Edizioni Fazi, £ 35.000

La globalizzazione non è un destino
di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti
Laterza, £ 40.000
 
MANDE`. LE PAROLE DEL GRIOT  
Di Pape Siriman Kanouté; edizioni Lilith, pp. 90 - £. 15.000

Il griot non canta per cantare: è la sua memoria che canta. Lo splendore e le ricche tradizioni dell`antico impero del Mali vengono qui ricostruite attraverso la figura del griot, depositario della memoria storica e della saggezza della civiltà Mandinga. Figura sociale di grande significato, egli è  portavoce della sua gente, consigliere dei re, custode dell`arte musicale e di una tradizione orale in cui la Parola ha il valore insostituibile della verità e della conoscenza. La parola, dicono i griot, è molto leggera quando parte, ma è pesante quando arriva. E` come una palla di fucile: quando parte non si può più riprendere, perchè prende la forma, il colore e il peso che le dà chi la dice o chi la riceve. Per ricevere il libro: info@chiamafrica.it 


AFRICA: TRA DEBITO ESTERO E RISARCIMENTO  
L`Harmattan, pp.134 - £. 27.000

Il libro raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Milano il 7 ottobre 2000, per iniziativa di Fratelli dell`Uomo, Cipsi e Chiama l`Africa. All`interno interventi di Pirzio Biroli, Sara Fornabaio, MAmadou Guiro, Fabio MArcelli, Pedro Miguel, Joseph Ki-Zerbo. Precise responsabilità storiche, economiche e politiche hanno determinato la formazione del debito estero di molti paesi africani e hanno inciso sullo sviluppo dele società locali: questa la tesi portata aalla luce dai diversi contributi. L`Africa non chiede semplicemente la cancellazione del debito, bensì un risarcimento che tenga conto dei soprusi subiti nel corso dei secoli. Alcune proposte in questa direzione sono avanzate nel documento comune, stilato alla fine del convegno e pubblicato nel volume, in cui si esprime la preoccupazione che il debito diventi strumento di nuova colonizzazione e di rafforzamento del sottosviluppo in Africa. Per richiederlo: info@chiamafrica.it
 
Un racconto
di Giorgio Viali


14 luglio 2001

Lunedi' 9 luglio sono andato alla festa di Radio Sherwood a Padova ad ascoltare Toni Negri e Massimo Cacciari. "Dal Fordismo alla Globalizzazione" ricordando Luciano Ferrari Bravo, una discussione sui suoi ultimi scritti. Martedi' 10 sono stato a Trento ad ascoltare Svetlana Broz, che presentava il suo libro (non ancora tradotto in italiano) dal titolo "Uomini giusti in tempi malvagi". 
Mercoledi' 11 luglio ho ascoltato Paolo Crepet che parlava del suo ultimo libro: "Non siamo capaci di ascoltarli", sul difficile dialogo tra generazioni diverse.

Parte Prima

Non mi sarei mai aspettato di incontrare Marta a Padova. E' stato piacevole rivederla. All'improvviso. E non aver il tempo di realizzare che era lei. Non aver il tempo di elaborare quello che stava accadendo. Vederla e immediatamente toccarla. E poi ridere. Allegramente. E realizzare che era li'. Davanti a me. Che mi guardava e sorrideva anche lei.
"Devi uscire a Padova Ovest e poi seguire le indicazioni per lo Stadio Euganeo" cosi' mi aveva detto, al telefono, una ragazza che lavora a Radio Sherwood. Sono uscito a Padova Ovest e ho seguito le Indicazioni per lo Stadio Euganeo. Ho parcheggiato nell'ampio parcheggio esterno. Ho chiuso la macchina e sono entrato nel recinto che delimitava il Festival. Qualche bancarella. Alcuni stand dove mangiare. Non c'era molta gente. Ma i giornalisti erano gia' al lavoro. Intorno a Massimo Cacciari due giornalisti e un cameramen. E poco piu' in la', sotto un tendone bianco, dove era allestita una mostra di dipinti, Toni Negri. L'ho visto di spalle. Ho intuito che era lui dal fatto che fosse circondato da cameramen e giornalisti. Dai capelli bianchi della nuca e dalla corporatura. Solida e robusta.
Mi sono avvicinato. E l'ho visto. Era proprio lui. L'immagine della sua faccia corrispondeva alle tracce e ai punti di riferimento grafici che avevo del suo volto. Braccia conserte. A casa. Parlava. Alle sue spalle un grande dipinto. Non ricordo esattamente l'immagine del dipinto. Ricordo un fiore, uno sfondo nero. La miseria umana e la poverta' subita. La violenza. La paura. La speranza anche. La speranza che non ci sia piu' nessuno che debba subire ancora.
Toni Negri parlava. E ad un certo punto i suoi occhi e la sua voce non sono piu' riusciti a soffocare emozioni profonde che aspettavano solo d'uscire, di rivelarsi. Qualcuno dei giornalisti aveva riproposto, di nuovo, qualche domanda sul G8, sulla globalizzazione. E l'emozione, braccia conserte, era esplosa nella sua voce e nel suo sguardo. Parlava e la sua forza, il suo impegno, la sofferenza anche, il desiderio di cambiamento, l'incapacita' di abdicare alla liberta', l'intransigenza, tutto questo ( e altro), contemporaneamente, rompeva e scardinava il consueto, devastava lo stereotipo del politico imperturbabile, riportava prepotentemente nella politica il sentire e l'emozione.
Poi qualcuno l'ha sottratto ai giornalisti e ai cameramen. E Toni Negri, con tutto il gruppo dei relatori, si e' seduto attorno ad un grande tavolo. Mentre giornalisti, cameramen, fotografi si sono sparpagliati qua' e la'. Qualcuno, a debita distanza, seduto. Qualche altro fermo in piedi. In attesa, tutti, della prossima occasione.
Non so quanti anni abbia. Non lo so' proprio. Non gliel'ho chiesto. Non sto parlando di Toni Negri. So' l'eta' di Negri. La stampa riportava che compira' 68 anni in agosto. Parlo di Marta. Non so' quanti anni abbia. Non lo so' proprio. Provo anche a chiedermelo. Potrebbe averne 26, 27. Ma non ne sono sicuro.
Non ho ricordi precisi del mio incontro con Marta. Solo piccoli frammenti di quello che e' succeso. Un bacio quando ci siamo salutati. La gioia di averla incontrata. 
Cosa abbiamo fatto? Di cosa abbiamo parlato? 
Cosa stava facendo nel momento in cui l'ho vista? 
Non lo ricordo. Per quanti sforzi faccia non ricordo esattamente dove eravamo. Ricordo solo di averla sfiorata sul fianco e di aver poi visto i suoi grandi occhi. Ricordo la mia sorpresa. L'incredulita' di vederla li'. Una grande gioia. Mista ad una consistente incertezza. Sul da farsi. Sulle mie emozioni.
Non so' quasi niente di Marta. E forse e' proprio questo che mi attrae. Apprezzo il suo carattere aperto. La sua sensibilita' che si intravvede chiaramente. La sua capacita' di sorprendermi. Come quando dimostra di conoscere persone che non conosco. E che giocano un ruolo ben definito all'interno di connessioni antagoniste e di movimenti interconnessi. Ricordo Beatrice, la sua amica. Parlo con entrambe. Ho un gran bisogno di parlare. Di raccontarmi. Cerco di non esagerare. Si parla della serata. Di Toni Negri. Di Massimo Cacciari. Marta mi dice che avrebbe voluto parlare con Toni Negri. Chi non avrebbe voluto farlo? Le dico che quando sono arrivato Negri parlava con i giornalisti. Si dispiace di essere arrivata tardi.
Ma andiamo con ordine. 
Ho incontrato Marta al termine dell'incontro. Subito dopo che Massimo Cacciari aveva concluso la serata. E Toni Negri era salito velocemente in un'automobile pronta per accompagnarlo in questura a firmare per una liberta' ancora non completamente matura.
Andiamo con ordine.
Ho lasciato i relatori intenti a leggere il menu, seduti al tavolo del ristorante. Pronti per ordinare. Cosa ho fatto poi? Mi sono informato su dove si teneva l'incontro. E qualcuno mi ha detto che l'incontro si sarebbe tenuto nel grande palco allestito al centro della festa. Lo stavano ancora preparando. Stavano sistemando le luci. C'era gia', sul palco, una lunga serie di sedie allineate. Pronte. Sono ritornato sui miei passi e sono entrato in uno stand-libreria. C'erano tutti (oltre ad altri che non conosco), tutti i libri di cui ho sentito parlare. Di cui ho letto le recensioni. Tutto quel piccolo universo culturale stampato che gravita intorno ai movimenti anti-globalizzazione. Territorio che confina con le tematiche della comunicazione virtuale. Con il consumo intelligente. Con il subcomandante Marcos. C'era anche un piccolo scatolone. I libri all'interno dello scatolone erano scontati del 50%. All'interno un libro di Howard Rheingold. Titolo: La realta' virtuale. Lo prendo im mano. Lo tocco. Lo apro. Cerco la data di pubblicazione:1992. 
Passo poi a guardare i libri non scontati. Disposti, allineati con ordine sopra tavoli bianchi. 
Ricordo tre copie di No Logo. Brillanti. Ricordo di non aver resistito alla tentazione di toccare il libro. Di aprirlo. Sul retro, se non ricordo male, una fotografia dell'autrice. Naomi Klein.
L'unico libro che avrei voluto acquistare era un libro sulla Macedonia. "Gli altri Balcani". Associazionismo, media indipendenti e intellettuali nei paesi balcanici. Me lo aveva segnalato, quello stesso giorno, alla mattina, al telefono, Paola. Dell'Osservatorio sui Balcani. Responsabile referenti nei Balcani. L'ho preso in mano. E ho riflettuto sul fatto che, invece di essere a Padova, avrei potuto essere a Skopje, capitale della Macedonia. Ho riflettuto sul fatto che avevo quasi organizzato tutto per andare in Macedonia. Per andare a vedere quanto stava e sta accadendo. Per aiutare, in qualche modo, il difficile processo di pace di quel paese.
Poi i relatori, arrivano. A gruppetti. Ultime interviste prima di entrare nell'arena per i giornalisti ritardatari. Poi tutti sul palco. Tutti trovano posto, su sedie di plastica verdi, omogenee. Tanta altra gente, seduta o in piedi, intorno, aspetta. Comicia gia' ad essere scuro. Si provano i microfoni. Poi inizia a parlare Giuseppe Caccia. 
Non ricordo cosa ha detto Caccia. Ricordo chiaramente il suo tono di voce. Ricordo di aver percepito una tensione nella sua voce, ma non era emozione. L'emozione era presente in piccole dosi, quasi sempre sotto controllo. La tensione e un parlare veloce, energico e intenso, assumevano un ritmo serrato. In un rincorrersi veloce di frasi, di definizioni, che si perdevano velocemente tra la gente che ascoltava. Il discorso e' passato velocemente. Non e' stato breve. Ma e' stato continuo, senza interruzioni, senza sbalzi. Senza scarti. E dopo un breve intervento del rappresentante degli studenti della Facolta' di Scienze Politiche di Padova ha parlato Massimo Cacciari.
E si e' entrati di prepotenza al centro del dibattito. La figura di Luciano Ferrari Bravo e il suo lavoro intellettuale hanno cominciato a definirsi nei contorni e ad assumere caratteristiche e connotazioni precise. Iniziavo a intravvedere un territorio e iniziavo ad avere la possibilita' di orientarmi e di collocare Luciano Ferrari Bravo all'interno di un contesto. Non conoscevo quest'autore. Mi ero imbattuto sicuramente in qualche suo scritto. Ma per me, lunedi' sera, Luciano Ferrari Bravo era un eminente sconosciuto e il titolo del suo libro "Dal Fordismo alla Globalizzazione" aveva contribuito a rendermelo indifferente, invece che alimentare la mia curiosita'. Tutti, oggi, parlano di postfordismo. Tutti, e ancor di piu', parlano, oggi, di globalizzazione. Era il motivo per cui avevo deciso di non andare all'incontro.
Cacciari ha parlato a lungo. Con competenza. Senza emozione. Ma con consapevolezza. Con la lungimiranza di un uomo navigato, esperto del mare della filosofia. Con l'occhio di chi sa' riconoscere percorsi fasulli da innovazioni autentiche. Di chi sa' orientarsi compiutamente nel territorio del lavoro intellettuale universitario. Un po' disilluso. Un po' staccato. Elegante. Impeccabile come sempre in un completo dal colore intenso ma inusuale. Mi ha dato l'impressione di esser diventato piu' riflessivo e di aver compreso l'importanza delle sfumature, soprattutto quelle umane. 
Mi ha sorpreso la sua capacita' di selezionare alcuni percorsi di Luciano Ferrari Bravo, percorsi che sento vicini. Mi ha sorpreso la descrizione di Cacciari di un tessuto reticolare. L'importanza di porre l'attenzione alle peculiarita' di ogni nodo della rete. Perche' ogni nodo della rete assume connotazioni, valenze, prospettive diverse. Perche' ogni nodo ha capacita' strutturali e funzionali diverse. Potenzialita' diverse. E' fondamentalmente diverso. Mi e' piaciuta la rappresentazione di questo tessuto reticolare. Dove non si e' in presenza di una rete astratta. Ma di un tessuto concreto. Vitale. Connesso. Cacciari ha poi portato l'attenzione sull'interpretazione di federalismo di Luciano Ferrari Bravo. Un federalismo che si trasforma completamente e assume solida vitalita' perche' viene ridefinito e collocato in un contesto nuovo. Quello della nuova realta', disomogenea e impermeabile alle vecchie categorie e agli stereotipi univeristari. Il federalismo assume allora una sua peculiarita', la discussione sul federalismo assume motivo d'essere. Dentro un contesto vitale dove si dissocia dalla figura dello stato e da definizioni giuridiche collaudate, per assumere una connotazione positiva, propositiva e antagonista. Un mettere al centro quello che usualmente e' marginale, tutti quei movimenti, quelle realta' vitali che sono invece la forza reale del tessuto sociale e politico. Un tocco da maestro. La dimostrazione dell'abile capacita' di Luciano di trasformare, sovvertire e rendere antagonisti stereotipi altrimenti estremamente pericolosi.
Il microfono poi passa nelle mani di Negri. E l'emozione sgorga subito prepotente. La sua passione, la sua intransigenza salgono subito in superficie. Violentemente. Prepotentemente. Alimentate da una inesauribile energia sotterranea, supportate da una vita intera di pensieri e azioni. Di scontri e di passioni.
Negri non ha potuto fare a meno di ripercorrere dall'inizio il percorso di Luciano Ferrari Bravo. Partendo dai suoi primi scritti. 
"La sua azione intellettuale è un modello di analisi marxista radicata nella lotta degli uomini, dalle teorie sull'imperialimo alla critica dello Stato nazione. Luciano ha intuito il declino del keynesismo circondato dal silenzio impotente del movimento operaio. Da lì siamo partiti per costruire una nuova teoria sovversiva, di resistenza allo Stato globale, di antagonismo non subalterno al dominio capitalistico sul mondo".
Ma l'attenzione di Negri si posa fin da subito su considerazioni metodologiche. Sul metodo di lavoro di Luciano. Negri ce ne parla. Ce lo descrive. Luciano raccoglie piu' informazioni possibili, le inserisce e le accumula pesantemente all'inizio del lavoro. Sembra voler riempire la discussione di possibilita' e percorsi gia' delineati. E poi dopo averci sommersi, dopo averci spiazzato, dopo averci completamente confusi, inizia un lavoro attento e preciso di analisi e di ricollocazione e ridefinizione di tutti gli elementi in gioco. Con una intensita', con una volonta', con un metodo puntuale e sempre verificato. La figura e le caretteristiche intellettuali di Luciano Ferrari Bravo continuano cosi' a definirsi sempre con maggior precisione. Ma ancor maggiormente si definisce e si manifesta il carattere di Negri. La sua forza emotiva, il suo materialismo congenito, la sua perentoria binarieta', il suo manicheismo strutturale. Un dualismo emotivo che impera e travolge. Che svela la realta' e che si configura come l'unica possibilita' che abbiamo per trasformare la materia stessa. L'unica possibilita' per accedere al sapere, e l'unica via per trasformare il reale.
L'emozione incontenibile, la passione, l'indipendenza di Negri non possono non far breccia. Attraversano e infrangono fragorosamente quello spazio asettico e impersonale che tutti noi cerchiamo di assegnare alla politica e alle relazioni sociali. Elimina improvvisamnete ogni possibile scusa. Ci colloca inesorabilmente di fronte alle nostre responsabilita'. Alle necessita' inderogabili degli altri. Alle emozioni che la politica ha sotterrato lontano e che cerca di clonare virtualmente. L'intervento di Negri non lascia spazio a possibilita' di fuga. Ci accerchia. Non ci da' tregua. Ci impone un confronto diretto. Ci presenta l'intensita' della presenza umana. Intrisa di carne e di emozioni. Come ignorare questo messaggio? Come fare a nascondere quel territorio inerte, lontano, nascosto che rappresenta il nostro impegno sociale e politico? Come e dove nasconderci ancora? Come non ripartire? Non riprovare? Come non permettersi un'altra possibilita'?Da portare avanti con passione e con metodo. Con tenacia e con ostinazione. Con consapevolezza e amore.
Cosa aggiungere a questo mio racconto? Mancano ancora molti particolari di quanto e' successo. Qualche altra persona che ho incontrato. Qualche altro libro che ho sfogliato. Non posso non raccontare che al termine del primo giro di interventi l'incontro e' stato chiuso da una replica di Toni Negri e da un ultimo intervento d Massimo Cacciari. In una chiusura emblematica. Forte. Aperta. Dove le posizioni dei due relatori si distanziavano e prendevano inesorabilmente delle connotazioni e delle posizioni diverse. L'incontro si chiudeva con un piccolo accenno di confronto, di discussione. Si chiudeva nel momento in cui iniziava la possibilita' di un dialogo. Che rimaneva appena abbozzato, appena accennato. Infantile. Prendeva le forme di una contrapposizione. Di una diversita' di opinioni. Rimandando fortemente ad una necessaria e inevitabile indipendenza e autonomia delle posizioni di ciascuno. A questo punto ho incontrato Marta. E quando se ne e' andata, con i suoi amici, sono rimasto al festival a gironzolare. In fondo, sulla destra, su un grande schermo proiettavano un film.

Parte Seconda

Martedi', nel tardo pomeriggio, sono partito per Trento. Mi sono fermato a fare benzina prima di entrare in autostrada. Tra un sorpasso e un altro, in un momento di tranquillita', mi e' venuta la tentazione di verificare quando scadeva l'assicurazione. Ricordavo chiaramente che il bollo scadeva in agosto, ed ero convinto che anche l'assicurazione scadesse nello stesso periodo. Prendo il tagliando e mi accorgo con grande sorpresa, che l'assicurazione e' scaduta il 6 luglio 2001. Panico. Che fare? Tornare? Decido di continuare. E poi di tornare per la strada normale. Arrivo a Trento. Parcheggio prima possibile. Lontano dal centro e da possibili controlli della Polizia. Chiedo informazioni su come arrivare in Piazza Dante. Percorro un sottopassaggio. E sbuco davanti alla stazione. Piazza Dante e' proprio li'. E il Palazzo della Regione e' a poche centinaia di metri. Quando entro nel Palazzo e salgo al secondo piano mi accorgo di essere uno dei primi ad essere arrivato. Mi siedo. E aspetto.
La giornata di martedi' e' passata velocemente. Pensando a Marta. A quella complicita' che mi pareva di aver letto nei suoi occhi. A quella completa solidarieta' nei momenti di dialogo. Al suo sorriso. Alle sue parole. Alle sue espressioni. A quanto ci eravamo detti. A quel bacio finale. Un bacio formale. Staccato. Senza un abbraccio. Ma denso di rispetto. Caldo. Intenso. 
Con la voglia e la tentazione di telefonarle. Di sentirla. Per verificare. Per confrontare sentimenti ed emozioni. Con la speranza di rivederla presto.
Ma cosa avrei detto a Marta se mi avesse chiesto cosa faccio. Di cosa mi occupo. Come mi guadagno da vivere. Faccio fatica a parlarne anche con me stesso. 
Cosa fai? Di cosa ti occupi? Come ti guadagni da vivere? 
E' piu' d'un anno che non lavoro. Che ho deciso di resistere. Che ho deciso di contrastare per quanto e' possibile un collocamento che considero estraneo. Insoddisfacente. Inaccettabile. E' piu' d'un anno che, con intensita', con coraggio, cerco percorsi alternativi. Difficili da raccontare. Difficili da comprendere. 
Cosa faccio? Di cosa mi occupo? Come mi guadagno da vivere? Scrivo. Mi occupo di informazione. Sto cercando di mettere in discussione alcune modalita' consolidate di produzione e di consumo dell'Informazione stessa.
In un piccolo, quotidiano, movimento di resistenza, di coraggio, di costante tensione con l'ambiente che mi circonda e che si premura di presentarmi dei parametri e dei modelli che non riesco a incarnare.
Nel frattempo la sala dell'Incontro ha iniziato a popolarsi. Una quarantina di persone. Niente in confronto con le duemila che il Manifesto stimava esser intervenute a Padova all'incontro con Toni Negri. Un piccolo pubblico. 
Prima di entrare nella sala mi decido a parlare con il ragazzo e la ragazza che avevano allineato una serie di piccole pubblicazioni su cui campeggiava il logo dell'Ics (Consorzio Italiano di Solidarieta'). "E' tempo di pace", questo il titolo del libretto. Mi presento. Mi riconoscono. Entrambi. La ragazza si presenta. E' Paola. Ci siamo sentiti al telefono il giorno prima. Lunedi'. Le avevo chiesto informazioni sulle iniziative e sui progetti attualmente in corso in Macedonia. Mi aveva detto, gentilmente, di contattare l'Ics. Avevo allora telefonato all'Ics. E sorpresa delle sorprese, mi ero sentito chiedere, cortesemente, di ritelefonare dopo il G8. 
Come? Non ci posso credere. Chiedo informazioni su progetti in corso in Macedonia e una segretaria, cortese, dopo aver parlato con qualcuno, mi chiede di ritelefonare dopo il G8? Se non fosse successo non ci crederei. Non mi sono arrabbiato nel momento in cui mi e' stato chiesto di ritelefonare. E forse ho sbagliato. Sono rimasto troppo colpito dalla singolarita' della risposta. Dal suo valore simbolico. Sono rimasto stordito. Paola allora mi aveva chiesto di mandarle una mail. Assicurandomi che avrebbe fatto il possibile per darmi una risposta. Se riuscivo a pazientare qualche giorno.
Entriamo insieme nella sala rosa. L'aria condizionata si sente appena appena. E l'incontro inizia. Con la presentazione cortese e ospitale di Passerini. Consigliere regionale e responsabile del Forum per la Pace di Trento. Passerini introduce Svetlana Broz e la sua interprete. Svetlana Broz e' una nipote di Tito. Medico cardiologo, ha vissuto le trasformazioni della Jugoslavia da un punto di vista privilegiato. Soprattutto per la sua scelta coraggiosa di prodigarsi, prima, ad aiutare la popolazione e per la decisione, poi, di scrivere un libro che parlasse non delle atrocita' e della miseria umana ma ricercasse, con uno scarto improvviso, orgoglioso e coraggioso, ricercasse gli uomini giusti che erano vissuti in quei tempi malvagi. Dando prova di un coraggio e di una generosa profondita'.
Svetlana Broz inizia a parlare, tradotta non senza difficolta. E ci racconta come e' nata l'idea del libro. Come abbia scritto quel libro. Con quali difficolta'. Quanto inusuale sembrasse la sua idea. E quanto, allo stesso tempo, fosse necessaria. Svetlana Broz, a tratti, sorride. Ha uno sguardo apparentemente forte. Sicuro. Solido. Ma inaspettatamente, nella sua voce, trapelano momenti di intensa emozione. Si intravede, sotto quello sguardo orgoglioso, un universo emozionale delicato e profondamento ferito. Una vita difficile. Momenti di grande difficolta', episodi di incontro con una sofferenza umana violenta. Paralizzante. Devastante. L'esperienza del campo di concentramento. Esperienza non diretta, ma forse proprio per questo ancora piu' scardinante e incomprensibile.
Seguo, da un po' di tempo, percorsi e traiettorie che a tratti sembrano lontani e inconciliabili, a tratti si avvicinano fino a sfiorarsi e sembrano sovrapporsi fino a costruire un unico e intenso flusso di azioni ed emozioni. Altre volte, invece, questi percorsi si svolgono parallelamente. Mantenedo una equidistanza che sembrerebbe impossibile. Geometrica. Sono fondamentalmente due percorsi. Il primo. L'originario. Parte dall'Informazione. Da una ricerca attenta e una riflessione inconsueta e spregiudicata sul ruolo dell'Informazione. Sul ruolo e sul consumo dell'Informazione. L'altra traiettoria si occupa della Macedonia. E si innesta sulla prima, anzi parte, nasce dalla prima e poi diventa indipendente. E a tratti si ricongiunge con le riflessioni sull'Informazione, arrichisce quella tematica di nuovi stimoli oppure ne ricava nutrimento. Ho scritto vari articoli sull'Informazione. Ho contattato varie realta'. Per verificare sul campo l'attendibilita' di alcune mie considerazioni. Per saggiare la bonta' delle stesse. Soprattutto per comprenderne l'aderenza alla realta'. La consistenza. La non virtualita'. Parlare di Informazione potrebbe sembrare un discorso astratto. Virtuale. Filosofico. Lontano e inconsistente. Ma non lo e'. Ci confrontiamo quotidianamente con l'informazione. La consumiamo. La produciamo. In un universo materiale, economico e sociale dove l'informazione gioca un ruolo importante. Centrale. Ma spesso dimenticata. Nascosta. Difficile da raggiungere. Perche' e' essenzialmente una componente determinante. Coinvolgente. Potenzialmente antagonista e sovversiva. Come dire? Una zona rossa. Un luogo impenetrabile. Dove pochi hanno il permesso di entrare. Fare Informazione vuol dire impegno concreto. Capacita' di confronto diretto con quanto accade. Vuol dire scegliere di cosa occuparsi, scegliere cosa leggere. Scegliere cosa fare. Come agire. Cosa chiedere. Cosa dare. In una correlazione cosi' semplice ma cosi' profondamente determinante. Dalle riflessioni sull'Informazione e' partita ad un certo punto l'attenzione per quanto accade in Macedonia. La Macedonia, un piccolo stato, nato dallo smenbramento della ex-Jugoslavia, sta vivendo da alcuni mesi una situazione di gravi tensioni interne. Dove tutti i presupposti, tutti i segnali, tutte le indicazioni, segnalano una situazione pericolosa, ancora sotto controllo, che potrebbe pero' sfociare in una devastante guerra civile.
I contati , le trame che lentamente sono andato tessendo, iniziano a interagire e a dimostrare una loro concreta utilita'. I dialoghi instaurati. La continua proposizione di tematiche legate all'Informazione. Le domande che mi sono state rivolte. L'attenzione che qualcuno mi ha dedicato. La tensione che l'Informazione di per se' determina. Tutte queste, e altre componenti, si ricompongono a tratti fino a formare un disegno, una struttura, un framework, che permettera' di pensare e costruire esperienze e progetti innovativi.
A Padova ne ho parlato brevemente con Giuseppe Caccia. E ne ho parlato anche con una responsabile di Radio Sherwood. Non ricordo il suo nome. Me ne scuso. Mi ha guardato. Incerta. Indecisa su come classificarmi. Ma solo per un attimo. Poi, il mio abbigliamento e il mio lessico, l'hanno indotta a collocarmi inesorabilmente in un territorio lontano. Straniero. Emarginato. Non indossavo la divisa che si aspettava. Una divisa antagonista, che le avrebbe permesso di riconoscermi senza la fatica di guardarmi negli occhi.
Eppure l'Informazione per una Radio dovrebbe essere motivo continuo di confronto. Di analisi. Di riflessione. Di attenzione. Di verifica. Di osservazione. Luogo privilegiato per un'informazione aperta. Aperta lato utente. Un'informazione attiva. Un'Informazione che non sia chiusa. Che non informi solo e perentoriamnete su quanto e' gia' accaduto. Come un bollettino di guerra che si limita ad elencare i caduti. L'informazione dovrebbe produrre aperture. Emozioni. Possibilita' di riflessione. Stimoli al confronto. I proclami di Luca Casarini cosi' presenti e centrali nell'informazione di Radio Sherwood rappresentano un'informazione chiusa. Un proclama. Un bollettino. Hanno un senso sovversivo nella stampa tradizionale, commerciale. Ma proprio non hanno un senso sulla stampa e sull'Informazione alternativa. Rappresentano qualcosa di chiuso. Profondamente inutile. Una Informazione che diventa rassicurante, come l'intrattenimento. E il consumismo.
Seguo con attenzione quanto Svetlana Broz e l'interprete ci raccontano. Il perche' di quel libro. Le difficolta' nello scriverlo. La difficolta nel far capire agli altri l'importanza del lavoro. Il progetto della costruzione di un Giardino dei Giusti. Dove si piantera' un albero per ogni Giusto. L'interprete a tratti si fa' aiutare da Paola. Si scusa. Senza addurre motivi formali della sua difficolta'. Apertamente chiede aiuto quando non riesce a trovare la parola corretta. Paola aiuta. Ma senza troppa generosita'. Al termine della presentazione del libro, dopo la lettura di un piccolo brano del libro, si da' spazio alle domande. E questo spazio di confronto diventa la parte piu' importante della serata. Apre un momento di confronto. E anche di scontro. Mi e' rimasto impresso l'intervento intenso, apparentemente controllato, di una signora che ha vissuto, direttamente, l'epoca della pulizia etnica del regime del MarescialloTito. Il nonno della Svetlana Broz. Ha ricordato come in quegli anni le minoranze etniche, quella italiana inclusa, erano state costrette ad abbanfonare la Jugoslavia. L'istria per l'esattezza. Per andare a vivere altrove. Le parole pacate, le varie repliche, l'interesse sentito per una risposta che diventava personale, nascondevano un profondo abisso di incomprensione, una emozione ancora viva e attiva, una ansia e una rabbia ancora presenti, dopo tanti anni.
Ho avuto anch'io la possibilita' di fare una domanda. Veloce. Sulla situazione in Macedonia. Svetlana Broz mi ha fatto capire quanto sia preoccupata. La Macedonia sembra non aver imparato niente. A dimostrazione di quanto sia difficile apprendere e imparare, anche quando si e' circondati da persone che hanno gia' sperimentato percorsi che si sono rivelati devastanti. La Macedonia e' fino ad ora rimasta esclusa dalla violenza etnica e nazionalista che ha invece colpito violentemente gli altri stati della Jugoslavia. Ed ora sembra esser pronta a ripetere gli stessi errori degli stati vicini. Sembra pronta a percorrere la stessa strada. Svetlana Broz e' preoccupata. E' convinta che ci siano tutte le premesse per una violenta e cruenta guerra civile. Quando le chiedo se pensa che un intervento della Nato possa aiutare la situazione mi dice semplicemente che preferisce dieci giorni di tregua ad un sol giorno di guerra. E mi ricorda che non e' una politica. E che non sa' dare una risposta alla mia domanda. Ricorda quanto sia rimasta sorpresa del fatto di esser andata in Macedonia durante una delle ultime tregue. Ricorda di aver lasciato la Macedonia tranquilla. Ricorda il suo stupore e la sua increduliota' nell'apprendere, qualche giorno dopo, dalla televisione come una gran folla avesse assediato il parlamento macedone, chiedendo eplicitamente la distrubuzione di armi ai civili.
L'incontro si e' poi chiuso con alcune domande che hanno improvvisamento affrontato il problema di come vivere dopo aver sperimentato l'odio e la violenza. Di come affrontare il ricordo. Di come pensare al futuro, costruire il presente, senza dimenticare e sotterrare il passato.
In questo, tutto personale, percorso di avvicinamento alla realta e alla situazione macedone, ho attraversato varie fasi. Come giornalista avevo deciso che sarei andato in Macedonia. Per vedere direttamente quanto stava accadendo. Per raccontarlo agli altri. Per sensibilizzare l'opinione pubblica. Poi ho deciso di non partire. Non so perche'. Me lo chiedo adesso. Per verificare da dove sia scaturita questa decisione. Perche' non sono andato in Macedonia? Avevo la possibilita' di farlo. Lontano da dirette incombenze e oneri familiari. Slegato da immanenti impegni lavorativi. Perche' ho deciso di non andare? Mi son chiesto se la mia presenza la' fosse importante. Necessaria. E non son riuscito a darmi una risposta affermativa. Andare solo per fare informazione mi era sembrato inaccettabile. Avevo gia' contattato una serie di macedoni. Avevo chiesto aiuto per trovare una sistemazione decorosa ma non eccessivamente costosa a Skopje. E molti mi avevano risposto, con insolita sollecitudine, rendendosi disponibili ad aiutarmi. Andare in Macedonia, andarci per agire concretamente, implicherebbe la scelta di stabilirsi la'. Non di andare e tornare con una tabella di viaggio preordinata. Con una scadenza precisa. Andare in Macedonia avrebbe un senso solo nel momento in cui si decide di impegnarsi concretamente la'. Nella quotidianita'. Nel lavoro. Nella solidarieta'. Nel confronto e nel dialogo. Un compito molto difficile. E ancora da venire. Almeno per me.
Ho seguito, seguo tutt'ora, le novita' sulla situazione macedone. Ed e', ad oggi, l'unica deroga che mi permetto alla decisione che ho preso di sospendere, a tempo indeterminato, il consumo di tutta l'Informazione commerciale. Ho deciso, ancora tre settimane fa', di eliminare ogni informazione mediata dell'enterteiment televisivo, dell'enterteiment della carta stampata e da quello dell'accesso e delle connessioni virtuali. Turn off the corporate media. Una campagna che sempre di piu' mi sentirei di riproporre e consigliare. Che pur se limitata nel suo approccio eminentemente negativo, di rifiuto, puo' servire a ridurre l'assunzione di un'informazione che non ha altra finalita' se non quella di catturare la nostra attenzione e il nostro tempo libero. Un'informazione che ha il compito reazionario di controllare, di nascondere, di allontanarci dai punti vitali della nostra emotivita' e del nostro impegno. In definitiva dalla vita stessa. Ma torniamo a noi. L'unica deroga a questa decisione mi permette di seguire sui media commerciali le informazioni sulla Macedonia.
Ma come aiutare la Macedonia? Che si puo' fare? Dover ammettere che siamo troppo piccoli, insignificanti, per contribuire ad uno sviluppo pacifico di quella convivenza statuale mi sembra una risposta troppo semplicistica. Mi sembra troppo comodo. E allora? Non ho trovato altra soluzione che quella di attivare resistenze e sensibilita', emozioni locali, quotidiane, per testimoniare una solidarieta' a chi subisce la' una situazione di disagio, di sconfitta e di violenza. Non ho trovato altra soluzione che attivare attenzione, mail, possibilita' di incontri informali per discutere, intrecciare trame e tessere contatti. Si puo' fare altro? Spero di scoprirlo al piu' presto.
Prima di uscire dalla sala rosa saluto Paola. La guardo. Si vede chiaramente che e' stanca. Le raccomando di riposarsi. Di prendersi del tempo per se stessa. Paola. Alta. Occhi profondi. Uno sguardo e una vitalita' attiva. 
Non lascia spazio a possibili contatti emotivi. Non sembra averne il tempo. La saluto. Ritorno alla macchina. Decido di ritornare in autostrada. Con cautela. E' tardi. Non avrebbe senso tornare per la strada normale. Sarebbe troppo lungo e impegnativo. Il rientro e' tranquillo. Poco traffico. Arrivo a casa. Ripenso a Paola e a Marta. Provo a confrontarle. Penso al fatto che non mi sono ancora deciso se telefonare o meno a Marta. Il numero di cellulare ce l'ho. Decido di telefonarle il giorno dopo. Nel pomeriggio. Bene.

Parte Terza

Mercoledi' l'ho passato aspettando che arrivasse il pomeriggio. Avevo deciso di telefonare a Marta. Ho pensato a lungo a cosa le avrei detto. Cosa potevo dirle? Mi pareva che non fosse importante cosa le avrei detto. Ma come lo avrei detto. Non erano importanti le parole che sarebbero uscite dalla mia bocca ma la mia capacita' di trasmetterle una emozione, di farle percepire una apertura di sentimenti. La voglia di mettermi in discussione. Di sorpassare dei limiti imposti da regole e consuetudini che smorzano e inaridiscono la nostra emozionalita' invece di permetterne lo sviluppo e la crescita. Cosa le avrei detto? Ciao. Tutto bene? Ti disturbo? E poi avrei dovuto chiederle direttamente, senza nascondermi dietro perifrasi, dietro passaggi intermedi, avrei dovuto dirle che volevo rivederla. Mi sembrava la cosa piu' corretta da dire. Una frase chiara. Una scelta. Ma non tanto per dimostrarmi sicuro. Quanto per assumermi fino in fondo la responsabilita' di quello che dicevo. Di quello che le chiedevo.
Passo le mie giornate davanti al computer. Leggo. Scrivo. Seguo un piccolo numero di mailing list, curo il sito di umanamente, controllo le mail e rispondo quando ce n'e' bisogno. Cosa potrei fare per sovvertire ed emozionare anche questo settore della mia vita. Come potrei procedere, non per decostruire, non per un'operazione di reversing, ma per aprire e riattivare comportamenti che sono diventati inerziali?
Domanda difficile. La tecnologia ci ruba parte della nostra vita. Si incunea all'interno della nostra mente puntellandosi ovunque, inserendosi in qualsiasi spazio vuoto. La tecnologia non e' essenziale. Imparare a convivere con essa e imparare ad usarla intelligentemente e' un compito arduo e faticoso. Sono riuscito da tempo a smettere di rincorrere le ultime novita' e le ultime innovazione tecnologiche. Mi rifiuto costantemente di utilizzare strumenti eccessivi per compiti semplici. Scrivo regolarmente sul Notepad di Windows. Mi e' piu' che sufficiente. Sono riuscito a neutralizzare parte della gran quantita' di informazioni e di news che in realta' non sono che intrattenimento. Cerco di mantenermi sempre attento e vigile. Ma questo nuovo strumento ha delle potenzialita' notevolissime. Naturalmente anche notevoli potenzialita' di irretirci in un universo virtuale, senza sbocchi, senza emozioni, senza forze. Dove l'inerzia mentale si adagia, satura e sazia.
La tecnologia e' uno strumento che mi permette di comunicare. Mi permette di comunicare con gli altri. Ma tutte le possibilita' che offre, che farebbero pensare ad un "aumento" della capacita' comunicativa umana in realta' si dimostrano inutili. Il faccia a faccia, reale o virtuale, rimane ancora l'unica possibilita' di comunicare che possiamo permetterci.
La giornata di mercoledi' passa velocemente. Cosa avrei fatto quella sera? Non lo sapevo ancora. Dipendeva da quello che mi avrebbe detto Marta. Dipendeva da cosa decideva. Avrei potuto andare a Bologna. A trovarla. Oppure avremmo potuto incontrarci in un territorio intermedio. Pensavo a Ferrara. Citta' che conoscevo per avervi frequentato alcuni anni di Universita'. Oppure avremmo potuto andare insieme a qualche incontro. E poi esserci fermati a parlare sul tardi. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, potevo decidere di andare a Genova, dove alla mattina del giorno dopo, avrei potuto partecipare all'incontro su "Globalizzazione e conflitti" organizzato dalla Biennale delle riviste culturali. La serata era aperta. Ed era piacevole lasciarla cosi' sospesa. Non sapere cosa sarebbe successo. Non sapere cosa avrei fatto. Non sapere se avrei rivisto Marta.
Alle 5 e mezza del pomeriggio decido di telefonarle. La comunicazione e' disturbata. Si sente a tratti. Nel momento in cui le chiedo se possiamo vederci la linea cade. Ritelefono. La comunicazione e' ancora disturbata. Altro tono di voce. Le chiedo quando posso ritelefonare. Sei e mezza. Esco. In corpo una strana euforia. Gli occhi che brillano. La consapevolezza di aver superato dei limiti che non esistono ma che sembravano presenti e attivi. Gioia, paura, inconsapevolezza. 
Scendo in garage e prendo la bicicletta. Mi viene in mente che quella sera avrebbe dovuto esserci un Incontro con Paolo Crepet. Un incontro che era previsto per il 6 giugno, ma che era stato poi spostato all' 11 di luglio. Mi ricordo di averlo letto sul Giornale di Vicenza. Ricordo anche che me ne aveva parlato Rebecca. Occhi dolci. Ma incerti. Spaventati. Profondi e delicati. Rebecca insegnante di scuola materna. Lei me ne aveva parlato. Mi era sembrata molto interessata. Interessata alla presentazione del libro e a Paolo Crepet. Decido di vedere se e' a casa. Suono il campanello. Una, dua, tre volte. Ma non risponde nessuno. Al parco giochi sotto casa intravedo sua figlia. Le dico di dire alla mamma che l'avevo cercata. Vado al supermercato. Per ingannare l'attesa. E anche per comprare qualcosa da mangiare. A casa non c'e' piu' niente.
Poi ritorno. Sono le sei e mezza appena passate. Ritelefono. La comunicazione e' ancora disturbata. Chiedo a Marta nuovamente se possiamo vederci. Marta mi dice di essere impegnata per tutta la settimana. Sicuramente anche per la prossima. C'e' il G8. Non faccio a tempo a dirle ciao, grazie, e la conversazione termina. E la gioia di aver comunque provato si somma alla tristezza di non esser riuscito a far capire il significato della propria scelta e della telefonata. Non so che fare. Rimango un po' stordito. In silenzio. Ma solo un attimo. Il tempo di riprendermi e suona il citofono. E' Rebecca. Vuole sapere perche' la cercavo. Le chiedo se sarebbe venuta ad ascoltare Paolo Crepet. Mi dice che non si ricordava dell'incontro. Che non sapeva se ci sarebbe andata. Che avrebbe deciso piu' tardi.
Ritorno al computer. Mi collego ad Internet. Leggo qualcosa. E mi scopro a pensare che forse la manifestazione antagonista che si svolgera' a Genova non e' altro che un bisogno simbolico di aprire tutte le Zone Rosse. Quei territori dove la violenza controlla la tranquillita' di una vita senza emozione. Quegli spazi asettici dove la vita scorre ordinata e dove l'economia dei sentimenti, prima dei beni, riesce a regnare silenziosamente. Ripenso ad alcune proposte che aveva fatto Leonardo Montecchi. Alla necessita' di mettere in atto delle spettacolarizzazioni della Zona Rossa. A ritualizzare la lotta per l'apertura di quegli spazi puliti e ordinati. Soffici e insonorizzati. E proseguendo nella riflessione mi chiedo se la manifestazione di Genova non sia essa stessa un rituale per tutte le persone che sono rinchiuse all'interno di zone rosse. Mi chiedo se anch'io non sia, nella mia quotidianita', all'interno di una zona rossa. Protteto da frontiere ben controllate. In un territorio dove i poveri, gli emarginati, gli emigranti non possono accedere. In un ambiente che i media provvedono accuratamente a insonorizzare. Riempiendoci la vita di news fasulle e chiuse e di bisogni mediatici indotti. Mi chiedo dunque se l'appuntamento di Genova non sia gia' di per se' un Rituale. Un rituale per imparare ad aprire quelle zone rosse dove confiniamo la nostra vita, un rituale per prendere coraggio e coscienza della nostra situazione. Sempre che invece non sia solo una ritualizzazione per mascherare, ancora una volta, e inesorabilmente l'esistenza della vera zona rossa. La sua collocazione principale. Per sviarne lo sguardo e portare altrove l'attenzione.
Mi faccio una doccia, mangio qualcosa e poi scendo in garage a prendere la bicicletta. Sono le 21 passate. L'incontro probabilmente sta per iniziare. Guardo se vedo Rebecca. Al parco giochi non c'e'. Decido di andare comunque all'incontro. Girando l'angolo di casa la vedo. Mi fermo e le chiedo cosa fa'. Ha un attimo di incertezza. Leggo chiaramente la sua voglia di venire. Leggo nei suoi occhi l' interesse, ma anche l'indecisione, la fatica di rompere anche quel piccolo legame che la lega a rimanere a casa. Verrebbe sicuramente se insistessi. Ma non mi sento di farlo. Mi dice di andare pure. Che poi le avrei raccontato.
C'e' un bel po' di gente. Quando arrivo l'assessore alla cultura sta presentando Paolo Crepet. Mi fermo in fondo alla piazza, seduto sulla bicicletta. Le sedie sono tutte occupate. E diversa gente e' in piedi ai lati. Paolo Crepet, questo signore robusto e autorevole prende con tranquillita' la parola. E inizia a raccontare. Racconta. Con tranquillita'. Con sicurezza. Parla di regole e di bambini, di punti di riferimento e dell'emozione. Della creativita' e del lavoro. Racconta. Intrattiene. Ma e' un intrattenimento che non ha niente a che fare con l'intrattenimento dei media. Impersonale e lontano. E' un raccontare reale. Concreto. Interpreta con tranquillita' uno spettacolo dove e' importante il clima, la complicita' profonda che si instaura tra chi ascolta e il relatore. Uno spettacolo che punta sulle emozioni che riesce ad innescare piu' che sul contenuto intellettuale. Paolo Crepet e' un abile giocoliere delle parole. Ha imparato ad utilizzarle per comunicare. Per aprire non solo la propria mente, il proprio pensiero, ma anche la sua ricerca continua, la sua voglia di domandare, la convinzione dell'importanza delle emozioni. Parla del nostro rapporto con i figli. Della nostra incapacita' di instaurare rapporti sinceri e profondi. Del nostro arrenderci e nasconderci dietro la televisione, dietro le reazioni dei figli, dietro difficolta' che sembrano insormontabili. Parla del lavoro, della nostra profonda incapacita' di non far niente, di dedicarci del tempo, di dedicarci attenzione. Dei cambiamenti profondi a cui dovremo abituarci, dell'importanza di preparare a questi cambiamenti i nostri figli. E' una serata piacevole. Dove qualcuno al centro del Nord Est piu' opulento viene a svelare quanto poco importante sia il denaro. A dire, con una ovvieta' disarmante, che i soldi non fanno la felicita'. Che ci sono altre cose. Che il lavoro non e' tutto. Che dobbiamo permetterci delle possibilita'.
Al termine della presentazione l'assessore apre uno spazio per le domande. Arriva la prima domanda. EPaolo Crepet mi ha dato l'impressione di voler esagerarecon abbondanza nel rispondere. In modo da evitare altri possibili interventi. Il dialogo, lo abbiamo imparato, non e' una cosa da tutti i giorni. E la capacita' di dialogare, di rompere gli schemi anche nel momento del faccia a faccia, nel momento piu' significativo della nostra esistenza, nel momento in cui incontriamo l'altro, non e' una cosa indolore. 
Nel pomeriggio, leggendo alcuni articoli sulla Macedonia, mi ero imbattuto in un'intervista che Mario Boccia, fotoreporter e giornalista, aveva fatto a Labina Mitovska. Una giovane attrice macedone, nota soprattutto per aver girato un film intitolato "Prima della pioggia". 
"Non posso accettare nemmeno lontanamente l'idea che quello che ho visto in Bosnia, quelle distruzioni così cariche di sofferenza umana, possano accadere anche qui". 
Rifletto su un appello per la Pace in Macedonia che un volontario dell'Ics mi ha inoltrato. Firmato dalla Tavola della Pace di Perugia. Dove le richieste formali, le dettagliate e puntuali osservazioni e proposte mi avevano lasciato perplesso. Mi ritrovo di nuovo al centro del problema. Alla domanda su cosa fare, su come intervenire. 
E mi chiedo. Perche' non rinunciare ad un intervento militare e pensare e progettare una forza di pace civile? Fatta di famiglie. Di persone. Che decida di vivere in Macedonia e aiuti, con la sua esperienza, e con la sua diversita', un difficile processo di pace?  Il 15 luglio, era stata indicata come probabile data in cui la forza militare della Nato, composta da tremila soldati, di cui 450 italiani, avrebbe iniziato la sua missione in Macedonia. Le trattative, seguite al cessate il fuoco, si sono dilatate e ad oggi non si prevede, a breve, alcun intervento militare della Nato. Inutile dire che mi sarebbe piaciuto parlarne con Toni Negri. Perche' no' anche con Paolo Crepet. Ma sarebbe stato troppo semplice. E certamente non avrei avuto da loro la risposta che sto cercando. ( Giorgio Viali - viali@altavista.com )

 

IL RACCONTASTORIE DELLA TENDA INDIANA

Se avete parenti o amici con bambini che abitano in provincia di Treviso, o se voi stessi vi trovate da quelle parti Domenica 5 Agosto 2001 esattamente a MONTEBELLUNA  dalle ore 17.00 alle ore 21.00 nel PARCO MANIN  di Corso Mazzini potete incontrare IL RACCONTASTORIE DELLA TENDA INDIANA. Pietro Tartamella monterà il suo Tepee Indiano nel parco. Gruppi di cinquanta bambini alla volta entreranno nella Tenda arredata con tappeti e cuscini per ascoltare storie degli Indiani d'America. Prima di entrare i piccoli ospiti indosseranno un copricapo indiano fatto con piume di cartoncino colorato, verranno truccati in viso e, dopo l'ascolto della storia, riceveranno in dono una magica pallina di argilla; un amuleto che ha il potere di ascoltare e conservare tutti i suoni e le parole che sente. Da diversi anni Pietro Tartamella nei panni del "Raccontastorie della Tenda Indiana" gira le piazze d'Italia, dal Piemonte alla Sicilia, per far conoscere ai bambini e agli adulti che amano ascoltare le storie, la cultura degli Indiani d'America. (Pietro Tartamella)

Borgata Madonna della Rovere 4 10020 Riva presso Chieri (TO) tel/fax 011/9468397

P.S.     Per un maggiore approfondimento del lavoro di P.Tartamella come raccontastorie si rimanda all'intervista apparsa sul libro "Raccontar Storie" di Rita Valentino Merletti, edizioni Mondadori.


 
SOS Salvador
Progetto Sorriso

«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione avviata un anno fa a San Bonifacio. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.

 

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