Francesco Guicciardini - Opera Omnia >>  Ricordi - serie C




 

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I

Quello che dicono le persone spirituali, che chi ha fede conduce cose grandi; e, come dice lo Evangelo, chi ha fede può comandare a' monti ecc., procede perché la fede fa ostinazione. Fede non è altro che credere con opinione ferma, e quasi certezza, le cose che non sono ragionevoli; o, se sono ragionevoli, crederle con piú resoluzione che non persuadono le ragioni. Chi adunque ha fede diventa ostinato in quello che crede, e procede al cammino suo intrepido e resoluto, sprezzando le difficultá e pericoli, e mettendosi a sopportare ogni estremitá. Donde nasce che essendo le cose del mondo sottoposte a mille casi e accidenti, può nascere per molti versi nella lunghezza del tempo aiuto insperato a chi ha perseverato nella ostinazione; la quale essendo causata dalla fede, si dice meritamente: chi ha fede conduce cose grandi. Esemplo a' dí nostri ne è grandissimo questa ostinazione de' Fiorentini, che essendosi contro a ogni ragione del mondo messi a aspettare la guerra del papa ed imperadore, sanza speranza di alcuno soccorso di altri, disuniti e con mille difficultá, hanno sostenuto in sulle mura giá sette mesi gli eserciti, e quali non si sarebbe creduto che avessino sostenuto sette dí; e condotte le cose in luogo che se vincessino, nessuno piú se ne maraviglierebbe, dove prima da tutti erano giudicati perduti; e questa ostinazione ha causata in gran parte la fede di non potere perire secondo le predizioni di Fra Jeronimo da Ferrara.


II

Sono alcuni príncipi che agli imbasciadori loro comunicano interamente tutto el segreto suo, e a che fine vogliono condurre la negoziazione che hanno a trattare con l'altro principe al quale sono mandati. Altri giudicano essere meglio non aprire loro se non quello che vogliono si persuada all'altro principe; el quale se vogliono ingannare, pare loro quasi necessario ingannare prima lo imbasciadore proprio, che è el mezzo e instrumento che l'ha a trattare e persuadere all'altro principe. L'una e l'altra opinione ha le ragione sue; perché da un canto pare difficile che lo imbasciadore, che sa che el principe suo vuole ingannare quell'altro, parli e tratti con quello ardire e con quella efficacia e fermezza che farebbe se credessi la negoziazione trattarsi sinceramente e sanza simulazione; sanza che, può per leggerezza o malignitá fare penetrare la mente del suo principe; il che, se non la sapessi, non potrebbe fare. Da altro canto accade molte volte che quando la pratica è simulata, lo imbasciadore che crede che la sia vera, trasanda molte volte piú che non ricerca el bisogno della cosa; nella quale, se crede veramente el principe suo desideri pervenire a quello fine, non usa molta moderazione e considerazione a proposito del negozio, quali potrebbe usare se sapessi lo intrinseco. E non essendo quasi possibile dare le instruzione agli imbasciadori suoi sí particulari che l'indirizzino in tutti e particulari, se non in quanto la discrezione gli insegni accomodarsi a quello fine che ha in generale, chi non ne ha notizia non può fare questo; e però facilmente può errarvi in mille modi. La openione mia è, che chi ha imbasciadori prudenti ed integri, e che siano affezionati a sé, e dependenti in modo che non abbino obietto di dependere da altri, faccia meglio acconciare la mente sua; ma quando el principe non si risolve che siano totalmente di questa qualitá, è manco pericoloso non si lasciare sempre intendere da loro, e fare che el fondamento di persuadere una cosa e altri sia el fare persuasione del medesimo nel proprio imbasciadore.


III

Vedesi per esperienzia che e príncipi, ancora che grandi, hanno carestia grandissima di ministri bene qualificati; di questo nessuno si maraviglierá quando e principi non hanno tanto giudicio che sappino cognoscere gli uomini, o quando sono sí avari che non gli vogliono premiare. Ma pare bene da maravigliarsene ne' principi che mancano di questi dua difetti; perché si vede quanto gli uomini di ogni sorte desiderano servirgli, e quanta comoditá loro abbino di beneficargli. Nondimeno non debbe parere sí maraviglioso a chi considera la cosa in sé piú profondamente; perché uno ministro di uno principe, io parlo di chi ha a servire di cose grande, bisogna che sia di estraordinaria sufficienza, e di questi si truovano rarissimi; e oltre a questo è necessario sia di grandissima fede e integritá, e questa è forse piú rara che la prima. In modo che se non facilmente si truovano uomini che abbino alcuna di queste due parte, quanto piú rari si troveranno quegli che l'abbino tutta dua? Questa difficultá modererebbe assai uno principe prudente, e che non si riducessi a pensare giornalmente a quello che gli bisogna; ma anticipando col pensiere, scegliessi ministri non ancora fatti, e quali esperimentando di cosa in cosa e beneficando, si assuefacessino alle faccende e si mettessino nella servitú sua; perché è difficile trovare in uno tratto uomini fatti della qualitá detta di sopra, ma si può bene sperare col tempo di fargli. Vedrassi bene che più copia hanno di ministri e principi seculari che e papi, quando ne fanno la debita diligenzia; perché piú rispetto s'ha al principe seculare e piú speranza di potere perpetuare nella sua servitú, vivendo lui per lo ordinario piú lungamente che el papa, e succedendogli uno che è quasi el medesimo che lui; e potendo el successore fidarsi facilmente di quegli che sono stati adoperati o cominciati a adoperare dallo antecessore. Aggiugnesi che per essere e ministri del principe seculare o sudditi suoi o almeno beneficati di cose che sono nel suo dominio, sono necessitati avergli sempre rispetto, o temergli e loro ed e successori; le quali ragione cessano ne' pontefici, perché, essendo communemente di brieve vita, non hanno molto tempo a fare uomini nuovi; non concorrono le ragione medesime di potersi fidare di quelli che sono stati apresso allo antecessore; sono e ministri uomini di diversi paesi, non dependenti dal pontificato; sono beneficati di cose che sono fuori delle mani del principe e successori; non temono del nuovo pontefice; né hanno speranza di continuare el servizio suo con lui; in modo che è pericolo non siano piú infedeli e manco affezionati al servizio del padrone, che quelli che servono uno principe seculare.


IV

Se e príncipi, quando viene loro bene, tengono poco conto de' servidori, per ogni suo piccolo interesse gli disprezzano o mettono da canto; che può sdegnarsi o lamentarsi uno padrone se e ministri, pure che non manchino al debito della fede e dell'onore, gli abandonano o pigliano quelli partiti che siano piú a loro beneficio?


V

Se gli uomini fussino discreti o grati abastanza, dovrebbe uno padrone, in ogni occasione che n'ha, beneficare quanto potessi e suoi servitori: ma perché la esperienzia mostra, e io l'ho sentito da' miei servitori in me medesimo, che spesso come sono pieni, o come al padrone manca occasione di potergli trattare bene come ha fatto per el passato, lo piantano; chi pensa al profitto suo debbe procedere con la mano stretta, e con loro inclinare più presto nella scarsità che nella larghezza, intrattenendogli piú con la speranza che con gli effetti; la quale perché gli possa ingannare, è necessario beneficarne talvolta qualcuno largamente, e questo basta; perché è naturale degli uomini, che in loro possa ordinariamente tanto piú la speranza che el timore; che piú gli conforta e intrattiene lo esemplo di uno che veggono beneficato, che non gli spaventa el vedersene innanzi agli occhi molti che non sono stati bene trattati.


VI

È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente, e, per dire cosí, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per la varietá delle circunstanzie, in le quali non si possono fermare con una medesima misura; e queste distinzione ed eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione.


VII

Advertite bene nel parlare vostro di non dire mai sanza necessitá cose che riferite possino dispiacere a altri; perché spesso in tempi e modi non pensati nuocono grandemente a voi medesimi: advertitevi, vi dico, bene; perché molti etiam prudenti vi errano, e è difficile lo astenersene; ma se la difficultá è grande, è molto maggiore el frutto che ne resulta a chi lo sa fare.


VIII

Quando pure o la necessitá o lo sdegno vi induce a dire ingiuria a altri, advertite almanco a dire cose che non offendono se non lui; verbi gratia, se volete ingiuriare una persona propria, non dite male della patria, della famiglia o parentado suo; perché è pazzia grande volendo offendere uno uomo solo, ingiurarne molti.


IX

Leggete spesso e considerate bene questi ricordi, perché è piú facile a cognoscergli e intendergli che osservargli; e questo si facilita col farsene tale abito che s'abbino freschi nella memoria.


X

Non si confidi alcuno tanto nella prudenzia naturale che si persuada quella piú bastare sanza l'accidentale della esperienzia; perché ognuno che ha maneggiato faccende, benché prudentissimo, ha potuto cognoscere che con la esperienzia si aggiugne a molte cose, alle quali è impossibile che el naturale solo possa aggiugnere.


XI

Non vi spaventi dal beneficare gli uomini la ingratitudine di molti; perché oltre che el beneficare per sé medesimo sanza altro obietto è cosa generosa e quasi divina, si riscontra pure beneficando talvolta in qualcuno sí grato, che ricompensa tutte le ingratitudini degli altri.


XII

Quasi tutti e medesimi proverbi o simili, benché con diverse parole, si truovono in ogni nazione; e la ragione è che e proverbii nascono dalla esperienzia overo osservazione delle cose, le quali in ogni luogo sono le medesime o simili.


XIII

Chi vuole vedere quali sieno e pensieri de' tiranni, legga Cornelio Tacito, quando riferisce gli ultimi ragionamenti che Augusto morendo ebbe con Tiberio.


XIV

Non è la piú preziosa cosa degli amici: però, quando potete, non perdete la occasione del farne; perché gli uomini si riscontrano spesso, e gli amici giovano, e gli inimici nuocono in tempi e luoghi che non aresti mai aspettato.


XV

Io ho desiderato, come fanno tutti gli uomini, onore e utile; e n'ho conseguito molte volte sopra quello che ho desiderato o sperato; e nondimeno non v'ho mai trovato drento quella satisfazione che io mi ero immaginato; ragione, chi bene la considerassi, potentissima a tagliare assai delle vane cupiditá degli uomini.


XVI

Le grandezze e gli onori sono comunemente desiderati, perché tutto quello che vi è di bello e di buono apparisce di fuora, e è scolpito nella superficie; ma le molestie, le fatiche e fastidi, e e pericoli sono nascosti e non si veggono; e quali se apparissino come apparisce el bene, non ci sarebbe ragione nessuna da dovergli desiderare, eccetto una sola, che quanto piú gli uomini sono onorati, reveriti e adorati, tanto piú pare che si accostino e diventino quasi simili a Dio; al quale chi è quello che non volessi assomigliarsi?


XVII

Non crediate a coloro che fanno professione d'avere lasciato le faccende e le grandezze volontariamente e per amore della quiete, perché quasi sempre ne è stata cagione o leggerezza o necessitá; però si vede per esperienzia che quasi tutti, come se gli offerisce uno spiraglio di potere tornare alla vita di prima, lasciata la tanto lodata quiete, vi si gettano con quella furia che fa el fuoco alle cose bene unte e secche.


XVIII

Insegna molto bene Cornelio Tacito a chi vive sotto e tiranni el modo di vivere e governarsi prudentemente, cosí come insegna a' tiranni e modi di fondare la tirannide.


XIX

Non si possono fare le congiure sanza compagnia di altri, e però sono pericolosissime; perché essendo la piú parte degli uomini o imprudenti o captivi, si corre troppo pericolo a accompagnarsi con persone di simile sorte.


XX

Non è cosa piú contraria a chi vuole che le sue congiure abbino felice fine, che volerle fondare molto sicure, e quasi certe da riuscire; perché chi vuole fare questo, bisogna che implichi piú uomini, piú tempo, e piú opportunitá, le quali sono tutte la via da farle scoprire. E però vedete quanto le congiure sono pericolose, poi che le cose che arrecano sicurtá negli altri casi, in questa arrecono pericolo; il che credo sia anche perché la fortuna, che in quelle ha gran forza, si sdegni contro a chi fa tanta diligenzia di cavarle della sua potestá.


XXI

Io ho detto e scritto altre volte, che e Medici perderono lo Stato nel 27 per averlo governato in molte cose a uso di libertá, e che dubitavo che el popolo perderebbe la libertá per governarla in molte cose a uso di Stato. La ragione di queste due conclusione è che lo Stato de' Medici che era esoso allo universale della cittá, volendo mantenervisi, bisognava si facessi uno fondamento di amici partigiani, cioè d'uomini che da uno canto cavassino beneficio assai dello Stato; dall'altro, si cognoscessino perduti e non potere restare a Firenze, se e Medici ne fussino cacciati. E questo non poteva essere, distribuendosi largamente come si faceva gli onori ed utili della cittá, non volendo dare quasi punto di favore estraordinario agli amici nel fare parentadi, e ingegnandosi mostrare equalitá verso ognuno; le quali cose se si riducessino allo estremo contrario sarebbono da biasimare assai, ma anche tenerle in su questo estremo non facevano fondamento di amici allo Stato de' Medici; e se bene piacevano allo universale, questo non bastava, perché da altro canto era sí fisso ne' cuori degli uomini el desiderio di tornare al Consiglio Grande, che nessuna mansuetudine, nessuna dolcezza, nessuno piacere che si facessi al popolo bastava a eradicarlo. E gli amici, se bene piacessi loro quello Stato, non vi avevano però tanta satisfazione, che per questo volessino correre pericolo; e sperando che se si governavano onestamente potersi salvare in sullo esemplo del 94, erano disposti in uno frangente piú presto a lasciare correre che a sostenere una grossa piena. Per el contrario totalmente bisogna che proceda uno governo populare; perché essendo communemente amato in Firenze, né essendo una machina che si regga con fine certo indirizzato da uno o da pochi, ma facendo ogni dí per la moltitudine e ignoranzia di quelli che vi intervengono variazione nel procedere, ha bisogno volendo mantenersi di conservarsi grato allo universale, fuggire quanto può le discordie de' cittadini; le quali non potendo o non sapendo lui calpestare, aprono la via alla mutazione de' governi; e in effetto camminare tutto con giustizia e equalitá; donde nascendo la sicurtá di tutti, ne séguita in gran parte la satisfazione universale, ed el fondamento di conservare el governo populare, non con pochi partigiani, e quali lui non è capace di reggere, ma con infiniti amici; perché continuare a tenerlo a uso di Stato non è possibile, se da reggimento populare non si trasmuta in un'altra spezie; e questo non conserva la libertá, ma la distrugge.


XXII

Quante volte si dice: se si fussi fatto o non fatto cosí, saria succeduta o non succeduta la tale cosa! che se fussi possibile vederne el paragone, si cognoscerebbe simile openione essere false.


XXIII

Le cose future sono tanto fallace e sottoposte a tanti accidenti, che el piú delle volte coloro ancora che sono bene savi se ne ingannano: e chi notassi e giudicii loro, massime ne' particulari delle cose, perché ne' generali piú spesso s'appongono, sarebbe in questo poca differenzia da loro agli altri che sono tenuti manco savi. Però lasciare uno bene presente per paura di uno male futuro è el piú delle volte pazzia, quando el male non sia molto certo o propinquo, o molto grande a comparazione del bene; altrimenti bene spesso per paura di una cosa che poi riesce vana, ti perdi el bene che tu potevi avere.


XXIV

Non è la piú labile cosa che la memoria de' beneficii ricevuti: però fate piú fondamento in su quegli che sono condizionati in modo che non vi possino mancare, che in su coloro quali avete beneficati; perché spesso o non se ne ricordano, o presuppongono e beneficii minori che non sono, o reputano che siano fatti quasi per obligo.


XXV

Guardatevi da fare quelli piaceri agli uomini che non si possono fare sanza fare equale dispiacere a altri; perché chi è ingiuriato non dimentica, anzi reputa la ingiuria maggiore; chi è beneficato non se ne ricorda, o gli pare essere beneficato manco che non è; però presupposte le altre cose pari, se ne disavanza piú di gran lunga che non si avanza.


XXVI

Gli uomini doverebbono tenere molto piú conto delle sustanzie e effetti che delle cerimonie, e nondimeno è incredibile quanto la umanitá e gratitudine di parole leghi communemente ognuno; il che nasce che a ognuno pare meritare di essere stimato assai, e però si sdegna come gli pare che tu non ne tenga quello conto che si persuade meritare.


XXVII

La vera e fondata sicurtá di chi tu dubiti, è che le cose stiano in modo che benché voglia non ti possa nuocere; perché quelle sicurtá che sono fondate in sulla voluntá e discrezione di altri sono fallace, atteso quanto poca bontá e fede si truova negli uomini.


XXVIII

Io non so a chi dispiaccia piú che a me la ambizione, la avarizia e le mollizie de' preti; sí perché ognuno di questi vizi in sé è odioso, sí perché ciascuno e tutti insieme si convengono poco a chi fa professione di vita dipendente da Dio; e ancora perché sono vizii sí contrari che non possono stare insieme se non in uno subietto molto strano. Nondimeno el grado che ho avuto con piú pontefici, m'ha necessitato a amare per el particulare mio la grandezza loro; e se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luter quanto me medesimo, non per liberarmi dalle legge indotte dalla religione cristiana nel modo che è interpretata e intesa communemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o sanza vizi o sanza autoritá.


XXIX

Ho detto molte volte, ed è verissimo, che piú è stato difficile a' Fiorentini a fare quello poco dominio che hanno, che a' Viniziani el loro grande; perché e Fiorentini sono in una provincia che era piena di libertá, le quali è difficillimo a estinguere; però si vincono con grandissima fatica, e vinte si conservano con non minore. Hanno di poi la Chiesa vicina, che è potente e non muore mai, in modo che, se qualche volta travaglia, risurge alla fine el suo diritto piú fresco che prima. E Viniziani hanno avuto a pigliare terre use a servire, le quali non hanno ostinazione né nel difendersi né nel ribellarsi; e per vicini hanno avuto príncipi secolari, la vita e la memoria de' quali non è perpetua.


XXX

Chi considera bene non può negare che nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestá, perché si vede che a ogn'ora ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potestá degli uomini né a prevedergli né a schifargli; e benché lo accorgimento e sollecitudine degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna.


XXXI

Coloro ancora, che attribuendo el tutto alla prudenza e virtú, escludendo quanto possono la potestá della fortuna, bisogna almanco confessino che importa assai abattersi o nascere in tempo che le virtú o qualitá per le quali tu ti stimi, siano in prezzo; come si può porre lo esemplo di Fabio Massimo, al quale lo essere di natura cuntabundo dette tanta riputazione, perché si riscontrò in una spezie di guerra, nella quale la caldezza era perniziosa, la tarditá utile; in uno altro tempo sarebbe potuto essere el contrario. Però la fortuna sua consisté in questo, che e tempi suoi avessino bisogno di quella qualitá che era in lui; ma chi potessi variare la natura sua secondo le condizione de' tempi, il che è difficillimo e forse impossibile, sarebbe tanto manco dominato dalla fortuna.


XXXII

La ambizione non è dannabile, né da vituperare quello ambizioso che ha appetito d'avere gloria co' mezzi onesti e onorevoli; anzi sono questi tali che operano cose grande ed eccelse. E chi manca di questo desiderio, è spirito freddo e inclinato piú allo ozio che alle faccende. Quella è ambizione perniziosa e detestabile che ha per unico fine la grandezza, come hanno communemente e principi; e quali quando la propongono per idolo, per conseguire ciò che gli conduce a quella fanno uno piano della conscienzia, dell'onore, della umanitá e di ogni altra cosa.


XXXIII

È in proverbio, che delle riccheze male acquistate non gode el terzo erede; e se questo nasce per essere cosa infetta, pare che molto manco ne dovessi godere quello che l'ha male acquistate. Dissemi giá mio padre che Santo Augustino diceva, la ragione essere perché non si truova nessuno sí scelerato che non faccia qualche bene; e che Dio che non lascia alcuno bene inremunerato, né alcuno male impunito, dàgli in satisfazione de' suoi beni questo contento nel mondo, per punirlo poi pienamente del male nell'altro; e nondimeno perché le ricchezze male acquistate s'hanno a purgare, non si perpetuare nel terzo erede. Io gli risposi, che non sapevo se el detto in sé era vero, potendosene allegare in contrario molte esperienzie; ma quando fussi vero, potersi considerare altra ragione; perché la variazione naturale delle cose del mondo fa che dove è la ricchezza venga la povertá, e piú negli eredi che nel principale; perché quanto el tempo è piú lungo, tanto è piú facile la mutazione. Dipoi el principale, cioè quello che l'ha acquistate, v'ha piú amore; e avendo saputo guadagnarle, sa anche la arte del conservarle, e usato vivere da povero non le dissipa; ma gli eredi non avendo tanto amore a quello che sanza loro fatica si hanno trovato in casa, allevati da ricchi e non avendo imparato le arte del guadagnare, che maraviglia è che o per troppo spendere o per poco governo se le lascino uscire di mano?


XXXIV

Tutte le cose che hanno a finire non per impeto di violenza, ma di consunzione, hanno piú lunga vita assai che l'uomo da principio non si immagina. Vedesi lo esemplo in uno etico, che quando è giudicato essere allo estremo, vive ancora non solo dí, ma talvolta settimane e mesi; in una cittá che s'ha da vincere per assedio, dove le reliquie delle vettovaglie ingannano sempre la opinione di ognuno.


XXXV

Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che intendono le cose bene, che o non si ricordano o non sanno metterle in atto! E a chi fa cosí, questa intelligenzia è inutile; perché è come avere uno tesoro in una arca con obbligo di non potere mai trarlo fuora.


XXXVI

Chi attende a acquistare la grazia degli uomini, avvertisca, quando è richiesto, a non negare mai precisamente, ma dare risposte generale; perché a chi richiede, talvolta non gli accade poi l'opera tua, o sopravengono anche impedimenti che fanno la scusa tua capacissima. Sanza che molti uomini sono grossi, e facilmente si lasciano aggirare con le parole in modo, che etiam non faccendo tu quello che non volevi o non potevi fare, s'ha spesso con quella finezza di rispondere occasione di lasciare bene satisfatto colui, al quale se da principio avessi negato, restava in ogni caso mal contento di te.


XXXVII

Nega pure sempre quello che tu non vuoi che si sappia, o afferma quello tu vuoi che si creda; perché ancora che in contrario siano molti riscontri e quasi certezza, lo affermare o negare gagliardamente mette spesso a partito el cervello di chi ti ode.


XXXVIII

È difficile alla casa de' Medici potentissima e con dua papati conservare lo Stato di Firenze molto piú che non fu a Cosimo privato cittadino; perché, oltre alla potenzia che fu in lui eccessiva, vi concorse la condizione de' tempi, avendo Cosimo avuto a combattere lo stato con la potenzia di pochi, sanza displicenzia dello universale, el quale non cognosceva la libertá; anzi in ogni quistione tra potenti, e in ogni mutazione, gli uomini mediocri e piú bassi acquistavano condizione. Ma oggi essendo stato gustato el Consiglio Grande, non si ragiona piú di tôrre o tenere usurpato el governo a quattro, sei, dieci o venti cittadini, ma al popolo tutto; el quale ha tanto lo obietto a quella libertá, che non si può sperare di fargliene dimenticare con tutte le dolcezze, con tutti e buoni governi e esaltazione del publico che e Medici o altri potenti usino.


XXXIX

Nostro padre ebbe figliuoli sí bene qualificati, che a tempo suo fu communemente tenuto el piú felice padre di Firenze; e nondimeno io considerai molte volte che, calculato tutto, era maggiore el dispiacere che aveva di noi che la consolazione: pensa quello che interviene a chi ha figliuoli pazzi, cattivi o scelerati.


XL

Gran cosa è avere potestá sopra altri; la quale chi sa usare bene, spaventa con essa gli uomini piú ancora che non sono le forze sue; perché el suddito non sapendo bene insino dove le si distendino, bisogna si risolva piú presto a cedere, che a volere far cimento se tu puoi fare o no quello di che tu minacci.


XLI

Se gli uomini fussino buoni o prudenti, chi è preposto a altri legittimamente arebbe a usare piú la dolcezza che la severitá; ma essendo la piú parte o poco buoni o poco prudenti, bisogna fondarsi piú in sulla severitá e chi la intende altrimenti, si inganna. Confesso bene che chi potessi mescolare e condire bene l'una con l'altra, farebbe quello ammirabile concento e quella armonia della quale nessuna è piú suave; ma sono grazie che a pochi el cielo largo destina, e forse a nessuno.


XLII

Non fare piú conto d'avere grazia che d'avere riputazione; perché perduta la riputazione si perde la benivolenzia, e in luogo di quella succede lo essere disprezzato; ma a chi mantiene la riputazione non mancano amici, grazia e benivolenzia.


XLIII

Ho osservato io ne' miei governi, che molte cose che ho voluto condurre, come pace, accordi civili e cose simili, innanzi che io mi vi introduca [è utile] lasciarle bene dibattere ed andare a lungo; perché alla fine per stracchezza le parte ti pregano che tu le acconci; cosí pregato, con riputazione e sanza nota alcuna di cupiditá, conduci quello a che da principio invano saresti corso drieto.


XLIV

Fate ogni cosa per parere buoni, ché serve a infinite cose; ma perché le opinione false non durano, difficilmente vi riuscirá el parere lungamente buoni, se in veritá non sarete: cosí mi ricordò giá mio padre.


XLV

El medesimo, lodando la parsimonia, usava dire, che piú onore ti fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che tu n'hai spesi.


XLVI

Non mi piacque mai ne' miei governi la crudeltá e le pene eccessive, ed anche non sono necessarie; perché da certi casi esemplari in fuora, basta, a mantenere el terrore, el punire e delitti a 15 soldi per lira, pure che si pigli regola di punirgli tutti.


XLVII

La dottrina accompagnata co' cervelli deboli, o non gli megliora o gli guasta; ma quando lo accidentale si riscontra col naturale buono, fa gli uomini perfetti e quasi divini.


XLVIII

Non si può tenere Stati secondo coscienzia; perché chi considera la origine loro, tutti sono violenti; da quelli delle repubbliche nella patria propria in fuora, e non altrove: e da questa regola non eccettuo lo imperadore e manco e preti, la violenzia de' quali è doppia, perché ci sforzano con le armi temporale e con le spirituale.


XLIX

Non dire a alcuno le cose che tu non vuoi che si sappino, perché sono varie le cose che muovono gli uomini a cicalare, chi per stultizia, chi per profitto, chi vanamente per parere di sapere; e se tu sanza bisogno hai detto uno tuo segreto a un altro, non ti debbi punto maravigliare se colui, a chi importa el sapersi manco che a te, fa el medesimo.


L

Non vi affaticate in quelle mutazione, le quali non mutano gli effetti che vi dispiacciono, ma solo e visi degli uomini; perché si resta con la medesima mala satisfazione. Verbigratia, che rileva cavare di casa e Medici ser Giovanni da Poppi, se in luogo suo entreria ser Bernardo da San Miniato, uomo della medesima qualitá e condizione?


LI

Chi si travaglia in Firenze di mutare Stati, se non lo fa per necessitá, o che a lui tocchi diventare capo del nuovo governo, è poco prudente: perché mette a pericolo sé e tutto el suo, se la cosa non succede; succedendo, non ha apena una piccola parte di quello che aveva disegnato. E quanta pazzia è giucare a uno giuoco che si possa perdere piú sanza comparazione che guadagnare; e quello che non importa forse manco, mutato che sia lo Stato, ti oblighi a uno perpetuo tormento d'avere sempre a temere di nuova mutazione.


LII

Si vede per esperienzia che quasi tutti quelli che sono stati ministri a acquistare grandezza a altri, in progresso di tempo restano seco in poco grado: la ragione si dice essere, perché avendo cognosciuto la sufficienzia sua, teme non possa uno giorno tôrgli quello che gli ha dato. Ma non è forse manco perché quello tale, parendogli avere meritato assai, vuole piú che non se gli conviene; il che non gli sendo concesso, diventa mal contento; donde tra lui e el principe nascono gli sdegni e le suspizione.


LIII

Ogni volta che tu, che sei stato causa o m'hai aiutato diventare principe, vuoi che io mi governi a tuo modo, o ti conceda cose che siano in diminuzione della mia autoritá, giá scancelli quello beneficio che tu m'hai fatto; poiché cerchi o in tutto o in parte tôrmi lo effetto di quello che m'hai aiutato a acquistare.


LIV

Chi ha carico di difendere terre, abbi per principale obietto allungare quanto può, perché, come dice el proverbio, chi ha tempo ha vita; la dilazione reca infiniti favori da principio non sperati e non cognosciuti.


LV

Non spendere in sullo assegnamento de' guadagni futuri, perché molte volte o ti mancano o riescono minori del disegno; ma pel contrario le spese sempre moltiplicono, e questo è lo inganno che fa fallire molti mercatanti, che togliendo a cambio per potersi valere di quello mobile a fare maggiori guadagni, ogni volta che quegli o non riescono o si allungano, entrano in pericolo di essere sopraffatti da' cambii, e quali non si fermono o diminuiscono mai, ma sempre camminano e mangiano.


LVI

Non consiste tanto la prudenzia della economica in sapersi guardare dalle spese, perché sono molte volte necessarie, quanto in sapere spendere con vantaggio, cioè uno grosso per 24 quattrini.


LVII

Quanto sono piú felici gli astrologi che gli altri uomini! Quelli dicendo tra cento bugie una veritá, acquistano fede in modo che è creduto loro el falso; questi dicendo tra molte veritá una bugia, la perdono in modo che non è piú creduto loro el vero. Procede dalla curiositá degli uomini, che desiderosi sapere el futuro, né avendo altro modo, sono inclinati a correre dietro a chi promette loro saperlo dire.


LVIII

Quanto disse bene el Filosofo: De futuris contingentibus non est determinata veritas! Aggirati quanto tu vuoi, che quanto piú ti aggiri, tanto piú truovi questo detto verissimo.


LIX

Dissi giá io a papa Clemente che si spaventava di ogni pericolo, che buona medicina a non temere cosí di leggieri era ricordarsi di quante cose simili aveva temuto invano; la quale parola non voglio che serva a fare che gli uomini non temino mai, ma che gli assuefaccia a non temere sempre.


LX

Lo ingegno piú che mediocre è dato agli uomini per la loro infelicitá e tormento; perché non serve loro a altro che a tenergli con molte piú fatiche e ansietá che non hanno quegli che sono piú positivi.


LXI

Sono varie le nature degli uomini: certi sperano tanto, che mettono per certo quello che non hanno; altri temono tanto, che mai sperano se non hanno in mano. Io mi accosto piú a questi secondi che a' primi e chi è di questa natura si inganna manco, ma vive con piú tormento.


LXII

E popoli communemente e tutti gli uomini imperiti si lasciano piú tirare quando è proposta loro la speranza dello acquistare, che quando si mostra loro el pericolo di perdere; e nondimeno doverrebbe essere el contrario, perché è piú naturale lo appetito del conservare che del guadagnare. La ragione di questa fallacia è, che negli uomini può ordinariamente molto piú la speranza che el timore; però facilmente non temono di quello che dovrebbero temere, e sperano quello che non doverebbono sperare.


LXIII

Vedesi che e vecchi sono piú avari che e giovani, e doverrebbe essere el contrario; perché avendo a vivere meno, basta loro manco. La ragione si dice essere perché sono piú timidi: non credo sia vera; perché ne veggo anche molti piú crudeli, piú libidinosi, se non di atto, di desiderio, dolere loro piú la morte che a' giovani: la ragione credo sia che quanto piú si vive piú si fa abito, e piú si appiccano gli uomini alle cose del mondo; però vi hanno piú affezione, e piú se ne muovono.


LXIV

Innanzi al 1494 erano le guerre lunghe, le giornate non sanguinose, e modi dello espugnare terre lenti e difficili; e se bene erano giá in uso le artiglierie, si maneggiavano con sí poca attitudine che non offendevano molto; in modo che, chi aveva uno Stato era quasi impossibile lo perdessi. Vennono e Franzesi in Italia, e introdussono nelle guerre tanta vivezza, in modo che insino al 21, perduta la campagna, era perduto lo Stato; primo el signor Prospero cacciandosi a difesa di Milano, insegnò frustrare gl'impeti degli eserciti, in modo che da questo esemplo è tornata a chi è padrone degli Stati la medesima sicurtá che era innanzi al 94, ma per diverse ragione: procedeva allora da non avere bene gli uomini l'arte dell'offendere, ora procede dall'avere bene l'arte del difendere.


LXV

Chi chiamò e carriaggi impedimenti, non poteva dire meglio; chi messe in proverbio, gli è piú fatica a muovere uno campo che a fare la tale cosa», disse benissimo; perché è cosa quasi infinita accozzare in uno campo tante cose, che abbia el moto suo.


LXVI

Non crediate a costoro che predicano sí efficacemente la libertá, perché quasi tutti, anzi non è forse nessuno che non abbia l'obietto agli interessi particulari; e la esperienzia mostra spesso, ed è certissimo, che se credessino trovare in uno Stato stretto migliore condizione, vi correrebbono per le poste.


LXVII

Non è faccenda, o amministrazione del mondo nella quale bisogni piú virtú che in uno capitano di eserciti, sí per la importanza del caso, come perché bisogna che pensi e ponga ordine a infinite cose e variissime; in modo è necessario prevegga assai da discosto, e sappia riparare subito.


LXVIII

La neutralitá nelle guerre d'altri è buona a chi è potente in modo che non ha da temere di quello di loro che resterá superiore; perché si conserva sanza travaglio, e può sperare guadagno de' disordini d'altri: fuora di questo è inconsiderata e dannosa, perché si resta in preda del vincitore e del vinto. E peggiore di tutte è quella che si fa non per giudicio, ma per irresoluzione; cioè quando non ti risolvendo se vuoi essere neutrale o no, ti governi in modo che non satisfai anche a chi per allora si contenterebbe che tu lo assicurassi di essere neutrale. E in questa ultima spezie caggiono piú le republiche che e príncipi, perché procede molte volte da essere divisi quelli che hanno a deliberare; in modo che, consigliando l'uno questo, l'altro quello, non se ne accordano mai tanti insieme che bastino a fare deliberare piú l'una opinione che l'altra; e questo fu proprio lo Stato del 12.


LXIX

Se voi osservate bene, vedrete che di etá in etá non solo si mutano i modi del parlare, e degli uomini, e e vocaboli, gli abiti del vestire, gli ordini dello edificare, della cultura e cose simili; ma, quello che è piú, e gusti ancora, in modo che uno cibo che è stato in prezzo in una etá, è spesso stimato manco nell'altra.


LXX

El vero paragone dello animo degli uomini è quando viene loro addosso uno periculo improvviso; chi regge a questo, che se ne truova pochissimi, si può veramente chiamare animoso e imperterrito.


LXXI

Se vedete andare a cammino la declinazione di una cittá, la mutazione di uno governo, lo augumento di uno imperio nuovo e altre cose simili; che qualche volta si veggono innanzi quasi certe, avvertite a non vi ingannare ne' tempi, perché e moti delle cose sono per sua natura e per diversi impedimenti molto piú tardi che gli uomini non si immaginano; e lo ingannarti in questo ti può fare grandissimo danno: avvertiteci bene, che è uno passo dove spesso si inciampa. Interviene anche el medesimo nelle cose private e particulari, ma molto piú in queste publiche ed universali; perché hanno per essere maggiore mole, el moto suo piú lento, e anche sono sottoposte a piú accidenti.


LXXII

Non è cosa che gli uomini nel vivere del mondo debbino piú desiderare e che sia piú gloriosa, che vedersi el suo inimico prostrato in terra ed a sua discrezione; e questa gloria la raddoppia chi la usa bene, cioè con lo adoperare la clemenzia, e col bastargli d'avere vinto.


LXXIII

Né Alessandro Magno, né Cesare, né gli altri che sono stati celebrati in questa laude, usarono mai clemenzia per la quale cognoscessino guastare o mettere in pericolo lo effetto della sua vittoria, perché sarebbe forse piú presto demenzia; ma solo in quegli casi ne' quali lo usarla non diminuiva loro sicurtá, e gli faceva piú ammirabili.


LXXIV

Non procede sempre el vendicarsi da odio o da mala natura, ma è talvolta necessario perché con questo esemplo gli altri imparino a non ti offendere; e sta molto bene questo che uno si vendichi, e tanto non abbia rancore di animo contro a colui di chi fa vendetta.


LXXV

Referiva papa Lione, Lorenzo de' Medici suo padre essere solito dire: Sappiate che chi dice male di noi non ci vuole bene.


LXXVI

Tutto quello che è stato per el passato ed è al presente, sará ancora in futuro; ma si mutano e nomi e le superficie delle cose in modo, che chi non ha buono occhio non le ricognosce, né sa pigliare regola, o fare giudicio per mezzo di quella osservazione.


LXXVII

Osservai quando ero imbasciatore in Spagna, che el re cattolico Don Ferrando d'Aragona, principe potentissimo e prudentissimo, quando voleva fare impresa nuova o deliberazione di grande importanza, procedeva spesso di sorte, che innanzi si sapessi la mente sua, giá procedeva spesso di sorte, che innanzi si sapessi la mente sua, giá tutta la corte e i popoli desideravano ed esclamavano el re doverrebbe fare questo; in modo che scoprendosi la sua deliberazione in tempo che giá era desiderata e chiamata, è incredibile con quanta giustificazione e favore procedesse apresso a' sudditi e ne' regni suoi.


LXXVIII

Le cose medesime che tentate in tempo sono facili a riuscire anzi caggiono quasi per loro medesime, tentate innanzi al tempo, non solo non riescono allora, ma ti tolgono ancora spesso quella facilitá che avevano di riuscire al tempo suo; però non correte furiosi alle cose, non le precipitate, aspettate la sua maturitá, la sua stagione.


LXXIX

Sarebbe periculoso proverbio se non fussi bene inteso quello che si dice: el savio debbe godere el beneficio del tempo; perché quando ti viene quello che tu desideri, chi perde la occasione non la ritruova a sua posta, e anche in molte cose è necessaria la celeritá del risolversi e del fare; ma quando sei in partiti difficili, o in cose che ti sono moleste, allunga e aspetta tempo quanto puoi, perché quello spesso ti illumina o ti libera. Usando cosí questo proverbio, è sempre salutifero; ma inteso altrimenti, sarebbe pernizioso.


LXXX

Felici veramente sono coloro a chi una medesima occasione torna piú che una volta, perché la prima lo può perdere o male usare uno ancora che sia prudente; ma chi non lo sa cognoscere o usare la seconda volta è imprudentissimo.


LXXXI

Non abbiate mai una cosa futura tanto per certa, ancora che la paia certissima, che potendo sanza guastare el vostro traino riservarvi in mano qualche cosa a proposito del contrario se pure venissi, non lo facciate; perché le cose riescono bene spesso tanto fuora delle opinione commune, che la esperienzia mostra essere stata prudenzia a fare cosí.


LXXXII

Piccoli principii e a pena considerabili sono spesso cagione di grandi ruine o di felicitá; però è grandissima prudenzia avvertire e pesare bene ogni cosa benché minima.


LXXXIII

Fui io giá d'opinione, che quello che non mi si rapresentava in un tratto, non occorressi anche poi; pensandovi, ho visto in fatti in me e in altri el contrario; che quanto piú e meglio si pensa alle cose, tanto meglio si intendono e si fanno.


LXXXIV

Non vi lasciate cavare di possessione delle faccende se desiderate farne, perché non vi si torna a sua posta; ma se vi ti truovi drento, l'una s'avvia doppo l'altra sanza adoperare tu diligenzia o industria per averne.


LXXXV

La sorte degli uomini non solo è diversa tra uomo e uomo, ma etiam in sé medesimo, perché sará uno fortunato in una cosa e infortunato in un'altra. Sono stato felice io in quelli guadagni che si fanno sanza capitale con la industria sola della persona, negli altri infelice: con difficultá ho avuto le cose quando l'ho cercate; le medesime non le cercando, mi sono corse drieto.


LXXXVI

Chi è in maneggi grandi o tende a grandezza, cuopra sempre le cose che gli dispiacciono, amplifichi quelle che gli sono favorevole. È una spezie di ciurmeria, e assai contro alla natura mia; ma dependendo el traino di costoro piú spesso dalla openione degli uomini che dagli effetti, el farsi fama che le cose ti vadino prospere ti giova, el contrario ti nuoce.


LXXXVII

Molti piú sono e benefici che tu cavi da' parenti e dagli amici, de' quali né tu né loro si accorgono, che quelli che si cognosce procedere da loro; perché rade volte accaggiono cose nelle quali t'abbia a servire dello aiuto loro, a comparazione di quelle che quotidianamente ti arreca el credersi che tu possa valerti a tua posta di loro.


LXXXVIII

Uno principe, o chi è in faccende grande, non solo debbe tenere segrete le cose che è bene che non si sappino, ma ancora avvezzare sé e e suoi ministri a tacere tutte le cose etiam minime e che pare che non importino, da quelle in fuora che è bene che siano note. Cosí non si sapendo da chi ti è intorno né da' sudditi e fatti tuoi, stanno sempre gli uomini sospesi e quasi attoniti, e ogni tuo piccolo moto e passo è osservato.


LXXXIX

Credo adagio, insino non ho autore certo, le nuove verisimile; perché essendo giá nel concetto degli uomini, si truova facilmente chi le finge; non si fingono cosí spesso quelle che non sono verisimile, o non sono aspettate; e però quando ne sento qualcuna sanza autore certo, vi sto piú sospeso che a quell'altre.


XC

Chi depende dal favore de' príncipi sta appiccato a ogni gesto, a ogni minimo cenno loro, in modo che facilmente salta a ogni piacere loro; il che è stato spesso cagione agli uomini di danni grandi. Bisogna tenere bene el capo fermo a non si lasciare levare leggermente da loro a cavallo, né si muovere se non per le sustanzialitá.


XCI

Difficilmente mi è potuto entrare mai nel capo che la giustizia di Dio comporti che e figliuoli di Lodovico Sforza abbino a godere lo Stato di Milano, el quale acquistò sceleratamente, e per acquistarlo fu causa della ruina del mondo.


XCII

Non dire: Dio ha aiutato el tale perché era buono: el tale è capitato male perché era cattivo; perché spesso si vede el contrario. Né per questo dobbiamo dire che manchi la giustizia di Dio, essendo e consigli suoi sí profondi che meritamente sono detti abyssus multa.


XCIII

Quanto uno privato erra verso el principe e committe crimen laesae majestatis, volendo fare quello che appartiene al principe, tanto erra uno principe e commette crimen laesi populi, faccendo quello che appartiene a fare al popolo e a' privati: però merita grandissima riprensione el duca di Ferrara faccendo mercantanzie, monopolii e altre cose meccaniche che aspettano a fare a' privati.


XCIV

Chi sta in corte de' principi e aspira a essere adoperato da loro, stia quanto può loro innanzi agli occhi; perché nascono spesso faccende, che vedendoti, si ricorda di te, e spesso le commette a te; le quali, se non ti vedessi, commetterebbe a un altro.


XCV

Bestiale è quello che non cognoscendo e pericoli, vi entra drento inconsideratamente; animoso quello che gli cognosce, ma non gli teme piú che si bisogni.


XCVI

È antico proverbio, che tutti e savi sono timidi, perché cognoscono tutti e pericoli, e però temono assai. Io credo che questo proverbio sia falso perché non può piú essere chiamato savio chi stima uno pericolo piú che non merita essere stimato; savio chiamerò quello che cognosce quanto pesi el pericolo e lo teme appunto quanto si debbe. Però piú presto si può chiamare savio uno animoso che uno timido; e presupposto che tutta dua vegghino assai, la discordia dall'uno all'altro nasce perché el timido mette a entrata tutti e pericoli che cognosce che possono essere, e presuppone sempre el peggio de' peggi; l'animoso, che ancora lui cognosce tutti, considerando quanti se ne possino schifare dalla industria degli uomini, quanti ne fa smarrire el caso per sé stesso, non si lascia confondere da tutti, ma entra nelle imprese con fondamento e con speranza, che non tutto quello che può essere abbia a essere.


XCVII

Dissemi el marchese di Pescara, quando fu fatto papa Clemente, che forse non mai piú vedde riuscire cosa che fussi desiderata universalmente. La ragione di questo detto può essere, che e pochi e non e molti danno communemente el moto alle cose del mondo, e e fini di questi sono quasi sempre diversi da' fini de' molti; e però partoriscono diversi effetti da quello che molti desiderano.


XCVIII

Uno tiranno prudente, benché abbia caro e savii timidi, non gli dispiacciono anche gli animosi quando gli cognosce di cervello quieto; perché gli dá el cuore di contentargli. Sono gli animosi e inquieti quelli che sopra tutto gli dispiacciono; perché non può presupporre di potergli contentare, e però è sforzato a pensare di spegnergli.


XCIX

Apresso a uno tiranno prudente, quando non m'ha per inimico, vorrei più presto essere in concetto di animoso inquieto che di timido; perché cerca di contentarti, e con quell'altro fa più a sicurtá.


C

Sotto a uno tiranno è meglio essere amico insino a uno certo termine, che partecipare degli ultimi intrinsechi suoi; perché cosí, se sei uomo stimato, godi anche tu della sua grandezza, e qualche volta piú che quell'altro con chi fa piú a sicurtá, e nella ruina sua puoi sperare di salvarti.


CI

A salvarsi da uno tiranno bestiale e crudele non è regola o medicina che vaglia, eccetto quella che si dá alla peste: fuggire da lui el piú discosto, e el piú presto che si può.


CII

Uno assediato che aspetta soccorso, publica sempre le necessitá sue molto maggiori che non sono; quello che non lo aspetta, non gli restando altro disegno che lo straccare lo inimico, e a quest'effetto tôrgli ogni speranza, le cuopre sempre e publica minore.


CIII

Fa el tiranno ogni possibile diligenzia per scoprire el segreto del cuore tuo, con farti carezze, con ragionare teco lungamente, col farti osservare da altri che per ordine suo si intrinsecano teco, dalle quali rete tutte è difficile guardarsi; e però se tu vuoi che non ti intenda, pènsavi diligentemente, e guardati con somma industria da tutte le cose che ti possono scoprire, usando tanta diligenzia a non ti lasciare intendere quanta usa lui a intenderti.


CIV

È lodato assai negli uomini, e è grato a ognuno lo essere di natura liberi e reali, e, come si dice in Firenze, schietti; è biasimata da altro canto e è odiosa la simulazione, ma è molto piú utile a sé medesimo: e quella realitá giova piú presto a altri che a sé. Ma perché non si può negare che la non sia bella, io loderei chi ordinariamente avessi el traino suo del vivere libero e schietto, usando la simulazione solamente in qualche cosa molto importante, le quali accaggiono rare volte. Cosí acquisteresti nome di essere libero e reale, e ti tireresti drieto quella grazia che ha chi è tenuto di tale natura: e nondimeno nelle cose che importassino piú, caveresti utilitá della simulazione, e tanto maggiore quanto, avendo fama di non essere simulatore, sarebbe piú facilmente creduto alle arti tue.


CV

Ancora che uno abbia nome di simulatore o di ingannatore, si vede che pure qualche volta gli inganni suoi truovano fede. Pare strano a dirlo, ma è verissimo, e io mi ricordo, el re Cattolico piú che tutti gli altri uomini essere in questo concetto; e nondimeno ne' suoi maneggi non gli mancava mai chi gli credessi piú che el debito; e questo bisogna che proceda o dalla semplicitá o dalla cupiditá degli uomini: questi per credere facilmente quello che desiderano, quelli per non cognoscere.


CVI

Non è cosa nel vivere nostro civile che abbia piú difficultá che el maritare convenientemente le sue figliuole; il che procede perché tutti gli uomini, tenendo piú conto di sé che non tengono gli altri, pensano da principio poter capere ne' luoghi che non gli riescono. Però ho veduto molti rifiutare spesso partiti che quando si sono molto aggirati arebbono accettato di grazia. È dunche necessario misurare bene le condizioni sue e degli altri, né si lasciare portare da maggiore opinione che si convenga: questo io lo cognosco bene; non so poi come saprò usarlo, né se cadrò nello errore quasi commune di presummere piú che el debito; ma non serva però questo ricordo a avvilirsi tanto, che come Francesco Vettori, si diano al primo che le dimanda.


CVII

È da desiderare non nascere suddito; e pure avendo a essere, è meglio essere di principe che di republica; perché la republica deprime tutti e sudditi; e non fa parte alcuna della sua grandezza se non a' suoi cittadini; el principe è piú commune a tutti, ed ha equalmente per suddito l'uno come l'altro; però ognuno può sperare di essere e beneficato e adoperato da lui.


CVIII

Non è uomo sí savio che non pigli qualche volta degli errori; ma la buona sorte degli uomini consiste in questo: abattersi a pigliargli minori, o in cose che non importano molto.


CIX

Non è el frutto delle libertá, né el fine al quale le furono trovate, che ognuno governi; perché non debbe governare se non chi è atto e lo merita; ma la osservanzia delle buone legge e buoni ordini; le quali sono piú sicure nel vivere libero che sotto la potestá di uno o pochi. E questo è lo inganno che fa tanto travagliare la cittá nostra, perché non basta agli uomini essere liberi e sicuri, ma non si fermano se ancora non governano.


CX

Quanto si ingannono coloro che a ogni parola allegano e Romani! Bisognerebbe avere una cittá condizionata come era loro, e poi governarsi secondo quello esemplo; el quale a chi ha le qualitá disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi el corso di uno cavallo.


CXI

E vulgari riprendono e jurisconsulti per la varietá delle opinione che sono tra loro, e non considerano che la non procede da difetto degli uomini, ma dalla natura della cosa in sé; la quale non sendo possibile che abbia compreso con regole generali tutti e casi particulari, spesso e casi non si truovano decisi appunto dalla legge, ma bisogna conjetturarli con le openione degli uomini, le quali non sono tutte a uno modo. Vediamo el medesimo ne' medici, ne' filosofi, ne' giudicii mercantili, ne' discorsi di quelli che governano lo Stato, tra quali non è manco varietá di giudicio che sia tra' legisti.


CXII

Diceva messer Antonio da Venafra, e diceva bene: metti sei o otto savi insieme, diventano tanti pazzi; perché non si accordando mettono le cose piú presto in disputa che in resoluzione.


CXIII

Erra chi crede che la legge rimetta mai cosa alcuna in arbitrio, cioè in libera voluntá del giudice, perché la non lo fa mai padrone di dare e tôrre; ma perché sono alcuni casi che è stato impossibile che la legge determini con regola certa, gli rimette in arbitrio del giudice; cioè che el giudice, considerate le circunstanzie e qualitá tutte del caso, ne determini quello che gli pare secondo la sinderesi e conscienzia sua. Di che nasce che benché el giudice non possa della sentenzia sua starne a sindicato degli uomini, ne ha a stare a sindicato di Dio, el quale cognosce se gli ha giudicato o donato.


CXIV

Sono alcuni che sopra le cose che occorsono fanno in scriptis discorsi del futuro, e quali quando sono fatti da chi sa, paiono a chi gli legge molto belli; nondimeno sono fallacissimi, perché dependendo di mano in mano l'una conclusione dell'altra, una che ne manchi, riescono vane tutte quelle che se ne deducono; e ogni minimo particulare che varii, è atto a fare variare una conclusione; però non si possono giudicare le cose del mondo sí da discosto ma bisogna giudicarle e resolverle giornata per giornata.


CXV

Truovo in certi quadernacci scritti insino nel 1457, che uno savio cittadino disse giá: o Firenze disfará el Monte, o el Monte disfará Firenze. Considerò benissimo essere necessario, o che la cittá gli togliessi la riputazione, o che farebbe tanta multiplicazione che sarebbe impossibile reggerla; ma questa materia innanzi partorissi el disordine, ha avuta piú vita, e in effetto el moto suo piú lento, che lui forse non immaginò.


CXVI

Chi governa gli Stati non si spaventi per e pericoli che si mostrono, ancora che pajno grandi, propinqui e quasi in essere; perché, come dice el proverbio, non è sí brutto el diavolo come si dipigne. Spesso per varii accidenti e pericoli si risolvono, e quando pure e mali vengono, vi si truova drento qualche rimedio e qualche alleggerimento, piú che non si immaginava; e questo ricordo consideratelo bene, ché tuttodí viene in fatto.


CXVII

È fallacissimo il giudicare per gli esempli; perché se non sono simili in tutto e per tutto, non servono; conciosia che ogni minima varietá nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto; e el discernere queste varietá, quando sono piccole, vuole buono e perspicace occhio.


CXVIII

A chi stima l'onore assai, succede ogni cosa; perché non cura fatiche, non pericoli, non danari. Io l'ho provato in me medesimo, però lo posso dire e scrivere; sono morte e vane le azione degli uomini che non hanno questo stimulo ardente.


CXIX

Le falsitá delle scritture rade volte si fabricano da principio; ma dipoi in progresso di tempo, secondo che conducono le occasione o la necessitá; e però è buono espediente a difendersene, subito che è fatto lo instrumento o la scrittura, farsi fare copia autentica per tenerla presso di sé.


CXX

La piú parte de' mali che si fanno nelle terre di parte, procedono dal sospetto; perché gli uomini dubitando della fede l'uno dell'altro sono necessitati a prevenire; però chi le governa debbe avere el primo intento, e essere sollecito a levare via le suspizione.


CXXI

Non fate novitá in sulla speranza di essere seguitati dal popolo, perché è pericoloso fondamento, non avendo lui animo a seguitare, e anche spesso avendo fantasia diversa da quello che tu credi. Vedete lo esemplo di Bruto e Cassio, che amazzato Cesare, non solo non ebbono el seguito del popolo come si erano presupposti, ma per paura di esso furono forzati a ritirarsi in Capitolio.


CXXII

Guardate quanto gli uomini ingannano loro medesimi; ciascuno reputa brutti e peccati che lui non fa, leggieri quegli che fa; e con questa regola si misura spesso el male ed el bene piú che col considerare e gradi e qualitá delle cose.


CXXIII

Io credo facilmente che in ogni tempo siano stati tenuti dagli uomini per miracoli molte cose che non vi si appressavano; ma questo è certissimo che ogni religione ha avuto e suoi miracoli; in modo che della veritá di una fede piú che di un'altra è debole pruova el miracolo. Mostrano bene forse e miracoli la potestá di Dio, ma non piú di quello de' Gentili che di quello de' Cristiani; e anche non sarebbe forse peccato dire, che questi, cosí come anche e vaticinii, sono secreti della natura, alla ragione de' quali non possono gli intelletti degli uomini aggiugnere.


CXXIV

Io ho osservato che in ogni nazione e quasi in ogni cittá sono devozione che fanno e medesimi effetti: a Firenze Santa Maria Impruneta fa piova e bel tempo; in altri luoghi, ho visto Vergini Marie o Santi fare el medesimo: segno manifesto che la grazia di Dio soccorre ognuno; e forse che queste cose sono piú causate dalle opinione degli uomini, che perché in veritá se ne vegga lo effetto.


CXXV

E filosofi e teologi e tutti gli altri che scrivono le cose sopra natura o che non si veggono, dicono mille pazzie; perché in effetto gli uomini sono al bujo delle cose, e questa indagazione ha servito e serve piú a esercitare gli ingegni che a trovare la veritá.


CXXVI

Sarebbe da desiderare el potere fare o condurre le cose sue a punto, cioè in modo che fussino sanza uno minimo disordine o scrupolo; ma è difficile el fare questo; in modo che è errore lo occuparsi troppo in limbiccarle, perché spesso le occasione fuggono, mentre che tu perdi tempo a condurre quello a punto; e anche quando credi averlo trovato e fermo, ti accorgi spesso non essere niente perché la natura delle cose del mondo è in modo, che è quasi impossibile trovarne alcuna che in ogni parte non vi sia qualche disordine e inconveniente; bisogna risolversi a tôrle come sono e pigliare per buono quello che ha in sé manco male.


CXXVII

Ho veduto nella guerra bene spesso venire nuove per le quali giudichi avere la impresa in mal luogo; in uno tratto venire altre che pare ti promettino la vittoria, e cosí per contrario; e questa variazione accadere spessisime volte; però uno capitano buono non facilmente si invilisce o esalta.


CXXVIII

Nelle cose degli Stati non bisogna tanto considerare quello che la ragione mostra che dovessi fare uno principe, quanto quello che secondo la sua natura o consuetudine si può credere che faccia; perché e principi fanno spesso non quello che doverebbono fare, ma quello che fanno o pare loro di fare; e chi si risolve con altra regola può pigliare grandissimi granchi.


CXXIX

Quello che, se si facessi, sarebbe maleficio o ingiuria, se non si fa non ha però a essere chiamato né buona opera né beneficio; perché tra lo offendere e el beneficare, tra le opere laudabile e biasimevole, è mezzo: come lo astenere dal male, lo astenersi da offendere. Non dichino adunche gli uomini: io non feci, io non dissi; perché communemente la vera laude è potere dire: io feci, io dissi.


CXXX

Guardinsi e principi sopra tutto da coloro che sono di natura incontentabili; perché non possono beneficargli e empiergli tanto che basti a rendersene sicuri.


CXXXI

Grande differenzia è da avere e sudditi malcontenti a avergli disperati. El malcontento se bene desidera di nuocerti, non si mette leggiermente in pericolo, ma aspetta le occasione, le quali talvolta non vengono mai; el disperato le va cercando e sollecitando, e entra precipitosamente in speranza e pratiche di fare novitá; e però da quello t'hai a guardare di rado, da questo è necessario guardarti sempre.


CXXXII

Io sono stato di natura molto libero, e inimico assai degli stiracchiamenti; però ha avuto facilitá grande chi ha avuto a convenire meco: nondimeno ho cognosciuto che in tutte le cose è di somma utilitá el negociare con vantaggio; la somma del quale consiste in questo, non venire subito agli ultimi partiti, ma ponendosi da discosto, lasciarsi tirare di passo in passo e con difficultá; chi fa cosí, ha bene spesso piú di quello di che si sarebbe contentato; chi negocia come ho fatto io, non ha mai se non quello sanza che non arebbe concluso.


CXXXIII

È grandissima prudenzia e da molti poca osservata, sapere dissimulare le male satisfazione che hai da altri, quando el fare cosí non sia con tuo danno e infamia; perché accade spesso che in futuro viene occasione di averti a valere di quello. Il che difficilmente ti riesce, se lui giá sa che tu sia male satisfatto di lui. E a me è intervenuto molte volte che io ha avuto a ricercare persone, contro alle quali ero malissimo disposto; e loro credendo el contrario, o almeno non si persuadendo questo, m'hanno servito prontissimamente.


CXXXIV

Gli uomini tutti per natura sono inclinati piú al bene che al male: né è alcuno el quale, dove altro rispetto non lo tiri in contrario non facessi piú volentieri bene che male; ma è tanto fragile la natura degli uomini, e sí spesse nel mondo le occasione che invitano al male, che gli uomini si lasciano facilmente deviare dal bene. E però e savii legislatori trovorono e premii e le pene; che non fu altro che con la speranza e col timore volere tenere fermi gli uomini nella inclinazione loro naturale.


CXXXV

Se alcuno si truova che per natura sia inclinato a fare piú volentieri male che bene, dite sicuramente che non è uomo, ma bestia o mostro: poi che manca di quella inclinazione che è naturale a tutti gli uomini.


CXXXVI

Accade che qualche volta e pazzi fanno maggiore cose che e savii; procede perché el savio dove non è necessitato si rimette assai alla ragione e poco alla fortuna; el pazzo assai alla fortuna e poco alla ragione; e le cose portate dalla fortuna hanno tal volta fini incredibili. E savii di Firenze arebbono creduto alla tempesta presente; e pazzi avendo contro a ogni ragione voluto opporsi, hanno fatto insino a ora quello che non si sarebbe creduto che la cittá nostra potessi in modo alcuno fare; e questo è che dice el proverbio: Audaces fortuna iuvat.


CXXXVII

Se el danno che risulta delle cose male governate, si scorgessi a cosa per cosa, chi non sa, o si ingegnerebbe di imparare, o volontariamente lascerebbe governarsi a chi sapessi piú; ma el male è che gli uomini, e e popoli massime, per la ignoranzia loro, non intendendo la cagione de' disordini, non le attribuiscono a quello errore che gli ha prodotti; e cosí non ricognoscendo di quanto male sia causa lo essere governati da chi non sa governare, perseverano nello errore, o di fare loro quello che non sanno, o di lasciarsi governare dagli imperiti; donde nasce spesso la ruina ultima della cittá.


CXXXVIII

Né e pazzi, né e savi non possono finalmente resistere a quello che ha a essere; però io non lessi mai cosa che mi paressi meglio detta che quella che disse colui: Ducunt volentes fata, nolentes trahunt.


CXXXIX

È vero che le cittá sono mortale come sono gli uomini: ma è differenzia: ché gli uomini per essere di materia corrutibile, ancora che mai facessino disordini, bisogna manchino; le cittá non mancano per difetto della materia, la quale sempre si rinnova, ma o per mala fortuna o per malo reggimento, cioè per e partiti imprudenti presi da chi governa. El capitare male per mala fortuna schiettamente è rarissimo, perché essendo una cittá corpo gagliardo o di grande resistenzia, bisogna bene che la violenzia sia estraordinaria ed impetuosissima a atterrarla. Sono adunche gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine delle cittá; e se una cittá si governassi sempre bene, saria possibile che la fussi perpetua, o almanco arebbe vita piú lunga sanza comparazione di quello che non ha.


CXL

Chi disse uno popolo disse veramente uno animale pazzo, pieno di mille errori, di mille confusione, sanza gusto, sanza diletto, sanza stabilitá.


CXLI

Non vi maravigliate che non si sappino le cose delle etá passate, non quelle che si fanno nelle provincie o luoghi lontani; perché se considerate bene, non s'ha vera notizia delle presenti, non di quelle che giornalmente si fanno in una medesima cittá; e spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sí folta, o uno muro sí grosso, che non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa, o della ragione per che lo fa, quanto delle cose che fanno in India; e però si empie facilmente el mondo di opinione erronee e vane.


CXLII

Una delle maggiori fortune che possino avere gli uomini è avere occasione di potere mostrare, che a quelle cose che loro fanno per interesse proprio, siano stati mossi per causa di pubblico bene. Questa fece gloriose le imprese del Re Cattolico; le quali fatte sempre per sicurtá o grandezza sua, parvono spesso fatte o per augumento della fede cristiana, o per difesa della Chiesa.


CXLIII

Parmi che tutti gli istorici abbino, non eccettuando alcuno, errato in questo, che hanno lasciato di scrivere molte cose che a tempo loro erano note, presupponendole come note; donde nasce che nelle istorie de' Romani, de' Greci e di tutti gli altri, si desidera oggi la notizia in molti capi; verbigratia, delle autoritá e diversitá de' magistrati, degli ordini del governo, de' modi della milizia, della grandezza delle cittá e molte cose simili, che a' tempi di chi scrisse erano notissime, e però pretermesse da loro. Ma se avessono considerato che con la lunghezza del tempo si spengono le cittá, e si perdono le memorie delle cose, e che non per altro sono scritte le istorie che per conservarle in perpetuo, sarebbono stati piú diligenti a scriverle in modo, che cosí avessi tutte le cose innanzi agli occhi chi nasce in una etá lontana, come coloro che sono stati presenti, che è proprio el fine della istoria.


CXLIV

Dissemi in Spagna Almazano secretario del Re Cattolico, essendo venuta nuova che e Viniziani avevano fatto col re di Francia accordo contro al suo re, che in Castiglia è uno proverbio che in lingua nostra significa, che el filo si rompe dal capo piú debole: vuole dire in sustanzia, che le cose al fine si scaricano sopra e piú deboli, perché non si misurano né con la ragione, né con la discrezione; ma cercando ognuno el suo vantaggio, si accordano a fare patire chi ha manco forze, perché gli è avuto minore rispetto; e però chi ha a negociare con piú potenti di sé, abbia sempre l'occhio a questo proverbio che a ognora viene in fatto.


CXLV

Abbiate per certo, che benché la vita degli uomini sia breve, pure a chi sa fare capitale del tempo e non lo consumare vanamente, avanza tempo assai; perché la natura dell'uomo è capace, e chi è sollecito e risoluto gli comparisce mirabilmente el fare.


CXLVI

Infelicitá grande è essere in grado di non potere avere el bene, se prima non s'ha el male.


CXLVII

Erra chi crede che la vittoria delle imprese consista nello essere giuste o ingiuste, perché tuttodí si vede el contrario, che non la ragione, ma la prudenzia, le forze e la buona fortuna danno vinte le imprese. È ben vero, che in chi ha ragione nasce una certa confidenza fondata in sulla opinione che Dio dia vittoria alle imprese giuste; la quale fa gli uomini arditi e ostinati; dalle quali due condizione nascono talvolta le vittorie. Cosí l'avere la causa giusta può per indiretto giovare, ma è falso che lo faccia direttamente.


CXLVIII

Chi vuole espedire troppo presto le guerre, le allunga spesso; perché non avendo a aspettare o le provisione che gli bisogna, o la debita maturitá della impresa, fa difficile quello che sarebbe stato facile; in modo che per ogni dí di tempo che ha voluto avanzare perde spesso piú di uno mese; sanza che questo può essere causa di maggiore disordine.


CXLIX

Nelle guerre chi vuole manco spendere, piú spende; perché nessuna cosa vuole maggiore e piú inconsiderata effusione di danari; e quanto le provisione sono piú gagliarde, tanto piú presto si espediscono le imprese; alle quali cose chi manca per risparmiare danari allunga le imprese, tanto piú che ne risulta sanza comparazione maggiore spesa. Però nessuna cosa è piú perniziosa che entrare in guerre con gli assegnamenti di tempo in tempo, se non ha numerato grosso; perché è el modo non a finire la guerra, ma a nutrirla.


CL

Non basti a farvi fidare o rimettere in uomini ingiuriati da voi el cognoscere che di quello negocio medesimo risulterebbe, conducendolo bene, anche utilitá e onore a loro; perché può in certi uomini per natura tanto la memoria delle ingiurie, che gli tira a vendicarsi contro al proprio commodo; o perché stimino piú quella satisfazione, o perché la passione gli acciechi in modo che non vi discernino drento quello che sarebbe l'onore e utile suo, e tenete a mente questo Ricordo, perché molti ci errano.


CLI

Abbiate sempre la mira, come è anche detto sopra de' príncipi, non tanto a quello che gli uomini con chi avete a negociare doverrebbono fare per ragione, quanto quello che si può credere che faccino, considerata bene la natura e costumi loro.


CLII

Abbiate grandissima circumspezione innanzi entriate in imprese o faccende nuove, perché doppo el principio bisogna andare per necessitá; e però interviene spesso che gli uomini si conducono a camminare per difficultá, che se prima n'avessino immaginato la ottava parte, se ne sarebbono alienati mille miglia; ma come sono imbarcati, non è in potestá loro ritirarsi. Accade questo massime nelle inimicizie, nelle parzialitá, nelle guerre; nelle quali cose e in tutte l'altre, innanzi si piglino, non è considerazione o diligenzia sí esatta che sia superflua.


CLIII

Pare che gli imbasciadori spesso piglino la parte di quello principe apresso al quale sono; il che gli fa sospetti o di corruttela o di speranza di premii, o almanco che le carezze e umanitá usategli gli abbino fatti diventare loro partigiani; ma può anche procedere che avendo al continuo innanzi agli occhi le cose di quello principe dove sono, e non cosí particularmente le altre, paia loro da tenerne piú conto che in veritá non è; la quale ragione non militando nel suo principe che parimente ha noto el tutto, scuopre con facilitá la fallacia del suo ministro, e attribuisce spesso a malignitá quello che piú presto è causato da qualche imprudenzia: e però chi va imbasciadore ci avvertisca bene, perché è cosa che importa assai.


CLIV

Sono infiniti e segreti di uno principe, infinite le cose a che bisogna consideri; però è temeritá essere pronto a fare giudicio delle azione loro, accadendo spesso che quello tu credi che lui faccia per uno rispetto sia fatto per un altro; quello che ti pare fatto a caso o imprudentemente, sia fatto a arte e prudentissimamente.


CLV

Dicesi che chi non sa bene tutti e particulari non può giudicare bene; e nondimeno io ho visto molte volte, che chi non ha el giudicio molto buono giudica meglio, se ha solo notizia della generalità che quando gli sono mostri tutti e particulari; perché in sul generale se gli appresenterá spesso la buona resoluzione; ma come ode tutti e particulari, si confonde.


CLVI

Io sono stato di natura molto resoluto e fermo nelle azioni mie; e nondimeno come ho fatto una resoluzione importante, mi accade spesso una certa quasi penitenzia del partito che ho preso; il che procede non perché io creda che se io avessi di nuovo a deliberare io deliberassi altrimenti, ma perché innanzi alla deliberazione avevo piú presente agli occhi le difficultá dell'una e l'altra parte; dove preso el partito, né temendo piú quelle che col deliberare ho fuggite, mi si appresentono solamente quelle con chi mi resta a combattere, le quali considerate per se stesse paiono maggiore che non parevano quando erano paragonate con l'altre; donde séguita che a liberarsi da questo tormento bisogna con diligenzia rimettersi innanzi agli occhi anche le altre difficultá che avevi poste da canto.


CLVII

Non è bene vendicarsi nome di essere sospettoso, di essere sfiduciato: nondimeno l'uomo è tanto fallace, tanto insidioso; procede con tante arte sí indirette, sí profonde; è tanto cupido dello interesse suo, tanto poco respettivo a quello di altri, che non si può errare a credere poco, a fidarsi poco.


CLVIII

Veggonsi a ognhora e benefici che ti fa l'avere buono nome, l'avere buona fama; ma sono pochi a comparazione di quelli che non si veggono, che vengono da per sé e sanza che tu ne sappia la causa, condotti da quella buona opinione che è di te: però disse prudentissimamente colui che piú valeva el buono nome che molte ricchezze.


CLIX

Non biasimo e digiuni, le orazione e simile opere pie che ci sono ordinate dalla Chiesa o ricordate da' frati; ma el bene de' beni è, e a comparazione di questo tutti gli altri sono leggieri, non nuocere a alcuno, giovare in quanto tu puoi a ciascuno.


CLX

È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fussimo certi avere sempre a vivere: non credo sia la ragione di questo perché ci muova piú quello che è innanzi agli occhi e che apparisce al senso, che le cose lontane e che non si veggono; perché la morte è propinqua, e si può dire che per la esperienzia quotidiana ci apparisca a ogni ora: credo proceda perché la natura ha voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso o vero ordine di questa machina mondana; la quale non volendo resti come morta e sanza senso, ci ha dato proprietá di non pensare alla morte, alla quale se pensassimo sarebbe pieno el mondo di ignavia e di torpore.


CLXI

Quando io considero a quanti accidenti e pericoli di infirmitá, di caso, di violenzia, e in modi infiniti, è sottoposta la vita dell'uomo; quante cose bisogna concorrino nello anno a volere che la ricolta sia buona; non è cosa di che io mi maravigli piú, che vedere uno uomo vecchio, uno anno fertile.


CLXII

E nelle guerre e in molte cose importante ho veduto spesso lasciare di fare la provisione per giudicare che le sarebbono tarde; e nondimanco si è visto poi, che le sarebbono state in tempo, e che el pretermetterle ha fatto grandissimo danno: e tutto procede, che communemente el moto delle cose è molto piú lento che non si disegna, in modo che spesso non è fatto in tre e quattro mesi quello che tu giudicavi doversi fare in uno; e questo è Ricordo importante e da avvertire.


CLXIII

Quanto fu accomodato quello detto degli antichi: Magistratus virum ostendit! Non è cosa che scuopra piú la qualitá degli uomini che dare loro faccende e autoritá. Quanti dicono bene, che non sanno fare! Quanti in sulle panche e sulle piazze paiono uomini eccellenti, che adoperati riescono ombre!


CLXIV

La buona fortuna degli uomini è spesso el maggiore inimico che abbino, perché gli fa diventare spesso cattivi, leggieri, insolenti; però è maggiore paragone di uno uomo el resistere a questa che alle avversitá.


CLXV

Da uno canto pare che uno principe, uno padrone debba cognoscere meglio la natura de' sudditi e servidori suoi che alcuno altro; perché per necessitá bisogna gli venghino per le mani molte voglie, disegni e andamenti loro; da altro, è tutto el contrario; perché con ogni altro negociano piú apertamente, ma con questi usano ogni diligenzia, ogni arte per palliare la natura e le fantasie loro.


CLXVI

Non pensate che chi assalta altri, verbigrazia chi si accampa a una terra, possi prevedere tutte le difese che fará lo inimico; perché per natura allo attore, che è perito, occorrono e rimedii ordinarii che fará el reo; ma el pericolo e la necessitá in che è quello altro gli fa trovare degli estraordinarii, quali è impossibile che pensi chi non è nel termine di quella necessitá.


CLXVII

Non credo sia peggiore cosa al mondo che la leggerezza, perché gli uomini leggieri sono instrumenti atti a pigliare ogni partito per tristo, pericoloso e pernizioso che sia; però fuggitegli come el fuoco.


CLXVIII

Che mi rilieva me, che colui che mi offende lo facci per ignoranzia e non per malignitá? anzi, è spesso molto peggio, perché la malignitá ha e fini suoi determinati, e procede con le sue regole, e però non sempre offende quanto può; ma la ignoranzia non avendo né fine, né regola, né misura, procede furiosamente e dà mazzate da ciechi.


CLXIX

Abbiate per una massima, che o in cittá libera, o in governo stretto, o sotto uno principe che voi siate, è impossibile coloriate tutti e vostri disegni; però quando qualcuno ve ne manca, non vi adirate, non cominciate a volere rompere, pure che abbiate tale parte che dobbiate contentarvi; altrimenti faccendo, sturbate voi medesimi e qualche volta la cittá, e alla fine vi trovate avere quasi sempre peggiorato le vostre condizione.


CLXX

Grande sorte è quella de' principi, che e carichi che meritano essere suoi, facilmente scaricano addosso a altri, perché pare che quasi sempre intervenga che gli errori e le offese che loro fanno, ancora che naschino da loro proprii, siano attribuiti a consiglio o istigazione di chi è loro apresso. Credo proceda non tanto per industria che usino in fare nascere questa opinione, quanto perché gli uomini volentieri voltano lo odio o le detrazione a chi è manco distante da loro, e contro a chi sperano potersi piú facilmente valere.


CLXXI

Diceva el duca Lodovico Sforza che una medesima regola serve a fare cognoscere e principi e le balestre. Se la balestra è buona o no, si cognosce dalle frecce che tira; cosí el valore de' principi si cognosce dalla qualitá degli uomini mandano fuora. Dunche si può arguire che governo fussi quello di Firenze, quando in uno tempo medesimo adoperò per imbasciadori el Carduccio in Francia, el Gualterotto a Vinegia, messer Bardo a Siena, e messer Galetto Giugni a Ferrara.


CLXXII

Furono ordinati e principi non per interesse proprio, ma per beneficio commune, e gli furono date le entrate e le utilitá, perché le distribuissi a conservazione del dominio e de' sudditi: e però in lui è piú detestabile la parsimonia, che in uno privato; perché accumulando piú che el debito, appropria a sé solo quello di che è stato fatto, a parlare propriamente, non padrone, ma esattore e dispensatore a beneficio di molti.


CLXXIII

Piú detestabile e piú perniziosa è in uno principe la prodigalitá, che la parsimonia; perché non potendo quella essere sanza tôrre a molti, è piú ingiurioso a' sudditi el tôrre che el non dare; e nondimeno pare che a' popoli piaccia piú el principe prodigo che lo avaro. La ragione è che ancora che pochi siano quegli a chi dá el prodigo a comparazione di coloro a chi toglie, che di necessitá sono molti; pure, come è detto altre volte, può tanto piú negli uomini la speranza che el timore, che facilmente si spera essere piú presto di quegli pochi a chi è dato, che di quegli molti a chi è tolto.


CLXXIV

Fate ogni cosa per intrattenervi bene co' principi e con gli Stati che reggono; perché ancora che siate innocenti, abbiate condizioni quiete e ordinate, e siate disposti di non vi travagliare, nondimeno a ognhora vengono cose per le quali di necessitá vi bisogna capitare alle mani di chi governa; sanza che la opinione di non essere accetti vi offende in infiniti modi.


CLXXV

Uno governatore di popoli, cioè magistrato, debbe guardarsi quanto può di non mostrare odio con alcuno, né di pigliare vendetta di dispiacere che gli sia fatto; perché gli dá troppo carico adoperare el braccio publico contro alle ingiurie private; abbia pure pazienzia e aspetti tempo, perché è impossibile che spesso non gli venga occasione di potere fare lo effetto medesimo giustificatamente, e sanza nota di rancore.


CLXXVI

Pregate Dio sempre di trovarvi dove si vince, perché vi è data laude di quelle cose ancora di che non avete parte alcuna; come per el contrario chi si truova dove si perde, è imputato di infinite cose delle quali è inculpabilissimo.


CLXXVII

Quasi sempre in Firenze, per la dapocaggine degli uomini, quando uno ha fatto con violenzia uno scandolo publico non si è fatto pruova di punirlo, ma cercato a gara di deliberargli la impunitá, pure che deponga l'arme, e non ne faccia piú; modi non da reprimere gli insolenti, ma da fare diventare lioni gli agnelli.


CLXXVIII

Allora sono ottime le industrie e le arte de' guadagni, quando per lo universale non sono ancora cognosciute buone; ma come vengano in questa opinione, declinano; perché voltandovisi molti, el concorso fa che non sono piú sí buone; però el levarsi a buon'ora è vantaggio grande in tutte le cose.


CLXXIX

Io mi feci beffe da giovane del sapere sonare, ballare, cantare e simili leggiadrie; dello scrivere ancora bene, del sapere cavalcare, del sapere vestire accomodato, e di tutte quelle cose che pare che diano agli uomini piú presto ornamento che sustanzia; ma arei poi desiderato el contrario; perché se bene è inconveniente perdervi troppo tempo e però forse nutrirvi e giovani, perché non vi si deviino, nondimeno ho visto per esperienzia che questi ornamenti e el sapere fare bene ogni cosa dànno degnitá e riputazione agli uomini etiam bene qualificati, e in modo che si può dire che a chi ne manca, manchi qualche cosa; sanza che lo abondare di tutti gli intrattenimenti apre la via a' favori de' príncipi, e in chi ne abonda è talvolta principio o cagione di grande profitto e esaltazione, non essendo piú el mondo e e príncipi fatti come doverebbono, ma come sono.


CLXXX

Le guerre non hanno el maggiore inimico che el parere a chi le comincia che le siano vinte; perché ancora che le si mostrino facillime e sicurissime, sono sottoposte a mille accidenti, e quali si disordinano piú se a chi le apartengono non si trova preparato con l'animo e con le forze: come sarebbe se da principio vi si fussi ordinato drento, come se le fussino difficile.


CLXXXI

Sono stato undici anni continui ne' governi della Chiesa e con tanto favore apresso a' superiori e e popoli, che ero per durarvi lungamente se non fussino venuti e casi che nel 27 vennono in Roma e in Firenze; né trovai cosa alcuna che mi vi conficcassi drento piú che el procedere come se non mi curassi di starvi; perché con questo fondamento facevo sanza rispetto e summissione quello che si conveniva al carico che io tenevo: il che mi dava tanta riputazione, che questa sola mi favoriva piú e con piú degnitá che ogni intrattenimento, amicizia e industria che io avessi usata.


CLXXXII

Io ho visto quasi sempre gli uomini bene savii, quando hanno a risolvere qualche cosa importante procedere con distinzione, considerando dua o tre casi che verisimilmente possono accadere, e in su quegli fondare la deliberazione loro come se fussi necessario venire uno di quegli casi. Avvertite che è cosa pericolosa, perché spesso o forse el piú delle volte viene uno terzo o quarto caso non considerato, e al quale non è accomodata la deliberazione che tu hai fatta: però risolvetevi piú al sicuro che potete, considerando, che ancora possi facilmente essere quello che si crede non abbia a essere, né vi ristrignendo mai se non per necessitá.


CLXXXIII

Non è savio uno capitano che faccia giornate se non lo muove o la necessitá o el cognoscere d'avere vantaggio molto grande; perché è cosa troppo sottoposta alla fortuna, e troppo importante el perderle.


CLXXXIV

Io non voglio escludere gli uomini da' ragionamenti communi, né da conversare insieme con grata e amorevole dimestichezza; ma dico bene che è prudenzia non parlare se non per necessitá delle cose proprie; e quando se ne parla, non ne dare conto se non quanto è necessario al ragionamento o intento che allora si ha; riservando sempre in sé medesimo tutto quello che si può fare, sanza dire: piú grato è fare altrimenti, piú utile el fare cosí.


CLXXXV

Sempre gli uomini lodano in altri lo spendere largamente, el procedere nelle azioni sue co' modi generosi e magnifichi, e nondimeno i piú osservano in sé medesimi el contrario; però misurate le cose vostre con la possibilitá con la utilitá che sia onesta e ragionevole; ma non vi lasciate levare a cavallo a fare altrimenti dalle opinione e parole del vulgo, dal darvi a credere di acquistare laude e riputazione apresso a chi poi allo stretto non lauda in altri quello che non osserva in sé.


CLXXXVI

Non si può in effetto procedere sempre con una regola indistinta e ferma. Se è molte volte inutile lo allargarsi nel parlare, etiam cogli amici, dico di cose che meritino essere tenute segrete, da altro canto el fare che gli amici si accorghino che tu stai riservato con loro è la via a fare che anche loro faccino el medesimo teco; perché nessuna cosa fa altrui confidarsi di te, che el presupporsi che tu ti confidi di lui: e cosí non dicendo a altri, ti togli la facultá di sapere da altri. Però e in questo e in molte altre cose bisogna procedere distinguendo la qualitá delle persone, de' casi e de' tempi; e a questo è necessaria la discrezione, la quale se la natura non t'ha data, rade volte si impara tanto che basti con la esperienzia; co' libri non mai.


CLXXXVII

Sappiate che chi governa a caso si ritruova alla fine a caso; la diritta è pensare, esaminare, considerare bene ogni cosa etiam minima; e vivendo ancora cosí, si conducono con fatica bene le cose; pensate come vanno a chi si lascia portare dal corso della acqua.


CLXXXVIII

Quanto piú ti discosti dal mezzo per fuggire uno degli estremi, tanto piú cadi in quello estremo di che tu temi, o in uno altro che ha el male pari a quello; e quanto piú vuoi cavare frutto di quella cosa che tu godi, tanto piú presto finisce el goderla e trarne frutto; verbigratia uno che popolo che goda la libertá, quanto piú la vuole usare tanto manco la gode, e tanto piú cade o nella tirannide, o in uno vivere che non è migliore che la tirannide.


CLXXXIX

Tutte le cittá, tutti gli Stati, tutti e regni sono mortali; ogni cosa o per natura o per accidente termina e finisce qualche volta: però uno cittadino che si truova al fine della sua patria, non può tanto dolersi della disgrazia di quella e chiamarla mal fortunata, quanto della sua propria; perché alla patria è accaduto quello che a ogni modo aveva a accadere, ma disgrazia è stata di colui abattersi a nascere a quella etá che aveva a essere tale infortunio.


CXC

Suolsi dire per ricordo, in conforto degli uomini che non sono nello stato desiderano: Guardatevi drieto e non innanzi, cioè guardate quanti piú sono quegli che stanno peggio di voi, che quelli che stanno meglio. È detto verissimo, e che doverebbe valere a fare che gli uomini si contentassino del grado loro, ma è difficile a farlo; perché la natura ci ha posto el viso in modo che non possiamo sanza sforzarci guardarci se non innanzi.


CXCI

Non si può biasimare gli uomini che siano lunghi nel risolversi; perché se bene accaggiono delle cose nelle quali è necessario deliberare presto, pure per lo ordinario erra piú chi delibera presto che chi delibera tardi; ma da riprendere è sommamente la tarditá dello eseguire, poi che si è fatta la resoluzione, la quale si può dire che nuoca sempre e non giovi mai se non per accidente; e ve lo dico perché ve ne guardiate, atteso che in questo molti errano, o per ignavia, o per fuggire molestia, o per altra cagione.


CXCII

Pigliate nelle faccende questa massima: che non basti dare loro el principio, lo indirizzo, el moto; ma bisogna seguitarle e non le staccare mai insino al fine; e chi le accompagna cosí non fa anche poco a conducerle a perfezione. Ma chi negocia altrimenti, le presuppone talvolta finite, che a pena sono cominciate o difficultate; tanta è la negligenzia, la dapocaggine, la tristizia degli uomini; tanti gli impedimenti e le difficultá che di sua natura hanno le cose. Usate questo Ricordo: m'ha fatto talvolta grande onore, come fa vergogna grande a chi usa el contrario.


CXCIII

Avvertisca sopra tutto chi tiene pratiche contro agli Stati a non le tenere con lettere, perché spesso sono intercette e fanno testimonio che non si può negare; e benché ci siano oggi molti modi cauti di scrivere, sono anche molto in luce le arte del ritrovargli. Piú sicuro assai è a adoperare uomini proprii che lettere, e però è troppo difficile e pericoloso agli uomini privati entrare in queste pratiche, perché non hanno copia d'uomini a chi commettere, e di quelli pochi non si possono molto fidare, perché è troppo guadagno e poca perdita ingannare privati per fare piacere a' príncipi.


CXCIV

Se bene bisogna procedere alle cose pesatamente, non si vuole però proporsi nelle faccende tante difficultá, che l'uomo, pensando non possino riuscire, si fermi; anzi, bisogna ricordarsi che nel maneggiare si scuopre piú facilitá; e che faccendo, le difficultá per sé medesime si sgruppano. E questo è verissimo, e chi negocia lo vede tutto dí in fatto; e se papa Clemente se ne ricordassi conducerebbe spesso le cose sue e piú in tempo con piú riputazione.


CXCV

Chi è apresso a' principi e desidera ottenere grazie o favori per sé o per amici, ingegnisi quanto può di non avere a dimandare spesso direttamente, ma cerchi o aspetti occasione di proporle e introdurle con qualche destrezza, le quali quando vengono bisogna pigliarle subito e non le lasciare passare. Chi fa cosí, conduce le cose con molto maggiore facilitá, e con molto minore fastidio del principe; e ottenuta che n'ha una, resta piú fresco e piú libero potere ottenerne un'altra.


CXCVI

Come gli uomini si accorgono che tu se' in grado che la necessitá ti conduca a quello vogliono, fanno poca stima di te, e ne fanno buono mercato; perché in loro communemente può piú el rispetto del suo interesse o la sua mala natura, che non può la ragione e' meriti tuoi, o le obligazione che avessino teco, o el considerare che tu sia forse caduto per causa loro, o per satisfare a loro, in queste male condizione; però guardatevi dal venire in questo essere quanto dal fuoco. E se gli uomini avessino bene nel cuore questo Ricordo molti sono fuorusciti che non sarebbono; perché non giova loro tanto che siano cacciati da casa per inclinazione a questo o quello principe, quanto nuoce che poi che el principe gli vede fuora dice: Costoro non possono piú fare sanza me; e però con poca discrezione gli tratta a suo modo.


CXCVII

Chi ha a conducere co' popoli cose che abbino difficultá grande o contradizione, avvertisca, se el caso lo comporte, a separarle, e non parlare della seconda insino non sia condotta la prima; perché cosí faccendo, può accadere che quelli si opponghino all'una, non contradichino all'altra; dove se fussino tutte insieme, bisognerebbe che a tutte contradicessi ciascuno a chi dispiacessi qualunque di quelle. E se cosí avessi saputo fare Piero Soderini quando volle riordinare la legge della Quarantía, l'arebbe ottenuta, e stabilito forse con essa el governo populare; e questo ricordo di fare inghiottire le vivande amare, quando si può, in piú di uno boccone, serve spesso non manco alle cose private che alle publiche.


CXCVIII

Crediate che in tutte le faccende e publiche e private la importanza dello espedirle consiste in sapere pigliare el verso; e però in una medesima cosa, el maneggiarla in uno modo a maneggiarla in uno altro, importa el conducerla a non la conducere.


CXCIX

Sempre, quando con altri volete simulare o dissimulare una vostra inclinazione, affaticatevi a mostrargli con piú potente e efficace ragione che voi potete, che voi avete in animo el contrario, perché quando agli uomini pare che voi cognosciate che la ragione voglia cosí, facilmente si persuadono che le resoluzione vostre siano secondo quello che detta la ragione.


CC

Uno de' modi a fare fautore di qualche vostro disegno qualcuno che ne sarebbe stato alieno, è farne capo a lui, e farnelo, come dire, autore o principale. Guadagnansi con questa via massime gli uomini leggieri, perché in molti questa vanitá solo può tanto, che gli conduce a tenerne piú conto che de' rispetti sustanziali che si doverrebbono avere nelle cose.


CCI

Parrá forse parola maligna o sospettosa, ma Dio volessi non fussi vera: sono piú e cattivi uomini che e buoni; massime dove va interesse di roba o di Stato; però da quelli in fuora, e quali per esperienzia o relazione degnissime di fede cognoscete buoni, non si può errare a negociare con tutti cogli occhi bene aperti; è bene destrezza farlo in modo che non vi vendichiate nome di sfiduciati; ma sustanziale è non vi fidate, se non vedete poterlo fare.


CCII

Chi si vendica in modo che lo offeso non si accorga che el male proceda da lui, non si può dire lo faccia se non per satisfare allo odio o al rancore; piú generoso è farla scopertamente, e in modo che ognuno sappia donde nasca: e si può interpretare lo faccia non tanto per odio e desiderio di vendetta, quanto per onore, cioè per essere cognosciuto per uomo di natura da non sopportare le ingiurie.


CCIII

Avvertino e principi a non conducere e sudditi in grado prossimo alla libertá; perché gli uomini naturalmente desiderano essere liberi, e lo ordinario di ciascuno è non stare contenti al grado suo, ma cercare sempre di avanzare di quello in che si truovano; e questi appetiti possono piú che la memoria della buona compagnia che gli fa el principe, e de' benefici ricevuti da lui.


CCIV

Non è possibile fare tanto che e ministri non rubino: io sono stato nettissimo, e ho avuto governatori e altri ministri sotto di me, e con tutta la diligenzia che io abbia usata, e lo esemplo che ho dato loro, non ho potuto provedere tanto che basti. Ènne cagione che el danaio serve a ogni cosa, e che al vivere d'oggi è stimato piú uno ricco che uno buono; e lo causa tanto piú la ignoranzia o ingratitudine de' principi che sopportano e tristi, e a chi ha servito bene non fanno migliore trattamento che a chi ha fatto el contrario.


CCV

Io sono stato dua volte con grandissima autoritá negli eserciti in su imprese importantissime, ed in effetto n'ho cavato questo construtto: che se sono vere, come in gran parte io credo, le cose che si scrivono della milizia antica, questa a comparazione di quella è una ombra. Non hanno e capitani moderni virtú, non hanno industria; procedesi sanza arte, sanza stratagemmi; come camminare a lento passo per una strada maestra; in modo che non fuora di proposito io dissi al signor Prospero Colonna, capitano della prima impresa, che mi diceva che io non ero stato piú in guerra alcuna: che mi doleva anche in questa non avere imparato niente.


CCVI

Non voglio disputare quale fussi piú utile a' corpi nostri, o governarsi co' medici o non ne avere, come lungamente feciono e Romani; ma dico bene che, o sia per la difficultá della cosa in sé, o per la negligenzia de' medici, e quali bisognerebbe fussino diligentissimi e osservassino bene ogni minimo accidente dello infermo, che e medici de' tempi nostri non sanno medicare altro che e mali ordinarii, e el piú che si distenda la scienzia loro è insino a curare due terzane; ma come la infermitá ha niente di estraordinario, medicano al buio e a caso; sanza che el medico, per la sua ambizione e per le emulazione che sono tra loro, è uno animale pessimo, sanza coscienzia e sanza rispetto; e avendo la sicurtá che gli errori loro si possino male riprovare, pure che esalti sé, o deprima el compagno, fa ogni dí notomia de' corpi nostri.


CCVII

Della astrologia, cioè di quella che giudica le cose future, è pazzia parlare; o la scienza non è vera, o tutte le cose necessarie a quella non si possono sapere, o la capacitá degli uomini non vi arriva; ma la conclusione è, che pensare di sapere el futuro per quella via è uno sogno. Non sanno gli astrologi quello dicono, non si appongono se non a caso: in modo che se tu pigli uno pronostico di qualunque astrologo, e uno di un altro uomo, fatto a ventura, non si verificherá manco di questo che di quello.


CCVIII

La scienzia delle legge è ridotta oggi in luogo, che se nella decisione di una causa è da uno canto qualche viva ragione, dall'altro la autoritá di uno dottore che abbia scritto, piú si attende nel giudicare la autoritá: però e dottori che praticano, sono necessitati volere vedere ognuno che scrive; e cosí quello tempo che s'arebbe a mettere in speculare, si consuma in leggere libri con stracchezza di animo e di corpo, in modo che l'ha quasi piú similitudine a una fatica di facchini che di dotti.


CCIX

Io credo siano manco male le sentenzie de' Turchi, le quali si espediscono presto e quasi a caso, che el modo de' giudicii che si usano communemente tra' Cristiani; perché la lunghezza di questi importa tanto e per le spese e per e disturbi che si danno a' litiganti, che non nuoce forse manco che facessi la sentenzia che s'avessi contro el primo dí; sanza che, se noi presuppogniamo le sentenzie de' Turchi darsi al buio, ne seguita che, ragguagliato, la metà ne sia giusta; sanza che non forse minore parte ne sono ingiuste di quella date tra noi, o per la ignoranzia o per la malizia de' giudici.


CCX

Poco e buono, dice el proverbio: è impossibile che chi dice o scrive molte cose non vi metta di molta borra; ma le poche possono essere tutte bene digeste e stringate; però sarebbe forse stato meglio scerre di questi Ricordi uno fiore che accumulare tanta materia.


CCXI

Io credo potere affermare che gli spiriti siano; dico quella cosa che noi chiamiamo spiriti, cioè di quelli aerei che dimesticamente parlano con le persone, perché n'ho visto esperienzia tale che mi pare esserne certissimo; ma quello che siano e quali, credo lo sappia sí poco chi si persuade saperlo quanto chi non vi ha punto di pensiero. Questo, e el predire el futuro, come si vede fare talvolta a qualcuno o per arte o per furore, sono potenzie occulte della natura, o vero di quella virtú superiore che muove tutto; palesi a lui, segreti a noi, e talmente, che e cervelli degli uomini non vi aggiungono.


CCXII

Delle tre spezie di governi, di uno, di pochi o di molti, credo che in Firenze quello degli Ottimati sarebbe el peggiore di tutti, perché non vi è naturale, né vi può essere accetto, come non è anche la tirannide; e per la ambizione e discordie loro farebbono tutti quelli mali che fa la tirannide, e forse piú dividerebbono presto la cittá, e de' beni che fa el tiranno non ne farebbono nessuno.


CCXIII

In tutte le resoluzione e esecuzione che l'uomo fa, s'ha ostaculo di ragione in contrario; perché nessuna cosa è sí ordinata che non abbia in compagnia qualche disordine, nessuna cosa sí trista che non abbia del buono, nessuna cosa sí buona che non abbia del tristo; donde nasce che molti stanno sospesi, perché ogni piccola difficultá dispiace loro; e questi sono quelli che di natura si chiamano rispettivi, perché a ogni cosa hanno rispetto. Non bisogna fare cosí; ma pesati gli inconvenienti di ciascuna parte, resolversi a quelli che pesano manco; ricordandosi non poter pigliare partito che sia netto e perfetto da ogni parte.


CCXIV

Ognuno ha de' difetti, chi piú e chi manco, però non può durare né amicizia, né servitú, né compagnia, se l'uno non comporta l'altro. Bisogna cognoscere l'uno l'altro, e, ricordandosi che col mutare non si fuggono tutti e difetti ma si riscontra o ne' medesimi o forse in maggiori, disporsi a comportare; pure che tu ti abbatta a cose che si possino tollerare, o non siano di molta importanza.


CCXV

Quante cose fatte sono biasimate, che, se si potessi vedere quello che sarebbe se non fussino fatte, si loderebbono! quante pel contrario sono lodate che si biasimerebbono! Però non correte a riprendere o commendare secondo la superficie delle cose; e quello che vi apparisce innanzi agli occhi, bisogna considerare piú a drento, se volete che el giudicio vostro sia vero e pesato.


CCXVI

Non si può in questo mondo eleggere el grado in che l'uomo ha a nascere, non le faccende e la sorte con che l'uomo ha a vivere; però a laudare o riprendere gli uomini s'ha a guardare non la fortuna in che sono, ma come vi si maneggiano drento; perché la laude o biasimo degli uomini ha a nascere da' comportamenti loro, non dallo stato in che si truovano; come in una commedia o tragedia non è piú in prezzo chi porta la persona del padrone e del re, che chi porta quella di uno servo; ma solamente si attende chi la porta meglio.


CCXVII

Non vi guardate tanto di farvi inimici o di fare dispiacere a altri, che per questo lasciate di fare quello che vi si appartiene; perché el fare l'uomo el debito suo gli dá riputazione, e questa giova piú, che non nuoce el farsi qualche inimico. Bisogna o essere morto in questo mondo, o fare talvolta cose che offendono altri; ma la medesima virtú che è di sapere collocare bene e piaceri, si truova in sapere cognoscere quando s'hanno a fare e dispiaceri; cioè fargli con ragione, con tempo, con modestia e per cagione e con modi onorevoli.


CCXVIII

Quegli uomini conducono bene le cose loro in questo mondo, che hanno sempre innanzi agli occhi lo interesse proprio, e tutte le azione sue misurano con questo fine, ma la fallacia è in quegli che non cognoscono bene quale sia lo interesse suo, cioè che reputano che sempre consista in qualche commodo pecuniario piú che nell'onore, nel sapere mantenersi la riputazione e el buono nome.


CCIX

È ingenuitá, chi è stato autore di una deliberazione, o affermata una opinione, se innanzi ne vegga l'esito muta per qualche segno sentenzia, confessarlo liberamente; pure quando non è in sua potestá, o non appartiene a lui el correggerla, si conserva piú la riputazione a fare el contrario; perché ridicendosi non può piú se non perdere di riputazione, perché sempre succederá el contrario di quello che ha detto o nel principio o innanzi al fine; dove stando in sulla opinione prima, riuscirá pure veridico in caso che quella succedessi, la quale può ancora succedere.


CCXX

Credo sia uficio di buoni cittadini, quando la patria viene in mano di tiranni, cercare d'avere luogo con loro per potere persuadere el bene e detestare el male; e certo è interesse della cittá che in qualunque tempo gli uomini da bene abbino autoritá; e ancora che gli ignoranti e passionati di Firenze l'abbino sempre inteso altrimenti si accorgerebbono quanto pestifero sarebbe el governo de' Medici, se non avessi intorno altri che pazzi e cattivi.


CCXXI

Quando piú inimici, che insieme ti solevano essere uniti contro, sono venuti tra loro alle mani, lo assaltarne uno in sulla occasione di potergli opprimere separatamente è spesso causa che di nuovo si riunischino insieme; però bisogna bene considerare la qualitá dello odio che è nato tra loro, e le altre condizione e circumstanzie per poterti bene risolvere quale sia meglio, o assaltarne uno, o pure stando a vedere, lasciargli combattere tra loro.



EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Francesco Guicciardini - Storie fiorentine - Ricordi", La nostra biblioteca classica 72, EDIPEM, Novara, 1974








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