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Introduzione

Il commento all'enciclica "Dives in Misericordia" (30.X1.1980) qui presentato, è apparso in nove articoli nella Rivista "L'Amore Misericordioso",da Febbraio a Novembre 1981.

Intende semplicemente facilitare la lettura del testo pontificio per poter coglierne tutta la ricchezza. Non ha quindi pretese di approfondimento, ma solo di of­frire in modo facile e organizzato gli spunti e le rifles­sioni che forse a prima vista potrebbero sfuggire. L'autore è convinto che l'enciclica tocchi il cuore della Rivelazione (cioè di Dio) e il cuore dell'uomo, specie dell'uomo che siamo noi, oggi. Il cristiano dovrebbe ri­partire da qui per re-impostare la sua vita di fede, per­ché questo tema è centrale, anche se paradossalmente è stato accantonato subito (vedi come la stampa l'ha accolta).

Ma forse uno degli errori del nostro tempo è proprio quello di dare per scontate le riflessioni più importan­ti, magari definendole "utopie".

Con vero piacere tento un commento.

Perché contiene l'autorevole Magistero del Romano Pontefice, cui il cristiano cattolico deve "religioso ri­spetto di volontà e di intelligenza" (Lumen Gentium, n. 25). Perché svolge il tema dell'Amore Misericordio­so (l'espressione ritorna una ventina di volte e moltissi­me altre volte viene precisato il rapporto tra amore e misericordia). Perché il Papa assicura che questa veri­tà di fede è particolarmente necessaria "in questi tem­pi critici e non facili" (cap. I).

Notiamo subito che l'Enciclica è redatta con uno stile veramente nuovo in quanto si utilizzano moltissime ci­tazioni bibliche, poche volte il Concilio Vaticano II e Paolo VI.

E quindi il Papa ci presenta questo tema alla luce della Scrittura e della sua propria riflessione - esperienza di fede, facendo molta attenzione alla missione della Chiesa e alle necessità dell'uomo oggi.

 

Capitolo 1

Chi vede me vede il Padre

«...DIO RICCO DI MISERICORDIA. è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere.

... La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di mise­ricordia e tende, altresì, ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della miseri­cordia.

...Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio «Padre delle misericordie» ci consente di «vederlo» particolar­mente vicino all'uomo, soprattutto quando questi sof­fre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità...»

Il Papa spiega il titolo dell'Enciclica "Dives in miseri­cordia - ricco di misericordia", accostando due affer­mazioni bibliche:

1) Il Cristo, essendo il Figlio, ci rivela il Padre. "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato". (Gv 1,18). A Filippo che chiede di mostrargli il Padre, Gesù rispon­de: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14, 9).

2) Il Padre che Cristo ci rivela specialmente nella sua morte e resurrezione, ha una fondamentale connota­zione: la misericordia. Noi tutti, dice Paolo, eravamo morti per i nostri peccati, poiché vivevamo alla manie­ra di questo mondo, seguendo i desideri della carne e quindi non meritavamo che la dannazione. "Ma Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sede­re nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli fu­turi la straordinaria ricchezza della sua grazia median­te la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù" (Ef 2, 4-7) . Bisogna riconoscere che questo testo biblico è davvero chiarissimo nell'affermazione che Dio in Cristo ha operato la salvezza dell'uomo solo per il suo grande Amore, per puro dono, per sola grazia. Dio si è mo­strato a noi "ricco di misericordia". Se poi teniamo presente che questo tema affonda le sue radici in pas­saggi altrettanto significativi dell'Antico Testamento, come vedremo, il Papa, intitolando la lettera alla Mise­ricordia divina, ha davvero centrato il cuore della Rive­lazione di Dio in Cristo.

Bisogna anche riconoscere la stringente logica che lega le due affermazioni bibliche: il Cristo ci rivela il Padre suo, il quale è definito principalmente per il suo Amore - Misericordia, avendoci Lui salvati per puro dono in Cristo, quando noi eravamo peccatori, ribelli, lontani da Lui. Mandandoci il suo Figlio ci acquisisce nel suo Amore come suoi Figli; diventa nostro Padre.

Nella sua prima Enciclica promulgata due anni fa con il titolo "Redemptor hominis" (Redentore dell'uomo) il Papa "seguendo la dottrina del Concilio Ecumenico Vaticano II (che egli si ripromette, sulla scia di Paolo VI, di continuare a presentare e a sviluppare, essendo giustamente il più autorevole documento della Chiesa dei nostri tempi) e aderendo alle particolari necessità dei tempi in cui viviamo", aveva dedicato la sua atten­zione "alla verità intorno all'uomo, che nella sua pie­nezza e profondità ci viene rivelata in Cristo". Cristo svela all'uomo la sua vera dignità, il suo vero volto. La missione della Chiesa è dunque quella di camminare "su questa via che conduce da Cristo all'uomo, su que­sta via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo... La Chiesa desidera servire quest'unico fine: che ogni uo­mo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la poten­za di quella verità sull'uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa promana" (RH, n. 13). Da ogni pagina della sua prima Enciclica il Pa­pa sembra far risuonare l'invito proclamato nel gior­no della sua elezione: "Spalancate le porte a Cristo", perché Lui solo può illuminare il mistero della vita e svelare il senso della storia.

"Un'esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è 'misericordioso e Dio di ogni consolazione' " (DM, n. 1). Cristo svela il vero volto dell'uomo e la sua vera di­gnità, svelando il volto del Padre, "nella rivelazione del mistero del Padre e del suo amore" (ivi). Cristo è il centro e il senso della storia dell'uomo in quanto ci ri­porta alla sorgente dalla quale Lui stesso proviene: il Padre delle misericordie.

La Chiesa porta Cristo all'uomo, o, se vogliamo, fa in­contrare l'uomo con Cristo, affinché con Lui possa an­dare incontro al Padre. Lì, l'uomo ritrova pienamente se stesso. Nel "seno del Padre" (cf Gv 1, 18) l'uomo ri­trova la sua vera abitazione, essendo quella la dimora del Cristo stesso, il Figlio. In questo modo:

1) Le due Encicliche nel loro insieme spiegano quell'affermazione centrale del Vaticano II a proposi­to della dignità della persona umana: "In realtà sola­mente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione". E conclude: "Cristo è ri­sorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita, affinché, divenuti figli nel Figlio, escla­miamo nello Spirito: Abba, Padre!" (GS, 22). Il Cri­sto, rivelandoci il mistero del Padre e del suo amore, ci indica la massima grandezza dell'uomo.

2) La Chiesa portando Cristo all'uomo gli offre la veri­tà e l'amore, la salvezza (= antropocentrismo cristia­no). Ma il Cristo attua la salvezza dell'uomo portando­lo con sé nel seno del Padre, sorgente ultima della veri­tà e dell'amore (= teocentrismo cristiano).

"Mentre le varie correnti del pensiero umano nel pas­sato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocen­trismo e 1'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguen­do il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uo­mo in maniera organica e profonda" (DM, c I). Viene così superato il falso dilemma della cultura contempo­ranea secondo cui l'uomo o sceglie Dio accettando di annullarsi, di perdersi, di alienarsi rinunciando alla sua propria realizzazione, o sceglie l'uomo che deve fa­re da solo la storia per costruire il suo proprio mondo, realizzando la giustizia e la pace con le sole sue forze, escludendo Dio come antagonista. Il Papa afferma: l'uomo proprio e solo seguendo il Cristo arriva al Pa­dre e lì realizza divinamente se stesso. E questo grazie e ad opera del suo infinito Amore Misericordioso che compie le infinite aspirazioni del cuore umano. Da so­lo non ce la fa, o comunque la sua vita diventa, come dicono tanti contemporanei "assurda", "angosciata", "infernale".

3) Cristo svela all'uomo la sua vera identità perché gli rivela la profonda realtà di Dio che s'incentra nel suo Amore Misericordioso.

Dio, nessuno l'ha mai visto: egli abita una luce inac­cessibile all'uomo (cf Gv 1,18; 1 Tm 6, 16). È vero che dal creato si può risalire con la ragione al Creatore del mondo e ci porta ad ammettere l'esistenza di un Prin­cipio, causa delle realtà che vediamo. Ma qual'è la sua natura? Chi è questo Creatore? Quali sono i suoi pen­sieri? Ama le cose che ha fatto? Perché? Il suo Figlio che vive nel mistero di Dio ed è Dio Lui stesso, ci ha detto tutto. Con le sue parole e con la sua vita, culmi­nata nell'eloquente silenzio della sua Morte - Resurre­zione ci ha detto che Dio è essenzialmente Padre, Pa­dre suo e Padre di ogni uomo che lo voglia accogliere come tale. Il Cristo ha incarnato e personificato la mi­sericordia del Padre. "Egli stesso è, in un certo senso, la Misericordia".

4) La mentalità contemporanea sembra rifiutare l'idea della misericordia, anzi mostra allergia alla stessa pa­rola, preferendo quella della giustizia. L'uomo vive og­gi un momento di grande trasformazione che contiene allo stesso tempo la speranza di un futuro migliore ed anche oscure minacce che attentano la sua stessa esi­stenza e dignità. Il rifiuto della misericordia sembra tradire la sua non comprensione esatta ed insieme una presunta autosufficienza dell'uomo che, se ha operato enormi progressi, nasconde profonde angoscie, debo­lezze, squilibri, contraddizioni, ingiustizie, di fronte al­le quali si sente tanto piccolo. Ed allora cade provvi­denziale e più che mai attuale l'appello alla misericor­dia divina che ci assicura la benevola vicinanza di Dio. Il Papa vuole avvicinare all'uomo contemporaneo il mistero del Padre e del suo Amore Misericordioso, an­nunciandolo con quella semplicità e profondità con cui ce lo rivela la Parola di Dio. Ma vuole pure che la Chiesa invochi e ricorra al Padre delle misericordie, professi e viva la misericordia di Cristo, della quale "l'uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto biso­gno, ne hanno bisogno, anche se sovente non lo san­no".

 

Capitolo II

Messaggio messianico

«...Il render presente il Padre come amore e misericor­dia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia; lo confermano le parole da lui pronunciate prima nella sinagoga di Na­zaret, poi dinanzi ai suoi discepoli ed agli inviati di Giovanni Battista...»

Il Papa inizia la sua riflessione sulla misericordia di­vina mettendoci subito davanti la figura del Cristo: Gesù che si autopresenta nella sinagoga di Nazaret. Se teniamo conto che quello è il primo gesto della sua vita pubblica e che il fatto avviene in un mo­mento liturgico, dopo la lettura di una famosa profe­zia messianica, abbiamo da ritenere che la dichiara­zione di Gesù sulla sua missione è solenne, ufficiale, autoritativa. Tra parentesi abbiamo anche un'indica­zione di metodo: ogni riflessione autenticamente cri­stiana deve partire diritta verso il Cristo. Sarebbe stato più logico per noi iniziare subito con il capitolo III che s'intitola "L'antico Testamento". Il Papa in­vece ci presenta subito il Cristo per quello che ha fatto e per quello che ha detto (notiamo: prima i ge­sti, i fatti, poi le parole). Con il Cristo si può leggere correttamente l'Antico Testamento e far seguire ogni altra riflessione.

La Profezia che viene letta nella sinagoga e che Gesù applica a sé è quella di Isaia al capitolo 61. "Lo Spi­rito del Signore è sopra di me; per questo mi ha con­sacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annun­ziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per ri­mettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (cfr. Lc 4,18s). Il profeta Isaia predice la venuta del Messia e lo descrive con le seguenti caratteristiche:

1) possederà la pienezza dello Spirito;

2) sarà consacrato, cioè apparterrà al Signore e vivrà per obbedire al Signore, facendo la sua volontà;

3) questa volontà del Signore, per la quale Cristo è mandato, consiste nella liberazione­guarigione dell'uomo: sul piano fisico (poveri, prigio­nieri, ciechi), psicologico (gli oppressi) e spirituale (l'anno di grazia del Signore). Cristo è stato manda­to per salvare tutto l'uomo e tutti gli uomini, gua­rendoli da ogni tipo di male.

Il Papa riporta anche un altro brano del vangelo di Luca. Gesù aveva già operato molte guarigioni (cfr. Lc 4,31-41; 5,12-26; 6,6-11; 7,1-17) quando si vede arrivare i discepoli di Giovanni Battista per chieder­gli: "Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?'. "In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risusci­tano, ai poveri è annunziata la Buona Novella. E bea­to è chiunque non sarà scandalizzato di me" (Lc 7,20­23). Isaia aveva predetto l'opera del Messia proprio in questi termini (cf Is 35,5-6; 42,7; 26,19; oltre al già ci­tato Is 61).

Dunque l'avvento del Messia e la sua opera sono contrassegnate da guarigioni: gli uomini vengono li­berati dai demoni; da malattie inguaribili come la lebbra, la paralisi, la cecità; Gesù risuscita i morti; Gesù perdona i peccati.

Alla luce di questi fatti non si deve cadere né in un vago spiritualismo per cui Gesù sarebbe venuto solo a perdonarci i peccati e nemmeno in una riduzione del Cristo a semplice guaritore delle nostre malattie fisiche. Gesù, il Messia, è colui che provenendo dal Padre, ricco di misericordia e dal Dio che è Amore (cf 1 Gv 4,8.16), porta nel mondo degli uomini quel­lo stesso amore, rivelandolo con i fatti e con le paro­le sue, incarnando lui, in se stesso, l'amore del Pa­dre. Lui è nel mondo l'amore del Padre per noi. Lui non ha mai negato il suo aiuto a un povero, a un malato, a un peccatore. Ora proprio l'incontro dell'amore, fatto di opere concrete, del Cristo con la necessità o la miseria dell'uomo, si chiama misericor­dia. È la risposta giusta, l'unica vera e positiva, alla situazione di bisogno e di necessità che grida aiuto. Gesù è l'incarnazione concreta, precisa, storica dell'Amore del Padre che si chiama misericordia di­vina per l'uomo.

"Gesù appunto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si ri­volge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità. Tale amore si fa particolarmente nota­re nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la po­vertà, a contatto con tutta la «condizione umana» storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell'uomo, sia fisica che morale. Appunto il modo e l'ambito, in cui si manifesta l'amore, viene denominato nel linguaggio biblico «misericordia». ...Il render presente il Padre come amore e miseri­cordia è nella coscienza di Cristo stesso, la fonda­mentale verifica della sua missione di Messia "(DM, c2). Quest'ultima affermazione è una delle più deci­sive di tutta l'enciclica. In sostanza è questa la chia­ve di lettura: tutto poggia sul fatto che Cristo ha in­teso realizzare perfettamente la sua missione rivelan­do il Padre come Amore Misericordioso. Più in bre­ve ancora: il Cristo ha senso pieno quando lo inten­diamo come Amore Misericordioso, perché così egli si è rivelato a noi, così ha agito. È naturale, di con­seguenza, che Gesù abbia fatto della misericordia uno dei principali temi della sua predicazione. Ciò appare particolarmente nel Vangelo di Luca.

Deriva subito per il cristiano una prima conclusione. Se il Cristo con la sua vita ha dimostrato un cuore misericordioso, se la sua predicazione è centrata nel­la misericordia, il cristiano è coinvolto nella stessa realtà: è chiamato anzitutto a fare l'esperienza della misericordia divina come destinatario (anch'egli è povero, sofferente, peccatore: bisognoso) e come do­natore - testimone (anch'egli incontra altri poveri, sofferenti, peccatori: bisognosi). A questo punto pos­siamo parlare di un vero seguire Cristo da parte del cristiano. Se l'Amore Misericordioso è decisivo per intendere il Cristo, deve essere decisivo anche per il cristiano.

"È necessario constatare che Cristo nel rivelare l'amore-misericordia di Dio, esigeva al tempo stesso dagli uomini che si facessero anche guidare nella lo­ro vita dall'amore e dalla misericordia. Questa esi­genza fa parte dell'essenza stessa del messaggio mes­sianico, e costituisce il midollo dell'ethos (morale) evangelico". In realtà il Nuovo Testamento intero ri­conduce all'amore e alla misericordia tutta la morale cristiana: questo è il comandamento nuovo portato da Cristo (cf Gv 13,34); sulle opere della misericor­dia saremo giudicati tutti (cf Mt 25,31) e nel discor­so della montagna è detto: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Mt 5,7).

Allora, conclude il Papa, il messaggio messianico sulla misericordia conserva una particolare dimensio­ne divino-umana. E questo in due sensi:

1) perché nel Cristo è il Padre della misericordia che viene in­contro all'uomo bisognoso, facendosi lui stesso uo­mo, sensibile ad ogni miseria umana;

2) perché nel cristiano che sulla scia di Cristo continua a porre in opera la misericordia, non solo si adempie un co­mandamento, ma soprattutto si porta avanti la Rive­lazione di Dio nella sua misericordia verso l'uomo, pregustando già la beatitudine dei misericordiosi.

 

Capitolo III

L'Antico Testamento

«...Il concetto di «misericordia» nell'antico Testamen­to ha una sua lunga e ricca storia.

...Nella predicazione dei profeti la misericordia signi­fica una speciale potenza dell'amore, che prevale sul peccato e sull'infedeltà del popolo eletto.

... Da tutto ciò si deduce che la misericordia non ap­partiene soltanto al concetto di Dio, ma è qualcosa che caratterizza la vita di tutto il popolo di Israele e dei suoi singoli figli e figlie: è il contenuto dell'intimità con il loro Signore, il contenuto del loro dialogo con lui. ...L'Antico Testamento incoraggia gli uomini sventu­rati, soprattutto quelli gravati dal peccato - a far ap­pello alla misericordia, è concede loro di contare su di essa: la ricorda nei tempi di caduta e di sfiducia...»

Giovanni Paolo II, dopo aver mostrato che tutta la persona e l'opera del Cristo è consistita nel "rendere presente il Padre come amore e misericordia", pre­senta la sua lettura dell'Antico Testamento.

- Israele fu il popolo di Dio dell'Antica Alleanza. Non si deve pensare che Israele abbia elaborato a tavolino il concetto della misericordia di Dio, anche perché non aveva intenzioni di tipo filosofico. Il con­testo culturale era quello dell'esperienza storica. E l'avvenimento più decisivo e centrale fu quello dell'Esodo.

"Il Signore osservò la miseria del suo popolo ridotto in schiavitù, udì il suo grido, conobbe le sue angosce e decise di liberarlo" (Es 3,7s). Tutto parte da qui; prima di questo momento Israele non esisteva come popolo. "E proprio qui che si radica la sicurezza di tutto il popolo e di ciascuno dei suoi membri nella misericordia divina, che si può invocare in ogni cir­costanza drammatica" (DM, c.3).

"Yahvè aveva mostrato tutta la sua potenza nel libe­rare Israele dalla schiavitù egiziana, opponendosi con efficacia al fortissimo faraone e guidando con si­curezza il popolo attraverso il deserto. Questa im­pensabile liberazione fu avvertita come una vera creazione, la creazione di Israele ad opera esclusiva dell'Amore divino totalmente gratuito. E sul Sinai avviene un singolare incontro tra Dio e Israele libe­rato: Yahvè propone una reciproca appartenenza, una intimità sponsale. L'Alleanza si struttura sulla base storica della liberazione già avvenuta come pu­ro dono e su un futuro scandito da meravigliose pro­messe divine (essere per Dio speciale proprietà fra tutti i popoli, regno di sacerdoti, nazione santa: Es 19,5-6), se Israele accetta di ascoltare la voce del Si­gnore obbedendo al Decalogo. Dopo l'esplicita accet­tazione (Es 19,8; 24,3.7) si conclude l'Alleanza nel rito del sangue e col banchetto. "Yahvè, Dio d'Israele - Israele, popolo di Dio" era la formula che

riasssumeva questo rapporto di comunione profonda e reciproca.

Ma Israele rompe subito l'alleanza in modo vera­mente perverso: adora il vitello d'oro (Es 32). Tutto era finito.

Senonché il Signore abbandona il proposito di di­struggere il popolo solamente perché egli è "Dio mi­sericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà" (Es 34,6). Questa è la sua Gloria, quella che rileva in modo singolare a Mosé e riprende a compiere meraviglie ancor più grandi, come se il peccato d'Israele avesse provocato paradossalmente una ulteriore imprevedibile sovrabbondanza di amo­re.

Quindi l'Avvenimento dell'Esodo e dell'Alleanza comporta almeno tre stupende manifestazioni di Dio: la liberazione totalmente gratuita come una ve­ra e propria creazione, l'intima e profonda comunio­ne nel Sinai, il perdono come intervento divino ancor più ricco di grazia. L'esperienza che Israele faceva di Dio poteva definirsi (non astrattamente) come Amore, gratuito e liberante, come Amore Fedele, di­fronte all'infedeltà di Israele, ossia come AMORE MISERICORDIOSO.

- La riflessione successiva su questi fatti, con i Pro­feti, portava a sottolineare che l'esperienza dell'Al­leanza era in realtà l'esperienza della misericordia divina. "Nella predicazione dei profeti la misericor­dia significa una speciale potenza dell'amore, che prevale sul peccato e sull'infedeltà del popolo eletto. ... Sia il male fisico che il male morale, o peccato, fanno sì che i figli e le figlie di Israele si rivolgano al Signore con un appello alla sua misericordia" (DM, c.3). Così si spiegano i moltissimi testi dei Libri Pro­fetici e Sapienziali che contengono per lo più pre­ghiere, suppliche, invocazioni accorate alla Miseri­cordia del Signore perché intervenga ancora secondo le inesauribili risorse del suo Amore. Il Papa a que­sto proposito cita una trentina di passi (cf. le note da 31 a 52), mostrando così quanto questo tema sia cen­trale per tutto l'Antico Testamento.

- La Meditazione su quello che Dio ha fatto nella storia di Israele in suo favore va più avanti, cercan­do la risposta alla domanda: ma perché Yahvè agi­sce così?

Perché Egli è PADRE. "Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non forzarti all'insensibilità perché tu sei nostro padre" (Is 63,15s). "Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani" (Is 64,7. Il testo di Is 63-64 è meraviglioso dal punto di vista poetico-letterario e dal punto di vista del mes­saggio). "Quando Israele era giovinetto, io l'ho ama­to e dall'Egitto ho chiamato mio figlio... Ad Efraim Io insegnavo a camminare tenendolo per mano... ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare" (Os 11, 1-4).

Perché è una tenera MADRE. "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuo­versi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimentiche­rò mai. Ecco, ti ho disegnato (tatuato) sulle palme delle mie mani" (Is 49, 15s). "Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanereb­be da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia allean­za di pace; dice il Signore che ti usa misericordia" (Is 54, 10).

Perché è uno SPOSO, fedele e geloso. "Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore" (Os 2,21). "Passai vicino a te e ti vidi; ecco, la tua età era l'età dell'amore... giurai alleanza con te e diveni­sti mia" (Ez 16, 8).

Tutto questo, dice il Papa nella lunga nota 52, viene espresso con tre caratteristici termini del vocabolario ebraico:

"hesed" che indica bontà originaria, costitutiva; amore puro, disinteressato perché è sorgivo e siamo un po' nella linea dell'amore paterno.

"rahamim" che suggerisce l'amore viscerale della madre la quale ha portato nel suo grembo il figlio. Non potrà più dimenticarselo: è passato nel suo pro­prio seno lasciando una traccia profonda nella sua natura; rimarrà sempre suo figlio.

"emet" dice fedeltà assoluta, fondamento incrollabile che supererà ogni ostacolo, in quanto è per natura sua fedele, anche difronte alle infedeltà dell'altro partner.

Risulta quindi che l'Amore divino nell'Antico Testa­mento si definisce "amore paterno - materno - sponsale", o, tradotto in modo letterale "amore origina­rio (fontale) - viscerale - totale".

Potrebbe essere sintetico questo testo: "Come potrei abbandonarti, Efraim? ... Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo" (Os 11,8s). Il Dio dell'Antico Testamento, essendo padre, madre, sposo, è un Dio che si "commuove" e "freme di compassione". Questa è la sua natura. Tutt'altro che il Dio freddo e impassibile, se non cattivo, che forse qualche volta pensiamo, trasferen­do in Lui la nostra ristrettezza e cattiveria.

- "È facile allora comprendere perché i Salmi, allor­ché desiderano cantare le più sublimi lodi del Signo­re, intonano inni al Dio dell'Amore, della tenerezza, della misericordia e della fedeltà" (DM, c. 3). Si leg­ga per esempio i Salmi 103 (102); 145 (144); e il 59 (58) che termina in modo preciso: "tu, o mio Dio, sei la mia misericordia" ultima definizione di Dio e dell'uomo. Tutto il Salmo 89 (88) è un inno alla "grazia e fedeltà" del Signore, ossia all'Amore gra­tuito e fedele, e quindi all'Amore Misericordioso. "Da tutto ciò si deduce che la misericordia... carat­terizza la vita di tutto il popolo d'Israele e dei suoi singoli figli e figlie: è il contenuto dell'intimità con il loro Signore, il contenuto del loro dialogo con lui" (DM, c 3). In mille modi si cerca di esprimere i vari aspetti dell'infinita ricchezza della misericordia divi­na: "tutte le sfumature dell'amore si manifestano nella misericordia del Signore verso i suoi" e così viene incoraggiato l'uomo ad invocare la misericor­dia, a ricordarsene, a riconoscerla, a ringraziarne l'autore.

- L'Antico Testamento opera ancora un confronto tra la giustizia divina e la misericordia divina. Tra le due non c'è contrasto e l'una non esclude l'altra, pe­rò certamente "l'amore è più grande di essa (giusti­zia): è più grande nel senso che è primario e fonda­mentale" (DM, ivi). Ecco i motivi della superiorità dell'amore sulla giustizia:

1. Tutto il rapporto di Dio con l'uomo parte (e quin­di nasce, si mantiene, è determinato) dall'amore. In­fatti la domanda più fondamentale che noi ci possia­mo fare (perché esistiamo? perché esiste il mondo tutto?) trova un'unica risposta: perché Lui è Pienez­za di Amore (cf 1Gv 4,8), non certo perché Dio è giusto. Risalendo alle radici ultime, nel mistero della creazione ci incontriamo con l'Amore di Dio. "Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio da Lui sempre per amore è conservato" (Gaudium et Spes, n. 19; cf anche n. 2). " Questo Piano (della creazione e della salvezza) scaturisce dalla "fonte d'amore", cioè dalla carità di Dio Pa­dre, che essendo il Principio senza principio, da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberamente creandoci ed inoltre gratui­tamente chiamandoci a partecipare alla sua vita e al­la sua gloria, per pura generosità ha effuso e conti­nua ad effondere la sua divina bontà, sicché come di tutti è il creatore, possa anche essere "tutto in tut­ti", promovendo insieme la sua gloria e la nostra fe­licità " (Ad Gentes, n. 2). Vale per tante altre l'espressione di Geremia: "Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà" (31,3). E anche l'altra domanda non meno importante (a che scopo ci ha creati?) trova come unica risposta: perché ci predestina alla comunione con Lui, alla vi­ta con Lui e quindi perché ci ama. "Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più nu­merosi di tutti gli altri popoli (ossia: non perché lo meritavate; non ci sono meriti precedenti all'inter­vento divino), ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri pa­dri" (Dt 7,70. Al mistero della creazione come mi­stero di amore è connesso il mistero della elezione (alla salvezza) di tutti gli uomini, sempre per amore e non per giustizia dovuta all'uomo. Questa, dice il Papa è la prospettiva insieme temporale ed escatolo­gica dell'intera storia dell'uomo, ossia il suo punto di partenza, il suo punto di arrivo e l'ambito nel quale si svolge. Cristo rivelerà il Padre in questa stessa prospettiva.

2. L'amore divino è superiore alla sua giustizia per­ché Dio perdona e il suo perdono è una nuova crea­zione; non è un rifacimento o una restaurazione do­po che abbiamo scontato tutto; il peccato provoca un intervento divino dettato da un amore più grande ancora. L'amore divino appunto perché misericor­dioso è superiore alla giustizia. "Ciò sembrò tanto chiaro ai Salmisti e ai Profeti che il termine stesso di giustizia finì per significare la salvezza realizzata dal Signore e la sua misericordia" (DM, ivi). È ormai classico a questo proposito il Salmo 40 (39), 11 che dice: "Non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore, la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclama­to". Perciò la giustizia "serve la carità" (DM, ivi). Infatti la giustizia di Dio, appunto perché di Dio, "esclude l'odio e il desiderio del male nei riguardi di colui, al quale una volta ha dato in dono se stesso: nulla tu disprezzi di quanto hai creato " (DM, ivi). La giustizia entra nella prospettiva dell'amore; da questo è guidata e diretta.

3. L'amore supera la giustizia, ma non l'annulla. L'uomo diventa responsabile (e quindi è giudicato) proprio rispetto a questo amore. L'Amore Misericor­dioso è l'unica realtà capace di "rendere giusto l'uo­mo"; se responsabilmente non l'accoglie rimane non giustificato, non salvato; senza l'Amore Misericor­dioso l'uomo rimane col suo egoismo più triste = in­ferno. È l'esilio, la schiavitù nella quale il popolo d'Israele ricadeva ogni volta che disobbedendo si al­lontanava dall'Amore di Dio; esilio e schiavitù, segni della morte, del peccato, dell'inferno, delle tenebre, in una parola della non accoglienza dell'amore divi­no.

La conclusione di questa rapida lettura dell'Antico Testamento è molto semplice: l'Amore Misericordio­so ne è la chiave di lettura principale. Se pensiamo che ancora oggi esiste il pregiudizio che il Dio dell'Antico Testamento è un Dio vendicativo e terri­bile, il Papa, servendosi dell'autorità del suo Magi­stero, mette fine a una concezione così blasfema, of­frendoci la vera ottica con cui affrontare la medita­zione di questa prima parte della storia della salvez­za.

 

Capitolo IV

La Parabola del Figliol Prodigo

«...La misericordia - come l'ha presentata Cristo nel­la parabola del figlio prodigo - ha la forma interiore dell'amore, che nel Nuovo Testamento è chiamato agape. Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato. Quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e rivalutato...»

Il Nuovo Testamento è definito e caratterizzato dalla venuta-presenza di Cristo. E il suo arrivo è salutato con due inni che sono un esultante riconoscimento alla Misericordia divina, già risuonata nell'Antico Testa­mento.

Maria, la voce più autorevole, dà lode al Signore con tutta l'anima per la sua misericordia, di cui di genera­zione in generazione divengono partecipi gli uomini, che vivono nell'Amore di Dio (cf il Salmo 103,17: "Ma la Grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono"). Dio "si è ricordato della sua mise­ricordia" (cf il Salmo 98,3: "Il Signore si è ricordato del suo Amore, della sua fedeltà alla casa di Israele. Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio"). Per Maria, la persona che più è stata vi­cina al Cristo, il Messia Salvatore è la massima mani­festazione della fedeltà di Dio al suo Amore verso il po­polo che ne aveva bisogno, ossia Amore Misericordio­so che interviene a salvare.

Zaccaria, il padre del Battista, benedice il Dio d'Israe­le "perchè ha visitato e redento il suo popolo" portan­do la salvezza. "Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza" (cf il Salmo 106,45: "Si ricordò della sua Alleanza con loro, si mosse a pietà per il suo grande amore"). La salvezza e la liberazione dal male ci sono donate nel Cristo "grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio". Cristo proviene dall'Amore Misericordioso di Dio, dal suo seno "materno" (cf Gv 1,18). Abbiamo così in questi due canti il richiamo all'amore paterno e materno di Dio, già riconosciuto nell'Antico Testa­mento e qui posto all'origine dell'Avvenimento Cristo. E poi il Papa dedica l'intero capitolo IV alla parabola del Figliol Prodigo. Facendone un commento originale vi legge come in sintesi tutta l'opera del Cristo in ordi­ne alla Misericordia di Dio con l'uomo bisognoso. Non vi ricorre la parola "misericordia", ma l'episodio nell'insieme mostra al suo centro "il mistero della mi­sericordia, quale dramma profondo che si svolge tra l'amore del padre e la prodigalità e il peccato del fi­glio" (DM, ivi).

Luca al capitolo 15 ci racconta tre parabole, chiamate "parabole della misericordia", dette da Gesù agli scri­bi e ai farisei che mormoravano perchè Gesù andava con i peccatori. Nel figlio più giovane che decide di an­darsene da casa scorgiamo l'uomo di sempre, e parti­colarmente l'uomo d'oggi con due tipiche connotazio­ni: una spiccata domanda di libertà fino a rompere, senza un dialogo, relazioni così profonde come quelle familiari; impoverire e ridurre i rapporti più belli al so­lo aspetto economico ("Padre, dammi la parte del pa­trimonio che mi spetta"). Consumati i beni materiali, gli viene spontaneo riandare all'esperienza passata, dove "a casa di suo padre c'era pane in abbondanza". La riflessione portava ad accostare le due situazioni: quella attuale nella quale si trova senza pane e senza casa (padre) con la situazione precedente quando il pa­ne e il padre costituivano un tutto che dava serenità.

In fondo perchè se n'era andato? Cosa gli mancava? Ed eventualmente poteva parlarne al padre: non lo avrebbe forse ascoltato? Qual'era esattamente il conte­nuto della libertà che cercava?

"Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più de­gno di essere chiamato tuo figlio". La sua condotta aveva certo infranto il rapporto filiale, aveva compro­messo la sua dignità di figlio nella casa di suo padre, aveva offeso nel vivo il padre. E tuttavia una segreta speranza in quella sua profonda confusione emergeva sempre più chiara: il suo rapporto di figlio "non pote­va essere nè alienato, nè distrutto da nessun comporta­mento" (DM, ivi). "Partì e si incamminò verso suo pa­dre".

Ed ecco il Padre: il vero comportamento e l'animo di Dio. "Il padre del figliol prodigo è fedele alla sua pa­ternità, fedele a quell'amore che da sempre elargiva al proprio figlio" (DM, ivi). "Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò". Non gli fece finire il discorso preparato, gli fece portare il vestito più bello e fece una grande festa perchè era stato ritrovato il figlio perduto. Come a dire che il padre non aveva cessato di amare suo figlio, lo stava aspettando con ansia desiderandone il ritorno; sarebbe lui stesso andato in cerca (cf Lc 15,4) se non fosse stato sicuro del suo ritorno che, deci­so liberamente dal figlio, aveva un valore più grande.

L'accoglienza così pronta, commovente e così festosa, quanto inattesa e non certo meritata, fa rimbalzare i tratti di Dio Padre. L'abbraccio, il vestito bello e la fe­sta significano la sua totale riabilitazione come figlio; anzi, dobbiamo dire che di fatto solo ora il figlio sente e sperimenta la grandezza della sua dignità filiale, ora, che può misurare tutta la grandezza del cuore del pa­dre. È il padre che fonda, dopo avergliela fatta scopri­re, la bellezza dell'essere figlio, figlio di quel Padre. La misericordia di tale padre assume tutte le caratteristi­che descritte da S. Paolo: è paziente, benigna, non cer­ca il suo interesse, non si adira, non tiene in conto del male ricevuto, si compiace della verità, tutto spera, tutto sopporta (1Cor 13).

Questo è l'amore che scaturisce dall'essenza stessa del­la paternità. "Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato. Quando ciò avvie­ne, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e rivalutato" (DM, ivi).

In sostanza la misericordia è l'occasione privilegiata nella quale vien fuori l'ultima verità di Dio e dell'uo­mo. L'uomo, lungi dall'essere offeso e umiliato (Dio non ha una sola parola di rimprovero, di quelle che noi ci sentiamo in dovere di dire; questo atteggiamento è quello di Gesù con i peccatori), riscopre se stesso nella sua più alta dignità, nella sua veste più vera e più bel­la. Una veste che prima del peccato quasi non sapeva di avere, nel peccato aveva sporcata per sempre e ora gli viene regalata in un clima di festa e di gioia davvero inattesa. E in questa occasione il padre stesso parteci­pa ed è coinvolto in prima persona: prima aveva sem­plicemente un figlio; poi d'improvviso con una soffe­renza tutta sua, senza dire una parola e senza chiedere una spiegazione, riceve la pugnalata con la quale il fi­glio ingiustamente si allontana da lui; quindi lo riceve non come se nulla fosse successo, ma facendogli festa! Si potrebbe dire che anche il padre cresce e matura in questa situazione, per lo meno nel senso che partecipa profondamente al dramma, ponendo dei comporta­menti in un crescendo originalissimo di amore miseri­cordioso che alla fine si rivela il motivo centrale della conversione e della festa.

La conversione "è la più concreta espressione dell'ope­ra dell'amore e della presenza della misericordia nel mondo umano... La misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio, quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male, esistenti nel mon­do e nell'uomo. Così intesa, essa costituisce il contenu­to fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione" (DM, ivi). La misericordia ha proprio questo di caratteristico: saper superare il male con l'amore, saper credere e sperare anche in situazioni umanamente irreparabili, saper of­frire un perdono ed una accoglienza che, invece di umiliare o di approvare il male, convertono alla verità. Il Papa non commenta l'ultima parte della parabola. Qui ci permettiamo di accennare qualcosa. Il fratello più grande, quando venne a sapere il perchè della festa "si arrabbiò e non voleva entrare": il padre per lui non aveva mai fatto festa. Era ingiusto. Questa figura del fratello maggiore nel contesto di Gesù faceva senz'al­tro riferimento al popolo giudaico, specie agli scribi e ai farisei che rimproveravano a Gesù il suo andare con i peccatori, mentre doveva allontanarsene e rimprove­rarli.

Il padre giustifica il suo comportamento e non soppri­me la festa: bisogna farla, anzi la deve fare pure lui perchè questo "tuo fratello" è stato ritrovato. Non solo il padre ha ritrovato il figlio e viceversa, ma anche il fratello deve sentire di aver ritrovato il fratello. L'amo­re misericordioso del padre spinge e provoca il figlio maggiore ad andare incontro e ad abbracciare il fratel­lo ritornato. Il padre vuole il recupero di quest'altra importante relazione perchè la festa sia piena.

Entrerà il figlio più grande alla festa? La parabola si ferma qui, con questo interrogativo che oggi riguarda noi. In ogni caso il padre rientra in casa e continua la festa col figlio appena ritornato dalla sua triste avven­tura che ora, siamo certi, non ripeterà più proprio per l'infinita distanza, ormai misurata, tra l'andare a far festa con gli amici e il vivere come figlio nella casa pa­terna.

 

Capitolo V

Il Mistero Pasquale

«...La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza di vita e di santità, che proviene da Dio. In tal modo, la re­denzione porta in sé la rivelazione della misericordia nella sua pienezza.

... La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull'uomo e su ciò che l'uomo - specialmente nei mo­menti difficili e dolorosi - chiama il suo infelice desti­no. La croce è come un tocco dell'eterno amore sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo...

La misericordia divina trova la sua massima espressio­ne nel mistero pasquale di Cristo. Dio ama tanto l'uo­mo "che non indietreggia davanti allo straordinario sa­crificio del Figlio, per appagare la fedeltà del Creatore e Padre nei riguardi degli uomini creati a sua immagi­ne e fin dal principio scelti, in questo Figlio, per la gra­zia e per la gloria" (DM, cap. V). Permettendo la mor­te di croce del suo unico Figlio, il Padre non poteva amarci di più: ci dava quanto aveva di più caro. "Co­lui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò in nostro favore da peccato" (2 Cor 5,21), dice San Pao­lo. Egli che era innocente in modo pieno, si sente trat­tato come peccatore, caricato di tutte le miserie dell'uomo. Egli che aveva predicato l'amore e che era passato facendo del bene, "curando ogni malattia e in­fermità" (Mt 9,35), non trova misericordia per sé: vie­ne arrestato, oltraggiato, condannato, flagellato, coro­nato di spine, inchiodato in croce. Nella sua Passione tocchiamo la gravità del male e del peccato...

Nella morte di Cristo in croce risplende la pienezza dell'amore misericordioso che vince il peccato del mondo. Non solo viene ristabilita la giustizia tra l'uo­mo e Dio, ma viene aperta una nuova prospettiva su misura dell'amore divino, sempre nuovo e originale. "La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza di vita e di santità, che proviene da Dio. In tal modo, la re­denzione porta in sé la rivelazione della misericordia nella sua pienezza" (DM, ivi). Dio parla all'uomo in quanto tale, dice tutta la grandezza di una dedizione e di una coerenza alla causa della verità e dell'amore; in­carna un modello di perfezione umana massima, pura, originale, dando concretezza storica all'istinto di bene ch'è radicato nel cuore dell'uomo.

La croce apre all'uomo la possibilità di un dialogo tra Padre e figlio, sulla stessa qualità del dialogo svoltosi tra il Padre e il Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Il Padre comunica se stesso, la sua stessa vita divina all'uomo, affinché l'uomo, se lo vuole, possa realmente entrare in rapporto filiale con Dio. Questo è reso possibile pro­prio nel sacrificio del Figlio. Tale dialogo è l'Alleanza nuova e definitiva di Dio con l'uomo, con tutti gli uo­mini e con ciascun uomo. La Resurrezione di Cristo conferma in modo irrevocabile la reale possibilità di ri­volgerci a Dio Padre, "che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l'uomo" (DM, ivi).

"Credere nel Figlio crocifisso significa 'vedere il Pa­dre', significa credere che l'amore è presente nel mon­do e che questo amore è più potente di ogni genere di male, in cui l'uomo, l'umanità, il mondo sono coinvol­ti. Credere in tale amore significa credere nella miseri­cordia. Questa, infatti, è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed at­tuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l'uomo, che si insinua an­che nel suo cuore e può farlo 'perire nella Geenna` (DM, ivi). Infatti la misericordia è quella particolare rivelazione dell'Amore che va contro ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia dell'uomo: contro il peccato e la morte. L'Amore Misericordioso, in cro­ce, è il compimento di tutte le profezie, "è il più pro­fondo chinarsi della Divinità sull'uomo", "è come un tocco dell'eterno amore sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo" (DM, ivi). Gesù ci propone la sua vittoria sulla radice del male (il peccato e la morte) attraverso la forza dell'Amore Misericor­dioso che si è espresso nel sacrificio della croce. Con la sua obbedienza ha vinto la nostra disobbedienza, con la sua morte ha vinto la nostra morte, col suo Amore ha vinto il nostro egoismo. L'uomo viene liberato. Da solo non ce l'avrebbe fatta.

Il male è vinto alla radice. In modo certo. "Io ho vinto il mondo" (Gv 16, 33). È grazia e dono di Dio Padre in Cristo e perciò indubitabile. E tuttavia questo dono non ci disimpegna, anzi ci coinvolge ancor più nella stessa lotta, quella che Cristo ha combattuto contro il male. Cristo oggi può e vuole vincere il male che è in noi, se ci mettiamo sulla sua scia. Nella misura in cui facciamo nostra la sua obbedienza al Padre andremo verso il compimento dell'Amore Misericordioso nel nuovo cielo e nella terra nuova, quando Dio "tergerà ogni lacrima... non ci sarà più la morte, né lutto, né la­mento, né affanno" (Ap 21,4).

La nostra lotta contro il male deve tradursi in capacità di essere a nostra volta misericordiosi. Il Cristo è alla porta e bussa al cuore di ogni uomo e lo sollecita alla misericordia perché si prolunghi quanto Lui ha fatto. Quando il cuore dell'uomo si fa misericordioso abbia­mo il vero cristiano nel quale l'amore è condotto alla perfezione. "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi..., l'avete fatto a me" (Mt 25,40: giudizio universale). "Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia" (Mt 5,7: discorso della mon­tagna). "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Le 6,36). "Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifi­cio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,13). Nella misericordia abbiamo la perfezione della giustizia e dell'amore.

Il Cristo Risorto mostra in sé la vittoria sul peccato e sulla morte, ma può anche comunicare a tutti gli uomi­ni il suo stesso Spirito, cioè l'Amore Misericordioso suo, quella Grazia divina che ci conforta, ci sostiene, ci guarisce, ci guida. È lo Spirito che ci configura, al Fi­glio, facendoci partecipi della misericordia divina. Nello Spirito possiamo gridare "Abba - Padre! ".

Nel mistero pasquale di Cristo è presente Maria. E se nella croce giunge alla perfezione la misericordia divi­na, Maria sotto la croce può essere chiamata a pieno titolo "Madre della Misericordia" e "Mediatrice". Questo vuol dire:

1. Maria ha sperimentato in modo eccezionale la misericordia divina. È per virtù divina che Lei è "piena di grazia" fin dal concepimento. È Madre di Misericordia perché ne è stata riempita in modo unico e al massimo grado, come Madre di Dio.

2. Maria, seguendo da vicino il Cristo, coinvolta in pieno nel suo sacrificio sotto la croce, ha collaborato e ha dato il suo singolare contributo alla rivelazione dell'amore misericordioso di Dio. Dall'Annunciazione alla croce Lei ha vissuto il suo "sì" che l'ha inserita profondamente nel mistero di Cristo e perciò nel miste­ro della sua misericordia. Lei ne sa il prezzo e la gran­dezza.

3. Maria quindi può avvicinare in modo specia­le gli uomini bisognosi all'Amore Misericordioso di Dio. "In lei e per mezzo di lei, esso non cessa di rive­larsi nella storia della Chiesa e della umanità. Tale ri­velazione è specialmente fruttuosa, perché si fonda, nella Madre di Dio, sul singolare tatto del suo cuore materno, sulla sua particolare sensibilità, sulla sua particolare idoneità a raggiungere tutti coloro che ac­cettano più facilmente l’amore misericordioso da parte di una madre" (DM, ivi).

 

Capitolo VI

"Misericordia... di generazione in generazione"

«...L’esperienza del passato e del nostro tempo dimo­stra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stes­sa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie di­mensioni, e di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia.

...Avendo davanti agli occhi l'immagine della genera­zione a cui apparteniamo, la Chiesa condivide l'in­quietudine di tanti uomini contemporanei...»

Le Parole del Magnificat "di generazione in generazio­ne la sua misericordia" si riferiscono a tutte le genera­zioni che si sono succedute lungo i secoli e a quelle che si succederanno fino alla fine del mondo, ivi compresa anche la nostra attuale.

Quali sono i tratti che fanno l'identikit di questa nostra generazione che è alle soglie del terzo millennio?

Ai numeri 10 e 11 il Papa fa una descrizione degli ele­menti positivi e negativi del nostro mondo, rifacendo­si, in modo chiaro, a quanto dice il Concilio Ecumeni­co Vaticano II nella "Gaudium et Spes" (Esposizione Introduttiva, nn 4-10) e a quanto egli stesso scrisse nel­la Lettera Enciclica "Redemptor Hominis" (nn 15­16).

Gli aspetti positivi sono:

1. Il progresso della scienza e della tecnica, ad opera dell'intelligenza e del lavoro dell'uomo. Si allarga il dominio sulla natura e sulle possibilità d'intervento diretto per acquisire nuovi be­ni.

2. Una più approfondita conoscenza della vita so­ciale e culturale: pensiamo ai progressi della psicologia e della sociologia, scienze che solamente nel nostro se­colo sono state avviate in modo sistematico.

3. La reale possibilità di partecipare con immediatezza ai patri­moni culturali, alle situazioni e agli avvenimenti che stanno succedendo in ogni parte del mondo. Si raffor­za così il senso di unità del genere umano. Pensiamo agli sviluppi dell'informatica.

Allo stesso tempo emergono oggi aspetti inquietanti che pesano su di noi tutti come delle vere e proprie mi­nacce.

1. La paura esistenziale che tutti avvertono oggi come insicurezza totale; per cui io so che oggi, adesso, mi può accadere di tutto. Come ieri del resto, ma oggi in modo molto più sofisticato (pensiamo ai sequestri, alla violenza d'ogni tipo). E al vertice la paura di tutti sta il fatto che, in considerazione degli odierni arsenali atomici, basta un gesto inconsulto per l'autodistruzio­ne dell'umanità.

2. Una civiltà materialistica che ac­cetta il primato delle cose sulla persona. Di fatto il no­stro linguaggio quotidiano tradisce questa mentalità: si parla sempre di lavoro - disoccupazione; salario-­inflazione-scala mobile-caro vita ecc. Intendiamoci be­ne: sono argomenti importanti, ma sono importanti appunto se vengono trattati in un'ottica umana, secon­do il principio: "Le cose a servizio dell'uomo in tutte le sue componenti e di tutti gli uomini, nessuno escluso". Umanizzazione delle cose e non "cosificazione" dell'uomo.

3. Una società lottizzata dai partiti e dai blocchi internazionali, per cui c'è il reale pericolo che i singoli individui e i vari gruppi siano violentati, stru­mentalizzati, emarginati, costretti alla resa. E qui ri­spunta la logica del più forte, perché hanno di più e so­no di più (principio della maggioranza e legge del più forte).

4. Sorgono nuove forme di schiavitù che priva­no o riducono il diritto alla libertà e alla verità, ivi compreso il diritto alla libertà religiosa, diritto negato esplicitamente nei Paesi dell'Est, ma anche svuotato e manipolizzato in Occidente. Si arriva al "soggioga­mento pacifico" o si passa addirittura alla tortura, la più umiliante e lesiva della dignità umana (ospedali psichiatrici, campi di lavoro, violenze fisiche atroci, ecc.). Tutto questo riduce "gli ambiti di vita umana" che riescono scomodi al potere dominante e l'uomo corre pericolo di essere più calpestato di ieri.

5. Tutto questo, "sullo sfondo del gigantesco rimorso costituito dal fatto che, accanto agli uomini e alle società agiate e sazie, viventi nell'abbondanza, soggette al consumi­smo e al godimento, non mancano nella stessa famiglia umana né gli individui, né i gruppi sociali che soffrono la fame. Non mancano i bambini che muoiono di fame sotto gli occhi delle loro madri. Non mancano in varie parti del mondo, in vari sistemi socio-economici, intere aree di miseria, di deficienza e di sottosviluppo" (DM, c VI). Si tratta di una situazione di gravissima dise­guaglianza e di profonda ingiustizia. "Evidentemente, un fondamentale difetto o, piuttosto un complesso di difetti, anzi un meccanismo difettoso sta alla base dell'economia contemporanea e della civiltà materiali­stica" (DM, ivi).

Vengono fuori allora due domande: qual'è la radice di questa squilibrata situazione? Che cosa valgono que­ste conquiste raggiunte a così caro prezzo?

Risponde il Concilio Vaticano II: "In verità gli squili­bri, di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio, che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si contrastano a vicenda... Per cui sof­fre in se stesso una divisione dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società" (Gau­dium et Spes, n. 10). Quindi il progresso vero si dà in proporzione della crescita di umanità, di promozione umana con il rispetto dovuto a tutto l'uomo e a tutti gli uomini. Dato che l'attuale inquietudine tocca l'esisten­za stessa dell'uomo non basta a superarla la tecnica, la ricchezza, il potere, occorre una reimpostazione del nostro modo di pensare, una nuova mentalità, una nuova coscienza e quindi un nuovo modo d'agire.

E qui il Papa comincia la sua personale riflessione in questo nuovo senso e si pone con coraggio la grossa do­manda: basta la giustizia? Se è vero, ed è positivo, che oggi nel mondo si è risvegliato il senso della giustizia su vasta scala, creando una sensibilità particolare che fa subito risaltare tutto quello che nei rapporti tra gli uo­mini, tra i gruppi sociali o le classi, tra interi sistemi politici, è ingiusto, tuttavia "sarebbe difficile non av­vedersi che molto spesso i programmi, che prendono avvio dall'idea di giustizia, ... in pratica subiscono de­formazioni" (DM, ivi). La giustizia troppe volte viene 'rivendicata' con rancore, odio e perfino crudeltà. As­sistiamo così al paradosso per cui oggi in nome della giustizia da tutti conclamata si punta a umiliare, ad annientare il prossimo che diventa un concorrente, un nemico. La nostra società che vuole essere giusta, one­sta, pulita, genera paradossalmente tensioni e lotte sulla base, guarda caso, dell'antico: "Occhio per oc­chio, dente per dente". La morale di questa nostra so­cietà consacra implicitamente questo principio alla sua base. Chi può dire che questo non sia terribilmente ve­ro?

Non ci resta che ammetterlo onestamente. "L'espe­rienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni" (DM, ivi). Qui, dunque, nell'amore, troviamo il punto di partenza per una nuova impostazione delle cose, on­de evitare le attuali minacce. La Chiesa condivide l'in­quietudine degli uomini d'oggi, apprezza l'impegno doveroso per la giustizia nel mondo (la Chiesa stessa ha sviluppato una sua dottrina sociale), ma riafferma con forza che proprio per ottenere questo occorre, a fondamento, l'amore-amicizia-comprensione tra di noi. Un'ultima riprova: nella cultura morale, fondata sulla giustizia, fanno difficoltà a rientrare, quando non sono esplicitamente negati, elementari diritti della convivenza umana, come ad esempio: il rispetto per la vita umana sin dal momento del concepimento, il ri­spetto per l'unità indissolubile del matrimonio, il sog­gettivismo esasperato, la mancanza di responsabilità nel parlare, il rapporto puramente utilitario di tante nostre relazioni, il venir meno del senso del bene co­mune, la desacralizzazione che alla fine porta alla di­sumanizzazione e quindi ad una morale ...non-umana.

 

Capitolo VII e VIII

La misericordia di Dio nella Missione della Chiesa e preghiera della chiesa dei nostri tempi

«... Occorre che la Chiesa del nostro tempo prenda più profonda e particolare coscienza della necessità di ren­der testimonianza alla misericordia di Dio in tutta la sua missione.

... La Chiesa deve rendere testimonianza alla miseri­cordia di Dio rivelata in Cristo, nell'intera sua missio­ne di Messia, professandola in primo luogo come veri­tà salvifica di fede e necessaria ad una vita coerente con la fede, poi cercando di introdurla e di incarnarla nella vita sia dei suoi fedeli sia, per quanto possibile, in quella di tutti gli uomini di buona volontà. Infine, la Chiesa - professando la misericordia e rimanendole sempre fedele - ha il diritto e il dovere di richiamarsi alla misericordia di Dio, implorandola di fronte a tutti i fenomeni del male fisico e morale, dinanzi a tutte le minacce che gravano sull'intero orizzonte della vita dell'umanità contemporanea.

... La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia - e quando accosta gli uo­mini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice...»

Qual'è il compito della Chiesa difronte alla Misericor­dia divina, così centrale nella Bibbia? Il Papa è molto esplicito. "...occorre che la Chiesa del nostro tempo prenda più profonda e particolare coscienza della ne­cessità di rendere testimonianza alla misericordia di Dio in tutta la sua missione, sulle orme dell'antica e della nuova Alleanza e, soprattutto, dello stesso Gesù Cristo e dei suoi Apostoli". L'affermazione è precisa e conseguente al discorso precedentemente fatto: se la missione di Cristo è stata quella di rendere presente tra gli uomini l'Amore Misericordioso di Dio (cap 2.3.4.5. ), se il mondo di oggi ha bisogno soprattutto di amore, di comprensione, di misericordia, la Chiesa per essere fedele a Dio e all'uomo deve ripresentare la Mi­sericordia divina. Come? Il Papa elenca tre modi che sono svolti rispettivamente ai numeri 13.14.15 dell'en­ciclica.

 

1. La Chiesa professa e proclama la Misericordia di Dio (n. 13)

La Chiesa deve anzitutto rimeditare e riflettere su que­sto tema: a una lettura più attenta ed essenziale della Parola di Dio ci si convince sempre di più che l'Amore Misericordioso di Dio è il cuore della Rivelazione, il fi­lo conduttore della storia della salvezza e quindi la ve­rità più centrale da credere. Se poi osserviamo la vita del popolo di Dio lungo i secoli, nelle più sane espres­sioni della sua pietà e della sua vita di fede, se ci fac­ciamo guidare dalla Celebrazione Liturgica, noi siamo ricondotti al Cuore (immagine archetipica, cioè di ogni cultura, per dire in modo denso e concreto la fonte dell'amore) di Cristo e con Cristo al seno (altra imma­gine archetipica, per dire l'origine della vita umana) del Padre. Il cuore di Cristo e il seno del Padre la Bib­bia li chiama anche più concretamente "viscere di mi­sericordia" o di "compassione", per dire che la natura ultima di Dio è la sua inesauribile capacità di "com­muoversi" difronte ai nostri mali. "Infatti proprio l'accostarci a Cristo nel mistero del suo Cuore ci con­sente di soffermarci su questo punto - in un certo senso centrale e, nello stesso tempo, più accessibile sul piano umano - della rivelazione dell'amore misericordioso del Padre, che ha costituito il contenuto centrale della missione messianica del Figlio dell'Uomo".

Ne consegue che la Chiesa deriva la sua Forza dalla fe­de nell'Amore di Dio: qui affonda le sue radici, di lì trae tutto il suo vigore. Già la primitiva Chiesa Apo­stolica si definiva in questo modo: "Noi abbiamo rico­nosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1 Gv 4,16). La comunione tra di noi poggia su questa base. Precisa, quindi, l'affermazione del Papa: "La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia... e quando accosta gli uomi­ni alle fonti della misericordia del Salvatore". Franca­mente ci leggo qui una volontà di indicare una linea d'orientamento per tutta la Chiesa d'oggi: essa ha par­lato della necessità dell'evangelizzazione. Evangelizza­re che cosa? L'amore misericordioso, perché questo è l'essenziale ciel Vangelo e questo salva l'uomo.

In che modo la Chiesa approfondisce la sua fede e fa sempre più l'esperienza della misericordia divina?

- Con la costante meditazione della Parola di Dio. È lì che ci si rivela l'amore di Dio, infinito, paziente, gra­tuito, sempre pronto a rinnovarci e a illuminarci.

- Col Sacramento dell'Eucaristia. È il sacramento dell'amore che in Cristo ha superato la morte e il pec­cato. Con la sua croce e la sua Risurrezione ci comuni­ca la sua vita, chiedendoci di fare altrettanto nei ri­guardi dei nostri fratelli.

- Col Sacramento della riconciliazione o del perdono. Difronte al nostro continuo peccato Dio si rivela sem­pre capace di perdono e di misericodia. Ed è proprio questa misericordia che ci offre il momento di massima verità: quella di Dio che ci viene incontro come Padre e quella dell'uomo che si scopre figlio, nuovamente ri­generato da questo Amore di Padre. "Infinita ed ine­sauribile è la prontezza del Padre nell'accogliere i figli prodighi che tornano alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza del perdono, che scaturiscono con­tinuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato umano prevale su questa forza e nem­meno la limita. Da parte dell'uomo può limitarla sol­tanto la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, cioè il perdurare nell'ostinazione, contrastando la grazia e la verità".

- Con una vita di continua conversione a Dio. È questo l'imperativo più importante di Cristo: "Convertitevi e credete al Vangelo... Se non vi convertirete e non di­venterete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli" (Mc 1,15; Mt 18,3). Ebbene, il processo della conversione è genuino se avviene sotto la spinta della misericordia divina. "La conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell'amore che è paziente e benigno a misura del Creatore e Padre... La conversione a Dio è sempre frutto del ritrovamento di questo Padre, che è ricco di misericordia". A mio parere è questa una delle affer­mazioni più decisive dell'enciclica. La morale del cri­stiano poggia qui, tutta la sua originalità. Le nostre opere hanno valore se provengono da un cuore di fi­glio, continuamente afferrato e convinto dall'Amore del Padre, che non cessa mai di sorprendermi con gli infiniti gesti della sua generosità. Il Papa ribadisce l'idea: "L'autentica conoscenza del Dio della miseri­cordia, dell'amore benigno è una costante ed inesauri­bile fonte di conversione, non soltanto come momenta­neo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d'animo. Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo 'vedono', non posso­no vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui". In altri termini: l'esperienza profonda della mi­sericordia divina ci converte in autentici figli di Dio, in cammino verso la casa del Padre.

- Con una vita di piena comunione tra di noi. Difronte ai suoi molteplici compiti, particolarmente difronte al comando di Cristo di essere uniti nel Suo Nome, "la Chiesa confessa con umiltà che solo quell'amore, che è più potente della debolezza delle divisioni umane, può realizzare definitivamente quell'unità, che Cristo im­plorava dal Padre".

 

2. La Chiesa cerca di attuare la misericordia (n. 14).

La Chiesa non è solo chiamata ad accogliere e a speri­mentare su di sé la misericordia di Dio, ma anche ad essere lei stessa misericordia. Una beatitudine del di­scorso della montagna dice: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia". Anzi, a ben leggere tutto quel discorso; notiamo che l'invito più centrale: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vo­stro celeste" (Mt 5,48), è in stretto riferimento all'amore e alla misericordia del Padre nei nostri con­fronti. "Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vo­stro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli in­giusti" (Mt 5,44-45). E alla fine il giudizio ultimo e de­finitivo sarà sulle opere di misericordia esercitate o non esercitate (cf Mt 25). È qui che la Chiesa deve dare se­gni di conversione, di testimonianza e di presenza. Si tratta, prima ancora di parlare dei gesti e delle opere, di verificare che alla base o al centro della coscienza del cristiano ci sia la convinzione profonda che l'amore misericordioso è "la caratteristica essenziale e conti­nua della vocazione cristiana", è la "forza unificante ed insieme elevante" di tutto l'agire cristiano. E non tanto per acquistare dei meriti o dei riconoscimenti, ma proprio come manifestazione naturale della nostra vocazione cristiana. Noi amiamo, vogliamo e possia­mo amare, per il solo fatto che Dio ci ama e ci ama in quel modo (cf 1 Gv 4,7-10).

Non solo. Il cristiano nel suo operare trova nel Cristo crocifisso e risorto il modello, l'ispirazione e la verifica. Lui, il Cristo, presente soprattutto nei poveri, nei pic­coli, e in ogni tipo di prossimo bisognoso, riceve il no­stro aiuto, Lui. Nell'ultimo degli uomini che incontria­mo per strada (cf Lc 10,25-37). In questa prospettiva le nostre opere vanno continuamente purificate.

Come la Chiesa deve attuare la misericordia?

- Instaurando sempre rapporti di reciprocità e di bila­teralità. Quando il cristiano "fa l'opera buona", la fa con la convinzione che è più quello che riceve che quel­lo che dà, la fa con la naturalezza di chi trova tutto questo molto giusto, la fa col disinteresse e la fantasia della cosa più importante e più bella; in una parola: come Dio fa con lui. Quando il cristiano riceve gesti di amore e di misericordia dal suo prossimo, li riceve con la semplicità e la gratitudine del bambino, con la gioia sincera dell'amico, con il desiderio e la volontà di met­tere in comune quello che a sua volta lui ha; e non solo nei confronti dell'offerente, ma soprattutto nei con­fronti di quelli che non hanno dato, perché non aveva­no (cf Mt 5,46-47). Senza questa bilateralità o circola­rità dell'amore misericordioso, i nostri gesti di bontà mantengono, e forse creano ancor più, "le distanze tra colui che usa misericordia e colui che ne viene gratifi­cato, tra chi fa il bene e chi lo riceve". Di qui l'allergia alla parola "misericordia". Sembrerebbe addirittura voler "consacrare" una diseguaglianza ingiusta: chi dall'alto fa l'elemosina, bontà sua, facendosi ricono­scere come benefattore (e quindi doppiamente "gran­de"), e chi rimane sempre un poveraccio e non può mai dare niente.

- Attuando insieme la misericordia e la giustizia, in buona armonia. "L'autentica misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia". Infatti, mentre la giustizia si limita alla ripartizione dei beni e delle cose (creando alle volte, anzi molto spesso, con­trasti e liti per la difficoltà di quantificare quello che spetta a ciascuno), l'amore e la misericordia fanno sì che gli uomini si incontrino tra loro, si comunichino non solo le cose e i beni, ma anche quello che sono loro stessi. Se la giustizia tende a rivendicare i propri dirit­ti, a dividere per dare a ciascuno il suo, questo può fa­vorire l'individualismo, le clientele e le classi; l'amore e la misericordia invece favoriscono la comunione, 1'amicizia, la gioia della condivisione. Il che non signi­fica che la giustizia non serva, ma che se non è guidata e sostenuta dall'amore può creare ulteriori ingiustizie. La giustizia ci fa vedere l'altro come concorrente o an­tagonista, risvegliando gli egoismi; l'amore ci fa vedere l'altro come fratello e amico, col quale io stesso sto me­glio.

- Ritenendo la misericodia "elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spi­rito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza". L'amore che si fa misericordia si traduce, sul modello dell'amore divino, nelle carat­teristiche della pazienza, della benignità, dell'umiltà, della tenerezza, della sensibilità... (cf 1 Cor 13). Pro­prio questo costruisce "la civiltà dell'amore", unica al­ternativa all'odierna società del consumo (individuale e collettivo), dell'odio e dalla paura, della macchina senza l'uomo. L'amore deve trasformare profonda­mente l’"occhio per occhio, dente per dente", il "se vuoi la pace, prepara la guerra", magari scambiati per volontà di vera giustizia, per non passare da stupidi. Occorre una "politica" e una "strategia" dell'amore, condotte con convinzione, con tenacia, con fede in Dio e nell'uomo... nonostante tutto. A tutti i livelli: in fa­miglia e al lavoro, nella scuola e nella politica, nelÌ''economia e nello sport, nei centri di cultura e nei ritrovi tra amici... "Il mondo degli uomini può diven­tare sempre più umano, solo se introdurremo nel mul­tiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insie­me alla giustizia, quell'amore misericordioso che costi­tuisce il messaggio messianico del vangelo".

- Praticando il perdono. E essenziale perché ci sia real­mente l'amore tra gli uomini, i quali sono fallibili e sbagliano, ognuno la sua parte. Il superamento dello sbaglio e dell'offesa si chiama perdono o riconciliazio­ne, per cui si può stabilire una comunione ancor più profonda di quella di prima e senza cui si crea una au­tomatica divisione, il risentimento, la vendetta, l'odio. Cristo impegna la coscienza del cristiano (e dobbiamo dire: anche dell'uomo come tale) a chiedere il perdono di Dio su di sé nella misura in cui noi sappiamo perdo­nare le offese ricevute. "Rimetti a noi i nostri debiti co­me noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). S. Paolo aggiunge: sopportatevi "a vicenda con amore" (Ef 4,2). E a Pietro che gli chiede quante volte deve perdonare il prossimo, Gesù risponde: "Settanta volte sette" (Mt 18,22), indicando così che avrebbe dovuto perdonare sempre e a tutti, in ogni caso. Questo non vuol dire rinunciare o misconoscere la verità delle cose. "In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto e l'oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell'oltraggio sono condizione del perdo­no". Abbiamo qui, ancora una volta, la convergenza reciproca della giustizia e dell'amore: se quella mira alla giusta compensazione, l'amore che sfocia nel per­dono fa ritrovare la vera dignità o grandezza umana, sia in colui che perdona come in colui che è perdonato. Non fosse altro perché colui che perdona ha bisogno a sua volta di essere perdonato, anche lui, settanta volte sette; per cui chi non perdona non ha diritto di essere perdonato (Mt 18,23-35).

Questo perdono, oggi troppo spesso scambiato per de­bolezza, costituisce in effetti la "scuola di buona vo­lontà per la convivenza di ogni giorno, nelle varie con­dizioni della nostra esistenza! Se disattendessimo que­sta lezione, che cosa rimarrebbe di qualsiasi program­ma 'umanistico' della vita e dell'educazione?" La Chiesa è qui particolarmente interpellata perché gli uomini hanno bisogno di perdono soprattutto oggi. "La Chiesa ritiene giustamente come proprio dovere, come scopo della propria missione, quello di custodire l'autenticità del perdono, tanto nella vita e nel coniportamento, quanto nell'educazione e nella pastorale. Essa la protegge non altrimenti che custodendo la sua fonte, cioè il mistero della misericordia di Dio stesso, rivelato in Gesù Cristo". Guardando il suo Signore, nel quale si è rivelato il Dio "ricco di misericordia", la Chiesa, riconoscendo con verità che tutto ha ricevuto gratuitamente, si pone principalmente come testimone dell'Amore Misericordioso, offerto agli uomini con la stessa generosità con cui lei stessa l'ha avuto in dono.

 

3. La Chiesa invoca la misericordia divina (n. 15).

"Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola 'misericordia', quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la chiesa ha il diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia ‘con forti grida’. Se la Chie­sa deve pregare sempre, perché questo le ha raccoman­dato il Maestro (cf Lc 18,1-8; 22,39-46), lo deve fare "specialmente in un'epoca così critica come la nostra". Ma che cos'è la preghiera se non "un grido alla miseri­cordia di Dio dinanzi alle molteplici forme di male che gravano sull'umanità e la minacciano"? La gran parte dei Salmi che la Chiesa da sempre prega o sono ringra­ziamenti all'Amore Misericordioso di Dio perché è in­tervenuto per salvare e liberare, o sono suppliche acco­rate perché tale Amore Misericordioso intervenga an­cora nelle presenti situazioni di male, nelle nuove di­sgrazie (basti, come esempio, il Salmo 43). E nel Van­gelo quasi tutti i miracoli operati da Gesù sono prece­duti da invocazioni di aiuto, come espressioni di fede nella possibilità di soluzione da parte del Cristo. La Chiesa, oggi, proprio perché crede fermamente nella Misericordia di Dio e proprio perché il mondo ne ha estremo bisogno, implora l'intervento di Dio che, nel mistero pasquale di Cristo ha assicurato per sempre la vittoria dell'amore sull'odio, della vita sulla morte, della misericordia sul peccato, per tutti coloro che in Lui credono.

La preghiera si muove quindi tra due poli: a) dalla semplice costatazione del nostro limite, del nostro pec­cato, della precarietà e della problematicità della no­stra esistenza, al punto che onestamente, lo dobbiamo ammettere, da soli. non ce la facciamo (pensiamo alla guerra, alla fame, al terrorismo, alla droga, ecc. ). Con tutta la buona volontà di questo mondo! b) dalla fede, per cui crediamo nella Presenza di Dio, nella storia de­gli uomini, disposto, anzi interessato, per l'amore che ci porta, a volgere al bene ogni situazione, anche la più triste. E questo fa della storia semplicemente, la storia della salvezza. Basta che noi, mentre mettiamo da par­te nostra tutto il nostro contributo umano, gridiamo i nostri drammi davanti al Signore, invocando la sua Misericordia su di noi.

La preghiera più semplice potrebbe essere questa: "Si­gnore, tu ci hai voluti e ci hai creato; tu ci hai amato come nessuno, con l'amore del Padre e della Madre; tu non ti stanchi di noi, anche se nel mondo l'iniquità sembra prevalere sull'onestà, anche se l'umanità con­temporanea sembrerebbe meritare un nuovo diluvio per le troppe ingiustizie che si commettono ai danni dei poveri e dei deboli. Perchè tu non sei impaziente come noi; perché tu credi nell'uomo più di noi; perché so­prattutto tu sei Amore fedele, cioè misericordia. Noi che non conosciamo più cosa sia l'amore, anche se ne parliamo fin troppo, noi ti diciamo: prenditi a cuore i nostri drammi e mostraci ancora una volta la tua Mi­sericordia!".

Questo non è umiliante, è la verità delle cose. Non è alienante, riempie e rettifica la nostra storia. Non è a vuoto, la storia della salvezza lo conferma. Non è uto­pica consolazione, è il fondamento della pace e della certezza nella vita umana.

Questo è l'amore allo stesso tempo verso Dio e verso l'uomo. Perché il nostro amore verso Dio è anzitutto accogliere il suo amore, ascoltare la sua Parola, invo­care la sua Presenza, camminare nel suo Spirito, obbe­dirGli. E il vero amore verso tutti gli uomini non può che ispirarsi a questo Amore che Dio stesso ci insegna; "perché l'Amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio... se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri... Noi abbiamo rico­nosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore" (1 Gv 4,7ss). La fede, la speranza e la carità se da una parte ci fanno attingere all'Amore di Dio, dall'altra ci permettono di amare tutti gli uomini supe­rando le divisioni, le culture, gli interessi di parte, i mille egoismi, permettendoci di dialogare anche con l'avversario, l'emarginato, l'ammalato, il vecchio ed il bambino, guardando al bene dell'altro, quel bene che coincide con la verità e con la felicità.

Quindi il Papa si rivolge a coloro che non hanno la fede in Dio. Anche per essi vale la riflessione sulla miseri­cordia, in quanto questa è chiamata in causa proprio dal vero amore per l'uomo e per tutto ciò che è umano. In sostanza è il cuore stesso dell'uomo che quasi istinti­vamente desidera gridare a Dio che ci ridoni ancora una volta il suo Amore Misericordioso in questa "criti­ca fase della storia della Chiesa e del mondo, mentre ci avviamo al termine del secondo Millennio".

Quell'Amore si mostri ancor oggi più forte delle nostre paure, più grande del nostro egoismo, più potente del peccato e della morte.

Spetta particolarmente alla Chiesa del Vaticano II non ripiegarsi su se stessa, come non avesse speranza e non avesse fede. Fede e speranza trovano il loro vero fon­damento nel Padre che Cristo ci ha rivelato: il Padre "ricco di misericordia".

 

Al termine di questo commento sulla "Dives in Miseri­cordia" presento uno schema che credo offra la visione sintetica dell'Enciclica.

I 15 punti dell'Enciclica possono essere così distribuiti:

1. INTRODUZIONE (n 1-2)

Il Papa presenta subito il testo biblico che dà il titolo all'enciclica e ne motiva la necessità della trattazione: è il tema centrale della Rivelazione, il mondo oggi ne ha estremo bisogno. Questo tema si ricollega alla pri­ma enciclica "Redemptor hominis" e al Concilio Vati­cano Il.

2. LA RIVELAZIONE BIBLICA DELLA MISERI­CORDIA (n. 3-9).

È la parte più decisiva. Viene consultata la Parola di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento rispetto al te­ma Amore Misericordioso di Dio e di Cristo. Si parte da Cristo, da quello che lui stesso dice di sé, da quello che fa: si conclude che l'identità più profonda del Cri­sto consiste nel presentare in se stesso l'Amore del Pa­dre per gli uomini (n. 3). Questo è anche il pensiero dell'Antico Testamento su Dio: è Padre, Madre, Spo­so del suo popolo (n. 4).

La parabola del figliol prodigo contiene gli elementi che mettono a fuoco la più profonda verità su Dio e sull'uomo: nella misericordia che perdona,Dio è Pa­dre, l'uomo si ritrova e si riscopre figlio. L'incontro crea la festa (n. 5 e 6).

Il fondamento della misericordia divina è nel mistero pasquale di Cristo, per cui Dio stesso paga per noi con la morte di croce. Questa ci assicura che non c'è amore più grande e che Dio è stato e sarà assolutamente fede­le al suo eterno amore per l'uomo, vincendo il nostro peccato e la nostra morte (n. 7-8).

Maria è inserita in questo mistero come colei che, fatta piena di grazia, canta di generazione in generazione la misericordia divina, meritataci anche da lei sotto la croce del suo Figlio. Quindi ci insegna e ci aiuta, col singolare tatto del suo cuore materno, a rispondere po­sitivamente all'amore divino (n. 9).

3. LA NOSTRA GENERAZIONE HA BISOGNO DELLA MISERICORDIA (n.10-12).

Una lettura attenta della situazione del nostro mondo ci avverte che accanto al progresso della tecnica e delle scienze esistono aspetti inquietanti che mettono

in serio pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Esisto­no situazioni di gravissima disumanizzazione, ,di pro­fonda ingiustizia, proprio oggi che parliamo sempre di più dei diritti dell'uomo. Allora viene il forte dubbio: basta la giustizia? La giustizia senza l'amore e la mise­ricordia conduce alla negazione di se stessa.

4. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA MISSIO­NE DELLA CHIESA (n. 13-15).

La Chiesa ha il compito principale di presentare al mondo la Misericordia divina: professandola nel suo credo, proclamandola nella celebrazione della Parola di Dio e dei sacramenti, incarnandola nella propria vi­ta, specialmente con la testimonianza del perdono e delle opere dell'amore, implorandola per sé e per il mondo intero.

CONCLUSIONE

La Chiesa ripresentando il volto dell'Amore e della Misericordia del Padre che Cristo ci ha rivelato è fede­le a se stessa,nella linea del Vaticano II.