Pietro Metastasio - Opera Omnia >>  Ezio




 

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Rappresentato la prima volta in Roma, con musica dell'Auletta,
nel teatro detto delle Dame, il dì 26 dicembre
1728.


ARGOMENTO


Ezio, capitano dell'armi imperiali sotto Valentiniano terzo, ritornando dalla celebre vittoria de' Campi catalaunici, dove fugò Attila re degli Unni, fu accusato ingiustamente d'infedeltà all'imperatore, e dal medesimo condannato a morire.
Massimo, patrizio romano, offeso già da Valentiniano per avergli tentata l'onestà della consorte, procurò l'aiuto d'Ezio per uccidere l'odiato imperatore; ma, non riuscendogli, fece crederlo reo, e ne sollecitò la morte, per sollevar poi, come fece, il popolo, che lo amava, contro Valentiniano. Tutto ciò è istorico: il resto è verisimile.

(Sigonio, De occidentali imperio; Prospero Aquitanio, Chron., ecc.)



INTERLOCUTORI

Valentiniano III imperatore, amante di
Fulvia figlia di Massimo, patrizio romano, amante e promessa sposa di
Ezio generale dell'armi cesaree, amante di Fulvia.
Onoria sorella di Valentiniano, amante occulta d'Ezio.
Massimo patrizio romano, padre di Fulvia, confidente e nemico occulto di Valentiniano.
Varo prefetto de' pretoriani, amico d'Ezio.


La Scena è in Roma.


ATTO PRIMO

SCENA I

Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte, con archi trionfali ed altri apparati festivi, apprestati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d'Ezio, vincitore d'Attila.

Valentiniano, Massimo, Varo, con pretoriani e popolo.

Massimo - Signor, mai con più fasto
La prole di Quirino
Non celebrò d'ogni secondo lustro
L'ultimo dì. Di tante faci il lume
L'applauso popolar turba alla notte
L'ombre e i silenzi; e Roma
Al secolo vetusto
Più non invidia il suo felice Augusto.

Valentiniano - Godo ascoltando i voti
Che a mio favor sino alle stelle invia
Il popolo fedel: le pompe ammiro:
Attendo il vincitor: tutte cagioni
Di gioia a me. Ma la più grande è quella,
Ch'io possa offrir con la mia destra in dono
Ricco di palme alla tua figlia il trono.

Massimo - Dall'umiltà del padre
Apprese Fulvia a non bramare il soglio,
E a non sdegnarlo apprese
Dall'istessa umiltà. Cesare imponga:
La figlia eseguirà.

Valentiniano - Fulvia io vorrei
Amante più, men rispettosa.

Massimo - È vano
Temer ch'ella non ami
Que' pregi in te che l'universo ammira.
(Il mio rispetto alla vendetta aspira).

Varo - Ezio s'avanza. Io già le prime insegne
Veggo appressarsi.

Valentiniano - Il vincitor s'ascolti:
E sia Massimo a parte
De' doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono, servito da Varo)

Massimo - (Io però non oblio l'ingiuria antica).



SCENA II

Ezio, preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de' vinti,
seguìto da' soldati vincitori e popolo, e detti
.

Ezio - Signor, vincemmo. Ai gelidi trioni
Il terror de' mortali
Fuggitivo ritorna. Il primo io sono,
Che mirasse fin ora
Attila impallidir. Non vide il sole
Più numerosa strage. A tante morti
Era angusto il terreno. Il sangue corse
In torbidi torrenti;
Le minacce, i lamenti
S'udian confusi, e fra i timori e l'ire
Erravano indistinti
I forti, i vili, i vincitori, i vinti.
Né gran tempo dubbiosa
La vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
Fugge il tiranno e cede
Di tante ingiuste prede,
Impacci al suo fuggir, l'acquisto a noi.
Se una prova ne vuoi,
Mira le vinte schiere:
Ecco l'armi, le insegne e le bandiere.

Valentiniano - Ezio, tu non trionfi
D'Attila sol: nel debellarlo, ancora
Vincesti i voti miei. Tu rassicuri
Su la mia fronte il vacillante alloro:
Tu il marzial decoro
Rendesti al Tebro; e deve
Alla tua mente, alla tua destra audace
L'Italia tutta e libertade e pace.

Ezio - L'Italia i suoi riposi
Tutta non deve a me; v'è chi Li deve
Solo al proprio valore. All'Adria in seno
Un popolo d'eroi s'aduna, e cangia
In asilo di pace
L'instabile elemento.
Con cento ponti e cento
Le sparse isole unisce;
Con le moli impedisce
All'Oceàn la libertà dell'onde.
E intanto su le sponde
Stupido resta il pellegrin, che vede,
Di marmi adorne e gravi,
Sorger le mura ove ondeggiàr le navi.

Valentiniano - Chi mai non sa qual sia
D'Antenore la prole? È noto a noi
Che, più saggia d'ogni altro,
Alle prime scintille
Dell'incendio crudel ch'Attila accese,
Lasciò i campi e le ville,
E in grembo al mar la libertà difese.
So già quant'aria ingombra
La novella cittade; e volgo in mente
Qual può sperarsi adulta,
Se nascente è così.

Ezio - Cesare, io veggo
I semi in lei delle future imprese:
Già s'avvezza a regnar. Sudditi i mari
Temeranno i suoi cenni. Argine all'ire
Sarà de' regi; e porterà felice,
Con mille vele e mille aperte al vento,
Ai tiranni dell'Asia alto spavento.

Valentiniano - Gli augùri fortunati
Secondi il Ciel. Fra queste braccia intanto (scende dal trono)
Tu, del cadente impero e mio sostegno,
Prendi d'amore un pegno. A te non posso
Offrir che i doni tuoi. Serbami, amico,
Quei doni istessi; e sappi
Che, fra gli acquisti miei,
Il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.

Se tu la reggi al volo
Su la tarpea pendice,
L'aquila vincitrice
Sempre tornar vedrò.
Breve sarà per lei
Tutto il cammin del sole;
E allora i regni miei
Col Ciel dividerò.
(parte con Varo e pretoriani)



SCENA III

Ezio, Massimo e poi Fulvia con paggi ed alcuni schiavi.

Massimo - Ezio, donasti assai
Alla gloria e al dover: qualche momento
Concedi all'amistà: lascia ch'io stringa
Quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)

Ezio - Io godo, amico,
Nel rivederti, e caro
M'è l'amor tuo de' miei trionfi al paro.
Ma Fulvia ove si cela?
Che fa? Dov'è? Quando ciascun s'affretta
Su le mie pompe ad appagar le ciglia,
La tua figlia non viene?

Massimo - Ecco la figlia.

Ezio - Cara, di te più degno (a Fulvia, nell'uscire)
Torna il tuo sposo, e al volto tuo gran parte
Deve de' suoi trofei. Fra l'armi e l'ire
Mi fu sprone egualmente
E la gloria e l'amor: né vinto avrei,
Se premio a' miei sudori
Erano solo i trionfali allori.
Ma come! A' dolci nomi
E di sposo e d'amante
Ti veggo impallidir! Dopo la nostra
Lontananza crudel, così m'accogli?
Mi consoli così?

Fulvia - (Che pena!) Io vengo...
Signor...

Ezio - Tanto rispetto,
Fulvia, con me! Perché non dir «mio fido»?
Perché «sposo» non dirmi? Ah! tu non sei
Per me quella che fosti.

Fulvia - Oh Dio! son quella;
Ma senti... Ah! genitor, per me favella.

Ezio - Massimo, non tacer.

Massimo - Tacqui fin ora,
Perché co' nostri mali a te non volli
Le gioie avvelenar. Si vive, amico,
Sotto un giogo crudel. Anche i pensieri
Imparano a servir. La tua vittoria,
Ezio, ci toglie alle straniere offese:
Le domestiche accresce. Era il timore
In qualche parte almeno
A Cesare di freno: or che vincesti,
I popoli dovranno
Più superbo soffrirlo e più tiranno.

Ezio - Io tal nol credo. Almeno
La tirannide sua mi fu nascosa.
Che pretende? Che vuol?

Massimo - Vuol la tua sposa.

Ezio - La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
Consentite a tradirmi?

Fulvia - Aimè!

Massimo - Qual arte,
Qual consiglio adoprar? Vuoi che l'esponga,
Negandola al suo trono,
D'un tiranno al piacer? Vuoi che su l'orme
Di Virginio io rinnovi,
Per serbarla pudica,
L'esempio in lei della tragedia antica?
Ah! tu solo potresti
Frangere i nostri ceppi,
Vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
Del popolo e dell'armi. A Roma oppressa.
All'amor tuo tradito
Dovresti una vendetta. Al fin tu sai
Che non si svena al Cielo
Vittima più gradita
D'un empio re.

Ezio - Che dici mai! L'affanno
Vince la tua virtù. Giudice ingiusto
Delle cose è il dolor. Sono i monarchi
Arbitri della terra;
Di loro è il Cielo. Ogni altra via si tenti,
Ma non l'infedeltade.

Massimo - (abbraccia Ezio) Anima grande,
Al par del tuo valore
Ammiro la tua fé, che più costante
Nelle offese diviene.
(Cangiar favella e simular conviene).

Fulvia - Ezio così tranquillo
La sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?

Ezio - Tu sei pur d'ogni laccio
Disciolta ancora. Io parlerò. Vedrai
Tutto cangiar d'aspetto.

Fulvia - Oh Dio! se parli,
Temo per te.

Ezio - L'imperator fin ora
Dunque non sa ch'io t'amo?

Massimo - Il vostro amore
Per tema io gli celai.

Ezio - Questo è l'errore.
Cesare non ha colpa. Al nome mio
Avria cangiato affetto. Egli conosce
Quanto mi deve, e sa ch'opra da saggio
L'irritarmi non è.

Fulvia - Tanto ti fidi?
Ezio, mille timori
Mi turban l'alma. È troppo amante Augusto:
Troppo ardente tu sei. Rifletti, oh Dio!
Pria di parlar. Qualche funesto evento
Mi presagisce il cor. Nacqui infelice,
E sperar non mi lice
Che la sorte per me giammai si cangi.

Ezio - Son vincitor, sai che t'adoro, e piangi?

Pensa a serbarmi, o cara,
I dolci affetti tuoi:
Amami, e lascia poi
Ogni altra cura a me.
Tu mi vuoi dir col pianto
Che resti in abbandono:
No, così vil non sono,
E meco ingrato tanto
No, Cesare non è. (parte)



SCENA IV

Massimo e Fulvia.

Fulvia - È tempo, o genitore,
Che uno sfogo conceda al mio rispetto.
Tu pria d'Ezio all'affetto
Prometti la mia destra; indi m'imponi
Ch'io soffra, ch'io lusinghi
Di Cesare l'amore; e m'assicuri
Che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
Credo alla tua promessa; e, quando spero
D'Ezio stringer la mano,
Ti sento dir che lo sperarlo è vano.

Massimo - Io d'ingannarti, o figlia,
Mai non ebbi il pensier. T'accheta. Al fine,
Non è il peggior de' mali
Il talamo d'Augusto.

Fulvia - E soffrirai
Ch'abbia sposa la figlia
Chi della tua consorte
Insultò l'onestà? Così ti scordi
Le offese dell'onor? Così t'abbagli
Del trono allo splendor?

Massimo - Vieni al mio seno,
Degna parte di me. Quell'odio illustre
Merita ch'io ti scopra
Ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
Dell'onor mio dissimulai le offese.
Perde l'odio palese
Il luogo alla vendetta. Ora è vicina:
Eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
Tu puoi svenarlo: o almeno
Agio puoi darmi a trapassargli il seno.

Fulvia - Che sento! E con qual fronte
Posso a Cesare offrirmi
Coll'idea di tradirlo? Il reo disegno
Mi leggerebbe in faccia. A' gran delitti
È compagno il timor. L'alma ripiena
Tutta della sua colpa
Teme se stessa. È qualche volta il reo
Felice sì, non mai sicuro. E poi
Vindice di sua morte
Il popolo saria.

Massimo - L'odia ciascuno:
Vano è il timor.

Fulvia - T'inganni: il volgo insano
Quel tiranno talora,
Che vivente aborrisce, estinto adora.

Massimo - Tu l'odio mi rammenti, e poi dimostri
Quell'istessa freddezza
Che disapprovi in me!

Fulvia - Signor, perdona
Se libera ti parlo. Un tradimento
Io non consiglio, allora
Che una viltà condanno.

Massimo - Io ti credea,
Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
Di colpa e di virtù lacci servili,
Utili all'alme vili,
Inutili alle grandi.

Fulvia - Ah! non son questi
Que' semi di virtù, che in me versasti
Da' miei primi vagiti infino ad ora.
M'inganni adesso o m'ingannasti allora?

Massimo - Ogni diversa etade
Vuol massime diverse. Altro a' fanciulli,
Altro agli adulti è d'insegnar permesso.
Allora io t'ingannai.

Fulvia - M'inganni adesso.
Che l'odio della colpa,
Che l'amor di virtù nasce con noi,
Che da' principii suoi
L'alma ha l'idea di ciò che nuoce o giova,
Mel dicesti; io lo sento; ognun lo prova.
E, se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
Quando togliermi tenti
L'orror d'un tradimento, orror ne senti.
Ah! se cara io ti sono,
Pensa alla gloria tua, pensa che vai...

Massimo - Taci, importuna. Io t'ho sofferta assai.
Non dar consigli, o, consigliar se brami,
Le tue pari consiglia.
Rammenta ch'io son padre e tu sei figlia.

Fulvia - Caro padre, a me non déi
Rammentar che padre sei:
Io lo so; ma in questi accenti
Non ritrovo il genitor.
Non son io chi ti consiglia:
È il rispetto d'un regnante,
È l'affetto d'una figlia,
È il rimorso del tuo cor. (parte)



SCENA V

Massimo solo.

Massimo - Che sventura è la mia! Così ripiena
Di malvagi è la terra; e, quando poi
Un malvagio vogl'io, son tutti eroi.
Un oltraggiato amore
D'Ezio gli sdegni ad irritar non basta.
La figlia mi contrasta... Eh, di riguardi
Tempo non è. Precipitare omai
Il colpo converrà: troppo parlai.
Pria che sorga l'aurora,
Mora Cesare, mora. Emilio il braccio
Mi presterà. Che può avvenirne? O cade
Valentiniano estinto, e pago io sono;
O resta in vita, ed io farò che sembri
Ezio il fellon. Facile impresa. Augusto
Invido alla sua gloria,
Rivale all'amor suo, senz'opra mia
Il reo lo crederà. S'altro succede,
Io saprò dagli eventi.
Prender consiglio. Intanto
Il commettersi al caso
Nell'estremo periglio
È il consiglio miglior d'ogni consiglio.

Il nocchier, che si figura
Ogni scoglio, ogni tempesta,
Non si lagni se poi resta
Un mendico pescator.
Darsi in braccio ancor conviene
Qualche volta alla Fortuna;
Ché sovente in ciò che avviene
La Fortuna ha parte ancor. (parte)



SCENA VI

Camere imperiali istoriate di pitture

Onoria e Varo.

Onoria - Del vincitor ti chiedo,
Non delle sue vittorie: esse abbastanza
Note mi son. Con qual sembiante accolse
L'applauso popolar? Serbava in volto
La guerriera fierezza? Il suo trionfo
Gli accrebbe fasto, o mansueto il rese?
Questo narrami, o Varo, e non le imprese.

Varo - Onoria, a me perdona
Se degli acquisti suoi, più che di lui,
La germana d'Augusto
Curiosa io credei. Sembrano queste
Sì minute richieste
D'amante più che di sovrana.

Onoria - È troppa
Questa del nostro sesso
Misera servitù. Due volte appena
S'ode da' labbri nostri
Un nome replicar, che siamo amanti.
Parlano tanti e tanti
Del suo valor, delle sue gesta, e vanno
D'Ezio incontro al ritorno: Onoria sola
Nel soggiorno è rimasta,
Non v'accorse, nol vide; e pur non basta.

Varo - Un soverchio ritegno
Anche d'amore è segno.

Onoria - Alla tua fede,
Al tuo lungo servir tollero, o Varo,
Di parlarmi così. Ma la distanza,
Ch'è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
Difendermi abbastanza.

Varo - Ognuno ammira
D'Ezio il valor: Roma l'adora: il mondo
Pieno è del nome suo; fino i nemici
Ne parlan con rispetto:
Ingiustizia saria negargli affetto.

Onoria - Giacché tanto ti mostri
Ad Ezio amico, il suo poter non devi
Esagerar così. Cesare è troppo
D'indole sospettosa.
Vantandolo al germano, uffizio grato
All'amico non rendi.
Chi sa? Potrebbe un dì... Varo, m'intendi.

Varo - Io, che son d'Ezio amico,
Più cauto parlerò; ma tu, se l'ami,
Mostrati, o principessa,
Meno ingegnosa in tormentar te stessa.

Se un bell'ardire
Può innamorarti,
Perché arrossire,
Perché sdegnarti
Di quello strale
Che ti piagò?
Chi si fe' chiaro
Per tante imprese,
Già grande al paro
Di te si rese;
Già della sorte
Si vendicò. (parte)



SCENA VII

Onoria sola.

Onoria - Importuna grandezza,
Tiranna degli affetti, e perché mai
Ci neghi, ci contrasti
La libertà d'un ineguale amore,
Se a difender non basti il nostro core?

Quanto mai felici siete,
Innocenti pastorelle,
Che in amor non conoscete
Altra legge che l'amor!
Ancor io sarei felice
Se potessi all'idol mio
Palesar, come a voi lice,
Il desio di questo cor. (parte)



SCENA VIII

Valentiniano e Massimo.

Valentiniano - Ezio sappia ch'io bramo
Seco parlar; che qui l'attendo. (ad una comparsa che, ricevuto l'ordine, parte)
Amico,
Comincia ad adombrarmi
La gloria di costui. Ciascun mi parla
Delle conquiste sue: Roma lo chiama
Il suo liberatore: egli se stesso
Troppo conosce. Assicurarmi io deggio
Della sua fedeltà. Voglio d'Onoria
Al talamo innalzarlo, acciò che sia
Suo premio il nodo e sicurezza mia.

Massimo - Veramente per lui giunge all'eccesso
L'idolatria del volgo. Omai si scorda
Quasi del suo sovrano,
E un suo cenno potria...
Basta: credo che sia
Ezio fedele, e il dubitarne è vano:
Se però tal non fosse, a me parrebbe
Mal sicuro riparo
Tanto innalzarlo.

Valentiniano - Un sì gran dono ammorza
L'ambizion d'un'alma.

Massimo - Anzi l'accende.
Quando è vasto l'incendio, è l'onda istessa
Alimento alla fiamma.

Valentiniano - E come io spero
Sicurezza miglior? Vuoi ch'io m'impegni
Su l'orme de' tiranni, e ch'io divenga
All'odio universale oggetto e segno?

Massimo - La prima arte del regno
È il soffrir l'odio altrui. Giova al regnante
Più l'odio che l'amor. Con chi l'offende
Ha più ragion d'esercitar l'impero.

Valentiniano - Massimo, non è vero.
Chi fa troppo temersi
Teme l'altrui timor. Tutti gli estremi
Confinano fra loro. Un dì potrebbe
Il volgo contumace
Per soverchio timor rendersi audace.

Massimo - Signor, meglio d'ogni altro
Sai l'arte di regnare. Hanno i monarchi
Un lume ignoto a noi. Parlai fin ora
Per zelo sol del tuo riposo, e volli
Rammentar che si deve
Ad un periglio opporsi infin che è lieve.

Se povero il ruscello
Mormora lento e basso,
Un ramoscello, un sasso
Quasi arrestar lo fa.
Ma se alle sponde poi
Gonfio d'umor sovrasta,
Argine oppor non basta,
E co' ripari suoi
Torbido al mar sen va. (parte)



SCENA IX

Valentiniano, poi Ezio.

Valentiniano - Del Ciel felice dono
Sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
Ma sembra il trono istesso
Dono infelice a chi gli sta d'appresso.

Ezio - Eccomi al cenno tuo.

Valentiniano - Duce, un momento
Non posso tollerar d'esserti ingrato.
Il Tebro vendicato,
La mia grandezza, il mio riposo è tutto
Del senno tuo, del tuo valore è frutto.
Se prodigo ti sono
Anche del soglio mio, rendo e non dono:
Onde, in tanta ricchezza, allor che bramo
Ricompensare un vincitore amico,
Trovo (chi ‘l crederia?) ch'io son mendico.

Ezio - Signor, quando fra l'armi
A pro di Roma, a pro di te sudai,
Nell'opra istessa io la mercé trovai.
Che mi resta a bramar? L'amor d'Augusto
Quando ottener poss'io,
Basta questo al mio cor.

Valentiniano - Non basta al mio.
Vuo' che il mondo conosca
Che, se premiarti appieno
Cesare non poté, tentollo almeno.
Ezio, il cesareo sangue
S'unisca al tuo. D'affetto
Darti pegno maggior non posso mai.
Sposo d'Onoria al nuovo dì sarai.

Ezio - (Che ascolto!)

Valentiniano - Non rispondi?

Ezio - Onor sì grande
Mi sorprende a ragion. D'Onoria il grado
Chiede un re, chiede un trono:
Ed io regni non ho, suddito io sono.

Valentiniano - Ma un suddito tuo pari
È maggior d'ogni re. Se non possiedi,
Tu doni i regni; e il possederli è caso,
Il donarli è virtù.

Ezio - La tua germana,
Signor, deve alla terra
Progenie di monarchi; e meco unita
Vassalli produrrà. Sai che con questi
Ineguali imenei
Ella a me scende, io non m'innalzo a lei.

Valentiniano - Il mondo e la germana
Nell'illustre imeneo punto non perde:
E, se perdesse ancor, quando all'imprese
D'un eroe corrispondo,
Non può lagnarsi e la germana e il mondo.

Ezio - No, consentir non deggio
Che comparisca Augusto,
Per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.

Valentiniano - Duce, fra noi si parli
Con franchezza una volta. Il tuo rispetto
È un pretesto al rifiuto. Al fin che brami?
Forse è picciolo il dono? o vuoi per sempre
Cesare debitor? Superbo al paro
Di chi troppo richiede
È colui che ricusa ogni mercede.

Ezio - E ben, la tua franchezza
Sia d'esempio alla mia. Signor, tu credi
Premiarmi, e mi punisci.

Valentiniano - Io non sapea
Che a te fosse castigo
Una sposa germana al tuo regnante.

Ezio - Non è gran premio a chi d'un'altra è amante.

Valentiniano - Dov'è questa beltà che tanto indietro
Lascia il merto d'Onoria? È a me soggetta?
Onora i regni miei? Stringer vogl'io
Queste illustri catene.
Spiegami il nome suo.

Ezio - Fulvia è il mio bene.

Valentiniano - Fulvia!

Ezio - Appunto. (Si turba).

Valentiniano - (Oh sorte!) Ed ella
Sa l'amor tuo?

Ezio - Nol credo.
(Contro lei non s'irrìti).

Valentiniano - Il suo consenso
Prima ottener procura:
Vedi se tel contrasta.

Ezio - Quello sarà mia cura: il tuo mi basta.

Valentiniano - Ma potrebbe altro amante
Ragione aver sopra gli affetti suoi.

Ezio - Dubitarne non puoi. Dov'è chi ardisca
Involar temerario una mercede
Alla man che di Roma il giogo scosse?
Costui non veggo.

Valentiniano - E se costui vi fosse?

Ezio - Vedria ch'Ezio difende
Gli affetti suoi, come gl'imperi altrui:
Temer dovrebbe...

Valentiniano - E se foss'io costui?

Ezio - Saria più grande il dono,
Se costasse uno sforzo al cor d'Augusto.

Valentiniano - Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
Uno sforzo in mercede.

Ezio - Ma Cesare è il sovrano: Ezio lo chiede.
Ezio che fin ad ora
Senza premio servì: Cesare, a cui
È noto il suo dover, che i suoi riposi
Sa che gode per me, che al voler mio,
Quando il soglio abbandona,
Sa che rende e non dona, e che un momento
Non prova fortunato
Per tema sol di comparirmi ingrato.

Valentiniano - (Temerario!) Credea,
Nel rammentare io stesso i merti tuoi,
Di scemartene il peso.

Ezio - Io li rammento
Quando in premio pretendo...

Valentiniano - Non più: dicesti assai; tutto comprendo.

So chi t'accese:
Basta per ora.
Cesare intese:
Risolverà
Ma tu procura
D'esser più saggio.
Fra l'armi e l'ire
Giova il coraggio:
Pompa d'ardire
Qui non si fa. (parte)



SCENA X

Ezio e poi Fulvia.

Ezio - Vedrem se ardisce ancora
D'opporsi all'amor mio.

Fulvia - Ti leggo in volto,
Ezio, l'ire del cor. Forse ad Augusto
Ragionasti di me?

Ezio - Sì, ma celai
A lui che m'ami; onde temer non déi.

Fulvia - Che disse alla richiesta e che rispose?

Ezio - Non cedé, non s'oppose:
Si turbò; me n'avvidi a qualche segno;
Ma non osò di palesar lo sdegno.

Fulvia - Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
Cauto le vie disegna
Chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.

Ezio - Troppo timida sei.



SCENA XI

Onoria e detti.

Onoria - Ezio, gli obblighi miei
Sono immensi con te. Volle il germano
Avvilir la mia mano
Sino alla tua; ma tu però, più giusto,
D'esserne indegno hai persuaso Augusto.

Ezio - No, l'obbligo d'Onoria
Questo non è. L'obbligo grande è quello
Ch'io fui cagion, nel conservarle il soglio,
Ch'or mi possa parlar con quest'orgoglio.

Onoria - È ver, ti deggio assai: perciò mi spiace
Che ad onta mia mi rendano le stelle
Al tuo amore infelice
Di funeste novelle apportatrice.
Fulvia, ti vuol sua sposa (a Fulvia)
Cesare al nuovo dì.

Fulvia - Come!

Ezio - Che sento!

Onoria - Di recartene il cenno
Egli stesso or m'impose. Ezio, dovresti
Consolartene al fin: veder soggetto
Tutto il mondo al suo ben pur è diletto.

Ezio - Ah, questo è troppo! A troppo gran cimento
D'Ezio la fedeltà Cesare espone.
Qual dritto, qual ragione
Ha su gli affetti miei? Fulvia rapirmi?
Disprezzarmi così? Forse pretende
Ch'io lo sopporti? o pure
Vuol che Roma si faccia
Di tragedie per lui scena funesta?

Onoria - Ezio minaccia; e la sua fede è questa?

Ezio - Se fedele mi brama il regnante,
Non offenda quest'anima amante
Nella parte più viva del cor.
Non si lagni se in tanta sventura
Un vassallo non serba misura,
Se il rispetto diventa furor. (parte)



SCENA XII

Onoria e Fulvia.

Fulvia - A Cesare nascondi,
Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele:
Parla così da disperato amante.

Onoria - Mostri, Fulvia, al sembiante
Troppa pietà per lui, troppo timore.
Fosse mai la pietà segno d'amore?

Fulvia - Principessa, m'offendi. Assai conosco
A chi deggio l'affetto.

Onoria - Non ti sdegnar così: questo è un sospetto.

Fulvia - Se prestar si dovesse
Tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
Dubitar ne faria. Ben da' tuoi sdegni,
Come soffri un rifiuto, anch'io m'avvedo:
Dovrei crederti amante, e pur nol credo.

Onoria - Anch'io, quando m'oltraggi
Con un sospetto al fasto mio nemico,
Dovrei dirti «arrogante», e pur nol dico.

Ancor non premi il soglio,
E già nel tuo sembiante
Sollecito l'orgoglio
Comincia a comparir.
Così tu mi rammenti
Che i fortunati eventi
Son più d'ogni sventura
Difficili a soffrir. (parte)



SCENA XIII

Fulvia sola.

Fulvia - Via, per mio danno aduna,
O barbara Fortuna,
Sempre nuovi disastri. Onoria irrìta;
Rendi Augusto geloso, Ezio infelice;
Toglimi il padre ancor: toglier giammai
L'amor non mi potrai; ché a tuo dispetto
Sarà per questo core
Trionfo di costanza il tuo rigore.

Fin che un zeffiro soave
Tien del mar l'ira placata,
Ogni nave è fortunata
È felice ogni nocchier.
È ben prova di coraggio
Incontrar l'onde funeste,
Navigar fra le tempeste,
E non perdere il sentier.



ATTO SECONDO

SCENA I

Orti palatini, corrispondenti gli appartamenti imperiali, con viali, spalliere di fiori e fontane continuate.
Nel fondo caduta d'acque, e innanzi grotteschi e statue.

Massimo e poi Fulvia.

Massimo - Qual silenzio è mai questo! È tutto in pace
L'imperiale albergo. In oriente
Rosseggia il nuovo giorno:
E pur ancor d'intorno
Suon di voci non odo, alcun non miro.
Dovrebbe pure Emilio
Aver compito il colpo. Ei mi promise
Nel tiranno punir tutti i miei torti,
E pigro...

Fulvia - Ah, genitor!

Massimo - Figlia, che porti?

Fulvia - Che mai facesti?

Massimo - Io nulla feci.

Fulvia - Oh Dio!
Fu Cesare assalito. Io già comprendo
Donde nasce il pensier. Padre, tu sei
Che spingi a vendicarti
La man che l'assalì.

Massimo - Ma Cesare morì?

Fulvia - Pensa a salvarti.
Già di guerrieri e d'armi
Tutto il soggiorno è cinto.

Massimo - Dimmi se vive o se rimase estinto.

Fulvia - Nol so. Nulla di certo
Compresi nel timor.

Massimo - Sei pur codarda.
Vado a chiederlo io stesso. (in atto di partire, s'incontra in Valentiniano)



SCENA II

Valentiniano senza manto e senza lauro, con ispada nuda er séguito di pretoriani, e detti.

Valentiniano - Ogni via custodite ed ogni ingresso. (parlando ad alcuni soldati, che partono)

Massimo - (Egli vive! Oh destin!)

Valentiniano - Massimo, Fulvia,
Chi creduto l'avria?

Massimo - Signor, che avvenne?

Valentiniano - Ah! maggior fellonia mai non s'intese.

Fulvia - (Misero genitor!)

Massimo - (Tutto comprese).

Valentiniano - Di chi deggio fidarmi? I miei più cari
M'insidiano la vita.

Massimo - (Ardir). Come! E potrebbe
Un'anima sì rea trovarsi mai?

Valentiniano - Massimo, e pur si trova; e tu lo sai.

Massimo - Io!

Valentiniano - Sì; ma il Ciel difende
Le vite de' monarchi. Emilio in vano
Trafiggermi sperò. Nel sonno immerso
Credea trovarmi, e s'ingannò. L'intesi
Del mio notturno albergo
L'ingresso penetrare. A' dubbi passi,
Al tentar delle piume,
Previdi un tradimenio. In piè balzai,
Strinsi un acciar; contro il fellon, che fugge,
Fra l'ombre i colpi affretto. Accorre al grido
Stuol di custodi, e delle aperte logge
Mi veggo, al lume inaspettato e nuovo,
Sanguigno il ferro: il traditor non trovo.

Massimo - Forse Emilio non fu.

Valentiniano - La nota voce
Ben riconobbi al grido, onde si dolse
Allor che lo piagai.

Massimo - Ma per qual fine
Un tuo servo arrischiarsi al colpo indegno?

Valentiniano - Il servo lo tentò: d'altri è il disegno.

Fulvia - (Oh Dio!)

Massimo - Lascia ch'io vada
In traccia del fellon. (in atto di partire)

Valentiniano - Cura è di Varo:
Tu non partire.

Massimo - (Ah, son perduto!) Io forse
Meglio di lui potrò...

Valentiniano - Massimo, amico,
Non lasciarmi così: se tu mi lasci,
Donde spero consiglio e donde aita?

Massimo - T'ubbidisco. (Io respiro).

Fulvia - (Io torno in vita).

Massimo - Ma chi del tradimento
Tu credi autor?

Valentiniano - Puoi dubitarne? In esso
Ezio non riconosci? Ah! se mai posso
Convincerlo abbastanza, i giorni suoi
L'error mi pagheranno.

Fulvia - (Mancava all'alma mia quest'altro affanno).

Massimo - Io non so figurarmi
In Ezio un traditor. D'esserlo almeno
Non ha ragion. Benignamente accolto...
Applaudito da te... come avria core?...
È ben ver che l'amore,
L'ambizion, la gelosia, la lode
Contaminan talor d'altrui la fede.
Ezio amato si vede,
È pien d'una vittoria,
Arbitro è delle schiere...
Eh potrebbe scordarsi il suo dovere.

Fulvia - Tu lo conosci, ed in tal guisa, o padre,
Parli di lui?

Massimo - Son d'Ezio amico, è vero,
Ma suddito d'Augusto.

Valentiniano - E Fulvia tanto
Difende un traditore? Ah, che il sospetto
Del geloso mio cor vero diviene.

Massimo - Credi Fulvia capace
D'altro amor che del tuo? T'inganni. In lei
È pietà la difesa, e non amore.
La minaccia, l'orrore
Di castigo e di morte
La fanno impietosir. Del sesso imbelle
La natia debolezza ancor non sai?



SCENA III

Varo e detti.

Varo. - Cesare, in vano il traditor cercai.

Valentiniano - Ma dove si celò?

Varo - La nostra cura
Non poté rinvenirlo.

Valentiniano - E deggio in questa
Incertezza restar? Di chi fidarmi?
Di chi temer? Stato peggior del mio
Vedeste mai?

Massimo - Ti rassicura. Un colpo,
Che a vuoto andò, del traditor scompone
Tutta la trama. Io cercherò d'Emilio;
Io veglierò per te. Del tutto ignoto
L'insidiator non è. Per tua salvezza
D'alcuno intanto assicurar ti puoi.

Valentiniano - Deh, m'assistete: io mi riposo in voi.

Vi fida lo sposo,
Vi fida il regnante,
Dubbioso ed amante
La vita e l'amor.
Tu amico, prepara (a Massimo)
Soccorso ed aita:
Tu serbami, o cara, (a Fulvia)
Gli affetti del cor. (parte con Varo e pretoriani)



SCENA IV

Massimo e Fulvia.

Fulvia - E puoi d'un tuo delitto
Ezio incolpar! Chi ti consiglia, o padre?

Massimo - Folle! La sua ruina
È riparo alla mia: della vendetta
Mi agevola il sentier. S'ei resta oppresso,
Non ha difesa Augusto. Or vedi quanto
È necessaria a noi. Troppo maggiore
D'un femminil talento
Questa cura saria: lasciane il peso
A chi di te più visse,
E più saggio è di te.

Fulvia - Dunque ti renda
L'età più giusto ed il saper.

Massimo - Se tento
L'onor mio vendicar, non sono ingiusto:
E se lo fossi ancor, presa è la via,
Ed a ritrarne il piè tardi saria.

Fulvia - Non è mai troppo tardi, onde si rieda
Per le vie di virtù. Torna innocente
Chi detesta l'error.

Massimo - Posso una volta
Ottener che non parli? Al fin che brami?
Insegnar mi vorresti
Ciò che da me apprendesti? O vuoi ch'io serva
Al tuo debole amor? Fulvia, raffrena
I tuoi labbri loquaci,
E in avvenir non irritarmi e taci.

Fulvia - Ch'io taccia e non t'irrìti, allor che veggio
Il monarca assalito,
Te reo del gran misfatto, Ezio tradito?
Lo tolleri chi può. D'ogni rispetto
O mi disciogli, o, quando
Rispettosa mi vuoi, cangia il comando.

Massimo - Ah, perfida! Conosco
Che vuoi sacrificarmi al tuo desio.
Va; dell'affetto mio,
Che nulla ti nascose, empia, t'abusa,
E, per salvar l'amante, il padre accusa.

Va! dal furor portata,
Palesa il tradimento;
Ma ti sovvenga, ingrata!
Il traditor qual è.
Scopri la frode ordita;
Ma pensa in quel momento
Ch'io ti donai la vita,
Che tu la togli a me. (parte)



SCENA V

Fulvia, poi Ezio.

Fulvia - Che fo? Dove mi volgo? Egual delitto
È il parlare e il tacer. Se parlo, oh Dio!
Son parricida, e nel pensarlo io tremo.
Se taccio al giorno estremo
Giunge il mio bene. Ah! che all'idea funesta
S'agghiaccia il sangue, e intorno al cor s'arresta!
Ah, qual consiglio mai...
Ezio, dove t'inoltri? ove ten vai? (vedendo Ezio)

Ezio - In difesa d'Augusto. Intesi...

Fulvia - Ah, fuggi!
In te del tradimento
Cade il sospetto.

Ezio - In me! Fulvia, t'inganni.
Ha troppe prove il Tebro
Della mia fedeltà. Chi seppe ogni altro
Superar con l'imprese,
Maggior d'ogni calunnia anche si rese.

Fulvia - Ma, se Cesare istesso il reo ti chiama,
S'io stessa l'ascoltai!

Ezio - Può dirlo Augusto,
Ma crederlo non può. S'anche un momento
Giungesse a dubitarne, ove si volga
Vede la mia difesa. Italia, il mondo,
La sua grandezza, il conservato impero
Rinfacciar gli saprà che non è vero.

Fulvia - So che la tua ruina
Vendicata saria; ma chi m'accerta
D'una pronta difesa? Ah! s'io ti perdo,
La più crudel vendetta
Della perdita tua non mi consola.
Fuggi, se m'ami; al mio timor t'invola.

Ezio - Tu, per soverchio affetto, ove non sono
Ti figuri i perigli.

Fulvia - E dove fondi
Questa tua sicurezza?
Forse nel tuo valore? Ezio, gli eroi
Son pur mortali, e il numero gli opprime.
Forse nel merto? Ah! che per questo, o caro,
Sventure io ti predìco:
Il merto appunto è il tuo maggior nemico.

Ezio - La sicurezza mia, Fulvia, è riposta
Nel cor candido e puro,
Che rimorsi non ha; nell'innocenza,
Che paga è di se stessa; in questa mano,
Necessaria all'impero. Augusto al fine
Non è barbaro o stolto:
E, se perde un mio pari,
Conosce anche un tiranno
Qual dura impresa è ristorarne il danno.



SCENA VI

Varo con pretoriani, e detti.

Fulvia - Varo, che rechi?

Ezio - È salva
Di Cesare la vita? Al suo riparo
Può giovar l'opra mia?
Che fa?

Varo - Cesare appunto a te m'invia.

Ezio - A lui dunque si vada.

Varo - Non vuol questo da te; vuol la tua spada.

Ezio - Come!

Fulvia - Il previdi!

Ezio - E qual follia lo mosse?
E possibil sarà?

Varo - Così non fosse.
La tua compiango, amico,
E la sventura mia, che mi riduce
Un uffizio a compir contrario tanto
Alla nostra amicizia, al genio antico.

Ezio - Prendi: Augusto compiangi e non l'amico. (gli dà la spada)

Recagli quell'acciaro
Che gli difese il trono:
Rammentagli chi sono,
E vedilo arrossir.
E tu serena il ciglio, (a Fulvia)
Se l'amor mio t'è caro:
L'unico mio periglio
Sarebbe il tuo martìr.
(parte con guardie)



SCENA VII

Fulvia e Varo.

Fulvia - Varo, se amasti mai, de' nostri affetti
Pietà dimostra, e d'un oppresso amico
Difendi l'innocenza.

Varo - Or che m'è noto
Il vostro amor, la pena mia s'accresce,
E giovarvi io vorrei; ma troppo, oh Dio!
Ezio è di sé nemico: ei parla in guisa
Che irrìta Augusto.

Fulvia - Il suo costume altero
È palese a ciascuno. Omai dovrebbe
Non essergli delitto. Al fin tu vedi
Che, se de' merti suoi così favella,
Ei non è menzognero.

Varo - Qualche volta è virtù tacere il vero.
Se non lodo il suo fasto,
È segno d'amistà. Saprò per lui
Impiegar l'opra mia:
Ma voglia il Ciel che inutile non sia.

Fulvia - Non dir così. Niega agli afflitti aita
Chi dubbiosa la porge.

Varo - Egli è sicuro,
Sol che tu voglia. A Cesare ti dona,
E, consorte di lui, tutto potrai.

Fulvia - Che ad altri io voglia mai,
Fuor che ad Ezio, donarmi? Ah, non fia vero.

Varo - Ma, Fulvia, per salvarlo, in qualche parte
Ceder convien. Tu puoi l'ira d'Augusto
Sola placar. Non differirlo; e in seno
Se amor non hai per lui, fingilo almeno.

Fulvia - Seguirò il tuo consiglio,
Ma chi sa con qual sorte! È sempre un fallo
Il simulare. Io sento
Che vi ripugna il core.

Varo - In simil caso
Il fingere è permesso;
E poi non è gran pena al vostro sesso.

Fulvia - Quel fingere affetto,
Allor che non s'ama,
Per molti è diletto;
Ma «pena» la chiama
Quest'alma non usa
A fingere amor.
Mi scopre, m'accusa,
Se parla, se tace,
Il labbro, seguace
De' moti del cor. (parte)



SCENA VIII

Varo.

Varo - Folle è colui che al tuo favor si fida,
Instabile Fortuna. Ezio, felice,
Della romana gioventù poc'anzi
Era oggetto all'invidia,
Misura ai voti; e in un momento poi
Così cangia d'aspetto,
Che dell'altrui pietà si rende oggetto.
Pur troppo, o Sorte infida,
Folle è colui che al tuo favor si fida.

Nasce al bosco in rozza cuna
Un felice pastorello,
E con l'aure di fortuna
Giunge i regni a dominar.
Presso al trono in regie fasce
Sventurato un altro nasce,
E fra l'ire della sorte
Va gli armenti a pascolar. (parte)



SCENA IX

Galleria di statue e di specchi, con sedili intorno fra' quali uno innanzi a mano destra, capace di due persone. Gran balcone aperto in prospetto, dal quale vista di Roma.

Onoria e Massimo.

Onoria - Massimo, anch'io lo veggo; ogni ragione
Ezio condanna. Egli è rival d'Augusto:
Al suo merto, al suo nome
Crede il mondo soggetto. E poi che giova
Mendicarne argomenti? Io stessa intesi
Le sue minacce: ecco l'effetto. E pure,
Incredulo, il mio core
Reo non sa figurarlo e traditore.

Massimo - Oh virtù senza pari! È questo in vero
Eccesso di clemenza. E chi dovrebbe
Più di te condannarlo? Ei ti disprezza;
Ricusa quella mano
Contesa dai monarchi. Ogni altra avria...

Onoria - Ah, dell'ingiuria mia
Non ragionarmi più. Quella mi punse
Nel più vivo del cor. Superbo! ingrato!
Allor che mel rammento,
Tutto il sangue agitar, Massimo, io sento.
Non già però ch'io l'ami, o che mi spiaccia
Di non essergli sposa.. Il grado offeso..
La gloria... l'onor mio…
Son le cagioni...

Massimo - Eh, lo conosco anch'io;
Ma nol conosce ognun. Sai che si crede
Più l'altrui debolezza
Che la virtude altrui. La tua clemenza
Può comparire amor. Questo sospetto,
Solo con vendicarti
Puoi dileguar. Non aborrire al fine
Una giusta vendetta:
Tanta clemenza a nuovi oltraggi alletta.

Onoria - Le mie private offese ora non sono
La maggior cura. Esaminar conviene
Del germano i perigli. Ezio s'ascolti,
Si trovi il reo. Potrebbe
Esser egli innocente.

Massimo - È vero; e poi
Potrebbe anche pentirsi;
La tua destra accettar...

Onoria - La destra mia!
Eh non tanto se stessa Onoria oblia.
Se fosse quel superbo
Anche signor dell'universo intero,
Non mi speri ottener; mai non fia vero.

Massimo - Or ve' com'è ciascuno
Facile a lusingarsi! E pure ei dice
Che ha in pugno il tuo voler, che tu l'adori,
Che a suo piacer dispone
D'Onoria innamorata;
Che, s'ei vuol, basta un guardo, e sei placata.

Onoria - Temerario! Ah! non voglio
Che lungamente il creda. Al primo sposo,
Che suddito non sia, saprò donarmi.
Ei vedrà se mancarmi
Possan regni e corone;
E s'ei d'Onoria a suo piacer dispone. (in atto di partire)



SCENA X

Valentiniano e detti.

Valentiniano - Onoria, non partir. Per mio riposo
Tu devi ad uno sposo,
Forse poco a te caro, offrir la mano.
Questi ci offese, è ver; ma il nostro stato
Assicurar dobbiamo. Ei ti richiede;
E al pacifico invito
Acconsentir conviene.

Onoria - (Ezio è pentito).
M'è noto il nome suo?

Valentiniano - Pur troppo. Ho pena,
Germana in profferirlo. Io dal tuo labbro
Rimproveri ne attendo. A me dirai
Ch'è un'anima superba,
Ch'è reo di poca fé, che son gli oltraggi
Troppo recenti: io lo conosco; e pure,
Rammentando i perigli,
È forza che a tal nodo io ti consigli.

Onoria - (Rifiutarlo or dovrei; ma...) Senti. Al fine,
Se giova alla tua pace,
Disponi del mio cor come a te piace.

Massimo - Signore, il tuo disegno
Io non intendo. Ezio t'insidia, e pensi
Solamente a premiarlo?

Valentiniano - Ad Ezio io non pensai: d'Attila io parlo.

Onoria - (Oh inganno!) Attila!

Massimo - E come?

Valentiniano - Un messaggier di lui
Me ne recò pur ora
La richiesta in un foglio. È questo un segno
Che il suo fasto mancò. Non è l'offerta
Vergognosa per te. Stringi uno sposo,
A cui servono i re: barbaro, è vero;
Ma che può, raddolcito
Dal tuo nobile amore,
La barbarie cangiar tutta in valore.

Onoria - Ezio sa la richiesta?

Valentiniano - E che! Degg'io
Consigliarmi con lui? Questo a che giova?

Onoria - Giova per avvilirlo e perché meno
Necessario si creda:
Giova perché s'avveda
Che al popolo romano
Utile più d'ogni altra è questa mano.

Valentiniano - Egli il saprà; ma intanto
Posso del tuo consenso
Attila assicurar?

Onoria - No: prima io voglio
Vederti salvo. Il traditor si cerchi,
Ezio favelli, e poi
Onoria spiegherà gli affetti suoi.

Fin che per te mi palpita
Timido in petto il cor,
Accendersi d'amor
Non sa quest'alma.
Nell'amorosa face
Qual pace ho da sperar,
Se comincio ad amar
Priva di calma? (parte)



SCENA XI

Valentiniano e Massimo.

Valentiniano - Olà, qui si conduca
Il prigionier.
(esce una comparsa, la quale, ricevuto l'ordine, parte)
Ne' miei timori io cerco
Da te consiglio. Assicurarmi in parte
Potrà d'Attila il nodo?

Massimo - Anzi ti espone
A periglio maggior. Cerca il nemico
Sopir la cura tua, fingersi umano,
Avvicinarsi a te. Chi sa che ad Ezio
Non sia congiunto? Il temerario colpo
Gran certezza suppone. E poi t'è noto
Che ad Attila già vinto Ezio alla fuga
Lasciò libero il passo, e a te dovea
Condurlo prigioniero;
Ma non volle, e potea.

Valentiniano - Pur troppo è vero.



SCENA XII

Fulvia e detti.

Fulvia - Augusto, ah, rassicura
I miei timori! È il traditor palese?
È in salvo la tua vita?

Valentiniano - E Fulvia ha tanta
Cura di me?

Fulvia - Puoi dubitarne? Adoro
In Cesare un amante, a cui fra poco
Con soave catena
Annodarmi dovrò. (So dirlo appena).

Massimo - (Simula, o dice il ver?)

Valentiniano - Se il mio periglio
Amorosa pietà ti desta in seno,
Grata al mio cor la sicurezza è meno.
Ma potrò lusingarmi
Della tua fedeltà?

Fulvia - Perfin ch'io viva,
De' miei teneri affetti avrai l'impero.
(Ezio, perdona).

Massimo - (Io non comprendo il vero).

Valentiniano - Ah! se d'Ezio non era
La fellonia, saresti già mia sposa.
Ma cara alla sua vita
Costerà la tardanza.

Fulvia - Il gran delitto
Dovresti vendicar. Ma chi dall'ira
Del popolo, che l'ama,
Assicurar ci può? Pensaci, Augusto.
Per te dubbia mi rendo.

Valentiniano - Questo sol mi trattiene.

Massimo - (Or Fulvia intendo).

Fulvia - E se fosse innocente? Eccoti privo
D'un gran sostegno; eccoti esposto ai colpi
D'ignoto traditore;
Eccoti in odio... Ah, mi si agghiaccia il core!

Valentiniano - Volesse il Ciel che reo non fosse! Ei viene
Qui per mio cenno.

Fulvia - (Ah! che farò?)

Valentiniano - Vedrai
Ne' suoi detti qual è.

Fulvia - Lascia ch'io parta.
Col suo giudice solo
Meglio il reo parlerà.

Valentiniano - No, resta.

Massimo - (vedendo venire Ezio) Augusto,
Ezio qui giunge.

Fulvia - (Oh Dio!)

Valentiniano - T'assidi al fianco mio. (a Fulvia)

Fulvia - Come! Suddita io sono, e tu vorrai...

Valentiniano - Suddita non è mai
Chi ha vassallo il monarca.

Fulvia - Ah! non conviene...

Valentiniano - Non più: comincia ad avvezzarti al trono.
Siedi.

Fulvia - Ubbidisco. (In qual cimento io sono!) (siede alla destra di Valentiniano)



SCENA XIII

Ezio disarmato e detti.

Ezio - (nell'uscire, vedendo Fulvia, si ferma)
(Stelle, che miro! In Fulvia
Come tanta incostanza!)

Fulvia - (Resisti, anima mia).

Valentiniano - Duce, t'avanza.

Ezio - Il giudice qual è? Pende il mio fato
Da Cesare o da Fulvia?

Valentiniano - E Fulvia ed io
Siamo un giudice solo. Ella è sovrana,
Or che in lacci di sposo a lei mi stringo.

Ezio - (Donna infedel!)

Fulvia - (Potessi dir che fingo!)

Valentiniano - Ezio, m'ascolta, e a moderare impara,
Per poco almeno, il naturale orgoglio,
Che giovarti non può. Qui si cospira
Contro di me. Del tradimento autore
Ti crede ognun. Di fellonia t'accusa
Il rifiuto d'Onoria, il troppo fasto
Delle vittorie tue, l'aperto scampo
Ad Attila permesso, il tuo geloso
E temerario amor, le tue minacce,
Di cui tu sai che testimonio io sono.
Pensa a scolparti o a meritar perdono.

Massimo - (Sorte non mi tradir!)

Ezio - Cesare, in vero
Ingegnoso è il pretesto. Ove s'asconde
Costui che t'assalì? Chi dell'insidia
Autor mi afferma? Accusator tu sei
Del figurato eccesso,
Giudice e testimonio a un tempo istesso.

Fulvia - (Oh Dio! si perde).

Valentiniano - (E soffrirò l'altero?)

Ezio - Ma il delitto sia vero:
Perché si appone a me? Perché d'Onoria
La destra ricusai? Dunque ad Augusto
Serbai la libertà col mio sudore,
Perché a me la togliesse anche in amore?
È d'Attila la fuga
Che mi convince reo? Dunque io dovea
Attila imprigionar, perché d'Europa
Tutte le forze e l'armi,
Senza il timor, che le congiunge a noi,
Si volgessero poi contro l'impero?
Cerca per queste imprese altro guerriero.
Son reo, perché conosco
Qual io mi sia, perché di me ragiono.
L'alme vili a se stesse ignote sono.

Fulvia - (Partir potessi).

Valentiniano - Un nuovo fallo è questa
Temeraria difesa. Altro t'avanza
Per tua discolpa ancor?

Ezio - Dissi abbastanza.
Cesare, non curarti
Tutto il resto ascoltar, ch'io dir potrei.

Valentiniano - Che diresti?

Ezio - Direi
Che produce un tiranno
Chi solleva un ingrato. Anche ai sovrani
Direi che desta invidia
De' sudditi il valor; che a te dispiace
D'essermi debitor, che tu paventi
In me que' tradimenti
Che sai di meritar, quando mi privi
D'un cor...

Valentiniano - Superbo, a questo eccesso arrivi?

Fulvia - (Aimè!)

Valentiniano - Punir saprò...

Fulvia - Soffri, se m'ami,
Che Fulvia parta. I vostri sdegni irrìta
L'aspetto mio. (s'alza)

Valentiniano - No, non partir. Tu scorgi
Che mi sdegno a ragion. Siedi, e vedrai
Come un reo pertinace
A convincer m'accingo.

Ezio - (Donna infedel!)

Fulvia - (torna a sedere)
(Potessi dir che fingo!)

Massimo - (Tutto fin or mi giova).

Valentiniano - Ezio, tu sei
D'ogni colpa innocente. Invido Augusto
Di cotesta tua gloria, il tutto ha finto.
Solo un giudicio io chiedo
Dall'eccelsa tua mente. Al suo sovrano
Contrastando la sposa,
Il suddito è ribelle?

Ezio - E al suo vassallo,
Che il prevenne in amor, quando la tolga,
Il sovrano è tiranno?

Valentiniano - A quel che dici,
Dunque Fulvia t'amò?

Fulvia - (Che pena!)

Valentiniano - A lui
Togli, o cara, un inganno, e di' s'io fui
Il tuo foco primiero,
Se l'ultimo sarò: spiegalo.

Fulvia - (a Valentiniano) È vero.

Ezio - Ah perfida, ah spergiura! A questo colpo
Manca la mia costanza.

Valentiniano - Vedi se t'ingannò la tua speranza. (ad Ezio)

Ezio - Non trionfar di me. Troppo ti fidi
D'una donna incostante. A lei la cura
Lascio di vendicarmi. Io mi lusingo
Che ‘l proverai.

Fulvia - (Né posso dir che fingo!)

Massimo - (E Fulvia non si perde!)

Ezio - In questo stato
Non conosco me stesso. In faccia a lei
Mi si divide il cor. Pena maggiore,
Massimo, da che nacqui, io non provai

Fulvia - (Io mi sento morir). (s'alza piangendo e vuol partire)

Valentiniano - Fulvia, che fai?

Fulvia - Voglio partir, ché a tanti ingiusti oltraggi
Più non resisto.

Valentiniano - Anzi t'arresta, e siegui
A punirlo così.

Fulvia - No, te ne priego:
Lascia ch'io vada.

Valentiniano - Io nol consento. Afferma
Per mio piacer di nuovo
Che sospiri per me, ch'io ti son caro,
Che godi alle sue pene...

Fulvia - Ma se vero non è; s'egli è il mio bene!

Valentiniano - Che dici?

Massimo - (Aimè!)

Ezio - Respiro.

Fulvia - E sino a quando
Dissimular dovrò? Finsi fin ora,
Cesare, per placarti; Ezio innocente
Salvar credei. Per lui mi struggo; e sappi
Ch'io non t'amo davvero, e non t'amai.
E se i miei labbri mai
Ch'io t'amo a te diranno,
Non mi credere, Augusto; allor t'inganno.

Ezio - Oh cari accenti!

Valentiniano - Ove son io! Che ascolto!
Qual ardir, qual baldanza!

Ezio - Vedi se t'ingannò la tua speranza. (a Valentiniano)

Valentiniano - Ah temerario! ah ingrata! Olà, custodi,
Toglietemi d'avanti
Quel traditor. Nel carcere più orrendo
Serbatelo al mio sdegno.

Ezio - Il tuo furor del mio trionfo è segno.
Chi più di me felice? Io cederei
Per questa ogni vittoria.
Non t'invidio l'impero,
Non ho cura del resto:
È trionfo leggiero
Attila vinto, a paragon di questo.

Ecco alle mie catene,
Ecco a morir m'invio:
Sì, ma quel core è mio; (a Valentiniano, accennando Fulvia)
Sì, ma tu cedi a me.
Caro mio bene, addio.
Perdona a chi t'adora:
So che t'offesi, allora
Ch'io dubitai di te.
(parte con le guardie)



SCENA XIV

Valentiniano, Massimo e Fulvia.

Valentiniano - Ingratissima donna, e quando mai
Io da te meritai questa mercede?
Vedi, amico, qual fede
La tua figlia mi serba?

Massimo - Indegna! e dove
Imparasti a tradir? Così del padre
La fedeltade imìti? E quando avesti
Questi esempi da me?

Fulvia - Lasciami in pace,
Padre; non irritarmi: è sciolto il freno.
Se m'insulti, dirò...

Massimo - Taci, o il tuo sangue...

Valentiniano - Massimo, ferma. Io meglio
Vendicarmi saprò. Giacché m'aborre,
Giacché le sono odioso,
Voglio per tormentarla esserle sposo.

Fulvia - Non lo sperar.

Valentiniano - Ch'io non lo speri? Infida,
Non sai quanto potrò...

Fulvia - Potrai svenarmi;
Ma per farmi temer debole or sei.
Han vinto ogni timore i mali miei.

La mia costanza
Non si sgomenta;
Non ha speranza,
Timor non ha.
Son giunta a segno
Che mi tormenta,
Più del tuo sdegno,
La tua pietà. (parte)



SCENA XV

Valentiniano e Massimo.

Massimo - (Or giova il simular). No, non sia vero
Che per vergogna mia viva costei.
Cesare, io corro a lei:
Voglio passarle il cor.

Valentiniano - T'arresta, amico.
S'ella muore, io non vivo. Ancor potrebbe
Quell'ingrata pentirsi.

Massimo - Al tuo comando
Con pena ubbidirò. Troppo a punirla
Il dover mi consiglia.

Valentiniano - Perché simile a te non è la figlia?

Massimo - Col volto ripieno
Di tanto rossore,
Più calma nel seno,
Più pace non ho.
Oh, quanti diranno
Che il perfido inganno
Dal suo genitore
La figlia imparò! (parte)



SCENA XVI

Valentiniano.

Valentiniano - Sdegno, amor, gelosia, cure d'impero,
Che volete da me? Nemico e amante,
E timido e sdegnato a un punto io sono;
E intanto non punisco e non perdono.
Ah! lo so ch'io dovrei
Obliar quell'ingrata. Ella è cagione
D'ogni sventura mia. Ma di tentarlo
Neppure ardisco, e da una forza ignota
Così mi sento oppresso,
Che non desio di superar me stesso.

Che mi giova impero e soglio,
S'io non voglio uscir d'affanni,
S'io nutrisco i miei tiranni
Negli affetti del mio cor?
Che infelice al mondo io sia,
Lo conosco, è colpa mia;
Non è colpa dello sdegno,
Non è colpa dell'amor.



ATTO TERZO

SCENA I

Atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto, che conducono a diverse prigioni.
Guardie a vista su la porta de' detti cancelli.

Onoria, indi Ezio con catene.

Onoria - Ezio qui venga. È questa gemma il segno (alle guardie)
Del cesareo volere. Il suo periglio
Mi fa più amante; e la pietà, ch'io sento
Nel vederlo infelice,
Tal fomento è all'amor, ch'io non so come
Si forma nel mio petto
Di due diversi affetti un solo affetto.
Eccolo. Oh, come altero,
Come lieto s'avanza!
O quell'alma è innocente, o non è vero
Che immagine dell'alma è la sembianza.
(esce Ezio da uno de' cancelli, presso de' quali restano le guardie)

Ezio - Questi del tuo germano
Son, principessa, i doni. Avresti mai
Potuto immaginarlo? In pochi istanti
Tutto cangiò per me. Cinto d'allori
Del giorno al tramontar tu mi vedesti;
E poi co' lacci intorno
Tu mi rivedi all'apparir del giorno.

Onoria - Ezio, qualunque nasce alle vicende
Della sorte è soggetto. Il primo esempio
Dell'incostanza sua, duce, non sei.
L'ingiustizia di lei
Tu potresti emendar. Per mia richiesta
Cesare l'ira sua tutta abbandona:
T'ama, ti vuole amico, e ti perdona.

Ezio - E il crederò?

Onoria - Sì. Né domanda Augusto
Altra emenda da te che il suo riposo.
Del tentativo ascoso
Scopri la trama, e appieno
Libero sei. Può domandar di meno?

Ezio - Non è poca richiesta. Ei vuol ch'io stesso
M'accusi per timore. Ei vuole a prezzo
Dell'innocenza mia
Generoso apparir. Sa la mia fede,
Prova rossor nell'oltraggiarmi a torto;
Perciò mi vuole o delinquente o morto.

Onoria - Dunque con tanto fasto
Lo sdegno tuo giustificar non déi;
E, se innocente sei, placide, umìli
Sian le tue scuse. A lui favella in modo
Che non possa incolparti,
Che non abbia coraggio a condannarti.

Ezio - Onoria, per salvarmi
Ad esser vile io non appresi ancora.

Onoria - Ma sai che corri a morte?

Ezio - E ben, si mora!
Non è il peggior de' mali
Al fin questo morir; ci toglie almeno
Dal commercio de' rei.

Onoria - Pensar dovresti
Che per la patria tua poco vivesti.

Ezio - Il viver si misura
Dall'opre e non dai giorni. Onoria, i vili,
Inutili a ciascuno, a sé mal noti,
Cui non scaldò di bella gloria il foco,
Vivendo lunga età vissero poco.
Ma coloro che vanno
Per l'orme ch'io segnai,
Vivendo pochi dì, vissero assai.

Onoria - Se di te non hai cura,
Abbila almen di me.

Ezio - Che dici?

Onoria - Io t'amo:
Più tacerlo nol so. Quando mi veggo
A perderti vicina, i torti oblio;
Ed è poca difesa
Alla mia debolezza il fasto mio.

Ezio - Onoria, e tu sei quella
Che umiltà mi consigli? In questa guisa
Insuperbir mi fai. Potessi almeno,
Come i tuoi pregi ammiro, amarti ancora!
Deh, consenti ch'io mora. Ezio piagato
Per altro stral ti viverebbe ingrato.

Onoria - Viva ingrato, mi renda
D'ogni speranza priva,
Mi sprezzi pur, mi sia crudel; ma viva.
E se pur la tua vita
Aborrisci così, perché m'è cara,
Cerca almeno una morte
Che sia degna di te. Coll'armi in pugno
Mori vincendo; onde t'invìdi il mondo,
Non ti compianga.

Ezio - O in carcere o fra l'armi,
Ad altri insegnerò come si mora.
Farò invidiarmi in questo stato ancora.

Guarda pria se in questa fronte
Trovi scritto alcun delitto,
E dirai che la mia sorte
Desta invidia e non pietà.
Bella prova è d'alma forte
L'esser placida e serena,
Nel soffrir l'ingiusta pena
D'una colpa che non ha.
(rientra nelle carceri, accompagnato dalle guardie)



SCENA II

Onoria, poi Valentiniano.

Onoria - Oh Dio, chi ‘l crederebbe! Al fato estremo
Egli lieto s'appressa; io gelo e tremo.

Valentiniano - E ben, da quel superbo
Che ottenesti, o germana?

Onoria - Io nulla ottenni.

Valentiniano - Già lo predissi. Eh si punisca. Omai
È viltade il riguardo.

Onoria - E pur non posso
Crderlo reo. D'alma innocente è segno
Quella sua sicurezza.

Valentiniano - Anzi è una prova
Del suo delitto. Il traditor si fida
Nell'aura popolar. Vuo' che s'uccida.

Onoria - Meglio ci pensa. Ezio è peggior nemico
Forse estinto che vivo.

Valentiniano - E che far deggio?

Onoria - Cerca vie di placarlo: il suo segreto
Sveller da lui senza rigor procura.

Valentiniano - E qual via non tentai?

Onoria - La più sicura.
Ezio, per quel ch'io vedo
È debole in amor: per questa parte
Assalirlo conviene. Ei Fulvia adora:
Offrila all'amor suo; cedila ancora.

Valentiniano - Quanto è facile, Onoria,
A consigliare altrui fuor del periglio!

Onoria - Signor, nel mio consiglio io ti propongo
Un esempio a seguir. Sappi che amante
Io sono al par di te, né perdo meno:
Fulvia è la fiamma tua, per Ezio io peno.

Valentiniano - E l'ami?

Onoria - Sì. Nel consigliarti or vedi
Se facile son io, come tu credi.

Valentiniano - Ma troppo ad eseguir duro consiglio
Mi proponi, o germana.

Onoria - Il tuo coraggio,
La tua virtù faccia arrossir la sorte.
Una donna t'insegna ad esser forte.

Valentiniano - Oh Dio!

Onoria - Vinci te stesso. I tuoi vassalli
Apprendano qual sia
D'Augusto il cor...

Valentiniano - Non più: Fulvia m'invia:
Facciasi questo ancor. Se tu sapessi
Che sforzo è il mio, quanto il cimento è duro...

Onoria - Dalla mia pena il tuo dolor misuro:
Ma soffrilo. Nel duolo
Pur è qualche piacer non esser solo.

Peni tu per un'ingrata,
Un ingrato adoro anch'io:
È il tuo fato eguale al mio;
È nemico ad ambi Amor.
Ma, s'io nacqui sventurata
Se per te non v'è speranza,
Sia compagna la costanza,
Come è simile il dolor. (parte)



SCENA III

Valentiniano, indi Varo.

Valentiniano - Olà! Varo si chiami. (una comparsa esce, e parte per eseguire il comando)
A questo eccesso
Della clemenza mia se il reo non cede,
Un momento di vita
Più lasciargli non vuo'.

Varo - Cesare.

Valentiniano - Ascolta.
Disponi i tuoi più fidi
Di questo loco in su l'oscuro ingresso;
E se al mio fianco appresso
Ezio non è, s'io non gli son di guida,
Quando uscir lo vedrai, fa che s'uccida.

Varo - Ubbidirò. Ma sai
Qual tumulto destò d'Ezio l'arresto?

Valentiniano - Tutto m'è noto. A questo
Già Massimo provvede.

Varo - È ver, ma temo...

Valentiniano - Eh! taci: adempi il cenno, e fa che il colpo
Cautamente succeda.
Udisti?

Varo - Intesi. (parte)

Valentiniano - Il prigionier qui rieda. (alle guardie de' cancelli)
Tacete, o sdegni miei: l'odio sepolto
Resti nel cor, non comparisca in volto.

Con le procelle in seno
Sembri tranquillo il mar;
E un zeffiro sereno
Col placido spirar
Finga la calma.
Ma, se quel cor superbo
L'istesso ancor sarà,
Vi lascio in libertà,
Sdegni dell'alma.



SCENA IV

Massimo e detto.

Massimo - Signor, tutto sedai. D'Ezio la morte
A tuo piacere affretta:
Roma t'applaude; ogni fedel l'aspetta.

Valentiniano - Ma che vuoi? Mi si dice
Che un barbaro, che un empio,
Che un incauto son io. Gli esempi altrui
Seguitar mi conviene.

Massimo - Come! Perché?

Valentiniano - T'accheta: Ezio già viene.



SCENA V

Ezio incatenato esce dai cancelli, e detti.

Massimo - (Chi mai lo consigliò!)

Ezio - Dal carcer mio
Richiamato, io credei
D'incamminarmi ad un supplizio ingiusto:
Ma ne incontro un peggior; rivedo Augusto.

Valentiniano - (Che audace!) Ezio, fra noi
Più d'odio non si parli. Io vengo amico:
Il mio rigor detesto;
E voglio...

Ezio - Io so che vuoi: m'è noto il resto.
Onoria ti prevenne; il tutto intesi.
S'altro a dirmi non hai,
Torno alla mia prigion; seco parlai.

Valentiniano - Non potea dirti Onoria
Quanto offrirti vogl'io.

Ezio - Lo so; mel disse:
Che la mia libertà, che il primo affetto,
Che l'amistà d'Augusto i doni sono.

Valentiniano - Ma non disse il maggior.



SCENA VI

Fulvia e detti.

Valentiniano - (accennando Fulvia) Vedi qual dono.

Ezio - Fulvia!

Massimo - (Che mai sarà! L'alma s'agghiaccia).

Fulvia - Da Fulvia che si vuol?

Valentiniano - Che ascolti e taccia.
(ad Ezio) Ti sorprende l'offerta. Ella è sì grande,
Che crederla non sai, ma temi in vano:
La promisi: l'affermo; ecco la mano.

Ezio - A qual prezzo però mi si concede
D'esserne possessor?

Valentiniano - Poco si chiede.
Tu sei reo per amor: chi visse amante
Facilmente ti scusa. Altro non bramo
Che un ingenuo parlar. Tutto il disegno
Svelami, te ne priego, acciò non viva
Cesare più co' suoi timori intorno.

Ezio - Addio, mia vita: alla prigione io torno. (a Fulvia)

Valentiniano - (E il soffro?)

Fulvia - (Aimè!)

Valentiniano - (ad Ezio) - Senti. E lasciar tu vuoi,
Ostinato a tacer, Fulvia, che tanto
Fedel ti corrisponde?
Parla. (Né meno il traditor risponde).

Massimo - (Quanti perigli!)

Valentiniano - Ezio, m'ascolti? Intendi
Che parlo a te? Son tali i detti miei,
Che un reo, come tu sei, debba sprezzarli?

Ezio - Quando parli così, meco non parli.

Valentiniano - (Eh! si risolva). Olà, custodi!

Fulvia - Ah! prima
Lo sdegno tuo contro di me si volga. (a Valentiniano)

Valentiniano - Né puoi tacere? (a Fulvia) Il prigionier si sciolga. (si tolgono le catene ad Ezio)

Ezio - Come!

Fulvia - (Che veggio!)

Massimo - (Oh stelle!)

Valentiniano - Al fin conosco
Che innocente tu sei. Tanta costanza
Nel ricusar la sospirata sposa,
No, che un reo non avrebbe. Ezio, mi pento
Del mio rigore: emenderanno i doni
Le ingiuste offese de' sospetti miei.
Vanne; Fulvia è già tua; libero sei.

Fulvia - (Felice me!)

Ezio - La prima volta è questa
Ch'io mi confondo, e con ragion. Chi mai
Un monarca rivale a questo segno
Generoso sperò! La tua diletta
Mi cedi, e non rammenti!...

Valentiniano - Omai t'affretta.
Impaziente attende
Roma di rivederti. A lei ti mostra:
Dilegua il suo timor. Tempo non manca
A' reciprochi segni
D'affetto, d'amistà.

Ezio - Del fasto mio
Or, Cesare, arrossisco; e tanto dono...

Valentiniano - Ezio, va pur: conoscerai qual sono.

Ezio - Se la mia vita
Dono è d'Augusto,
Il freddo Scita,
L'Etiope adusto
Al piè di Cesare
Piegar farò.
Perché germoglino
Per te gli allori,
Mi vedrai spargere
Nuovi sudori;
Saprò combattere,
Morir saprò. (parte)



SCENA VII

Valentiniano, Fulvia e Massimo.

Valentiniano - (Va pur, te n'avvedrai).

Massimo - (Perdo ogni speme).

Fulvia - Generoso monarca, il Ciel ti renda
Quella felicità che rendi a noi.
I benefìci tuoi
Sempre rammenterò. Lascia che intanto
Su quell'augusta mano un bacio imprima.

Valentiniano - No, Fulvia: attendi prima
Che sia compìto il dono: ancor non sai
Quanto ogni voto avanza,
Quanto il dono è maggior di tua speranza.

Massimo - Cesare, che facesti? Ah, questa volta
T'ingannò la pietade.

Valentiniano - E pur vedrai
Che giova la pietà, ch'io non errai.
Ogni cura, ogni tema
Terminata sarà.

Massimo - Qual pace acquisti,
Se torna in libertà?



SCENA VIII

Varo e detti.

Valentiniano - Varo, eseguisti?

Varo - Eseguito è il tuo cenno:
Ezio morì.

Fulvia - Come! che dici?

Varo - (a Valentiniano) Al varco
L'attesero i miei fidi: ei venne; e prima
Che potesse temerne, il sen trafitto
Si vide; sospirò, cadde fra loro.

Massimo - (Oh sorte inaspettata!)

Fulvia - Oh Dio! mi moro. (si appoggia ad una scena, coprendosi il volto)

Valentiniano - Corri; l'esangue spoglia
Nascondi ad ogni sguardo: ignota resti
D'Ezio la morte ad ogni suo seguace.

Varo - Sarà legge il tuo cenno. (parte)

Valentiniano - E Fulvia tace?
Or è tempo che parli. E perché mai
«Generoso monarca» or non mi dice?

Fulvia - Ah, tiranno! Io vorrei... Sposo infelice! (come sopra)

Massimo - Un primo sfogo al suo dolore ingiusto
Lascia, o signor.



SCENA IX

Onoria e detti.

Onoria - Liete novelle, Augusto.

Valentiniano - Che reca Onoria? Il volto suo ridente
Felicità promette.

Onoria - Ezio è innocente.

Valentiniano - Come?

Onoria - Emilio parlò. L'empio ministro
Nelle mie stanze io ritrovai celato,
Già vicino a morir.

Massimo - (Son disperato).

Valentiniano - Nelle tue stanze?

Onoria - Sì. Da te ferito,
La scorsa notte ivi s'ascose. Intesi
Dal labbro suo ch'Ezio è innocente. Augusto,
Non mentisce chi more.

Valentiniano - E l'alma rea,
Che gli commise il colpo,
Almen ti palesò?

Onoria - Mi disse: ‘È quella
Che a Cesare è più cara, e che da lui
Fu oltraggiata in amor.'

Valentiniano - Ma il nome?

Onoria - Emilio
A dirlo si accingea, tutta su i labbri
L'anima fuggitiva egli raccolse;
Ma l'estremo sospiro il nome involse.

Valentiniano - Oh sventura!

Massimo - (Oh periglio!)

Fulvia - (a Valentiniano) Or di', tiranno,
S'era infido il mio sposo,
Se fu giusto il punirlo. Or che mi giova
Che tu il pianga innocente? Or chi la vita,
Empio! gli renderà?

Onoria - Fulvia, che dici?
Ezio morì?

Fulvia - Sì, principessa. Ah! fuggi
Dal barbaro germano: egli è una fiera
Che si pasce di sangue,
E di sangue innocente. Ognun si guardi;
Egli ha vinto i rimorsi; orror non sente
Della sua crudeltà, gloria non cura:
Pur la tua vita, Onoria, è mal sicura.

Onoria - Ah, inumano! E potesti...

Valentiniano - Onoria, oh Dio!
Non insultarmi: io lo conosco, errai;
Ma di pietà son degno
Più che d'accuse. Il mio timor consiglia.
Son questi i miei più cari: in qual di loro
Cercherò il traditor, s'io non gli offesi?

Onoria - Chi mai non offendesti? Il tuo pensiero
Il passato raccolga, e non si scordi
Di Massimo la sposa, i folli amori,
L'insidiata onestà.

Massimo - (Come salvarmi!)

Valentiniano - E dovrò figurarmi
Che i benefìci miei meno ei rammenti
Che un giovanil trasporto?

Onoria - E ancor non sai
Che l'offensore oblia,
Ma non l'offeso, i ricevuti oltraggi?

Fulvia - (Ecco il padre in periglio).

Valentiniano - Ah! che pur troppo
Tu dici il ver; ma che farò?

Onoria - Consigli
Or pretendi da me? Se fosti solo
A fabbricarti il danno,
Solo al riparo tuo pensa, o tiranno. (parte)



SCENA X

Valentiniano, Massimo e Fulvia.

Massimo - Cesare, alla mia fede
Troppo ingrato sei tu, se ne sospetti.

Valentiniano - Ah! che d'Onoria ai detti
Dal mio sonno io mi desto:
Massimo, di scolparti il tempo è questo.
Fin che il reo non si trova,
Il reo ti crederò.

Massimo - Perché? Qual fallo?
Sol perché Onoria il dice?
Che ingiustizia è la tua!

Fulvia - (Padre infelice!)

Valentiniano - Giusto è il timor. Disse morendo Emilio
Che il traditor m'è caro,
Ch'io l'offesi in amor: tutto conviene,
Massimo, a te. Se tu innocente sei,
Pensa a provarlo: assicurarmi intanto
Di te vogl'io.

Fulvia - (M'assista il Ciel!)

Valentiniano - Qual altro
Insidiar mi potea?
Olà!

Fulvia - Barbaro, ascolta: io son la rea.
Io commisi ad Emilio
La morte tua. Quella son io, che tanto
Cara ti fui per mia fatal sventura.
Io, perfido! son quella
Che oltraggiasti in amor, quando ad Onoria
Offristi il mio consorte. Ah! se nemici
Non eran gli astri a' desiderii miei,
Vendicata sarei,
Regnerebbe il mio sposo; il mondo e Roma
Non gemerebbe oppressa
Da un cor tiranno e da una destra imbelle.
Oh sognate speranze! oh avverse stelle!

Massimo - (Ingegnosa pietade!)

Valentiniano - Io mi confondo.

Fulvia - (Il genitor si salvi, e pèra il mondo).

Valentiniano - Tradimento sì reo pensar potesti?
Eseguirlo, vantarlo?

Fulvia - Ezio innocente
Morì per colpa mia: non vuo' che mora
Innocente, per Fulvia, il padre ancora.

Valentiniano - Massimo è fido almeno.

Massimo - Adesso, Augusto,
Colpevole son io. Se quell'indegna
Tanto obliar la fedeltà poteo,
Nell'error della figlia il padre è reo.
Puniscimi, assicura
I giorni tuoi col mio morir. Potrebbe
Il naturale affetto,
Che per la prole in ogni petto eccede,
Del padre un dì contaminar la fede.

Valentiniano - A suo piacer la sorte
Di me disponga: io m'abbandono a lei.
Son stanco di temer. Se tanto affanno
La vita ha da costar, no, non la curo.
Nelle dubbiezze estreme
Per mancanza di speme io m'assicuro.

Per tutto il timore
Perigli m'addita.
Si perda la vita,
Finisca il martìre;
È meglio morire
Che viver così.
La vita mi spiace,
Se il fato nemico
La speme, la pace,
L'amante, l'amico
Mi toglie in un dì. (parte)



SCENA XI

Massimo e Fulvia.

Massimo - Partì una volta. Io per te vivo, o figlia
Io respiro per te. Con quanta forza
Celai fin or la tenerezza! Ah, lascia,
Mia speme, mio sostegno,
Cara difesa mia, che al fin t'abbracci. (vuole abbracciar Fulvia)

Fulvia - Vanne, padre crudel.

Massimo - Perché mi scacci?

Fulvia - Tutte le mie sventure
Io riconosco in te. Basta ch'io seppi,
Per salvarti, accusarmi.
Vanne; non rammentarmi
Quanto per te perdei,
Qual son io per tua colpa, e qual tu sei.

Massimo - E contrastar pretendi
Al grato genitor questo d'affetto
Testimonio verace?
Vieni... (vuole abbracciarla)

Fulvia - Ma per pietà lasciami in pace.
Se grato esser mi vuoi, stringi quel ferro:
Svenami, o genitor. Questa mercede
Col pianto in su le ciglia
Al padre, che salvò, chiede una figlia.

Massimo - Tergi le ingiuste lagrime;
Dilegua il tuo martiro,
Ché, s'io per te respiro,
Tu regnerai per me.
Di raddolcirti io spero
Questo penoso affanno
Col dono d'un impero,
Col sangue d'un tiranno,
Che delle nostre ingiurie
Punito ancor non è. (parte)



SCENA XII

Fulvia.

Fulvia - Misera, dove son! L'aure del Tebro
Son queste ch'io respiro?
Per le strade m'aggiro
Di Tebe e d'Argo; o dalle greche sponde
Di tragedie feconde,
Vennero a questi lidi
Le domestiche Furie
Della prole di Cadmo e degli Atridi?
Là d'un monarca ingiusto
L'ingrata crudeltà m'empie d'orrore:
D'un padre traditore
Qua la colpa m'agghiaccia;
E lo sposo innocente ho sempre in faccia.
Oh immagini funeste!
Oh memorie! oh martiro!
Ed io parlo, infelice, ed io respiro?

Ah! non son io che parlo,
È il barbaro dolore,
Che mi divide il core,
Che delirar mi fa.
Non cura il ciel tiranno
L'affanno in cui mi vedo:
Un fulmine gli chiedo,
E un fulmine non ha. (parte)



SCENA XIII

Campidoglio antico, con popolo

Massimo senza manto, con séguito; poi Varo.

Massimo - Inorridisci, o Roma:
D'Attila lo spavento, il duce invitto,
Il tuo liberator cadde trafitto.
E chi l'uccise? Ah! l'omicida ingiusto
Fu l'invidia d'Augusto. Ecco in qual guisa
Premia un tiranno. Or che farà di noi
Chi tanto merto opprime? Ah! vendicate,
Romani, il vostro eroe. La gloria antica
Rammentatevi omai: da un giogo indegno
Liberate la patria, e difendete
Dai vicini perigli
L'onor, la vita, le consorti e i figli. (in atto di partire)

Varo - Massimo, ferma: e qual desio ribelle,
Qual furor ti consiglia?

Massimo - Varo, t'accheta, o al mio pensier t'appiglia.
Chi vuol salva la patria
Stringa il ferro e mi segua. (tutti snudan la spada)
(accennando il Campidoglio
) Ecco il sentiero,
Onde avrà libertà Roma e l'impero. (parte, seguìto da tutti, verso il Campidoglio)

Varo - Che indegno! Egli la morte
D'un innocente affretta,
E poi Roma solleva alla vendetta.
Va pur: forse il disegno
A chi lo meditò sarà funesto:
Va, traditor... Ma qual tumulto è questo?
(s'ode brevissimo strepito di trombe e timpani)

Già risonar d'intorno
Al Campidoglio io sento
Di cento voci e cento
Lo strepito guerrier.
Che fo? Si vada, e sia
Stimolo all'alma mia
Il debito d'amico,
Di suddito il dover. (parte)



SCENA XIV

Si vedono scendere dal Campidoglio, combattendo, le guardie imperiali coi sollevati. Siegue zuffa, la quale terminata, esce Valentiniano senza manto, con ispada rotta, difendendosi da due congiurati; e poi Massimo colla spada alla mano, indi Fulvia.

Valentiniano - Ah, traditori! Amico, (a Massimo)
Soccorri il tuo signor.

Massimo - Fermate! Io voglio
Il tiranno svenar.

Fulvia - (si frappone) Padre, che fai?

Massimo - Punisco un empio.

Valentiniano - È questa
Di Massimo la fede?

Massimo - Assai fin ora
Finsi con te. Se il mio comando Emilio
Mal eseguì, per questa man cadrai.

Valentiniano - Ah, iniquo!

Fulvia - Al sen d'Augusto
Non passerà quel ferro,
Se me di vita il genitor non priva.

Massimo - Cesare morirà.



SCENA ULTIMA

Ezio e Varo con ispade nude, popolo e soldati; indi Onoria e detti.

Ezio e Varo - Cesare viva.

Fulvia - Ezio!

Valentiniano - Che veggo!

Massimo - Oh sorte! (getta la spada)

Onoria - È salvo Augusto?

Valentiniano - Vedi chi mi salvò! (accenna Ezio)

Onoria - (ad Ezio) - Duce, qual nume
Ebbe cura di te?

Ezio - Di Varo amico
Il zelo e la pietà.

Valentiniano - Come?

Varo - Eseguita
Finsi di lui la morte: io t'ingannai;
Ma in Ezio il tuo liberator serbai.

Fulvia - Provvida infedeltà!

Ezio - Permette il Cielo
Che tu debba i tuoi giorni,
Cesare, a questa mano,
Che credesti infedel. Vivi: io non curo
Maggior trionfo; e, se ti resta ancora
Per me qualche dubbiezza in mente accolta,
Eccomi prigioniero un'altra volta.

Valentiniano - Anima grande, eguale
Solamente a te stessa! In questo seno
Della mia tenerezza,
Del pentimento mio ricevi un pegno:
Eccoti la tua sposa. Onoria al nodo
D'Attila si prepari: io so che lieta
La tua man generosa a Fulvia cede.

Onoria - È poco il sacrificio a tanta fede.

Ezio - Oh contento!

Fulvia - Oh piacer!

Ezio - Concedi, Augusto,
La salvezza di Varo,
Di Massimo la vita ai nostri prieghi.

Valentiniano - A tanto intercessor nulla si nieghi.


CORO
Della vita nel dubbio cammino
Si smarrisce l'umano pensier.
L'innocenza è quell'astro divino,
Che rischiara fra l'ombre il sentier.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Tutte le opere - Pietro Metastasio", a cura di B. Brunelli, volume I, Mondadori, Milano, 1954







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