Ciao Grillo parlante, sono Davide di San Bonifacio. Sabato 21 sono stato a Genova e volevo parlarvi non tanto di quello che è successo visto che i mass media hanno parlato fin troppo di quello che successo, quanto invece di quello che ho provato e che provo tuttora. Io a Genova sono andato per manifestare il mio «no» al sistema dei paesi più ricchi e dire «sì »ad un mondo più giusto e più solidale verso il prossimo e verso l’ambiente. Non che non lo faccia già ogni giorno, rompendo le scatole a tutti quelli che conosco sul commercio equo e il mercato alternativo. Ma la scelta di andare a Genova era dettata dalla voglia di sentirmi parte di un organismo più grande e di un popolo che cerca in modo non-violento di cambiare ciò che sembra impossibile cambiare. Questo popolo cosi diverso e proveniente da tutte le parti del mondo, a Genova c’era. C’erano i pastori sardi che protestavano contro le manipolazioni genetiche, c’erano le vecchiette inglesi della campagna “drop the debt” che distribuivano cappellini bianchi contro l’arsura del sole e c’erano famiglie intere con tanto di bambini al seguito che protestavano contro lo sfruttamento della manodopera infantile nel Mondo. Il problema é che di tutte queste realtà nei mass media non se ne é neanche minimamente parlato. Di questi popoli in movimento verso un mondo migliore, pronti a sfidare il calore del Sole per ore, oltre che un viaggio massacrante, non si é dato alcun rilievo. Ai media e forse a tutti noi, in cuore, interessava di più vedere la violenza e le devastazioni ad opera dei gruppi del black block. L’unica cosa che sbalordiva, capace di rendere Genova un vero e proprio fenomeno mediatico e di incollare milioni di persone allo schermo. Io mi chiedo perché? Perché tanta fatica nel ripetere i miei valori di equità e giustizia quanto basta lanciare un sasso per screditare subito tutti gli sforzi fatti. Perché tanta strada per andare a Genova, ore in treno, ore al sole e ore ad aspettare la ripartenza del corteo mentre davanti i veri violenti stavano dando fuoco alla città. Tutto svanito, tutto messo in secondo piano e tutto reso vile dal gesto di pochi veri violenti. Frange di persone che nessuno veramente conosce e di cui nessuno comprende gli ideali se non quelli di distruggere e creare il panico. Io mi sento estremamente amareggiato e questa é una sensazione condivisa con molti del corteo, forse tutti gli uomini di buona volontà che a Genova sono venuti per manifestare pacificamente. Amareggiato dal fatto che i mezzi di informazione si sono completamente disinteressati del vero popolo degli Anti-G8. Amareggiato dal fatto che le forze dell’ordine non si siano accordate e organizzate prima per fermare questi gruppi estremisti, forse strumentalizzando tutte le violenze. Non so se sia stato tutto pilotato o semplicemente si sia trattato di negligenza da parte di entrambi le parti nel prevedere certe situazioni. Non so nemmeno a chi dare la colpa di tutto ciò e questo non contribuisce affatto con il mio attuale stato d’animo. L’unica cosa che veramente voglio credere è che Genova non sia stata un’occasione persa ma uno stimolo per lavorare di più e spingere tutti a far venire fuori, ora che gli scontri sono finiti, i veri contenuti. A spiegare alla gente in che cosa crede questo popolo che vuole cambiare il mondo per davvero (e non come dice la Omnitel per cercare di ammaliare più clienti). A scendere in campo con più forza e convinzione. Perché se non ci hanno lasciato manifestare in piazza il nostro NO, allora dobbiamo farlo con più forza nella nostra vita quotidiana senza tirare pietre o lacrimogeni ma seminando e portando alla gente la nostra testimonianza. Forse é questo il vero senso di quello che e’ accaduto, forse non aver manifestato come volevamo a Genova ci darà più carica e voglia di impegnarsi nella vita di ogni giorno e magari tornare alle prossime manifestazioni più consapevoli del nostro potere di uomini piccoli e semplici ma con grandi sogni, sogni che i potenti del G8 non possono nemmeno immaginare. Allora sono sicuro che non basteranno le cariche dei celerini e neanche le molotov dei black blockers per fermare il nostro pensiero di pace, giustizia e solidarietà per tutti gli uomini. (Davide Bonamini)
Le profonde ferite di Genova si
curano con la nonviolenza
Non voglio dire nulla dei G8,
che hanno concluso il vertice con un niente di fatto. Non voglio dire nulla del
"blocco nero", composto da professionisti della guerriglia urbana. Non voglio
dire nulla della polizia, delle sue provocazioni, della sua violenza. Mi
interessa, invece, parlare di noi e delle prospettive del movimento di critica
alla globalizzazione. Dopo Seattle, dopo Goteborg, dopo Genova, se il movimento
vuole avere un futuro, deve affrontare con chiarezza la questione della
nonviolenza. Non solo come parola magica da inserire nelle dichiarazioni di
principio, ma come fine e mezzo del proprio agire. Qual era il fine? Impedire ai
G8 di riunirsi, o trovare soluzioni per un'economia di giustizia? Le tecniche
della nonviolenza non possono essere ridotte a training per parare i colpi della
polizia, né basta alzare le mani bianche in alto per fare un'azione nonviolenta.
Oggi bisogna ripensare completamente i metodi ormai inadeguati come i mega
cortei indistinti che sono stati utilizzati dai teppisti quali paravento
per le loro scorribande. Dopo Goteborg era evidente (l'abbiamo detto e
scritto) che la manifestazione di massa a Genova non andava fatta, che sarebbe
stata una trappola. Abbiamo suggerito (ed organizzato) centinaia di iniziative
locali, in tutta Italia, cortei silenziosi in fila indiana (per rappresentare
chi non ha voce e per essere visibili con la propria identità): un modo per
evitare la globalizzazione del movimento antiglobalizzazione. Ma non siamo stati
ascoltati.. All'interno del Genoa Social Forum (GSF) è prevalsa la logica "di
massa": tutti uniti sotto la bandiera del no-global (anarchici, comunisti,
cattolici, scout, pacifisti, ambientalisti, cobas, tute bianche, missionari,
antimperialisti, socialisti rivoluzionari, partiti e sindacati.), pronti ad
offrire una prova di forza. Invece a Genova è stato un massacro, in senso fisico
e politico. Tutto prevedibile e previsto. Troppo facile ora dire che mille
delinquenti organizzati hanno impedito a centomila persone pacifiche di
manifestare e che la polizia ha fatto il resto. Non basta dissociarsi dalla
guerriglia del Black Block; non basta denunciare le violenze delle forze
dell'ordine. Quel che è accaduto a Genova ha radici profonde e mette in evidenza
limiti, approssimazioni, ambiguità di un movimento troppo variegato, che ha
allargato indistintamente i propri confini. Per mesi il GSF ha tollerato ed
accettato l'obiettivo delle tute bianche: "invadere la zona rossa". Il
subcomandante dei centri sociali, promosso sul campo a vice portavoce del GSF,
ha farneticato per settimane di "guerra ai G8", ha dichiarato che "l'illegalità
diffusa è alla base del cambiamento", ha definito i poliziotti "soldati
dell'impero". Il GSF anziché sconfessare le tute bianche ed escluderle dal
movimento, ha concesso loro il riconoscimento politico e le ha accettate come
parte integrante e prioritaria. Il portavoce dei centri sociali ha conquistato
la scena, si è messo sotto i riflettori e davanti alle telecamere: obiettivo
raggiunto. Da quel giorno il capo delle tute bianche ha indossato la maschera da
buono, dichiarando che loro sarebbero andati ad invadere la zona rossa "solo con
i corpi, con gli scudi ma senza bastoni" e avrebbero deposto anche le divise. Un
consumato politico. Ma chi semina vento raccoglie tempesta. Carlo Giuliani, il
23enne morto, ha preso sul serio le parole di sfida e di odio, ha creduto alla
guerra contro i G8 e con un estintore voleva colpire un soldato dell'impero. Le
parole sono pietre! Tollerare politicamente chi ha enfatizzato gli animi con
proclami e addestramenti al corpo a corpo, è stato un errore clamoroso da parte
del GSF. Come è stato un errore mantenere il corteo del 21 luglio dopo la
tragedia annunciata del ragazzo morto. Quando Gandhi assistette a violenze
scatenate dall'interno del suo movimento, sospese ogni campagna in atto. La
nonviolenza è una cosa seria, che non si improvvisa. E' da irresponsabili
convocare migliaia di persone ad una manifestazione politica delicata, senza
avere la capacità e gli strumenti per gestirla. Genova lascia una ferita aperta,
che non si può richiudere addossando tutta la colpa alla polizia, né si può
esorcizzarla dichiarando "vittoria" perché il G8 è stato ridimensionato, come ha
fatto avventatamente il portavoce del GSF. I problemi del movimento sono
ben più profondi e tali resteranno finchè non si affronterà seriamente il
nodo della nonviolenza. A partire dai contenuti, ancora troppo vaghi e generici
per un movimento che si prefigge addirittura lo stravolgimento dei rapporti
economici mondiali. Ci vuole ora una pausa di riflessione, una purificazione. Ci
vuole un lungo lavoro per creare omogeneità di intenti e di linguaggio, di
strategia e di tattica. Un movimento non può fare scorciatoie. Deve crescere
lentamente, nella chiarezza. Diversamente si combinano solo guai. E ancora una
volta la nonviolenza è questione centrale. (Mao Valpiana)
Io accuso
Ore 13,15 - Tra le tante esperienze positive vissute in questi giorni a Genova, quali l’accoglienza dei cittadini genovesi, il corteo dei migranti del 20 luglio, i momenti di preghiera celebrati nella Chiesa di Boccadasse, è la tristezza per le scene di violenza, viste e subite, a prevalere inevitabilmente in tutti noi. A fronte di tante promesse e impegni precisi assunti da coloro che ne avevano la responsabilità, non è stato garantito il diritto ai cittadini che volevano manifestare pacificamente secondo la Costituzione. Le Forze dell’ordine, che avrebbero dovuto impedire la violenza, si sono lasciate trascinare nella sua spirale, tipica delle forze estremiste che avrebbero dovuto controllare. A questo riguardo sono molte le perplessità e gli interrogativi che restano aperti: come è possibile che in una città effettivamente blindata, quale è stata Genova nelle ultime settimane, siano potuti entrare tanti ordigni esplosivi e oggetti contundenti? Come è possibile che sia stata ignorata la presenza, evidente a tutti, di persone che palesemente dimostravano di prepararsi allo scontro armato? Come hanno potuto costoro vagare indisturbati per la città, persino accompagnati da un automezzo di grandi dimensioni? Come hanno avuto il tempo necessario per distruggere interi locali dotati di protezioni blindate? E perché, al di fuori della cosiddetta "zona rossa", la città è stata abbandonata a se stessa? Sgomento e sconcerto abbiamo provato di fronte a cariche indiscriminate della Polizia, che a detta di tantissimi testimoni, colpiva senza distinzione chiunque fosse presente. Alcuni di noi sono stati aggrediti quando già si erano identificati come manifestanti nonviolenti. Per questa confusione e palese incapacità a gestire la situazione, il giorno 20 luglio, avevamo invitato i nostri aderenti a non partecipare al corteo, ma ad organizzare forme di contestazione che garantissero maggiormente l’incolumità dei partecipanti e le finalità del gesto, come ad esempio la tre giorni di digiuno e preghiera di Boccadasse. Non già per dissociarci dal Genoa Social Forum, come qualche organo di stampa ha impropriamente interpretato, ma per impedire che quella che doveva essere una precisa manifestazione nonviolenta finisse per diventare l’occasione di nuove violenze e indiscriminati attacchi. Così purtroppo è stato, non solo nel pomeriggio, ma anche nella notte con la sconcertante irruzione della polizia nella sede del Genoa Social Forum. Rinnoviamo la nostra convinta adesione e partecipazione al Genoa Social Forum. Nello stesso tempo rigettiamo il tentativo strumentale di tutti coloro che in queste ore si adoperano a indicare connivenze e coperture da parte del Genoa Social Forum con le frange violente delle manifestazioni. Sicuramente gli avvenimenti che abbiamo vissuto meritano un’approfondita verifica da parte di tutti. Auspichiamo che su tutte queste vicende sia fatta piena luce nelle sedi appropriate ed il Governo relazioni immediatamente e dettagliatamente in Parlamento. Per questo anche noi saremo presenti alle manifestazioni che si terranno nelle piazze la sera del 24 luglio. Rammarico non minore proviamo perché questi avvenimenti hanno completamente oscurato i grandi temi proposti all’opinione pubblica e ai capi di Stato da parte dei contestatori di questo modello di globalizzazione neoliberista. Non vogliamo mancare di esprimere la nostra gratitudine ai genovesi, che molti gesti di accoglienza e solidarietà hanno manifestato nei nostri confronti, e sono ora vittime della follia violenta che si è scatenata nella loro città. Facciamo eco alle parole pronunciate da Giovanni Paolo II durante l’Angelus di ieri e ribadiamo che la violenza non costruisce alcuna strada verso il cambiamento. Peraltro, siamo coscienti che queste ferite possono aiutare molti ad aprire gli occhi, a vedere le violenze più grandi che questo sistema, fatto di egoismi e complicità, produce ogni giorno nel mondo e a sentirsi corresponsabili nella costruzione di una civiltà di pace, dove la giustizia e il diritto siano garantiti per tutti. (23/07/2001 Segretria nazionale di Pax Christi Italia)
L'OPINIONE DEL CAMPO ANTIMPERIALISTA
L'imperialismo uccide a Cuba, in Iraq, in
Jugoslavia, in Palestina, in Colombia e persino nell' Occidente pacificato e
reso opulento, si dice, dalla democrazia e dal libero mercato.
Il Campo rende
onore al compagno Carlo Giuliani, ucciso a Genova dalle guardie armate del
capitalismo imperialista, ed esprime piena solidarietà alle centinaia di
compagni feriti, perquisiti ed arrestati arbitrariamente e dispersi (sì, ci sono
anche i desaparecidos). "Le giornate di Genova" meritano una riflessione
politica sulla globalizzazione, che in realtà è imperialismo, e sul movimento, o
meglio sui movimenti, che la contesta.
1) Genova non è Cuba, nè l'Iraq, nè la
Jugoslavia, nè la Palestina nè la Colombia. Però se Goteborg non fosse bastato,
Genova dovrebbe aver chiarito a tutti che l'imperialismo e la borghesia non
esitano a ricorrere agli eserciti quando ciò è necessario alla difesa dei loro
interessi. Finchè possono cercano di fagocitare, purtroppo spesso con successo,
i possibili antagonismi invocando la democrazia, il rispetto dei diritti umani,
la promessa di un sistema di mercato (non parlano mai di capitalismo) che mette
al centro la persona. Ma appena l' ormai tradizionale armentario buonista si
rivela inadeguato non esitano a fare fuoco, neppure nel loro "angolo prosperoso
e pacifico", creando artatamente le condizioni per giustificare i più brutali
interventi repressivi e per scaricarne su altri la responsabilità. Quanto
avvenuto a Genova non è affatto causato dal destino cinico e baro: blindatura
della città e assetto di guerra delle forze dell'ordine - disordine nei giorni
precedenti il vertice lasciavano presagire che le mobilitazioni non sarebbero
state una passeggiata. Il sistema si preparava ad offendere, come poi ha fatto
sospendendo di fatto le più elementari garanzie costituzionali e ricorrendo a
mezzi degni delle peggiori dittature e democrature sudamericane: parlamentari,
avvocati e giornalisti malmenati e allontanati dalle zone di intervento e, in
qualche caso, addirittura arrestati; distruzione dei centri di informazione;
pestaggi indiscriminati. Tutto ciò non a causa di elementi deviati o incapaci
delle forze dell'ordine - disordine, ma dietro preciso mandato politico.
2)
Genova marca una rottura rispetto a Seattle, Praga, Goteborg ed altri simili
eventi: emerge ancora più chiaramente quanto fosse improprio sussumere tutti i
movimenti sotto l'etichetta "popolo di Seattle". Caso mai si può parlare di
popoli, visto che le numerose realtà di protesta e di lotta si sono sempre
caratterizzate e distinte le une dalle altre per progetto politico e conseguenti
prassi e modalità di lotta. La sussunzione serviva a taluni movimenti, tutti
d'opinione e di estrazione borghese, e a certi partiti di sinistra per far
apparire un'unità fra molteplici e diverse forze ed intenti di cui essi
affermavano di avere la direzione politica. Serviva inoltre alla borghesia per
scegliere l'interlocutore a lei più consono ed azzerare così ogni possibilità di
conflitto che fosse autenticamente antagonista per il progetto politico prima
ancora che per la radicalità dei metodi di lotta.
3) Già durante la
preparazione delle "giornate di Genova" il movimento aveva manifestato delle
crepe: tranne pochi "irriducibili", fra cui il Campo, tutti sono corsi sotto
l'ombrello del Genoa Social Forum ma nel contempo tutti si affannavano a
preparare iniziative che li distinguessero, nelle forme di lotta più che nelle
piattaforme politiche, dagli altri e che scompaginavano l'impianto inizialmente
stabilito. Intanto i portavoce del GSF garantivano di avere il pieno controllo
della situazione e che la protesta si sarebbe svolta in modo pacifico e
tranquillo, mentre già si capiva che non controllovano nulla. I "padroni del
vapore" a loro volta giuravano di avere le stesse preoccupazioni dei
contestatori e che il vertice dei 7 grandi più il ciambellano serviva proprio a
risolvere i problemi agitati dal movimento. Naturalmente tutte e due le parti
parlavano sempre di globalizzazione dal volto umano, di globalizzazione dei
diritti umani, di fame e debito nel Terzo Mondo e possibili rimedi, senza mai
nominarne la causa, cioè il capitalismo imperialista.
4) I fatti del 20 e il
21 luglio hanno messo a nudo quanto effimera e inconsistente fosse l'unità e
l'organizzazione affermate dai portavoce del GSF: ogni forza ha cercato di
svolgere la propria iniziativa, piazza tematica, corteo, sit in o sfondamento
della zona rossa che fosse, indipendemente dalle altre, con i propri metodi e
senza un'organizzazione idonea unitaria e coordinata a garantire la probabilità
di riuscita o almeno quella che la maggior parte dei compagni coinvolti
tornassero a casa in buone condizioni. I risultati sono sotto gli occhi di
tutti, come dovrebbe essere chiaro a tutti che il vero responsabile di tutto ciò
che è accaduto, compreso l'assasinio del compagno Carlo Giuliani, non è il
"blocco nero" come anche da parte di certa sinistra si vuol far credere, ma il
capitalismo imperialista e il suo apparato, predisposto per l'offensiva.
5)
Come Campo noi ci siamo anzitutto impegnati per il successo della manifestazione
assieme al sindacalismo di base del 20 luglio. Migliaia di persone, in un clima
minaccioso, hanno svolto un corteo combattivo e ordinato. Il nostro contributo
al successo di questa manifestazione, assieme a tutti gli antimperialisti, è
stato molto importante, nonostante i media ci abbiano oscurato. Alla fine del
corteo siamo riusciti a vincere la paura e a svolgere la piazza tematica
antimperialista dando voce ai rappresentanti dei popoli in lotta contro
l'oppressione (Jugoslavi, Turchi, Messicani, Greci, Sardi ed altri).
6) Ora
facciamo appello a tutte le forze anticapitaliste a mobilitarsi contro la
repressione, per accertare la verità sui fatti, per scarcerare tutti i compagni,
nerssuno escluso. Solo un movimento unitario può tirar fuori i compagni dalle
prigioni e dare continuita' alla rivolta di Genova.
Nello stesso momento ci
preme ricordare che, come previsto, svolgeremo il Campo Antimperialista ad
Assisi, il vero controvertice antimperialista ed auspichiamo che dopo le
"giornate di Genova" le energie migliori del "popolo di Genova" avviino una
riflessione politica sul contenuto dell'opposizione al sistema e sugli obiettivi
prima ancora che sui metodi di lotta e abbiano il coraggio di superare i limiti
profondi del civilismo e della sinistra più o meno istituzionale, come anche
dalla tentazione di ricorrere ad un ribellismo disordinato che è solo l'altra
faccia dell'impotenza della disobbedienza civile. Con queste idee ma con
determinato spirito unitario vorremmo incontrarci per valutare la possibilità di
dar vita, se non ad un vero e proprio fronte anticapitalista e antimperialista,
quantomeno ad un coordinamento nazionale e internazionale di lotta dal contenuto
politico inequivocabile e con le forme più idonee a garantirne almeno la
probabilità di riuscita, in modo da fare almeno un pezzo di strada insieme nel
cammino verso la liberazione di tutti gli oppressi e gli sfruttati. (Campo
Antimperialista)
UN APPELLO DI CHIAMA L’AFRICA AL G8: SALVATE L’AFRICA DALL’AIDS
Le ferrovie ugandesi hanno perso, in cinque anni, il il 15% del personale. In Zambia, negli ultimi dieci mesi sono morti 1500 insegnanti. In Tanzania, la General Electric ha promosso una campagna anti Aids dopo che, in 24 mesi, sono morti 600 impiegati. L’epidemia, che uccide soprattutto le persone dai 25 ai 40 anni, è responsabile del calo del 70% della produzione di mais in Africa, del 47% del cotone e del 30% degli allevamenti. Si contano in Africa, solo nella zona subsahariana,, 12 milioni di bambini orfani;25 bambini su 100 in SudAfrica non arrivano al secondo compleanno. 6.600 i morti di Aids ogni giorno nel continente nero. Sono queste alcune cifre che sono state la premessa di un interessante dibattito svoltosi in un incontro promosso dal comitato fanese di Chiama l’Africa “ I potenti del G8 di Genova troveranno anche questa catastrofe mondiale sul loro tavolo. Dovranno affrontarla, costi quel che costi. O, in capo a 6-8 anni, un intero continente. l’Africa, verrà sterminato dal virus dell’Hiv”, è questo il grido accorato dalla dott.ssa Mara Rossi, della Comunità Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi, missionaria in Zambia da 12 anni , responsabile della lotta all’Aids nella regione del Coppebert ed invitata come relatrice e testimone al Social Forum di Genova. Davanti a questa triste realtà e agli appelli dei giorni scorsi di Kofi Annann, segretario dell’Onu, gli otto grandi dovranno confrontarsi con una globalizzazione che vuol dire “Nord ricco aiuta Sud povero”. Mara Rossi ha riferito e commentato i conti che l’Onu ha fatto per fermare l’Aids: servono 21 mila miliardi l’anno, per dieci anni. In pratica significa l’1 per mille del Pil degli otto paesi che s’incontrano a Genova.” Abbiamo di fronte 20 milioni di morti e 27 milioni di malati, nella’Africa subsahariana- ha affermato la dott.ssa Rossi-, chi ha il virus, qualsiasi possa essere la causa, è un essere umano come noi, con diritti e bisogni umani. Non si può combattere l’Aids stigmatizzando i malati e dando loro ogni colpa. Questa è una catastrofe che può fermare il progresso”. Nel dibattito è intervenuto Luciano Benini affermando che” I G8 nei loro incontri hanno adottato soluzioni ed interventi neoliberisti, in linea con le politiche degli organismi internazionali, ma che stanno creando profondi scompensi. E’ in atto un processo di globalizzazione, diretto dai paesi più ricchi, che non ha precedenti nella storia umana e che determina l’affermazione di un modello dominante di convivenza tra e nelle nazioni, fondato sulla competitività”. Naturale effetto di una tale politica è una società diseguale e squilibrata che è sotto gli occhi di tutti.: il 20% della popolazione mondiale consuma l’83% delle risorse del pianeta e un miliardo e 300 milioni di persone hanno meno di due dollari al giorno per vivere. Don Giuliano Marinelli, direttore della Caritas, con parole appropriate ha detto che il G8 è un appuntamento che ci riguarda tutti e deve stimolare la comunità cristiana a utilizzare questo momento per forme di mobilitazione e di animazione per l’abbattimento delle povertà e del disagio sociale e per un impegno di giustizia e di condivisione. Italo Nannini, a conclusione dell’incontro e a nome dei presenti , ha rinnovato l’impegno del comitato fanese di Chiama l’Africa( tel.0721-865586) a sostegno della Comunità Papa Giovanni XXIII, presente in Zambia dal 1985, ed in particolare del progetto Rainbow, un programma umanitario su larga scala per salvare almeno diecimila orfani dell’Aids,e in Zambia sono 1.600.000 ( un triste primato), tramite l’adozione a distanza o con la scelta contro moda e contro corrente, della bomboniera della”solidarietà” al posto delle bomboniere tradizionali. (CHIAMA L'AFRICA)
Dalle moltitudini d'Europa in marcia contro l'Impero e verso Genova (19-21 luglio 2001)
Noi siamo nuovi, ma siamo quelli di sempre. Siamo antichi
per il futuro, esercito di disobbedienza le cui storie sono armi, da secoli in
marcia su questo continente. Nei nostri stendardi è scritto "dignità". In nome
di essa combattiamo chi si vuole padrone di persone, campi, boschi e corsi
d'acqua, governa con l'arbitrio, impone l'ordine dell'Impero, immiserisce le
comunità. Siamo i contadini della Jacquerie. I mercenari della Guerra dei
Cent'anni razziavano i nostri villaggi, i nobili di Francia ci affamavano.
Nell'anno del Signore 1358 ci sollevammo, demolimmo castelli, ci riprendemmo il
nostro. Alcuni di noi furono catturati e decapitati. Sentimmo il sangue risalire
le narici, ma eravamo in marcia ormai, e non ci siamo più fermati. Siamo i
ciompi di Firenze, popolo minuto di opifici e arti minori. Nell'anno del
Signore 1378 un cardatore ci guidò alla rivolta. Prendemmo il Comune, riformammo
arti e mestieri. I padroni fuggirono in campagna e di là ci affamarono cingendo
d'assedio la città. Dopo due anni di stenti ci sconfissero, restaurarono
l'oligarchia, ma il lento contagio dell'esempio non lo potevano fermare.
Siamo i contadini d'Inghilterra che presero le armi contro i nobili per porre
fine a gabelle e imposizioni. Nell'anno del Signore 1381 ascoltammo la
predicazione di John Ball: "Quando Adamo zappava ed Eva filava / chi era allora
il padrone?". Con roncole e forconi muovemmo dall'Essex e dal Kent, occupammo
Londra, appiccammo fuochi, saccheggiammo il palazzo dell'Arcivescovo, aprimmo le
porte delle prigioni. Per ordine di re Riccardo II° molti di noi salirono al
patibolo, ma nulla sarebbe più stato come prima. Siamo gli hussiti. Siamo
i taboriti. Siamo gli artigiani e operai boemi, ribelli al papa, al re e
all'imperatore dopo che il rogo consumò Ian Hus. Nell'anno del signore 1419
assaltammo il municipio di Praga, defenestrammo il borgomastro e i
consiglieri comunali. Re Venceslao morì di crepacuore. I potenti d'Europa ci
mossero guerra, chiamammo alle armi il popolo ceco. Respingemmo ogni invasione,
contrattaccando entrammo in Austria, Ungheria, Brandeburgo, Sassonia, Franconia,
Palatinato... Il cuore di un continente nelle nostre mani. Abolimmo il servaggio
e le decime. Ci sconfissero trent'anni di guerre e crociate. Siamo i
trentaquattromila che risposero all'appello di Hans il pifferaio. Nell'anno del
Signore 1476, la Madonna di Niklashausen si rivelò ad Hans e disse: "Niente più
re né principi. Niente più papato né clero. Niente più tasse né decime. I campi,
le foreste e i corsi d'acqua saranno di tutti. Tutti saranno fratelli e nessuno
possederà più del suo vicino."
Arrivammo il giorno di S. Margherita, una
candela in una mano e una picca nell'altra. La Santa Vergine ci avrebbe detto
cosa fare. Ma i cavalieri del Vescovo catturarono Hans, poi ci attaccarono e
sconfissero. Hans bruciò sul rogo. Non così le parole della Vergine. Siamo
quelli dello Scarpone, salariati e contadini d'Alsazia che, nell'anno del
Signore 1493, cospirarono per giustiziare gli usurai e cancellare i debiti,
espropriare le ricchezze dei monasteri, ridurre lo stipendio dei preti, abolire
la confessione, sostituire al Tribunale Imperiale giudici di villaggio eletti
dal popolo. Il giorno della Santa Pasqua attaccammo la fortezza di Schlettstadt,
ma fummo sconfitti, e molti di noi impiccati o mutilati ed esposti al dileggio
delle genti. Ma quanti di noi proseguirono la marcia portarono lo Scarpone in
tutta la Germania. Dopo anni di repressione e riorganizzazione, nell'anno del
Signore 1513 lo Scarpone insorse a Friburgo. La marcia non si fermava, né lo
Scarpone ha più smesso di battere il suolo. Siamo il Povero Konrad, contadini di
Svevia che si ribellarono alle tasse su vino, carne e pane, nell'anno del
Signore 1514. In cinquemila minacciammo di conquistare Schorndorf, nella valle
di Rems. Il duca Ulderico promise di abolire le nuove tasse e ascoltare le
lagnanze dei contadini, ma voleva solo prendere tempo. La rivolta si estese a
tutta la Svevia. Mandammo delegati alla Dieta di Stoccarda, che accolse le
nostre proposte, ordinando che Ulderico fosse affiancato da un consiglio di
cavalieri, borghesi e contadini, e che i beni dei monasteri fossero espropriati
e dati alla comunità. Ulderico convocò un'altra Dieta a Tubinga, si rivolse agli
altri principi e radunò una grande armata. Gli ci volle del bello e del buono
per espugnare la valle di Rems: assediò e affamò il Povero Konrad sul monte
Koppel, depredò i villaggi, arrestò sedicimila contadini, sedici ebbero recisa
la testa, gli altri li condannò a pagare forti ammende. Ma il Povero Konrad
ancora si solleva. Siamo i contadini d'Ungheria che, adunatisi per la crociata
contro il Turco, decisero invece di muover guerra ai signori, nell'anno del
Signore 1514. Sessantamila uomini in armi, guidati dal comandante Dozsa,
portarono l'insurrezione in tutto il paese. L'esercito dei nobili ci accerchiò a
Czanad, dov'era nata una repubblica di eguali. Ci presero dopo due mesi
d'assedio. Dozsa fu arrostito su un trono rovente, i suoi luogotenenti costretti
a mangiarne le carni per aver salva la vita. Migliaia di contadini furono
impalati o impiccati. La strage e quell'empia eucarestia deviarono ma non
fermarono la marcia. Siamo l'esercito dei contadini e dei minatori di Thomas
Muentzer. Nell'anno del Signore 1524, al grido di: "Tutte le cose sono comuni!"
dichiarammo guerra all'ordine del mondo, i nostri Dodici Articoli fecero tremare
i potenti d'Europa. Conquistammo le città, scaldammo i cuori delle genti. I
lanzichenecchi ci sterminarono in Turingia, Muentzer fu straziato dal boia, ma
chi poteva più negarlo? Ciò che apparteneva alla terra, alla terra sarebbe
tornato. Siamo i lavoranti e contadini senza podere che nell'anno del Signore
1649, a Walton-on-Thames, Surrey, occuparono la terra comune e presero a
sarchiarla e seminarla. "Diggers", ci chiamarono. "Zappatori". Volevamo vivere
insieme, mettere in comune i frutti della terra. Più volte i proprietari
terrieri istigarono contro di noi folle inferocite. Villici e soldati ci
assalirono e rovinarono il raccolto. Quando tagliammo la legna nel bosco del
demanio, i signori ci denunciarono. Dicevano che avevamo violato le loro
proprietà. Ci spostammo a Cobham Manor, costruimmo case e seminammo grano. La
cavalleria ci aggredì, distrusse le case, calpestò il grano. Ricostruimmo,
riseminammo. Altri come noi si erano riuniti in Kent e in Northamptonshire. Una
folla in tumulto li allontanò. La legge ci scacciò, non esitammo a rimetterci in
cammino. Siamo i servi, i lavoranti, i minatori, gli evasi e i disertori che si
unirono ai cosacchi di Pugaciov, per rovesciare gli autocrati di Russia e
abolire il servaggio. Nell'anno del Signore 1774 ci impadronimmo di roccaforti,
espropriammo ricchezze e dagli Urali ci dirigemmo verso Mosca. Pugaciov fu
catturato, ma il seme avrebbe dato frutti. Siamo l'esercito del generale Ludd.
Scacciarono i nostri padri dalle terre su cui vivevano, noi fummo operai
tessitori, poi arrivò l'arnese, il telaio meccanico... Nell'anno del Signore
1811, nelle campagne d'Inghilterra, per tre mesi colpimmo fabbriche,
distruggemmo telai, ci prendemmo gioco di guardie e conestabili. Il governo ci
mandò contro decine di migliaia di soldati e civili in armi. Una legge infame
stabilì che le macchine contavano più delle persone, e chi le distruggeva andava
impiccato. Lord Byron ammonì: "Non c'è abbastanza sangue nel vostro codice
penale, che se ne deve versare altro perché salga in cielo e testimoni contro di
voi? Come applicherete questa legge? Chiuderete un intero paese nelle sue
prigioni? Alzerete una forca in ogni campo e appenderete uomini come
spaventacorvi? O semplicemente attuerete uno sterminio?... Sono questi i rimedi
per una popolazione affamata e disperata?". Scatenammo la rivolta generale, ma
eravamo provati, denutriti. Chi non penzolò col cappio al collo fu portato in
Australia. Ma il generale Ludd cavalca ancora di notte, al limitare dei campi, e
ancora raduna le armate. Siamo le moltitudini operaie del Cambridgeshire, agli
ordini del Capitano Swing, nell'anno del Signore 1830. Contro leggi tiranniche
ci ammutinammo, incendiammo fienili, sfasciammo macchinari, minacciammo i
padroni, attaccammo i posti di polizia, giustiziammo i delatori. Fummo avviati
al patibolo, ma la chiamata del Capitano Swing serrava le file di un esercito
più grande. La polvere sollevata dal suo incedere si posava sulle giubbe degli
sbirri e sulle toghe dei giudici. Ci attendevano centocinquant'anni di assalto
al cielo. Siamo i tessitori di Slesia che si ribellarono nell'anno 1844,
gli stampatori di cotonate che quello stesso anno infiammarono la Boemia, gli
insorti proletari dell'anno di grazia 1848, gli spettri che tormentarono le
notti dei papi e degli zar, dei padroni e dei loro lacchè. Siamo quelli di
Parigi, anno di grazia 1871. Abbiamo attraversato il secolo della follia e
delle vendette, e proseguiamo la marcia. Loro si dicono nuovi, si
battezzano con sigle esoteriche: G8, FMI, WB, WTO, NAFTA, FTAA... Ma non ci
ingannano, sono quelli di sempre: gli écorcheurs che razziarono i nostri
villaggi, gli oligarchi che si ripresero Firenze, la corte dell'imperatore
Sigismondo che attirò Ian Hus con l'inganno, la Dieta di Tubinga che obbedì a
Ulderico e annullò le conquiste del Povero Konrad, i principi che mandarono i
lanzichenecchi a Frankenhausen, gli empii che arrostirono Dozsa, i proprietari
terrieri che tormentarono gli Zappatori, gli autocrati che vinsero Pugaciov, il
governo contro cui tuonò Byron, il vecchio mondo che vanificò i nostri assalti e
sfasciò ogni scala per il cielo.Oggi hanno un nuovo impero, su tutto l'orbe
impongono nuove servitù della gleba, si pretendono padroni della Terra e del
Mare. Contro di loro, ancora una volta, noi moltitudini ci solleviamo.
Genova. Penisola italica. 19, 20 e 21 luglio di un anno
che non è più di alcun Signore.
GIULIO MARCON (PRESIDENTE DELL'ICS): L'IMPEGNO DELL'ICS ALL'INTERNO DEL
GENOA SOCIAL FORUM
Da
lunedì è iniziata la settimana del Genoa Social Forum (GSF), con i public forum
e lo svolgimento delle iniziative previste in calendario. Una settimana densa di
iniziative e di appuntamenti aspetta il variegato mondo dei movimenti sociali,
del volontariato, delle organizzazioni pacifiste e di solidarietà presenti a
Genova in questa settimana con migliaia di attivisti e di
volontari.
Centinaia di ospiti internazionali -da Susan George a Walden
bello, da Josè Bovè a Vanda Shiva, da Samir Amin a Riccardo Petrella-
protagonisti in questi anni del movimento contro la globalizzazione neoliberista
si confrontano con i partecipanti sulle alternative concrete per costruire un
mondo guidato da principi di eguaglianza e di giustizia, fondato su uno sviluppo
sostenibile che sradichi le violenze e le guerre. Migliaia sono i partecipanti
ai forum, oltre 200 i relatori italiani.
Giovedì, venerdì e sabato le
manifestazioni: giovedì quella dei migranti (con concerto finale di Manu Chau),
venerdì l'accerchiamento nonviolento della zona rossa, sabato il corteo
manifestazione. Gli organizzatori si aspettano oltre 100.000 partecipanti.
L'ARCI e l'ICS hanno fatto stampare 4.000 bandiere che riproducono "Il Quarto
Stato", di Pellizza da Volpedo.
L'ICS è presente nel GSF sin dall'inizio del
suo lavoro. In particolare attraverso un gruppo di coordinamento di oltre 30
persone (componenti dello staff, operatori, volontari dell'organizzazione) l'ICS
sta garantendo il funzionamento della "macchina organizzativa" del GSF,
coordinando l'impegno di centinaia di volontari eaccogliendo i
partecipanti che arrivano a migliaia in questa settimana. Naturalmente l'ICS è
presente anche attraverso propri rappresentanti nei public forum sui temi
specifici che riguardano l'impegno dell'organizzazione; in particolare nel forum
tematico su "pace-guerra" (mercoledì 18, mattina), che vedrà interventi anche di
rappresentanti dalle aree di conflitto sulle quali l'ICS è impegnato (Balcani,
Medio Oriente, Kurdistan) e quello sul "Tribunale sui grandi crimini di questo
ordine mondiale", che si terrà giovedì 19 luglio (la sera). Molte associazioni
aderenti all'ICS sono poi presenti attraverso l'iniziativa e la presenza sui
temi dei froum che le coinvolgono direttamente: Arci, Lila, Legambiente,
Associazione per la pace, pax Christi, ecc. con la presenza dei loro presidenti
e dei loro responsabili. Ci sono anche molti gruppi e comitati locali ICS con i
loro attivisti. Gli appuntamenti del GSF si concluderanno domenica 22 luglio con
l'"osservatorio sulle politiche del G8" e poi con un bilancio delle attività
promosse dal GSF in questi mesi. Si discuterà anche delle prospettive e della
possibilità di continuazione del lavoro del GSF dopo la conclusione del G8 di
genova. I punti da discutere saranno molti e complessi: i contenuti, le forme
dell'azione politica, il coordinamento organizzativo. i prossimi appuntamenti
sono la marcia per la pace Perugia-Assisi del 14 ottobre e l'appuntamento
dell'ONU sulla sicurezza alimentare che si terrà nella seconda metà di novembre
a Roma. L'ICS darà comunque il suo contributo alla discussione (che implica
anche un sderio approfondimento su come i temi di impegno dell'ICS -l'interbento
nei conflitti, l'azione umanitaria, il sostegno della società civile nelle aree
diu crisi, la solidarietà internazionale- entrano dentro il patrimonio di
dibattito del GSF), come molto concretamente ha contribuito a sostenere le
condizioni organizzaztive per l'accoglienza e il coordinamento organizzativo
delle iniziative.(17/7/01GIULIO MARCON - Presidente dell'ICS)
dal 14 al 30 luglio 2001 - Selva di Progno (Campofontana) - I quadri di Alberto Dal Zovo
Alberto Dal Zovo, veneto di nascita e piemontese d'adozione, appartiene a quella tenace schiera di pittori che fanno della fantasia dei colori la loro filosofia esistenziale. L'artista esporrà le proprie opere presso la Sala Civica di Campofontana dal 14 al 30 luglio nei seguenti orari: 10-12 e 15-19.
IL DOVERE DI MANIFESTARE
"Quelli che CL considera dei 'perditempo'". È il titolo di
copertina del numero estivo, in uscita in questi giorni, di "Mosaico di pace",
la rivista mensile promossa da Pax Christi e diretta da padre Alex Zanotelli. I
'perditempo', ovviamente, sarebbero coloro che manifestano in questi giorni a
Genova contro i G8 e gli effetti perversi della globalizzazione. E l'editoriale
non poteva non essere la risposta della rivista alle dichiarazioni delle scorse
settimane del Presidente della Compagnia delle Opere, Giorgio Vittadini, che
aveva definito sia il G8 sia il popolo di Seattle come istanze borghesi.
"Innanzitutto è inaccettabile mettere sullo stesso piano il G8 (e ciò che esso
esprime) e quanti contestano i meccanismi perversi della globalizzazione." Il
movimento dei contestatori più che borghese, sarebbe politico: "e certo non alla
maniera di Berlusconi, Formigoni e Buttiglione. È questo che infastidisce CL?"
"Il fondamentalismo è gran brutta cosa. Quello cattolico, in più, è tanto
pragmatico nello stringere alleanze con i poteri forti e quelli emergenti,
quanto incapace di leggere i segni dei tempi. Che ai poveri ci pensino solo i
vertici della Chiesa è una tragica barzelletta. E che il metro di giudizio
diventi l'8 per mille è offensivo per i poveri e per il Vangelo". E poi:
"Vittadini esprime in realtà la medesima visione dei Grandi che sono persino
disponibili a qualche piccolo ritocco purché non si modifichi l'esistente". Al
G8 sono pure dedicati due contributi di altrettanti vescovi. Il primo è quello
di Mons. Diego Bona, vescovo di Saluzzo e Presidente di Pax Christi Italia che
commenta la notizia dell'inizio dei lavori di costruzione della nuova portaerei
italiana, avvenuta qualche giorno fa alla presenza delle autorità proprio a
pochi passi da Genova e alla vigilia del Vertice. "Ne avevamo proprio bisogno?"
S'interroga mons. Bona, che scrive: "Per noi, e pensiamo anche per tanti, quel
taglio di lamiera costituisce un'ennesima sconfitta della pace. Quella che verrà
costruita, infatti, resta un'arma da guerra (e di quella fatta alla grande, da
superpotenza), uno strumento di morte". Come si fa a conciliare la lotta alla
povertà e lo stesso disarmo di cui i Grandi discuteranno a Genova, con lo
sperpero di tanti soldi nella costruzione di nuove armi proprio da parte di quei
Grandi, dallo scudo spaziale di Bush al cacciabombardiere europeo e alla nuova
portaerei italiana? "Quanto debito estero di potrebbe 'comprare' o condonare con
simili cifre?" è la domanda senza risposta che si pone il Presidente di Pax
Christi. Anche mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea ed ex-presidente
di Pax Christi, si chiede se le sorti del mondo debbano e possano essere decisi
solo da pochissime persone, che fanno professione di fede nella democrazia. "In
realtà il luogo primario della democrazia mondiale è l'Onu, ed è lì dove i
grandi problemi della globalizzazione dovrebbero essere affrontati e risolti.
Ma… nell'Onu ci sono anche i paesi poveri e sono in stragrande maggioranza, e
allora i paesi ricchi fanno le loro riunioni, in cui decidono le grandi linee
del governo del mondo, garantendo che i propri interessi non vengano
compromessi." Secondo mons. Bettazzi, i contestatori hanno "portato i Governi, a
cominciare dal nostro, ad aprirsi al dialogo" e anche "la presenza di tante
associazioni cattoliche ha dato un segnale importante all'opinione pubblica". Il
testo completo degli articoli è disponibile presso la redazione di "Mosaico".
(Mosaico di pace : Rivista mensile promossa da Pax Christi segreteria di
redazione Via Petronelli n.6 70052 Bisceglie (BA) Tel.: 080/395.35.07 Fax:
080/395.34.50 e-mail: mosaicodipace@paxchristi.it http://www.paxchristi.it http://www.peacelink.it/users/paxchristi/
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sostenitore lire 110.000. Versamento su c.c.p. n. 16281503 intestato a Pax
Christi Italia - via Petronelli, 6 - 70052 Bisceglie BARI
)
HAI MAI SENTITO PARLARE DI CURITIBA?
No, neanche noi conoscevamo questa storia fino a una
settimana fa. L'abbiamo scoperta leggendo "Capitalismo naturale" di Paul Hawken,
Amory e Hunter Lovins. E' veramente incredibile che non se ne sappia niente
perché Curitiba e' una delle piu' grandi esperienze di cambiamento sociale che
sia mai stata realizzata. Curitiba non e' una piccola comunità alternativa. E'
una città di quasi 2 milioni e mezzo di abitanti (http://www.curitiba.pr.gov.br). Si
trova nel sud del Brasile. Non si tratta neanche di una storia nuova: va avanti
da 30 anni. Nel 1971, in piena dittatura fascista, una serie di casualità
portarono alla designazione di Jaime Lerner come sindaco della citta'. Lo
avevano scelto perche' era un inoffensivo esperto di architettura. Un
trentatreenne che non si era mai impegnato politicamente e che sembro' l'ideale
per mettere d'accordo le diverse fazioni al potere. Jaime Lerner ci mise un po'
a organizzarsi poi nel 1972 decise di creare la prima isola pedonale del mondo.
Lerner sapeva di avere contro buona parte della citta'. I commercianti erano
terrorizzati dall'idea che i loro affari fossero danneggiati dal divieto di
accesso al centro delle auto. E gli automobilisti odiavano l'idea di dover
andare in centro a piedi. I maligni dicono che aveva paura che la sua iniziativa
fosse bloccata un esposto in tribunale. Resta il fatto che i lavori iniziarono
proprio un venerdi', un'ora dopo la chiusura del tribunale. Un'orda di operai
invasero il centro della citta' e iniziarono a sistemare lampioni e fioriere,
ripavimentare le strade e scavare aiuole piantandoci alberi. Lavorarono
ininterrottamente per 48 ore. Quando il primo contingente crollo' stremato fu
sostituito da un secondo battaglione di operai e andarono avanti così. Il
lunedi' mattina quando il tribunale riapri' i lavori erano finiti. Crediamo che
nella storia del mondo nessuna opera pubblica fu mai realizzata altrettanto
velocemente. I cittadini di Curitiba se ne stavano a bocca aperta. Erano state
piantate migliaia di piante fiorite. Una cosa mai vista. E la popolazione si
mise a strappare tutti i fiori per portarseli a casa. Ma Lerner lo aveva
previsto e gia' erano pronte squadre di giardinieri che sostituivano
immediatamente le piante. Ci vollero un po' di giorni ma alla fine i cittadini
smisero di rubare i fiori. I commercianti poi erano stupiti perche' si accorsero
che il centro cittadino trasformato in un salotto eccitava le vendite. E quando
il sabato successivo un corteo di auto dell'Automobil-club tentò di invadere
l'isola pedonale si trovo' nell'impossibilita' di farlo perche' migliaia di
bambini stavano dipingendo grandi strisce di carta che coprivano buona parte
della pavimentazione. Da allora tutti i sabati i bambini della citta' si
ritrovano nell'isola pedonale a coprire di disegni meravigliosi enormi rotoli di
carta stesa per terra. La seconda operazione di Lerner fu quella di creare un
sistema di trasporti rivoluzionario con strade principali riservate agli autobus
e particolari rampe coperte (da tubi trasparenti) che portavano il marciapiede
sullo stesso piano dei mezzi pubblici, permettendo ai passeggeri di salire
sull'autobus senza fare scalini e quindi piu' rapidamente. Queste rampe e davano
la possibilita' di accedere ai trasporti pubblici anche a chi era su una
carrozzina a rotelle. Particolare attenzione fu data ai collegamenti con i
quartieri poveri della citta', furono acquistati autobus composti di 3 vagoni,
con porte piu' grandi che si aprivano in corrispondenza delle porte scorrevoli
delle rampe coperte. Per tagliare i costi e i tempi furono anche aboliti i
bigliettai e si decise di fidarsi del fatto che se i trasporti funzionano
veramente bene i cittadini pagano volentieri il biglietto.
Grazie
a queste innovazioni i tempi di percorrenza degli autobus di Curitiba sono 3
volte piu' veloci e trasportano in un'ora 3 volte il numero dei passeggeri, con
un rapporto tra il denaro investito e i passeggeri trasportati superiore del
69%. Praticamente avevano creato una straordinaria metropolitana a cielo aperto.
Le autovie di Curitiba trasportano 20 mila passeggeri all'ora (piu' di quanti
viaggino sui mezzi pubblici di New York). Gli autobus percorrono ogni giorno una
distanza pari a 9 volte il giro del mondo. Rio ha una metropolitana che
trasporta un quarto di passeggeri e costa 200 volte di più. Grazie a questa
gestione oculatissima dei costi le linee di trasporto si autofinanziano con il
solo costo dei biglietti (circa mille lire), ammortizzano i costi di un parco
mezzi costato 45 milioni di dollari, offrono utili alle 10 imprese che hanno in
appalto il servizio e remunerano il capitale investito con un tasso di profitto
del 12% annuo. L'autorizzazione rilasciata ai gestori del servizio e' revocabile
all'istante. Le banche, restie a collaborare con altre amministrazioni locali
sono ben disponibili a prestare denaro al comune di Curitiba. I trasporti sono
talmente efficienti che nel 1991 un quarto degli automobilisti della città aveva
rinunciato a possedere un'auto e che il 28% dei passeggeri pur possedendo un
auto preferiva non usarla. E questo nonostante il traffico sia molto scorrevole
e gli ingorghi sconosciuti. A questo rifiuto di massa dell'auto contribuiscono
anche 160 chilometri di piste ciclabili. Iniziare la riforma della citta' dai
trasporti per Lerner era fondamentale perche' egli teorizza che nulla influenza
più rapidamente la coscienza dei cittadini quanto l'efficienza dei mezzi
pubblici. Ma la riforma non si e' fermata ai trasporti. Il problema delle
baraccopoli e della miseria è stato affrontato trovando sistemi semplici in
grado di offrire effetti positivi immediati e un cambiamento radicale della
cultura a lungo termine. É la fantasia delle soluzioni quello che stupisce
di più. Sembrano pazze ma contengono un'efficienza enorme. Ci sono servizi di
distribuzione quotidiana di pasti gratuiti. Sono state costruite 14 mila case
popolari. Ma si e' agito anche distribuendo piccoli pezzi di terra per orti e
per costruire case. I materiali di costruzione vengono acquistati con un
finanziamento comunale a lungo termine ripagato con rate mensili pari al costo
di 2 pacchetti di sigarette. Ogni nuova casa riceve poi in regalo dal comune un
albero da frutta e uno ornamentale. Il comune offre anche un'ora di consulenza
di un architetto che aiuta le famiglie a costruirsi case più confortevoli e
armoniose.I quartieri poveri di Curitiba sono i piu' belli del mondo . Esiste un
servizio di camioncini che girano per la citta' scambiando 2 chili di immondizia
suddivisa con buoni acquisto che permettono di acquistare un chilogrammo di cibo
(oppure quaderni, libri o biglietti per gli autobus); Così il 96%
dell'immondizia della città viene raccolta e riciclata. Il che ha permesso di
risparmiare milioni di dollari per costruire e gestire una discarica.
Attraverso la pulizia della città e una migliore alimentazione della popolazione
povera si è ottenuto un netto miglioramento della salute. Il tasso di
mortalita' infantile e' un terzo rispetto alla media nazionale. Ci sono 36
ospedali con 4500 posti letto, medicinali gratuiti e assistenza medica diffusa
sul territorio. Ci sono 24 linee telefoniche a disposizione dei cittadini per
informazioni di ogni tipo. Una di queste linee fornisce ai cittadini piu' poveri
i prezzi correnti di 222 prodotti di base. In questo modo si garantisce ai
consumatori di non cadere vittima di negozianti disonesti. Ci sono anche 30
biblioteche di quartiere con 7 mila volumi ciascuna. Si chiamano "Fari del
sapere" e sono casette prefabbricate e dotate di un tubo a strisce bianche e
rosse alto 15 metri. Sulla sommita' della torre c'e' una bolla di vetro dalla
quale un poliziotto controlla che bambini e anziani possano andare in biblioteca
indisturbati. Ci sono 20 teatri, 74 musei e centri culturali e tutte le 120
scuole della citta' offrono corsi serali. Vengono organizzati corsi di
formazione professionale per 10 mila persone all'anno. Sono collegati a un
"Telefono della solidarieta'" che permette di raccogliere elettrodomestici e
mobili usati che vengono riparati dagli apprendisti artigiani e rivenduti a
basso prezzo nei mercati o regalati. Grazie al microcredito una volta imparato
un mestiere i giovani possono aprire un'attivita' in proprio. Vengono aiutati
anche coloro che vogliono diventare commercianti ambulanti attraverso la
concessione di autorizzazioni al commercio facilitate. Ed e' proprio la logica
con la quale si affrontano i problemi ad essere diversa. Ad esempio le azioni di
un gruppo di giovani teppisti che strappavano fiori all'orto botanico furono
interpretate come una richiesta di aiuto e i ragazzi furono assunti come
assistenti giardinieri.
Un'altra grande iniziativa di Lerner e' stata quella
di creare decine di parchi dotati di laghetti e di piantare ovunque alberi.
Curitiba e' la citta' piu' verde del mondo. Insomma un paradiso con il 96% di
alfabetizzazione (nel O96). Gli abitanti che hanno un titolo di studio superiore
sono l'83%. La citta' ha un terzo in meno dei poveri del resto del Brasile
e la vita media arriva a 72 anni, grossomodo quanto negli Usa ma con un reddito
procapite che e' solo il 27% di quello degli Stati Uniti. Insomma, per essere
una citta' del terzo mondo non è male... A questo punto pero' c'e' da
chiedersi come mai l'esperienza di Curitiba non sia conosciuta in Italia.
Abbiamo fatto una ricerca e ci hanno detto che anni fa la rivista Nuova Ecologia
pubblico' un lungo servizio su questo miracolo dell'onesta' creativa. E anche
l'Espresso ne parlò. Allora com'e' successo che Curitiba non e' diventata un
esempio da imitare? Perche' queste tecniche ingegnose e entusiasmanti non sono
diventate il cavallo di battaglia della nostra sinistra? Cos'hanno i nostri
politici? Sono sprovvisti di senso pratico? Sono ammalati di serieta'? Non sanno
piu' sognare?
Dario, Franca e Jacopo Fo
PS:
"Capitalismo Naturale" e' veramente un libro eccezionale e racconta di tutte le
esperienze pratiche di risparmio energetico e di materie prime realizzate con
successo nel mondo. Si scopre che la nostra non e' la societa' del consumismo ma
dello spreco. Basti pensare che se gli Usa adottassero gli stessi criteri
costruttivi delle case e delle industrie giapponesi otterrebbero 200 miliardi di
risparmi energetici ogni anno, 400 mila miliardi di lire. Il libro dimostra che
nel mondo potremmo, attraverso la razionalizzazione dei consumi e il
riciclaggio, risparmiare fino al 95% delle materie prime e dell'energia. E
attenzione: questi risparmi per lo piu' non richiederebbero costi di costruzione
piu' alti. Sono state addirittura costruite case che non hanno bisogno di
impianti di riscaldamento e refrigerazione e che hanno costi piu' bassi di
realizzazione di quelle convenzionali. E tutte queste tecnologie non sono una
novità: sono gia' state sperimentate per anni, spesso per decenni. Cioe' la
poverta', la fame nel mondo, l'inquinamento e la distruzione dell'ambiente non
sono una questione di cattiveria ma di stupidita'. Vogliamo sostenere la
diffusione di questo libro e quindi abbiamo fatto un accordo con le Edizioni
Ambiente per inserirlo nei nostri spazi di vendita. Potete acquistarlo on-line a
44 mila lire e riceverlo a casa senza spese di spedizione aggiunte,
entro una decina di giorni, pagando alla consegna o con carta di
credito (http://www.commercioetico.it/)
Segnaliamo
sull'argomento anche: "L'uso razionale dell'energia" Mario Palazzetti,
Maurizio Pallante Bollati Boringhieri (lire 24.000)
"Le tecnologie di
armonia" Maurizio Pallante - Bollati Boringhieri. Maurizio Pallante
e' uno dei pochi amministratori italiani ad aver fatto esperienze notevolissime
nel campo del risparmio energetico.
Attenzione :Stiamo
raccogliendo informazioni su altre esperienze italiane in questo campo. Vi
saremo grati se ce le
segnalaste.
«Progetto Sorriso» è l'iniziativa di cooperazione avviata un anno fa a San Bonifacio. Per INFORMAZIONI: progettosorriso@infinito.it . Per versare il proprio contributo ricordiamo che è possibile utilizzare il conto corrente postale di "Progetto Sorriso - El Salvador": ccp numero 21008305 - intestato a: Amedeo Tosi - Chiara Terlizzi. Indirizzo: località Praissola 74/b - 37047 San Bonifacio (Verona) - Causale del versamento: "Progetto Sorriso". Progetto Sorriso invierà tempestivamente quanto raccolto al gruppo di appoggio "Italia-Cuscatlan" di Turbigo (Milano), incaricato per le operazioni bancarie.