08/2/01 Verona - GLOBALIZZAZIONE O LOCALIZZAZIONE?
09/2/01 Vicenza - ENTI LOCALI E SOCIETA' CIVILE
DOMENICA 11 FEBBRAIO 2001 - ESTRAVAGARIO TEATRO TENDA
- ex Magazzini Generali - Verona - Concerto di PIPPO POLLINA. L'incasso della serata andrà a favore del "Progetto Bolivia" di don Renzo Zocca.
Per informazioni
più dettagliate su Pippo Pollina visitate il sito www.pippopollina.com . Il percorso artistico di Pippo Pollina, giovane ed
originale cantautore di Palermo, inizia come cronista nella redazione del
giornale “I Siciliani”, al quale collabora fino al momento dell’uccisione del
suo fondatore Giuseppe Fava; Pollina decide quindi di andarsene dall’Italia alla
ricerca di nuove esperienze.
Trascorre tre anni in giro per l’Europa,
vivendo e suonando per le strade e le piazze. Scoperto durante un concerto di
strada a Lucerna dal cantautore svizzero Linard Bardill, inizia la sua nuova
carriera musicale; oggi Pippo Pollina vive a Zurigo ed è diventato un autore di
culto e di grande successo: indimenticabile il tour in ben 75 tappe effettuato
tra il 1993 e 1994 in compagnia del celebre cantautore tedesco, Konstastin
Wecker, dal titolo Uferlos (Senza Sponde); un concerto che si proponeva di dare
un messaggio forte e chiaro contro i rigurgiti di violenza del neonazismo
tedesco.
La sua nuova avventura italiana inizia nel 1997 grazie ad un
folgorante incontro con il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, allora
Parlamentare europeo, il quale, venuto a conoscenza della storia di Pollina
decide di conoscerlo. Il musicista ha così l’occasione di presentare a Villa
Niscemi insieme appunto al sindaco Orlando e alla presenza del meglio dei mass
media di madrelingua tedesca, un libro sulla sua storia e la sua musica.
La
voglia di ritornare si concretizza in un primo tour di sette significative date
nell’estate del ’98, contemporaneamente all’uscita nel nostro paese di “Il
giorno del falco”. Il percorso discografico italiano di Pollina ha infatti
inizio con quest’album: 12 canzoni di grande impegno, tra le quali spicca
l'omonima “Il giorno del falco” dedicata al famoso cantautore cileno Victor
Jara, martire della dittatura di Augusto Pinochet. Il repertorio presentato da
Pollina in questo primo tour italiano comprende canzoni scelte dai suoi primi
sei album, praticamente sconosciuti nel nostro paese, ma assai popolari nella
mitteleuropa. Nel Gennaio ’99 Pollina riparte con un lungo tour di quindici
concerti che lo vede girare l’Italia e poter finalmente presentare il suo ricco
repertorio in spazi adeguati. Oggi, a
distanza di un anno, ritorna con “Rossocuore” una produzione sfavillante di
suoni e di collaborazioni illustri. Ci sono molte piste da seguire per
entrare nell’universo di questo disco. Una sicuramente è la letteratura:
praticamente tutte le canzoni prendono spunto dalla traccia di libri famosi. C’è
“Finnegan’ s Wake”, il libro più oscuro e inconsueto del grande irlandese James
Joyce; c’è “Cent’ anni di solitudine”, il romanzo cardine di Garcia Marquez ;
c’è “La Luna e i falò” il grande affresco di Cesare Pavese; c’è poi anche “Due
di due”, il moderno romanzo di Andrea De Carlo sull’amicizia, attraverso gli
anni e le peregrinazioni intellettuali; c’è “Prima che vi uccidano” abrasivo
libro di denuncia di Giuseppe Fava, avvertimento ed analisi di una tragedia
collettiva. E poi ancora un grande classico come “I ragazzi della Via Paal” di
Molnar; e persino “Il vecchio e il mare” di Hemingway, fiaba senza tempo di una
lotta per la sopravvivenza. Ma ogni libro come scoprirete ascoltando le 13
tracce di questo lavoro, è in realtà solo un frammento di un discorso più ampio,
uno spunto per raccontare l’esperienza personale dell’artista.
Poi
naturalmente bisogna seguire la pista della musica. Le molte influenze di Pippo
Pollina, eclettico ed originale da una parte, ma anche attento alle moderne
ascendenze della musica d’autore. Basti notare le due collaborazioni con Franco
Battiato in “Finnegan’s wake” e con Nada ne “I fiori del male”: due scelte di
tendenza o di controtendenza. In un pezzo come “Prima che vi uccidano” noterete
inoltre due strumentisti di lusso come Saturnino e Pier Foschi che regalano al
brano una ritmica molto funky. I fiati e gli archi che si possono ascoltare per
esempio in "Due di Due" sono dell’Orchestra Filarmonica di Zurigo, diretta da
Matt Clifford, già tastierista dei Rolling Stones e qui anche in veste di
organista. Alla batteria Walter Kaiser, partner per molti anni del leggendario
arpista svizzero Andreas Vollenweider con cui lo stesso Pollina ha collaborato
nel recente passato. All’armonica a bocca svetta infine la tecnica di Leno
Landini, uno dei pochi virtuosi dello strumento presenti in Italia.
La
realizzazione di Rossocuore è frutto di una coproduzione svizzero-italiana: una
sinergia tra la Balik e Storie di Note, nuova etichetta discografica che ne cura
la divulgazione in Italia. Rossocuore è uscito nell’autunno del ’99
contemporaneamente in Austria, Svizzera e Germania.
Il "PROGETTO BOLIVIA" ... Queste righe sono le riflessioni di una ragazza che l'agosto scorso in Bolivia c'è stata... "E perchè andresti in Bolivia?" Domandina scontata, direi. Non aspettatevi una risposta soddisfacente. In Bolivia si va per TORNARE a casa. Ma se vogliamo iniziare dal "c'era una volta", risaliamo a 10 anni fa, quando la parrocchia di S. Maria Maddalena, del Saval, ha iniziato il gemellaggio con il Plan Tres Mil, quartiere situato all' estrema periferia di Santa Cruz de la Sierra. E' stato grazie al contributo di chi come noi ha creduto in questo progetto, che la povera gente del Plan ha visto sorgere il Kinder (l’asilo), il comedor (la mensa), la scuola elementare e la scuola media; accanto, un laboratorio artigianale (il Taller) dove trovano lavoro ex malati di Tubercolosi. Le strutture sono interamente gestite da boliviani, appoggiati dal vescovo di Cochabamba, Mons. Tito Solari e dal suo segretario Padre Vincenzo (che nel cuore dei bimbi del Plan 'padre' lo è davvero). Al di là delle loro specifiche funzioni, la scuola a il Taller sono divenute nel corso degli anni il fulcro intorno a cui ruota la vita di decine di famiglie, impegnate più o meno direttamente nella gestione delle strutture o che in esse trovano l'unico punto di riferimento nella precarietà del quotidiano. La scelta del gemellaggio, e non di un semplice appoggio economico, ha un suo preciso significato, anche se forse non immediatamente comprensibile. Ogni anno la parrocchia del Saval organizza un percorso di formazione, culturale e 'spirituale', per il gruppo di persone che trascorreranno il mese di agosto ospiti degli amici boliviani." Gruppo di persone", non necessariamente di medici (ben venga se ce ne sono) né tantomeno di 'volontari': un gruppo di gente comune, ciascuno pronto a mettere a disposizione le proprie potenzialità; e soprattutto pronto a trasformarsi in una spugna e assorbire. Vivrà per un mese in un mondo troppo lontano dalla prospettiva abituale, in una realtà forse facile da immaginare, ma assai difficile da rendere termine di confronto per il nostro agire quotidiano. Un semplice sostegno economico, la costruzione di un ospedale o l'invio di volontari qualificati sono indispensabili, ma a quanto pare non sufficienti al miglioramento globale dei cosiddetti paesi del Terzo Mondo, nè allo sviluppo culturale del nostro. Certo non sarà nemmeno un semplice gemellaggio a farlo, ma quantomeno inciderà sul microcosmo di chi ha toccato con mano i vizi e le virtù della povertà. Al ritorno i "poveri" avranno un nome. Allora forse si parte proprio per tornare, per rendere la Bolivia una sorta di filtro con cui camminare per le vie di sempre guardando però la propria realtà con occhi diversi. E, sensibilizzandosi, sensibilizzare. (Giulia)
ALCUNE INFORMAZIONI
Il prezzo del biglietto è £10.000. Le spese per l’organizzazione della serata ammontano a 4.500.000 per cui la sfida è vendere circa 1000 biglietti, per coprire le spese e spedire in Bolivia sui 5 milioni, oltre all'opera di "sensibilizzazione" che verrà fatta promuovendo l'iniziativa. Potete trovare notizie sul sito: http://web.tiscalinet.it/centuplo Inoltre altre informazioni potete trovarle su: http://www.pippopollina.com (in basso sulla pagina principale) e su: http://www.battiatotribute.net (voce "news")
"Noi skin non siamo pignoli: odiamo tutti". Una frase che
racchiude tutta una filosofia; parole che aprivano, solo qualche anno fa, la
fanzine, diffusa in tutto il nord-est, del Veneto Fronte Skinheads, e che a
Verona finirono su uno striscione allo stadio.
Nella Verona divenuta
città-laboratorio della "destra plurale", che dai gruppi neofascisti si avvicina
sempre più frequentemente al Polo e agli esponenti istituzionali del
centro-destra, lo stadio si è infatti trasformato da lungo tempo in un luogo di
reclutamento per il radicalismo nero. Il "cuore nero" della città, allo stadio
Bentegodi, ha sempre fatto parlare di sé: striscioni contro le tifoserie del
sud, slogan razzisti, cappucci bianchi in stile Ku Klux Klan, manichini che
rappresentavano i giocatori di colore impiccati o bruciati. Perfino nei
gemellaggi tra ultrà, i gruppi veronesi hanno sempre scelto tra il peggio delle
tifoserie nere: Lazio, Inter, Juventus. Nel loro libro sul movimento ultra in
Italia (Fanatics, Castelvecchi 1996), Dario Colombo e Daniele De Luca
parlano di Verona come di una sorta di capitale della destra da stadio, e questo
già vent'anni fa.
Tra gli ultrà del Verona era cresciuto Nicola Pasetto,
esponente di primo piano prima della componente rautiana del Msi di Almirante e
poi di Alleanza nazionale, punto di riferimento in città, fino alla sua
scomparsa, di tutto il circuito neofascista. Da avvocato, Pasetto era stato
anche il difensore di alcuni naziskin.
Ma dei contatti tra la tifoseria
razzista del Bentegodi e i gruppi dell'estrema destra si era occupata anche la
magistratura quando, nel 1993, aveva aperto l'inchiesta contro il Fronte
nazionale di Franco Freda - il gruppo fondato nel 1990 e sciolto definitivamente
proprio qualche mese fa - che proprio a Verona poteva contare su alcune decine
di militanti. In quell'occasione, tra gli indagati c'era Stefano Stupilli, con
precedenti per violenze allo stadio e soprattutto tra i capi delle Brigate
Gialloblù (che formalmente non esistono più, cosa che impedisce l'incriminazione
per reati associativi).
Infine, negli ultimi anni, è al gruppo di Forza nuova
che sembra guardare la curva nera del Bentegodi. Yari Chiavenato, segretario
provinciale veronese del gruppo di Fiore e Morsello, e Alberto Lomastro, già
esponente della Fiamma Tricolore e oggi approdato a Forza Nuova, furono ad
esempio arrestati nel maggio del 1996 per aver impiccato un manichino "di
colore" al Bentegodi (assolti in primo grado, attendono l'appello). E l'avvocato
difensore di quasi tutti gli ultrà sotto inchiesta è l'avvocato Roberto
Bussinello, un tempo inseparabile amico di Pasetto e oggi membro della direzione
nazionale di Forza Nuova.
La ricerca della verità per capire cosa accadde a Sant'Anna di
Stazzema nella giornata del 12 agosto 1944 dura da 56 anni nel corso dei quali
si sono alternati inchieste individuali, tentativi di ricerca dei responsabili,
condanne passate sotto silenzio, disinteresse di tutte le forze politiche. Ma,
oggi, chi ricorda la strage di Sant'Anna di Stazzema? Chi ne conserva la
memoria, chi sa quanti morti ci furono, come furono uccisi e perché? E chi
saprebbe dire chi fu il responsabile di quella strage? A lungo si è creduto che
fosse il maggiore Walter Reder, comandante del XVI battaglione delle SS, il
condottiero della "marcia della morte" che portò i Nazisti da un capo all'altro
della valle padana, lungo la linea gotica fino a Marzabotto e ai suoi 1836
morti. Era il 1 ottobre del 1944. Kesserling aveva già emanato il suo editto per
incitare le truppe a combattere la resistenza "con qualsiasi mezzo". Eppure a
comandare la strage di Sant'Anna non fu Reder.
All'alba del 12 agosto del
1944, quattro colonne di truppe delle SS composte da 500 uomini si apprestarono
a svolgere un'azione militare nella Valdicastello, alla cui sommità c'è
Sant'Anna di Stazzema. Tre colonne raggiunsero il paese, la quarta si dispose
per bloccarne l'accesso. L'operazione fu lunghissima, dalle 7 di mattina alle
16; quasi dieci ore in cui nazisti e fascisti si dedicarono in maniera
scientifica all'eccidio. Le prime tre colonne, composte da tedeschi e da
italiani, distrussero, bruciarono e uccisero tutto ciò che incontrarono a
Sant'Anna e nei borghi sottostanti. Fino al rogo finale, nella piazzetta
principale del paese. Il numero delle vittime, frutto di un calcolo
approssimativo, fu di 560 morti tra uomini, donne, anziani, bambini dai 15 anni
ai 15 giorni di vita.
Nel paese c'erano un migliaio di persone. La
popolazione di Sant'Anna era praticamente raddoppiata per la presenza degli
sfollati dalla Versilia. E poi Sant'Anna si era costruita il mito di paese
inespugnabile, di luogo in cui i tedeschi non arrivavano e in cui la resistenza
era un fenomeno diffuso tra tutti, anche tra chi non poteva combattere. Sulle
montagne serravezzine e stazzemese la resistenza passiva fu fortissima.
E
infatti a scappare, all'arrivo dei tedeschi furono solo gli uomini, temendo un
rastrellamento simile a quello del 30 luglio, quando quattro SS furono uccise
dai partigiani. Gli altri, quelli che rimasero, non immaginavano che quella di
Sant'Anna sarebbe stata la prima strage compiuta contro civili inermi. Come ha
scritto Manlio Cancogni, "a mezzogiorno tutte le case del paese erano
incendiate. (...) I tedeschi a Sant'Anna condussero più di 140 esseri umani
strappati dalle case, sulla piazza della chiesa. Li ammassarono contro la
facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza, una piazza non
più lunga di venti metri e larga altrettanto. Quando puntarono le canne dei
mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere la
paura nei loro occhi. Il massacro richiese meno di un minuto".
Le storie
raccontate dei pochi sopravvissuti sono impressionanti. Raccontano di una
ferocia raccapricciante, di persone ammassate nelle stalle cui veniva poi dato
fuoco, del rogo collettivo nella piazza alimentato con le panche della chiesa,
con la paglia e i materassi strappati dalle case. Raccontano del parroco, don
Innocenzo Lazzeri, anche lui sfollato dalla Versilia, a cui fu detto di scappare
e che, invece, non scappò e quando capì cosa stava accadendo uscì sul sagrato
della chiesa gridando incredulo con un bambino morto tra le mani. Fu freddato
con due colpi alla testa. Raccontano di bambini di pochi mesi strappati dalle
braccia delle madri per essere scaraventati nella scarpata più vicina, di
bambini fucilati a freddo, ritrovati con il cranio fracassato dal calcio dei
fucili o violati con un bastone nell'ano.
"Molti di questi fatti - racconta
lo storico Michele Battini - erano impensabili senza la presenza degli italiani:
SS italiane, repubblichini, mercenari, irregolari. Inoltre dalla ritirata del 4
giugno del '44 iniziò la sindrome da incattivimento dei nazi-fascisti comandati
in quella zona da Simons, il vero responsabile di molti episodi del
genere".
Tra gli italiani presenti c'erano anche alcuni uomini della zona
costretti a portare le munizioni ai nazi-fascisti. Alcuni di questi furono
uccisi alla fine della giornata, durante la discesa a valle, altri 47 furono
trovati morti qualche giorno dopo a San Terenzio. "La strage di Sant'Anna - ha
sostenuto Giorgio Bocca - fa emergere il ruolo importante avuto dai
collaborazionisti. In questo caso, in particolare, dei fascisti toscani che si
ritiravano ormai senza speranze coprivano la ritirata dei tedeschi".
Un mese
dopo, gli americani catturarono un soldato tedesco dalla cui testimonianza si
apprese che la strage fu organizzata e gestita dal II Battaglione - al cui
comando c'era l'austriaco Anthon Galler - del XXXV reggimento della XVI
divisione delle SS comandata da Max Von Simons.
La scoperta del nome di
Galler - poi rifugiatosi nella Spagna di Franco, residente in una cittadina
della Costa Brava e morto nel 1993 - si deve alla giornalista tedesca Christiane
Kohl e risale ormai a due anni fa. Perché Galler non è mai stato cercato,
rintracciato e processato? E perché nessuno cerca Albert Ekkerard, addetto allo
stato maggiore della XVI divisione SS, che è ancora vivo e che all'epoca, come
responsabile dell'ufficio informativo della divisione di Simon scrisse e inviò a
Berlino il rapporto sulla strage di Sant'Anna, classificando l'azione come
un'iniziativa contro i ribelli che aveva portato all'uccisione di oltre 400
nemici? E perché non è mai stata fatta chiarezza sugli italiani che
parteciparono all'eccidio? Era gente del posto, "si trattava anche di gente
conosciuta - racconta Enio Mancini, il direttore del Museo della Resistenza di
Sant'Anna - indispensabile per un'azione del genere".
Pochi giorni fa, la
Commissione giustizia della Camera ha votato - dopo una lunga battaglia portata
avanti da Rosanna Moroni - per istituire un'inchiesta conoscitiva sulle stragi
del "biennio fatale", 1943-45. Verranno ascoltati il vice presidente del
Consiglio della magistratura militare, il procuratore generale militare e il
procuratore generale di Verona. Ha votato contro l'indagine conoscitiva, un
onorevole di Forza Italia. Motivazione: la legislatura sta per finire quindi è
meglio rimandare tutto. "E poi - dice l'onorevole - bisognerebbe occuparsi anche
delle 'altre' vittime".
Questa tardiva iniziativa del parlamento arriva
proprio in concomitanza con il Giorno della memoria ed insieme ad altre
iniziative locali. Come quella della Regione toscana che sta lavorando ad una
mappa delle stragi di quel biennio e che costarono la vita, solo in Toscana, a
4.500 vittime civili nel corso di 280 eccidi. Un'unica richiesta, insomma,
aprire "l'armadio della vergogna", quello trovato nel 1994 - durante il processo
Priebke - con le ante rivolte contro il muro. All'interno, 695 fascicoli
riguardanti 15mila vittime dei nazi-fascisti. Tutte le stragi nazi-fasciste
tranne Marzabotto e le Fosse ardeatine. La timbratura sui fascicoli, risalente
al 1960, porta la dicitura "archiviazione provvisoria". Il fascicolo su
Sant'Anna di Stazzema contiene le testimonianze raccolte dai carabinieri nel
1946. L'esistenza dell'"armadio della vergogna" diventa di dominio pubblico nel
1996, proprio dopo un'inchiesta giornalistica di Giustolisi. Da allora il
Consiglio della magistratura militare apre un'inchiesta che termina nel 1999. Ma
chi impedì la spedizione dei fascicoli alle procure di competenza? De Gasperi,
Andreotti, Pacciardi? E soprattutto, perché?
La risposta a queste domande sta
probabilmente in un altro fatto, anche questo divenuto noto ai più in queste
settimane: i diecimila morti di Cefalonia. Soldati italiani che presidiavano
l'isola greca e che furono massacrati dai tedeschi dopo l'8 settembre del 1943.
Qui l'eccidio fu voluto da Hubert Lanz, comandante dell'armata tedesca
nell'Epiro. Anche quei morti a 57 anni di distanza non hanno ottenuto giustizia.
Ma cosa c'entra Cefalonia con Sant'Anna? C'entra perché oggi sappiamo - anche
grazie ad un carteggio tra gli ex ministri Gaetano Martino e Paolo Emilio
Taviani - che esisteva la precisa volontà politica di non tirare fuori vecchie
storie che avrebbero potuto avere l'effetto di criminalizzare il nuovo alleato,
a tutto vantaggio dei comunisti. I politici di allora ammettono oggi di aver
occultato fatti gravi (come Cefalonia) per ragion di stato. Quando Reder venne
condannato nel 1951 finì per diventare una sorta di capro espiatorio. La pietra
tombale fu calata e rimasero pochi fatti a tenere desta la memoria: Marzabotto,
Boves, le Fosse Ardeatine. La situazione e gli equilibri politici richiedevano
dunque il silenzio per la pacificazione nazionale e internazionale. Oggi il
clima potrebbe essere mutato e pagine di storia lasciate in bianco potrebbero
essere scritte.
Saldare il "debito"