Francesco Guicciardini - Opera Omnia >>  Consolatoria, Accusatoria, Difensoria




 

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CONSOLATORIA
 
 
Fatta di settembre 1527 a Finocchieto tempore pestis.

Io non mi maraviglio, Francesco, benché io ti cognosca di animo fermo e virile, che tu ti truovi ripieno di grandissimo dispiacere, perché sono concorsi in uno tempo medesimo troppi accidenti a perturbarti; né è solo la roba in che tu patisci, ma di più la grandezza, la degnità, e quello che io credo che ti pesi sopra tutte le cose, l'onore. Hai per la ruina del pontefice perduto la presidenzia di Romagna, luogo che ti dava grandissima utilità e tanta riputazione, che ogni uomo grande e nato in maggiore grado che privato, se ne sarebbe onorato; hai perduto uno pontefice che t'aveva singulare affezione, ma molto maggiore confidenzia, e che voleva che ordinariamente tu stessi apresso a lui e consigliassi e trattassi tutte le faccende importante e segrete dello stato, e ne' tempi della guerra t'aveva proposto a eserciti con tanta autorità che maggiore non aveva riservata a sé. Donde oltre a consumare el tempo in cose onorevoli e che dilettano la natura tua, eri venuto e ti saresti conservato in notizia e riputazione apresso a tutti e' principi cristiani, e per tutta Italia cognosciuto e stimato tanto, che tanto non credo che tu avessi non dico mai sperato ma neanche ardito di desiderare. E da questa grandezza e riputazione ti venivano in mano grossissime facultà, lecitamente, onoratamente e sanza offesa o dispiacere di persona; e quello io so che tu stimavi assai, vedervi aperta la via di collocare nella tua patria le tue figliuole con migliori e più onorati partiti che vi fussino. Le quali perdite, in sé grandissime, fa ancora maggiore la causa per la quale tu l'hai perdute; perché non morte naturale del papa, non impedimento sopravenuto alla persona tua, non caso ordinario o che prima si fussi potuto pensare, t'ha tolto tanto grado, ma uno accidente atroce e miserabile, sendo quello povero e misero principe così infelicemente diventato prigione degli spagnuoli. In che bisogna che non solo ti offenda el danno tuo, ma forse non manco quello di Italia e di tutto el mondo; non solo lo interesse tuo, ma la compassione di quello infelice signore col quale hai grandissima obligazione, e per gli utili e per gli onori grandissimi che t'ha fatto, ma molto più per la fede eccessiva che ha avuto in te, per la quale t'ha tante volte posto in mano tutto lo stato suo, non ostante che tu non gli fussi né parente, né ne' tempi infelici di casa sua gli avessi serviti ed obligatili in cosa alcuna.

Ed in questo oltre al dispiacere che tu senti di tanta sua miseria, credo ti molesti non poco el ricordarti che la deliberazione del pigliare la guerra dalla quale sono nati tutti e' suoi mali, fu ancora consigliata e riscaldata da te: in modo che non meno ti debba muovere el parerti che anche tu n'abbia dato qualche causa, che faccia lo effetto stesso di tanta ruina; e se pure tu non avessi perduto altro che questi accidenti dependenti dal papato, credo che pure li tollereresti assai commodamente, considerando che erano cose avventizie e non naturali tue. Ma quando io veggo che tu sei percosso si può dire nel tuo proprio, ed in quello che depende dalla patria tua, non posso credere che el dispiacere tuo non sia infinito; perché io veggo che con grandissima iniquità ti è stata posta una gravezza di qualità che le facultà tue non la possono portare; e se si metterà in uso qualche volta, bisogna o che pagandola tu impoverisca, o che non la volendo pagare tu perda per modo di parlare la civilità e forse la patria, donde oltre alli altri incommodi ti si difficulta mirabilmente el maritare delle figliuole, cosa tanto stimata da te, ed in modo che quelli medesimi che altra volta l'hanno dimandate, offerendole ora tu loro, le rifiuteranno.

Veggo che per li umori che ora possono nella città tu ti truovi escluso da tutto el governo, e con poca speranza che questi romori, causati da errore o da malignità, s'abbino a purgare presto come molti credono; in modo che da uno estremo eccessivo di onori, di riputazione, di faccende grandissime e di notizia universale in che tu eri, ti truovi precipitato subito in uno altro estremo di uno vivere ozioso, abietto, privatissimo, sanza degnità, sanza faccende, inferiore nella tua città a ogni piccolo cittadino, e di sorte che non che altro, credo ti vergogni quando passano per questa forestieri che t'hanno visto in tanta grandezza, ed ora intendono che tu sia ridotto in grado sì basso e sì infelice. Né è di poco momento li inimici, che per volere fare el debito e per volere servire fedelmente al tuo padrone e satisfare all'onore tuo, tu ti hai fatti in molti luoghi di Italia, grandi e di qualità da poterti nuocere in molte occasione, massime se la necessità ti constrìgnessi a andare fuora, dove non puoi andare più con guardie e con armati come hai fatto per el passato; in modo che della grandezza ed autorità che hai avuto, ti è restato el pericolo, e ti è restato quasi per necessità uno modo di vivere di più spesa che non conviene al grado presente ed alle facultà che tu hai.

Ma oltre a tutti e' dispiaceri detti di sopra, che certo sono grandi, perché io so quanto conto tu hai sempre tenuto dell'onore, e quanto per questo ti sei sempre conservato integro ed astinente della roba di altri, e procurate con tutte le opere ed azioni tue avere buono nome; perché io so quanto sempre hai amato la patria, e quanto capitale hai sempre fatto di avervi drento buona grazia e buona fama, e per questa cagione le grandezze e maneggi tuoi non mai t'hanno potuto spiccare da pensieri e dimostrazione di cittadino; sono certissimo che quello che ti duole insino al cuore, quello che ti cava l'anima, è el vedere che sanza alcuno fondamento di verità, sanza alcuna cagione, fu sparsa voce sì universale che tu abbi in questa guerra rubato e' danari publici, che tu abbia per avarizia o per malignità permesso che e' soldati faccino tanti danni in questo contado, che tu sia di animo tirannico ed inimico della libertà della città. La quale opinione non solo si è dimostrata con le parole, ma molto più con le opere, poi che in questa distribuzione della gravezza, e nelle elezione de' venti che avessino a prestare, sei stato messo al paragone o di persone vili e di nessuno rispetto, o di uomini corruttibili, usurpatori e di pessima fama. E così in luogo di quello buono nome e quella fama e benevolenzia singulare di integrità, di modestia e di amatore de' populi, che tu con tante fatiche e pericoli hai acquistato nelle provincie forestiere, ora nella patria tua alla quale sempre hai avuto la mira, ti truovi in concetto di animo non integro, non bene composto, né moderato, né amatore de' commodi publichi.

Quando io mi ricordo di queste cose e considero quanto torto ti sia fatto, e quanto male siano ricognosciute le tue buone opere, così mi aiuti Dio come per lo amore che io ti porto, io ho dolore, non voglio dire equale al tuo, ma certo come sentirei di cose proprie che mi pesassino assai; e lo mostrerrei con l'effetto se, benché con mia grandissima incommodità, io potessi fare opera alcuna che in qualche parte ti alleggerissi la causa di tanti dispiaceri. Ma poi che io non posso fare questo, mi sforzerò almanco con le parole darti quella medicina o quello lenitivo che io saprò; non perché io non intenda non potere né sapere dire cosa che tu meglio di me non cognosca, ma per fare lo officio dell'amico almeno con la buona volontà. se non potrò o non saprò con gli effetti.

E' dispiaceri che tu hai sono sanza dubbio grandissimi, e potentissime le ragione che ti fanno risentire; ma non sono, se tu bene consideri, alla fine minore quelle donde ha a nascere el conforto e la consolazione tua; dico ancora quelle che sono facilmente capace al senso degli uomini, né aliene dal vivere nostro commune e quotidiano el quale è delicato e non patisce rimedi o medicine troppo potenti, le quali chi potessi comportare, ed udire in questo luogo e' teologi o e' filosofi, si curerebbe facilissimamente molto maggiore infermità che non è la tua. Perché come tu proponessi la memoria dell'altra vita, a comparazione della quale questa è uno punto, e che Dio manda spesso le tribulazione agli uomini non per gastigargli ma per purgarli, e che chi per amore suo le tollera pazientemente ha da reputare felicità lo essere visitato da lui di qua con questi modi, perché mirabilmente approfittano di là: chi dico, si riducessi a memoria queste cose, sarebbe ne' tuoi dispiaceri con maggiore piacere che non avesti mai tu nelle tue felicità. Così, chi procedendo filosoficamente si ricordassi che questi beni della fortuna sono di nessuno momento, e da essere stimati da' savi come cosa vilissìma, e' quali chi perde, perde più presto una soma inutile e travagliosa, che cosa di alcuno valore, e che la felicità ed el sommo bene consiste solo nella virtù e ne' beni dello animo: chi dico, si ricordasse di questo, avendo perso quello che hai perduto tu, non gli parrebbe avere perduto niente, ma essere più leggiere e più scarico a seguitare el resto del cammino suo.

Sono queste cose verissime, e che se noi avessimo purgato gli animi, come ragionevolmente doverremo avere, medicherebbono tutte le nostre infermità, e ci terrebbono sempre in questo mondo contenti e felici; ed io non solo giudico degni di laude, ma ammirabili e beati quelli che si truovono disposti in modo che con queste contemplazioni si spicchino tanto dalle cose del mondo che non sentìno e non curino gli accidenti suoi. Ma ho anche per scusato chi dalla fragilità umana è impedito a levarsi tanto alto, e chi in ogni avversità che gli sopravenga si ricorda e senta di essere uomo; e come io desidero che tu sia in questa perfezione, così confesso io di esserne alieno: e però non volendo imitare certi medici che spesso danno allo infermo quelle medicine che per sé non piglierebbono, parlerò teco più bassamente e più secondo la natura degli uomini e del mondo.

Mi persuado che l'avere perduto le grandezze che tu avevi con la Chiesa, così per conto dell'uficio di Romagna, come di essere presso al papa, ti abbino dato poca molestia, e che per conto loro ti bisogni poca consolazione: non perché non fussino di quella importanza e degnità che io ho detto di sopra, ma perché io non ti cognosco sì imprudente né sì poco consideratore delle cose del mondo, che tu medesimo non le tenessi come cose aliene, e come cose che a ogni ora ti potessino essere tolte o caderti. Una mutazione della volontà del papa, che benché tu paressi bene appiccato, poteva pure nascere per varietà della natura sua, per le mutazione di corte, per molti altri accidenti, ti poteva ogni ora tôrre tutto quello luogo; al più lungo la morte sua te ne privava, la quale tu sapevi che poteva nascere a ogni momento. Avevi provata la morte di Leone nel maggiore corso delle prosperità e vittorie sue. tempo che tu pensavi sentire qualche frutto de' molti travagli che avevi durati per lui quella state; e se quella fu improvisa ed immatura, sapevi potere accadere el medesimo a questo altro. Però se bene tu desideravi che la vita sua ed el buono essere che tu avevi seco si allungassi el più che fussi possibile, nondimeno poi che tu sapevi non avere a perpetuarsi e potere perdere questo grado facilmente ed a ogni ora, e non venire però a perdere le cose tue proprie e naturali ma accidentali e molto estrinseche, sono certissimo non essere questo quello che ti cruccia e ti affligge, e che se tu non avessi perduto altro, che in pochissimi dì anzi in pochissime ore aresti dimenticato tutto questo danno.

Ma è bene degno di laude e molto pietoso el dispiacere che tu senti che le cose del papa abbino avuto fine sì miserabile, e che come tu m'hai detto molte volte, non ti truovi mai in sì allegro ragionamento e pensiero, che rappresentandotisi la memoria della sua prigione, non si interrompa e si converta in somma mestizia, non per la considerazione de' danni tuoi, ma della sua sì lacrimosa infelicità. Nondimanco questo solo non ti terrebbe in quello grande e continuo dispiacere che tu hai, né arebbe bisogno della consolazione mia né di altri; perché non toccando principalmente te, piglierebbe alla fine presto luogo, e col corso di poche settimane invecchierebbe questo dolore; perché dove el dispiacere nasce solo dalla compassione o dalla affezione di chi si duole, né ha fondamento di interesse o di cagione che ogni dì ti gravi o si faccia risentire, si viene facilmente scancellando da se medesimo. E però dico di nuovo che da altro nasce el punto del tuo dolore, che da essere privato di quelle cose le quali sapevi che erano aliene, non potevano essere perpetue, ed el tempo del perderle poteva nascere a ogni ora.

Consiste adunche el fondamento del dispiacere tuo dalla infamia ed odio che ti pare avere contratto apresso a' tuoi cittadini, e da essere ridotto in grado inferiore di gran lunga, non dico a quello che agli anni passati avevi avuto, ma a quello che hanno e' pari tuoi nella patria tua; perché ti senti percosso in quello tesoro che stimavi quanto la vita, in quelle cose che ti pareva che fussino proprie tue e dovessino essere perpetue. Dove el fondamento della consolazione mia consisterà in questo, che quello che sia che queste che tu chiami calamità abbino a durare lungamente o no, ti debbe essere assai e bastarti el sapere tu e cognoscere che quelle colpe e peccati che ti sono imputati sono falsi, e ne sei innocentissimo, ed hai la conscienzia purgatissima. Perché ed in questa guerra ed in tutti e' maneggi che tu hai avuti, la verità è che sei stato integerrimo de' danari publici e privati, e che di te si può dire gagliardamente quello che scrisse Tucidide di Pericle, che e' fu sanza dubio incorrotto dalla pecunia, anzi non fu mai uomo che con maggiore diligenzia, con maggiore parsimonia e con maggiore ardore si affaticassi perché non si spendessino inutilmente; e quello che in questa parte ti raddoppia la laude è che non solo e' maneggi tuoi sono stati lunghi e grandissimi, ma v'hai avuto la briglia larghissima, perché sono stati totalmente commessi alla fede tua, né mai te ne è stato riveduto conto, in modo che più che a altri ti si convengono quelle parole ch Paulo: qui potuit facere et non fecit, qui potuit transgredi et non est transgressus.

Manco si accosta alla verità che tu abbi permesso e' danni fatti nel nostro dominio, ne' quali non hai colpa né di voluntà né di negligenzia, anzi per el contrario ti sei affaticato e gridato quanto hai potuto per evitargli e sì veementemente che n'hai avuto inimicizie per le quali sei stato in pericolo quasi certissimo di essere amazzato. Sia adunche el fondamento ed una base solidissima della consolazione tua el sentirti la conscienzia monda, el sentirti innocentissimo da tutte le calunnie che ti sono date, el potere con allegro animo dire teco medesimo: io non ho mai tolto danaro di altri; io non ho mai permesso, anzi quanto è stato in me ho sanza rispetto sempre ovviato che non solo e' cittadini e sudditi della mia patria, ma né anche gli strani, gli alieni siano stati mai ingiuriati o soprafatti da alcuno né nella persona né nella roba. Di che essendo conscio, ti possono e debbono poco perturbare le imputazione e romori falsi; perché è certo vana e ridicula la querela di coloro che aggravano e' lamenti loro per dire di essere imputati a torto ed essere innocenti, come se più si debba dolere chi patisce a torto che chi patisce con ragione.

Confesso che in uno certo modo manco debbe lamentarsi della pena chi cognosce meritarla, e chi non può dire essergli fatto ingiustizia, e che ricognoscendo se medesimo e la conscienzia sua è necessitato a dire: io merito questo e peggio; ma quanto alla causa della pena colui che è innocente non può sentire dolore o dispiacere alcuno, e da altro canto chi è in delitto ha sanza comparazione maggiore tormento, maggiore cruciato da se medesimo e dalla sua conscienzia che non è lo alleggerimento che gli dà el cognoscere che non si può lamentare della pena; perché quelle sono le punture, quegli sono gli aculei, quello è el vermine che rode le viscere, quella è la fiamma che non lascia riposare, che nasce da se medesimo, che lo costrigne a confessare che da sé procede, dalle azioni ed opere sue, tutto el male che lui sente. Questa è quella ruota di Sisifo che non si ferma, non si riposa mai; questa bene in continua afflizione, in continuo fuoco chi ha solo el peccato sanza essere punito; quanto più chi ha l'uno e l'altro; anzi la pena estrinseca ed accidentale è piccola a comparazione di quella che continuamente dà el sentirsi sempre vessato e tormentato dalla conscienzia sua: non si può mandarla fuora sanza vergogna e sanza dispiacere, e quanto più si tiene occulta e più drento, tanto pà tribola, più rode, più arde.

Adunque poi che tu sei innocente e sanza colpa delle imputazione che ti sono date, tu manchi della principale e maggiore parte, anzi per dire meglio, della sustanzia del dispiacere che tu potresti avere; tu manchi di quello che difficilmente riceve consolazione, e resta quello che se tu ti vuoi racorre e considerare bene le cose, non ha quasi bisogno di consolazione. È come se in tempo di una pioggia grande ti trovassi in una campagna, ma provisto in modo di cappello, di stivali e di panni che l'acqua non può passare, e sanza toccartene una sola gocciola, non che le carne ma né anche le veste vicine a quelle, arrivato a casa non truovi alla fine bagnato altro che quegli abiti estrinsechi, e' quali levandoti da dosso, e la persona e l'altre veste tue restano in quello medesimo modo che sarebbono se mai non fussi piovuto. Non è se tu consideri bene percosso di te per queste false vociferazione, altro che cose estrinseche: tu resti quello medesimo così buono, così integro, così virtuoso, eri prima; t'ha percosso una calamità che non a te solo ma tante volte è accaduta a' tempi antichi e moderni a uomini di virtù, di prudenzia, di bontà e di moderazione singulare; anzi è proprio degli uomini rari ed eccellenti essere lacerati da questi venti che alla fine hanno poca altra origine che da invidia. Gli esempii sono infiniti e tanto noti che è superfluo nominare alcuno, e di quelli massime che essendo sempre vivuti santamente, avendo fatto innumerabili benefici alla patria, non solo sono stati lacerati da questo romore e calunniose parole, ma a alcuni tolta la roba, mandati in esilio e qualche volta dalli ingrati popoli e patrie privati della vita.

Che adunche ti lamenti, ti duoli se hai una spezie di infelicità che non a te primo né solo ma a infiniti uomini grandi e buoni è accaduta, e questa insìno a ora leggerissimamente? Perché, non tolte facultà, né mandato in esilio, non fattati alcuna grave nota o pena, né è in effetto altro che romore: perché le cose della gravezza ingiusta e dello essere stato astretto a prestare, sono più presto segni dello odio e della mala opinione che hanno generato negli uomini queste calunnie, che effetti. Che adunche ti duoli se t'ha tocco una calamità non nuova, non inaudita, ma usitata a venire a infiniti, ed a molti in questa spezie medesima con molto maggiore percossa che a te, a chi, a dire el vero, non ha bagnato si può dire altro che el cappello, gli stivali e la cappa? Non ti ricordi tu di essere nato uomo, sottoposto alle cose del mondo, a' morsi della fortuna come gli altri uomini?

La felicità grande e perpetua che tu hai avuto insìno a questa età non solo [non] ti doveva fare dimenticare di essere sottoposto a' casi umani, ma più presto riducertelo in memoria, e farti temere più di avere qualche colpo che quelli che hanno avuto la vita loro travagliata. Sanno pure insino a' fanciulli, insino a quelli che non hanno elementi di lettere, che le prosperità non durano, che la fortuna si muta; e tu che non sei però alieno dagli studi, che hai veduto tante cose, maneggiato tante faccende, ti maravigli, pigli per nuovo, ti risenti, non puoi sopportare se in spazio di tanti anni, se doppo tanti di che hai sentito allegri ed onorevoli, ti è venuta una piccola infelicità? La chiamo piccola a comparazione di quelle che sogliono accadere; perché ìnsino a ora non è altro che un romore di volgo e di ignoranti, de' quali gli uomini savi sempre tennono pochissimo conto: e tu che sempre hai aspirato a questo nome ed a questa professione, vuoi nell'esperienzia avere el giudicio ed el senso diverso da loro?

Non puoi già dire di non avere previsto o questo o simile accidente, perché io mi ricordo pure averti molte volte nelle tue prosperità udito temere di tanta fortuna, e discorrere quanto la è solita a mutarsi, e quanto la non soglia essere perpetua a alcuno. E quando non ti avessi mai udito, non ti cognosco sì ignorante delle cose del mondo, che io non pensassi che tu non avessi sempre innanzi agli occhi, e massime che è proprio di chi ha fatto e fa assai faccende grande percuotere in questo medesimo perché come non succedono bene, che sempre non possono succedere, si scuoprono e' frutti della invidia, e viene loro dietro el romore e la infamia populare. Però che puoi lamentarti se avendo desiderato di maneggiare faccende grande ed onorevoli è bisognato che vi entri con la medesima condizione e sorte che sono entrati tutti gli altri? Anzi ti debbi più presto lodare che el corso delle faccende tue ha avuto maggiore e più lunga prosperità che non soglia avere communemente, perché rari o forse nessuno sono stati quelli che abbino avuto la felicità perpetua, pochissimi che l'abbino avuta più lunga di te, infiniti che o nel principio de' travagli loro o in pochi... non abbino sentito qualche intoppo della fortuna. A te insino a questo dì sono andate le cose felicissime, né avevi insino a ora avuto mai, io non dico uno colpo, ma né anche sentito ne' maneggi tuoi cosa che ti potessi dispiacere; ed ora quella avversità che ti è venuta, a comparazione di quelle che dà el mondo, di quelle che accaggiono tuttodì agli altri, è di qualità che hai più presto da ringraziare Dio che non te l'abbia data maggiore, che a lamentarti, da pregarlo che la si fermi qui e non ti venga maggiore colpo che da parerti questo troppo grave o troppo acerbo.

Considera, se si vinceva questa impresa, alla quale andasti con tanto ardore, e se l'aveva quella prosperità che da principio si credette, quanto era più quello che tu acquistavi di grandezza, di riputazione e di onore, che non è quello che tu hai perduto; e quanto è la diversità dall'uno all'altro, tanto ti paia che la fortuna t'abbia avuto di rispetto. E se el caso ha dato che la impresa sia perduta, il che potere accadere credo che considerassi da principio, e che con questo presupposito vi entrassi, ed el perdersi non poteva essere sanza tuo danno, hai più presto a restare obligato alla fortuna che abbia voluto el danno tuo essere piccolo, che a reputare per tua infelicità che si sia perduta quella impresa che non era tua, ma di tanti prìncipi, e dove tu non intervenivi per principale ma per instrumento, in modo che el vincersi o perdersi non aveva a dependere dalla buona o mala fortuna tua, ma dalla fortuna di papi, di imperadori, di re, e per dire meglio, del mondo, nel concorso e aggiramento della quale non è in considerazione la fortuna privata e di pari tuoi. Così non puoi dolerti di quello che è stato causa del male tuo, anzi debbi più presto ricognoscere che in tanta ruina, la quale non è nata per mala fortuna tua ma per infelicità di altri, tu abbia patito molto manco di quello che facilmente aresti potuto patire.

Considera quanto abbino sentito gli altri e quanto sia stato miserabile el caso di coloro che erano nel medesimo grado che tu apresso al medesimo principe, e che in questa faccenda ed impresa hanno avuto la medesima parte che tu; e di qui confessa che a comparazione loro el caso tuo è leggiere, poi che hai la persona salva, hai la libertà, hai le facultà integre e la conscienzia inlesa, e dell'onore non è in verità ed in sustanzia diminuito niente, se bene pare maculato qualche cosa nella opinione del volgo e degli ignoranti, ed è stato data occasione alla invidia di scoprire teco della sua malignità.

Né ti turbi quello che io dicevo in principio, che el ricordarti tu di essere stato uno di quegli che confortorono la guerra, dalla quale sono nate tutte le ruine, non può fare che non ti dia dispiacere e che non ti morda la conscienzia, perché non sei sanza colpa, che è quello fondamento in che consisteva el verbo principale della consolazione tua. Perché oltre che la deliberazione di fare la guerra, poi che si intese el re di Francia non volere osservare la capitulazione fatta con lo imperadore a Madril, ebbe poca anzi nessuna consulta; quando bene questo si potessi attribuire a te e te solo, ed el consiglio non fussi stato buono, te ne doverresti cruciare la conscienzia se l'avessi consigliato per ambizione o per malignità; ma essendo stato errore di giudicio, el quale in simili cose tanto incerte ed importanti accade spesso ed a più savi e più esperti di te, non ti debbe né può questo ragionevolmente cruciare o affliggere, perché in quelle cose s'ha a rimordere la conscienzia dove cognosce colpa di voluntà.

Benché da questo affanno e te [e] gli altri che avessino avuto quello parere, libera abondantemente la natura del caso: perché ognuno che considererà particularmente le ragione che sono in questa materia, sarà constretto a confessare che atteso e' mali termini che erano usati al papa, el cammino della monarchia di Italia a che si vedeva andare Cesare, la opportunità grande che pareva che avessi el papa per avere seco el re di Francia e' viniziani, e la inclinazione a questa parte del re di Inghilterra; la debolezza che si mostrava negli imperiali per avere in Italia poca gente, essere sanza danari e co' populi dello stato di Milano inimicissimi, e che le arme non si pigliorono né per ambizione né per altro fine che per liberarsi da questo pericolo; chi considererà, dico, queste ragione, sarà sforzato a confessare che rare volte fu per alcuno principe presa impresa né si giusta né si necessaria, né con maggiore speranza della vittoria. Né si gridava allora altro per ognuno e non manco per e' savi, che contro alla timidità ed irresoluzione del papa che pareva che andassi più lentamente che non si doveva a questa deliberazione; nella quale se lo evento è stato diverso dal giudicio, non per questo si debbe dare colpa a chi avessi consigliato la guerra. poi che le ragione erano tale che lo persuadevano a ogni savio: altrimenti a troppo dura condizione sarebbono sottoposti e' consiglieri de' principi, se fussono obligati a portare in consiglio non solo discorsi e considerazione umane, ma ancora o giudicii di astrologi, o pronostici di spiriti, o profezie di frati.

Non sei adunche in colpa se al consiglio che tu avessi dato della guerra non ha corrisposto lo evento; anzi meriti laude e non piccola, perché come sa chi è stato vicino alle azioni tue, hai quanto ti è stato possibile aiutato che lo effetto non sia stato diverso dalla ragione; e tanto che se gli altri che hanno avuto carico nella guerra avessino fatto nel grado loro quanto hai fatto tu nel tuo, o se el papa poi che era entrato nel mare avessi nel navigare seguitato e' ricordi tuoi, forse che le cose arebbono avuto altro fine di quello che hanno avuto. Non ci è adunche colpa tua né nel consiglio poi che l'hai dato ragionevole, né nello evento poi che di quello che era in potestà tua non gli sei mancato; e però ritrovandoti da ogni parte innocente e sanza errore, ti debbi anche ragionevolmente trovare sanza dispiacere. Sanza che, tu puoi essere certo che quella mala fama che è divulgata di te circa la integrità e danni de' soldati, in breve tempo si purgherà e ne sarà cognosciuta la verità, ed a te interverrà come a tutti gli altri che hanno avuto a torto simili carichi, che el tempo per se medesimo sanza altro aiuto gli ha consumati e portati via; massime che in te non hanno avuto né colore, né fondamento, né verisimile alcuno.

Sogliono qualche volta e' carichi essere falsi, ma avere seco qualche indizio, qualche riscontro, qualche apparenzia che sono creduti ragionevolmente anche da' savi; e questi a purgarsi hanno bisogno di qualche giustificazione e di più tempo, ma ne' tuoi non è niente simili: sono semplici, nudi e sanza colore: perché chi non sa quanto poco sia verisimile che tu abbia consentito che el paese nostro sia danneggiato, e voluto sanza utile tuo acquistare questo odio e questa infamia? E quanto a' danari spesi in questa guerra, apparisce ne' libri e si sa per infinite vie che non sono passati per tua mano; e se bene da te sia stato commesso lo spendergli, s'ha a intendere da altri se siano spesi o no; le persone che gli hanno maneggiati sono in essere, sono stati deputati dal papa, ed el conto che n'hanno a rendere ha a essere sanza alcuna infamia o laude tua.

Vedi quanto poco colore ha questo carico; e dubiti che per se medesimo s'abbia presto a purgare? Sanza che, non è spenta però negli uomini la antica memoria della integrità tua; la quale se bene si è avuta a cognoscere ne' paesi forestieri ed in quelli è stata singularmente celebrata, pure ne è anche risonata la fama in questa città, che ora a questo rumore è alquanto suffocata; ma quanto el carico andrà diminuendo, tanto quella ritornerà allo essere suo, e la verità aiutata da lei farà tanto più spegnere el carico che non ha appoggio o colore alcuno. Ed e' quali io sono certissimo, che più sono stati quelli che l'hanno detto, che quelli che l'hanno creduto, ma el dispiacere fresco de' danni ricevuti dagli uomini nostri che non sono usi a sentirne, fu causa che molti per la passione dissono quello che venne loro alla bocca; altri che non avevano questo dolore lo fomentorono per invidia, e nella moltitudine fu creduto facilmente, ma con la medesima facilità si spegnerà. Gli uomini prudenti e non passionati non lo credettono, ed è intervenuto come interverrebbe di quello mantello che io dissi di sopra, che essendo bagnato si darebbe a credere facilmente a chi fussi discosto che fussi macchiato da altro che da acqua, chi è vicino cognoscerebbe la verità; ma asciutto che sia in spazio di qualche dì, e chi è discosto e chi è presso vede che non vi è restata macchia alcuna e che la fu acqua. Così la moltitudine che considera le cose da..., avendo sentito dire che è olio e non acqua, l'ha creduto; e' savi che considerano da presso non vi hanno dato fede, e come el caso non sarà fresco, cognoscerà ognuno che è stata acqua, e che el mantello resterà netto e purgato come fussi mai. Mi sono disteso volentieri in persuaderti che questa infamia passerà, perché se bene trovandoti la conscienzia netta, tu non doverresti stimarla, pure so che a chi è tenero dell'onore, malvolentieri comporta el sentirlo maculato etiam nella opinione degli ignoranti.

Non voglio già durare la fatica medesima in persuaderti che el sospetto che ha el popolo di te per reputarti amico de' Medici, passerà, e che verrà tempo, forse più presto che tu non credi, che tu sarai in buono concetto ed opinione; perché questo modo di consolarti quando bene fussi vero mi pare troppo effemminato; e mi pare ragionevole, se tu hai quella grandezza di animo e quella virilità ed altre parte che io credo, che se non t'ha a essere fatto maggiore male che di non essere mai adoperato per la cagione predetta, che tu lo debba comportare sanza una minima molestia. Credo bene, anzi tengo per certo, che se la città arà vita e non affoghi in questa tempesta grande che ora si mostra, che non passerà molto tempo che non solo non sarai rifiutato, ma che agli uomini parrà forse avere fatto perdita di non si essere valuto in tempi tanto strani della virtù ed esperienzia tua la quale è impossibile che in tanta carestia di uomini non sia cognosciuta; ed anche credo che el modo del vivere tuo sarà tale che congiunto con la memoria de' tempi passati, farà facilmente credere agli uomini che tu non abbia lo animo alieno da uno vivere libero, e che t'abbino sempre a piacere più quelli governi che siano più a beneficio ed utile della città; o almanco che tu non sia mai in tempo alcuno per favorire o fomentare chi cercassi mutazione. Credo questo, ma lo voglio porre da parte e non ci fare fondamento; perché, come ho detto, mi pare ragionevole che anche sanza questo ti debbi contentare, e che tantì libri che tu hai letti, tante ìstorie che tu hai scorse, tante faccende che tu hai maneggiate, t'abbino in modo ammaestrato e fatto lo animo sedato e pacifico, che la vita tua e' fini tuoi siano per pigliare pìù presto legge e regola dalla verità e ragione delle cose che dalle vane opinione degli uomini.

Io confesso essere molti che lodono lo ozio e la tranquillità, e se gli mostrano con le parole affezionatissimi, ma che in fatto pochissimi sono quelli che quando hanno occasione dì fare faccende con onore o con utile, non le abbraccino più volentìeri che el riposo; anzi si vede tuttodì che ancora quelli che si sono ridotti a vita appartata e quieta, quasi tutti malcontenti d'avere lasciate le faccende e la ambizione, subito che si rappresenti loro qualche spìraglio di grandezza, vi si gettano sanza vergogna alcuna di abbandonare la tanto lodata quiete. Donde è necessario concludere che questi tali si siano vòlti alla quiete non per amore di Dio, non per stanchezza delle cose del mondo e della fortuna, non per vera o ferma elezione, ma o per necessità o per sdegno o per pazzia; e nondìmanco io lo dico di nuovo che a me pare che tu debba contentarti in questa vita, e se non piacerti più che l'altra, almanco non dispiacerti tanto che el trovarti escluso da quella t'abbìa a parere infelicità o calamità. Perché el giudicio mio è che si debba non biasimare ma più presto favorire la ambizione di coloro che non avendo mai fatto faccende, desiderano di farne per avere occasione di mostrare lo ingegno, le virtù sua e le dote che gli ha dato la natura o che s'ha acquistato accidentalmente, parendo loro che se una volta non fanno questo, avere a passare la vita come persone inutili né nate per beneficio di altri che suo medesimo.

Non può cadere in te questo desiderio, perché hai avuto grandissima facultà, e l'hai fatto con ottimo successo, di dimostrare in maneggi grandissimi el tuo valore, ed in maggiore e più veduto campo che non pareva potessi accadere a uno che non fussi nato in altro grado di te, o che non avessi fatto altra professione che quella che hai fatta tu. Però se desideravi che si cognoscessi che tu eri incorruttibile, e che non danari, non amicizie, non prieghi, non rispetti di potenti bastavano a piegarti dalla via retta e debita, n'hai fatto tanti e sì publichi paragoni che io non credo che in questa parte tu possa desiderare più. Se avevi caro essere cognosciuto per uomo virile e coraggioso e di animo presente ne' travaglì e' pericoli grandi in che ti sei trovato, e' campi, le ossìdione delle città dove tu eri, l'hanno fatto cognoscere e credere pure troppo chiaramente. Dimanda tutti e' luoghi dove sei stato, e' popoli che hai governato, gli eserciti dove hai avuto tanta autorità; confesseranno che tu sei uomo di ingegno, di giudicio resoluto nelle deliberazione, abondante di partiti ed espeditissimo nelle azione. E se bene sapranno anche dare conto quali siano e' difetti tuoi, perché nessuno nacque mai perfetto, pure ti celebreranno nelle cose principali e più sustanziali; e se bene tutto è stato fuora della patria, nondimeno e per el grido di molti e per avere pure le faccende della Chiesa avuto sempre o uno interesse medesimo, o qualche connessità con la città, quella opinione che è stata fuora di te è pervenuta ancora piena ed abondante insino a noi. Non hai dunche causa giusta di desiderare più le faccende per questo conto, anzi più tosto d'aborrirle per cavare dell'onde e della tempesta e conducere in porto ed assicurare la nave tua, carico di buono concetto e di laude rare degli uomini.

Per un'altra ragione è laudabilissimo el desiderio di travagliare, quando l'uomo cognoscendo le sue buone qualità, si persuade o per la condizione de' tempi che corrono o per altro rispetto, potere essere utile alla patria o agli altri, e mosso da bontà di natura desidera farlo; e questo non credo che ti cruci, perché quando bene tu presummessi di te più che degli altri, non è el vivere di Firenze di sorte che uno cittadino solo possi essere di momento grande alle cose; e pure quando questo fussi, assai hai satisfatto allo instinto che ti muove con lo essere disposto e parato a farlo quando n'abbia occasione o quando la patria ti ricerchi; né ti può dare dispiacere alcuno o molto leggiere o molto commune, se el non gli fare tu questo bene manca da lei o da quelli che sarebbono beneficati, che o non lo credono o non lo vogliono.

Può muovere chi desidera faccende un'altra ragione, la quale non è laudabile come le superiori, pure non è anche dannabile, e questo è lo appetito degli onori, non dico della buona fama, della buona opinione e della gloria di che è detto di sopra, ma di non avere passato la vita sanza magistrati grandi; né può cadere in te questo, perché n'hai avuti tanti e di tanta qualità ed in età giovane, che si può dire che sono forse centinaia di anni che della patria nostra non uscì cittadino più onorato di te. Desiderano altri faccende per appetito di guadagnare, e questo oltre a essere fine basso, non credo ti dia affanno, perché se Dio ti conserva le facoltà che hai, sono al grado tuo tante che bastano; ed io mi ricordo averti molte volte udito dire che ci fine delle fatiche e travagli tuoi non era le ricchezze, perché sapevi non avere a guadagnarne mai tante che sempre a Firenze non fussino molti cittadini che sanza virtù, sanza qualità rare ne avessino molto più di te; e però che tu eri più vòlto al fine dell'onore, nel quale potevi sperare manco compagni. e che avessino a aggiugnervi con più virtù.

Sono uomini di un'altra sorte che desiderano le faccende non tanto per gli effetti che seguitano da esse, quanto perché pigliano piacere e si nutriscono del travagliare, e da questi non sei forse alieno tu, perché mi è parso sempre comprendere che el fine per se stesso ti piaccia e che la natura t'abbi inclinato a questo; né è forse maraviglia né anche da lamentarsi se la dà agli uomini inclinazione di quelle cose a che gli ha creati atti, anzi sarebbe quasi ingiuria che l'avessi fatto uno inabile a una cosa e tamen desideroso di quella. Ed in questo mi occorre dirti che le faccende di quella sorte che noi ragioniamo, cioè di stati e di governi, hanno seco tante fatiche, tanti dispiaceri e tanti pericoli, che chi non v'ha drento altro fine né vì considera altro frutto drento che del satìsfare a questa sua inclinazione, vi truovi sanza comparazione maggiore fastidio che contento, o almanco non vi è tanta differenzia, che trovandosene escluso dalla fortuna abbia causa di averne molta ansietà. Considera bene questo passo e vedrai che è verissimo, che chi nelle faccende non tiene conto di alcuno degli altri fini per li quali le sogliono desiderarsi, troverrà questo solo del dilettarsi di farle, tanto semplice, tanto asciutto, tanto digiuno che poco affanno gli darà el mancarne.

Resta l'ultimo fine che può più che tutti gli altri apresso agli animi generosi, agli ingegni nobili; e questo è proprio la ambizione, cioè el desiderio di essere stimato ed onorato dagli uomini, di mantenere fresca la sua riputazione, ed essere quasi mostrato a dito; come si dice di Demostene che si rallegrava quando passando per la via sentiva la vecchierella che tornava dalla fonte per la acqua, dire con la voce bassa alle vicine: quello è Demostene. In effetto el maneggiare faccende di stato ed avere grandezza ti fa in uno certo modo adorare dagli altri. e però forse è escusabile questo appetito; perché lo essere in riverenzia appresso agli altri uomini non si può dìre che non sia cosa bella e beata, né in altro pare che ci possiamo assimigliare a Dio; nondimeno non mi pare anche giusto che questo ti domìnì, perché se tu consideri quante fatiche, travagli, sospetti e pericoli sono in questa vita, e da altro canto quanta facilità, quanto riposo, quanta sicurezza e contento di animo sia nella vita ociosa e tranquilla, ti parrà che di gran lunga sia da proponere questa all'altra, o almanco che non vi sia tale differenzia che allegramente non debbi vivere in quella che la sorte ti apresenta. Piglino e' finì vani e le superficie delle cose quegli che sanza lettere o sanza esperienzia non hanno occhio che penetri drento, e però si lasciano abbagliare da quello splendore che porta seco lo stato di quella grandezza; ma [tu] che hai provato per tanti versi che cosa è mondo, che hai da tante cose che haì lette e che hai veduto, potuto cognoscere quanta sia la varietà della fortuna, che hai tocco con mano che tutto el bene che è nelle grandezze è quello che apparisce di fuora, ma che sotto quella coperta è pieno di pericoli, di sdegni, di affanni e di inquietudine di animo, non ti debbi muovere da quelle cose vane che muovono gli altri, ma solo dalle ragione vere, solide e fondate delle cose.

Ricordomi pure averti udito dire molte volte ne' tempi che tu chìamavi felici, che tu avevi desiderato come tutti gli altri uomini l'onore e l'utile, e che per grazia di Dio e buona sorte ti era molte volte succeduto sopra el disegno; e nondimeno non vi avevi trovato drento alcuna di quelle satisfazione che da principio avevi immaginato; ragione, che come tu usassi dire, chi la considerassi bene, doverrebbe bastare a estinguere assai della sete degli uomini; però se ìn quella vita non sono come è verissimo quegli contenti che gli ìgnoranti credono, che ha ella però in sé che tanto si debba desiderare? È bello, io voglio ammetterlo, poi che così è el commune gusto degli uomini, lo essere reputato e risguardato dagli altri, che delle parole e pareri tuoi si faccia conto e lo essere de' principali che abbino autorità nella patria sua; ma chi consìdera bene, non è manco bello vivere libero dalle cupidità, dependere da se medesimo e non dalle opinione degli uomini; partire ed usare el tempo a suo modo, riposare a arbitrio tuo, vivere sanza offendere o fare male a persona, non essere sottoposto o almeno molto manco che gli altri alle mutazione della fortuna, non pigliare dispiacere degli augumenti degli altri, usare a tua posta la città, a tua posta la villa, sentirsi lo animo quieto e contento; cose che tutte mancano a chi si maneggia nella vita ambiziosa. Dove se quello onore, o per parlare così, quella adorazione ha similitudine con Dio, non gli è manco simile chi ha uno stato di qualità che possa vivere sicuro e pieno di quiete, e contento di quella tranquillità essere disprezzatore di molte leggerezze, di molti vani affanni e perturbazione degli uomini.

E certo tu potresti discrepare, da questa opinione e parole mie, se io ti figurassi in uno grado abietto e privatissimo, e come persona le condizione e qualità di chi fussino incognite: perché se bene questo sia grado che quando con la conscienzia retta vi è la tranquillità della mente dovessi bastare a uno animo purgatissimo, io non sento in me questa perfezione né la ricerco in te; ma dico che el caso tuo è molto diverso, perché le faccende grande che tu hai travagliato pel passato, e la riputazione che hai acquistata con esse, e la opinione delle tue buone qualità, quale io non voglio raccontare per non parere adulatore, fanno che ancora che tu viva appartato dalle faccende, non viverai sanza qualche estimazione e riputazione, ed essendo oltre a questo cinto di parenti, e parenti onorati, come sei, sarai sempre nella memoria degli uomini, e di te sarà tenuto qualche conto; in modo che ed el maritare delle figliuole e le altre faccende che noi consideravamo di sopra, non sarà con tante difficultà, ed el tuo non si chiamerà semplicemente ocio, ma, considerato questo, le lettere e notizia delle cose che tu hai, e che saprai bene dispensare ed accommodare el tempo tuo, si chiamerà più presto ocio con degnità: vita che a giudicio degli antichi scrittori è così desiderabile come el vivere nelle faccende sanza pericolo, ma di gran lunga anteposta alle faccende con pericolo, che è la vita nella quale tu insino a ora sei vivuto.

Sarai adunche ocioso ma con degnità: la quale ti recherà la memoria delle cose passate, la riputazione che hai acquistata col lungo e pericoloso travagliare, la opinione che sarà di te, ed in ultimo el consumare el tempo ora alla città, ora alla villa, ora in solitudine, ora in conversazione di uomini, e sempre con pensieri, opere e memoria degne di te e della passata tua vita; o io mi inganno, o sarà uno stato el tuo desiderabile, perché sarà quieto, sicuro ed onorevole. Né sarà minore laude l'accommodarsi bene in questo, che sia stato quella delle faccende; anzi mi pare che alla riputazione tua si appartenga, poi che hai dato conto di te nel travagliare ed acquistato riputazione in quella vita, avere occasione di potere dare conto nello ocio, e mostrare che tu sia atto e sappia così bene ordinarti nel non fare come nel fare.

Dicono alcuni savi che la vita nostra è simile a una commedia, nella quale a dare laude a coloro che vi recitano, non si attende tanto che persona ciascuno sostenga, quanto se porta bene la persona che ha: perché a ognuno tocca a fare la persona che gli è assegnata, e quello che è proprio suo è el modo del farla. Così la persona che sostegnamo nel mondo è quella che ci è data dalla fortuna, ma quello che è laudato in noi è el modo con che noi viviamo nel grado o nella sorte nostra; e so nelle commedie è degno di laude chi rapresenta bene una persona, quanto sarà più lodato chi ne rapresenterà bene dua, massime di spezie diversa! Così se tu consideri bene, non ti toglie la riputazione lo essere passato dalle faccende allo ocio, anzi te la raddoppia se tu saprai usarla bene; e se in quella persona che tu hai insino a ora rappresentata è stata la tua rara laude, sarà rarissima a chi considererà che n'abbia usato egregiamente dua.

Non hai tu letto di Scipione Africano che ridottosi in esilio per non vedere el conspetto della ingrata patria, fu in tanta esistimazione apresso a ognuno che insino a' ladroni andorono a vederlo e fargli reverenzia? Perché lo ocio non spegne la memoria delle virtù e delle cose passate, non oscura le laude che gli uomini hanno acquistate. Non sai tu che Diocleziano deposto lo imperio trovò tanto contento in quello suo orto ed in quella sua agricultura, che richiamato allo imperio non vi volse tornare, come vita misera ed infelice a comparazione della quiete in che si godeva? Sono pieni e' libri delle laude della tranquillità e dello ocio onesto, né io chiamo in questa parte ocio el non fare niente, ma el non essere obligato per ambizione o faccenda alcuna; attendere quando vuole alle lettere, quando alla agricultura, conversare e ragionare virtuosamente con gli amici, né si alienare al tutto dalla vita civile, ma esservi drento libero, sicuro e con degnità: vita certo da preporre a quella de' re, né io mi distendo a laudarla con quelle parole magnifiche di che sono piene le scritture, perché se gli effetti non te la faranno piacere, se non l'hai in queste poche settimane cominciata a gustare, invano ti si imprimerebbe colle parole.

Ma a giudicio mio o tu debbi reputare felicità che ti sia venuta occasione di vivere così, o se non hai lo animo sì purgato, almeno non ti debbe parere tanto migliore quella che questa, che però ti truovi malcontento: perché le cose del mondo hanno questa condizione che le non sono perfette da ogni parte, né si truova vita alcuna che non gli manchi qualche cosa di importanza, ma migliore dell'altra è quella alla quale mancono meno cose e meno importanti. E la tua se tu consideri è di queste, perché da quello splendore in fuora che è più presto vano che altro, non veggo cosa alcuna che importi, che manchi a questa tua vita, ma vedevo bene mancartene molte ne' negocii, le quali non apparivano ma erano; e pel contrario a questa pare più presto che manchi, che in verità sia così. Considera più oltre in che grado tu nascesti e se aresti avuto per grandissima felicità conseguire la metà di quello che hai conseguito; ed essendoti succeduto molto più di quello che mai sperasti, vedi se ti puoi chiamare infelice, o se a lamentartene meriteresti nome di ingrato. Considera che se gli onori tanti che tu hai avuti non fussino concorsi in dieci o dodici anni, come sono, ma t'avessino accompagnato per tutta la vita, che non si potrebbe dire che tu non fussi vivuto molto onorato e felice, e poi fai el conto se l'avergli avuto più presto, ed essersi accumulato l'uno sopra l'altro, è stata infelicità o felicità. Dirai certo, né potrai dire altrimenti, che è stata somma felicità, né potersi dire che siano finiti presto, ma che siano venuti presto quegli che ti sarebbe parso assai se fussino venuti tardi: sarebbe come se uno operaio che ha in tutto uno dì a fare una opera, si lamentassi d'averla finita a mezzodì, e che gli avanzassi vacuo el resto del dì, come uno mercatante che desiderassi guadagnare in trenta anni verbigrazia trentamila ducati, e la buona sorte gli dessi che gli guadagnassi in dieci.

Però a me pare che né le infamie avute a torto ti debbino cruciare, perché trovandoti innocentissimo manca quella cagione che era la principale a arrecarti dolore, e perché secondo la natura delle cose tu hai a tenere per certo che la si purgherà presto, e resterai in quello concetto di integrità e virtù che meritano le opere ed azioni tue. Manco ti debbe dare affanno l'avere consigliato la guerra che ha avuto cattivo successo, perché oltre che per la liberazione del re la era deliberata sanza el consiglio tuo, se fussi stato errore sarebbe stato di giudicio e non di voluntà: ma el consiglio secondo la occorrenzia delle cose fu buono, né el consultare è obligato agli effetti; e massime che anche in questi tu hai per la parte tua fatto tanto, che se gli altri avessino fatto el simile, non sarebbono le cose dove sono. Né ti tormenti d'avere perduto quello che ottenevi della Chiesa, perché erano cose aliene e che tu sapevi potere perdersi ogni dì; anzi t'hai da contentare e reputare guadagno che sono durate molto più e maggiore che ragionevolmente non sperasti da principio. Né ti paia essere infelice se ancora in Firenze sei alienato dalle faccende e dal governo, perché quando bene anche questo durassi continuamente, il che non è credibile, tu che sei vivuto in esse lungamente, ed a chi sono accadute molte cose prospere, sai che non vi è drento quel contento e satisfazione di animo che molti credono. N'hai cavato facultà tali che se Dio te le conserva, potrai vivere onestamente secondo el costume della tua patria, ed in esse hai guadagnato quello che era da stimare più di tutto, buono nome, buona fama e di integrità e di virtù, e memoria gloriosa di te.

Né questa ambizione di essere stimato ed onorato, e di essere tenuto di quelli che governano, è da stimare tanto, sendo piena di fatiche, di dispiaceri e di pericoli, che non sia da tenere molto più conto di quello riposo, di quello contento e sicurtà di animo che è nella tranquillità ed onesto ocio; massime che el tuo essendo accompagnato da lettere, da notizie di cose, da riputazione causata dalla buona opinione di te e dalla memoria delle cose fatte, sarà proprio ocio con degnità. E per questo e per parenti, ed altre buone qualità che hai nella patria, non sarà la vita tua abietta ed incognita, né al tutto sepulta o negletta; ma se non in azione, almanco in luce, in notizia ed in memoria degli uomini, non aliena da ogni conversazione civile, ma non obligata a faccende; la quale se ti dispiacerà, sarà a mio giudicio come di uno che liberato di servitù suspiri alla vita passata, il che non gli farà fare la ragione, ma l'abito che ha preso di servire.

Le quali ragione perché mi pare che siano abastanza, e perché sono più secondo el gusto della nostra fragilità, io non ti riduco in memoria la autorità de' filosofi che non tennono mai conto alcuno di questi beni della fortuna, per essere alieni e troppo sottoposti a ogni mutazione, e perché quando bene durassino non vi si truova drento quiete e tranquillità di animo, che è el frutto principale delle felicità; non la memoria della legge cristiana la quale ci ricorda che abbiamo a morire, che questa vita a comparazione della altra è uno punto, che la felicità ed infelicità nostra s'ha a considerare dalla condizione che per le opere nostre areno di là, che le tribulazione nel mondo sono spesso desiderabile perché sono visitazione di Dio a chi le riceve con forte animo, e mezzo a conseguire quella eterna felicità. E così se tu consideri questa misura e come cristiano e come filosofo ed uomo del mondo, troverrai o che questa vita è più desiderabile o almanco non tanto peggiore che meriti querela, ed oltre che è così debita e conveniente, consiste ancora in questo l'onore e riputazione tua, che tu ti ci disponghi ed accommodi, in modo che non paia uomo che nascessi ieri né che non abbi provato niente delle cose del mondo, ma che abbia a essere cognosciuto da ognuno, persona piena di notizia di lettere, piena di virtù, e finalmente piena di animo e di esperienzia.



ORATIO ACCUSATORIA
 
 
Non si doveva pregare più Dio di cosa alcuna, giudici, nessuna in questo tempo poteva essere più a proposito della republica, che esserci data occasione che questa nuova legge dell'accusare, ordinata con quello ardore che voi sapete di coloro che favoriscono la nostra libertà, fussi ne' suoi princìpi confermata con qualche notabile esempio; la quale poi che si è offerta più opportuna ancora e maggiore che non aremo saputo immaginare, non può essere dubio a persona che non consiglio ed opera alcuna di uomini, ma la divina voluntà e disposizione ce l'ha mandata. Perché veduto con quanto sforzo si erano opposti questi cittadini grandi e che vogliono tenere soggiogati gli altri, perché sì santa legge non si ordinassi, era già quasi opinione universale di tutta la città, che quello che con tante arte sue non avevano potuto ottenere direttamente appresso a molti che la non si vincessi. l'avessino a conseguire per indiretto apresso a pochi, provedendo che la esecuzione sua restassi vana con operare tanto con favori e con minacci ancora, che mai da' giudici nessuno potente fussi condannato.

Alla quale opinione non so se più vituperosa o perniziosa alla republica mi sono arditamente opposto io, anzi per dire più el vero non io, ma lo onnipotente e sommo Dio, manifesto protettore della nostra città, avendomi messo in animo di chiamare in giudicio con inestimabile iubilazione di tutto questo popolo, non uno cittadino incolpato di oscuri e leggeri errori, non di qualità sì piccole che e la pena sua facessi poco utile alla republica, e la assoluzione poco danno; ma messer Francesco Guicciardini, uomo rubatore de' danari publici, saccheggiatore del nostro contado, uomo che ha esosa la vita privata, desideroso del ritorno de' Medici, amatore delle tirannide, occupatore del vostro Palazzo, inimico capitalissimo della commune libertà, e finalmente pieno di sì gravi, di sì noti e di sì odiosi peccati che non è possibile che sia assoluto, e nondimeno sì potente che el condannarlo abbia a essere di grandissima utilità sì per levare via ed estirpare questa peste della republica, sì molto più per lo esempio e per chiarire al tutto ognuno che in questi nuovi giudici ha a potere più, come è conveniente, la verità, la religione e la severità de' giudici che qualunque altro rispetto o corruttele.

A questa impresa se non m'avessi spinto lo amore della republica, ed el desiderio grande che io ho di vedere bene assicurata la nostra libertà, ed el cognoscere che uno de' vivi fondamenti che la possi avere è el terrore ed el freno di questa legge, siate certi, giudici, che nessuno altro rispetto mi arebbe mosso; perché né con lui ho particulare inimicizia, anzi da' teneri anni ho avuto seco conversazione e benivolenzia, né le condizione mie sono i tali che io non abbia a tenere conto grande di tanti inimici che mi nasceranno da questa accusazione, né la natura mia come può sapere ognuno, è stata inclinata mai a offendere altri, né a pigliare piacere delle incommodità di persona, né è tanta la laude che io spero se sarà condannato, perché questo faranno per se medesimo, sanza alcuna industria dello accusatore, e' suoi peccati sì enormi, sì pericolosi e sì chiari, quanto sarebbe el biasimo se fussi assoluto; perché più resta negli uomini la memoria di quello che è molesto che di quello che piace, e sempre dove le imprese succedono male è più avuto lo occhio allo evento che al consiglio.

Ma non mi lascia la natura del caso avere questa paura; perché se in messer Francesco fussi solo el peccato della ambizione ed el pericolo che da' suoi cattivi fini porta la libertà della città, ma el resto della sua vita non fussi maculato da peccati gravissimi, o se per el contrario e' costumi fussino corrotti, ma lo animo e le condizione aliene da turbare lo stato della republica, io dubiterei forse che o la integrità degli altri costumi lo difendessi da' carichi della ambizione, o che el non essere lui formidoloso alla libertà facessi che a scusare gli altri peccati valessino più che la giustizia, gli immoderati favori ed estraordinari mezzi che voi vedete che usano gli amici e parenti suoi. Ma concorrendo in lui tutte queste cose ed in modo che non si possi facilmente discernere quale sia maggiore o lo odio o el pericolo, nessuno è che abbia mai dubitato quali abbino a essere le vostre sentenzie, nessuno che non l'abbia tenuto per condannato el dì medesimo che fu chiamato in giudicio. Perché per cominciare da' peccati della avarizia e delle rapine e sacchi fatti al paese, e' quali io vi metterò in modo innanzi agli occhi, che più sarà maraviglia che questi giudici, che questo popolo ti possa guardare, ti possa udire, che non sarebbe se tutta la città non potendo sopportare tante sceleratezze e che una peste sì pestifera stessi tra noi, ti corressi furiosamente a casa o facessi sentire a te, alle facultà ed alle figliuole tue giustamente quelli medesimi mali che per tua colpa hanno sentito ingiustamente tanti altri; io dico che messer Francesco Guicciardini ha rubato in questa guerra somma infinita di danari nella nostra comunità; ha per potergli rubare concesso a' nostri soldati che vivino a discrezione nel nostro paese, che non vuole dire altro che avergli consentito che rubassino e saccheggiassino ogni cosa come di inimici; e quella autorità che gli era stata data per difendere e conservare lo stato nostro l'abbia usata a metterlo in preda. Credo che el medesimo abbia fatto in quello della Chiesa; ma io non mi querelo delle ingiurie di altri, perché le nostre sono sì grandi che abbiamo da fare pure troppo a risentirci de' nostri mali. Non parlo calunniosamente, non accusatoriamente, perché la cosa che ha tanti testimoni, tante chiarezze che non si può nascondere, non si può sfuggire. Non dice questo uno solo, non dua, non tre, non quattro, non sei, non dieci; non persone sospette, non inimiche, non persone che non avessino avuto da temere di darti calunnie false; ma lo dicono cento, dugento, trecento, cinquecento, mille uomini: lo dice finalmente uno esercito intero, uno esercito beneficato da te, uno esercito che stava a obedienzia tua, uno esercito che arebbe avuto timore di te a accusarti a torto, che arebbe sperato da te a scusarti falsamente. Lo dicono tante provincie intere: la Romagna suddita a noi, el Mugello, el Casentino, Val di Pesa, el Valdarno, l'Aretino, el Cortonese: diconlo tutti quelli che abitano intorno a queste città, le nostre ville, e' nostri borghi; direbbonlo se sapessino parlare gli uccelli, le pietre, gli arbori, direbbonlo le mura e le torre nostre dalle quali si sentivano e' pianti de' poveri contadini, le stride delle meschine fanciulle.

Esaminerannosi moltissimi de' vostri cittadini, persone degnissime di fede, e' quali udirete testificare che non una volta, né dua, né tre, ma infinite hanno in diversi luoghi sentito dire a tutto lo esercito che non erano pagati, e che però avevano avuto licenzia di vivere a discrezione; e nondimeno vi si mostrerrà ne' libri che lui medesimo produce, che è messo ogni mese a uscita la paga loro, (leggi la copia delle partite). Quello medesimo che dicono e' cittadini vostri, diranno e' vostri contadini, e' cortonesi, e' romagnoli, gli aretini, infiniti vostri sudditi; il che sento che ancora dicono e' piacentini, e' parmigiani, e' bolognesi e tutta la Romagna della Chiesa; ne' quali luoghi come nel paese nostro sono state infinite le rapine, moltissimi gli incendi, non pochi gli omicìdi, violate innumerabili donne di ogni età e qualità, vecchie, giovane, fanciulle, maritate, vedove, vergini. Quante castella e terre vostre sono state saccheggiate con maggiore crudeltà che non arebbono fatto gli inimici!

Io vi priego, popolo, che udiate pazientemente, e che udendo tante indegnità, tante iniquità, tanti vostri danni, non vi concitiate a furore, non lapidiate questo morbo: contentiatevi, poi che la cosa è qui, che sia gastigato da' giudici; perché se bene sarebbe stato forse più utile e più secondo la degnità di questa città e più terrore degli altri, innanzi che fussi accusato averlo a furore di popolo esterminato, averlo abbruciato in casa, averlo per eterna memoria tagliato a pezzi in sulle porte di questo palazzo, la autorità del quale ha violato in tanti modi; quivi a' piedi di quella Iudith, acciò che uno medesimo luogo fussi memoria dell'onore di chi ha conservato la patria, e del supplicio di chi l'ha oppressa; pure ora che la causa è introdotta, che el caso è in giudicio, sarebbe forse di malo esempio amazzarlo: mentre dice la causa, mentre che è innanzi a' giudici, lasciate vi prego correre el giudicio. Avete giudici uomini prudenti, uomini virili, integri, amatori quanto si può della nostra libertà: non possono errare per non cognoscere quanto importi questa condannazione; non sono per temere minacci vani, non per lasciarsi corrompere a' prieghi o altri mezzi; sanno la vostra voluntà; non è pericolo che la giustizia sia violata, non che della salute commune sia tenuto poco conto, non finalmente che se a loro non è mancato chi accusi, che se a me non manca materia di accusare, che a voi ed alla republica manchino giudici.

Io vi dico di nuovo che per la inaudita avarizia di messer Francesco è stato distrutto el paese vostro, sono state distrutte tante provincie, ripieno ogni cosa di rapine, di incendi, di violazione di donne, di vergine, di omicìdi, saccheggiate tante vostre castella da vostri soldati con più crudeltà che non arebbono fatto gli inimici. Testimonio di quello che io dico è Barberino, el Borgo a San Lorenzo e Decomano, testimonio el Pontasieve, testimonio San Casciano, testimonio quelle ricche e belle castella di Valdarno e quasi simile a città, Fighine, San Giovanni e Montevarchi, trattate con tanta impietà, con tanta crudeltà che ebbono invidia a Laterina, a Quarata, alla Chiassa ed agli altri luoghi dove stettono gli spagnuoli. Feciono cento volte peggio a' sudditi nostri e' nostri soldati chiamati, per chi ogni mese davamo le paghe a messer Francesco, che non feciono gli inimici. Non parlo del consumamento de' grani e delle biade; non parlo de' vini de' quali quelli che avanzavano alla ebrietà militare, erano, sfondate le botte, sparsi per le volte e per le cantine che erano per tutto come laghi; non parlo delle bestie, delle quali quelle che non potevano mangiare erano condotte via a vendersi in altre provincie, ed infinite ne erano lasciate morte per e' campi in preda a' lupi: non parlo né mi lamento di queste cose.

Sia una licenzia militare, quando el paese è dato a discrezione, non solo in quello che si mangia, ma ancora in tutto quello che si può mangiare; abbino questo privilegio più che le altre le discrezione di messer Francesco; ma le masserizie, le robe mobili delle case, di che le nostre ville ed e' nostri palazzi erano forniti, le mercatantie di che quelle terre massime del Valdarno erano piene, andavano ancora loro sotto la medesima discrezione: non restò per le case e per le botteghe dove loro furono, cosa alcuna di qualunque sorte che si potessi portare via; dicevano essere loro date in pagamento. Né solo quello che si poteva portare, ma le bellezze ed ornamenti de' vostri palazzi rompevano, distruggevano, rovinavano. Già gli incendi quanti furono per tutto el paese! Vedevansi per tutto abruciare le case, sentivansi e' romori delle cose che si rompevano e fracassavano, combattevansi per tutto le castella che non volevano aprire, le torre forti, le tenute, praticavasi ogni esempio di avarizia, di libidine, di crudeltà, in che ebbono maggiore facultà, perché nessuno era fuggito, ognuno o almanco la più parte gli aveva aspettati come amici. E chi arebbe creduto altrimenti di un esercito nostro, menato da uno nostro cittadino? Chi arebbe pensato che uno figliuolo di Piero Guicciardini fussi una sentina di tante sceleratezze, che di uno padre tanto buono, tanto costumato, tanto catolico fussi uscita una pianta sì pestifera? Quanti furono gli sforzamenti delle donne, quante le bastonate e ferite degli uomini, quanti gli omicìdi? Erano per tutto presi e' vostri contadini, e' vostri sudditi, e' vostri fattori: erano constretti a ricomperarsi, a pagare la taglia a' nostri medesimi.

Ma che mi dolgo io de' contadini, de' sudditi? Volessi Dio che tanta crudeltà si fussi saziata in loro, non fussi passata più oltre. E' nostri cittadini erano fatti prigioni, erano taglieggiati, erano tormentati, e' nostri cittadini che avevano impegnato el suo, che s'avevano cavato el boccone di bocca per pagare gli accatti e l'altre gravezze perché e' soldati avessino danari, e' nostri cittadini che quando andavano per e' nostri eserciti solevano essere alloggiati, essere carezzati, essere onorati da tutto el campo; ora da' loro soldati medesimi, da quegli per chi avevano provisto le paghe, da quelli che avevano chiamati, che avevano alloggiati insino nelle nostre viscere, erano spogliati, erano assassinati, erano presi, erano legati, erano tormentati. Dimandate e' soldati perché consumarono e' vostri grani, e' vostri vini, le vostre bestie: vi diranno che per non essere pagati era necessario vivessino di quello che trovavano; dimandateglì perché saccheggiorono e venderono le masserizie e le mercatantie, perché feciono e' prigioni: vi diranno che perché pure bisogna al soldato altro che mangiare, gli era dato licenzia da messer Francesco di fare questo; dimandategli perché sforzorono le donne, perché abruciorono tante case, perché amazzorono tanti uomini, perché fracassorono e rovinorono tanti ornamenti, perché feciono tanti mali sanza alcuna loro utilità: vi diranno a una voce che vedendo che messer Francesco non aveva alcuno rispetto, alcuna umanità, alcuna pietà alla sua patria ed a' suoi cittadini, credevano portassi loro odio e gli avessi per inimici, e però quanto peggio facevano, tanto più pensavano di fare cosa che gli fussi grata.

O ribalderia, o sceleratezza inestimabile, o impudenzia singolare, o incredibile pazienzia e dolcezza del popolo fiorentino! Tu doppo avere fatto tanti mali, offeso in tanti modi e sì atrocemente ognuno in publico ed in privato, doppo averci fatto peggio che non feciono mai gli inimici, doppo averci dato a sacco per tôrci e' nostri danari, doppo l'averci assassinati ed amazzati con le arme nostre, con le arme che noi t'avavamo dato per nostra difesa, hai ardire tornare nella città, andare alla signoria, venire ogni dì con faccia piena di audacia in publico; chiamato in giudicio hai ardire di comparire, hai ardire di sperare di essere assoluto; e questo popolo è sì dolce, sì buono e sì paziente che non ti lacera? Credevo che non ti bastassi l'animo di entrare in Montevarchi o in Fighine, ed io ti veggo ogni dì in Palagio ed in piazza: veggoti ogni dì innanzi a' giudici con tanta fronte, con tanta impudenzia come se tu fussi cittadino e non crudelissimo inimico di questa città, come se tu fussi defensore della patria e non sceleratissimo predone e corsale, come se tu fussi conservatore di questa libertà e non uno immanissimo e pestifero tiranno.

Ma non è maraviglia, giudici, che dove abitano tante sceleraggine non sia faccia, non sia vergogna, non vi sia segno alcuno benché minimo di animo modesto, di animo composto ed ordinato, di animo simile a quello degli altri; anzi sarebbe da maravigliarsi se fussi in contrario, perché non può essere né rispetto né vergogna dove è uno recettaculo, una sentina di sì enormi e dannosissimi peccati; e come dicono questi savi che mal volentieri si può avere una virtù che non se n'abbia molte, così uno vizio può difficilmente essere solo, e quanto uno peccato è maggiore, tanto meno può essere sanza molti e gravi compagni. E certo, giudici, quando io considero quanti e quanto atroci delitti concorrono in uno fatto medesimo, non so trovare né vocabulo che lo esprimi, né immaginare supplicio che basti a punirlo: perché non solo è suo peccato quello che ha fatto egli, ma non manco quello che lui ha permesso ed è stato causa, e molto più quello che è stato di suo ordine, di sua commissione.

Direno che sia furto per avere rubato e' danari delle paghe? Ci sono ancora tante rapine fatte per forza e publicamente da' soldati, ci sono le violazione di tante donne, ci sono tanti omicìdi. Direno che sia avarizia? Ci è in compagnia tanti esempli di lussuria e di crudeltà, ci è il sacrilegio, perché non manco sono andate a bottino le chiese ed e' luoghi pii che e' profani. Direno che sia uno peccato che abbia tre teste come dicono e' poeti di Cerbero, lussuria avarizia e crudeltà? Ci è congiunto el tradimento: saccheggiato sì impiamente, sì sceleratamente tutto el nostro paese, assassinato tanti nostri cittadini con quella autorità, con quelle arme che t'avevano confidato per sua difesa. Direno che sia parricidio? Oh, e' non è stata offesa la patria sola, ma el publico, el privato, e' sudditi, gli amici, e' vicini. Non ci è nome che basti, non Demostene, non Cicerone lo saprebbono fabricare; è uno peccato che ha più capi che l'Idra, uno morbo, una fiamma, uno fuoco, uno inferno; è uno peccato che non cento mannaie, non cento forche, non tutte le pene insieme che si possono dare agli altri peccati, sarebbono bastanti a punirlo. E tu ancora ardisci difenderti, ancora procuri la assoluzione? Quanto meglio faresti, quanto saresti più laudato a rimuoverti dal giudicio, a non comparire più qua, a non rinnovare ogni dì tante acerbe piaghe, a tôrti da te medesimo la sentenzia: mostrerresti pure non essere acciecato totalmente, d'avere ancora qualche vestigio di vergogna, d'avere qualche stimulo di conscienzia, e dove non puoi diminuire la pena, non cercheresti di accrescere più la indignazione, non di concitare più lo odio.

Perché io ti domando: con che speranza vieni tu a difenderti, in che confidi? Speri tu nella eloquenzia tua? Maggiore sono le tue sceleratezze che si possino scusare o negare. Speri tu di potere allegare qualche beneficio fatto a questa città? Oh tu sei uno esemplo di tutti e' mali che può fare uno cittadino alla patria. Speri tu nella nostra buona natura, nella dolcezza di questo popolo e di questi giudici? Troppo sono fresche le ingiurie che tu hai fatto in universale ed in particulare a tutti; troppo sono grande a dimenticarsele; troppo è el pericolo ed el danno che s'arebbe del perdonarti. Nessuno è di questi giudici, nessuno è in tanto concorso e moltitudine d'uomini che non sia stato atrocemente offeso da te o per te; a chi saccheggiata la roba, a chi abruciata la casa, chi fatto prigione, chi tormentato; quelli che hanno patito manco, hanno per e' furti e rapine tue pagato tanto di gravezza, che è bisognato o che patischino nelle cose necessarie, o che consumino el capitale che avevano disegnato per le dote delle figliuole, o che vi provedino con stocchi e trabalzi. Dirai che speri ne' danari e mezzi tuoi? So bene che hai rubato tanto che aresti modo a corrompere dieci giudici, dua città intere, ma sono giudici troppo buoni, troppo integri, troppo amatori della libertà; cognoscono quello che non hai cognosciuto tu, quanto più vale l'onore che e' danari.

Speri tu impaurirgli o spaventargli? Ti veggo bene el volto pieno di audacia, ti veggo pieno tutto di superbia e di stizza; ti pare avere gli eserciti teco, ti pare che abbiamo tuttavia paura che tu non ci dia un altro sacco. So bene che queste sono le voglie tue, che questi sono e' tuoi desiderii; ma è passato el tempo tuo: hai a vivere privato, hai a vivere abietto, hai a vivere odioso a ognuno, sanza forze, sanza autorità, sanza grazia, peggio veduto che una fiera, peggio voluto che una biscia; sanza che, quando bene tutte queste cose potessino tornare, sono e' giudici sì animosi e sì virili che non per questo mancheranno di fare quello che sanza eterna infamia non possono fare el contrario. Speri tu nel favore e riputazione de' parenti, nello aiuto di tanti amici, ne' diguazzamenti che per te fanno tutti e' partigiani de' Medici? Non vedi tu infelice che non è più el tempo che si spendino queste monete? Che la città è libera, non più sotto e' tiranni? Che dominano le legge e la giustizia, non più gli appetiti de' privati? Che gli amici de' Medici, per la memoria di quelli tempi e di quegli scelerati fini, affaticandosi per te ti offendono e ti nuocono? Che e' parenti tuoi in tanto atroci peccati, in tanto odio universale, in tante grida di tutti, non solo non ti possono giovare, ma se fussono de' giudici tutti e' Guicciardini e Salviati sarebbono constretti a condannarti? In che speri tu adunche? Udiamo per l'amore di Dio queste sue egregie difese.

Allega che tutti e' danari che si sono spesi in questa guerra sono andati in mano di Alessandro del Caccia, e che nessuno n'ha ricevuto lui, e che per e' libri di Alessandro apparisce che e' danari sono stati spesi ne' soldati e negli altri bisogni, e che a' libri e scritture si debbe credere più che alle parole degli uomini, più alle persone proprie che a quelle che non sono intervenute nel negocio; difesa certo notabile e conforme alla impudenzia tua, perché se la verità non constassi per altra via io confesso che la necessità ci sforzerebbe a credere a' libri e ci staremo a quegli non tanto per la fede che noi gli prestassimo, quanto perché non aremo el modo di fare altrimenti. Ma dove la verità è manifestissima, dove sono le pruove sì chiare ed evidenti, non bisogna che lui mi meni alle conietture. Dico che messer Francesco ha rubato e' danari nostri, e vi do testimoni non uno, né dua, non a decine, non a centinaia, ma a migliaia: testimoni di ogni sorte, di ogni qualità e di ogni nazione, e testimoni che non avevano interesse a dirlo, più presto potevano avere rispetto a tacerlo; in contrario non veggo se non uno testimonio, Alessandro del Caccia. Chi ha ricevuto e' nostri danari? Alessandro del Caccia. Chi dice che e' danari nostri sono stati bene spesi? Alessandro del Caccia. Chi che messer Francesco non gli ha avuti? Alessandro del Caccia. Chi ha scritto in su questi libri, in su questi vangeli? Alessandro del Caccia.

Tutto questo giuoco è segnato come una caccia. Dunche in una causa privata, in una causa minima non è creduto uno testimonio solo, quando bene non vi siano altre pruove in contrario, e si ammetterà uno testimonio solo in una causa publica, in una causa di tanta importanza e dove in contrario sono le migliaia de' testimoni, in modo che se noi vogliamo attendere el numero, che comparazione è da uno esercito a uno uomo? Se la degnità delle persone, che sono quelle cose che si considerano ne' testimoni, sarà bene cosa grande che in uno esercito intero, tra tante nobiltà, tra tanti signori, tra tanti capitani non siano testimoni di maggiore degnità che Alessandro del Caccia. El quale se tutte le altre cose concorressino, è sospetto in questo caso, perché non è da credere che abbia consentito che un altro rubi, che anche lui non voglia essere in parte della preda; e si crederrà a uno testimonio che scusando messer Francesco scusa sé, che non può accusare lui che non accusi sé? Si crederrà alle scritture tenute per mano di chi è stato compagno al furto? Come sia da maravigliarsi che chi non è stato ritenuto né dalla vergogna, né dalla paura, né dalla conscienzia a fare tanto assassinamento, non gli sia bastato l'animo a fare uno libro falso!

Dimmi Alessandro del Caccia, tu che sei mercatante, che sei uso a maneggiare danari, che sai quanto importano queste cose, parevat'egli onesto che una somma infinita di danari, tante centinaia di migliaia di ducati si maneggiassino così sobriamente, così asciuttamente ed in modo che se n'avessi a prestare fede a te solo? Come non si accompagnava el detto tuo con le ricevute di chi gli ha avuti, con le fede delle terze persone, con tante chiarezze come facilmente si poteva, che non si lasciassi luogo da dubitarne? Quello che e' mercatanti cauti fanno nelle centinaia di ducati, non ti pareva conveniente doversi fare in sì grossa quantità? Quello che tu eri solito fare negli interessi mediocri di Iacopo Salviati, non ti pareva debito farsi nello stato della tua patria? Avevavi accecati tutt'a dua tanto la avarizia ed el peccato, che voi credessi che uno furto sì smisurato e che toccava a tanti, non avessi a venire a luce? Credevi voi che in questa città fussisi poco ingegno, sì poco discorso, sì poca esperienzia che questi conti, che per loro non hanno lume alcuno ed in contrario hanno tante ripruove, vi fussino ammessi? Sono certo non ci stimate però sì poco che lo credessi; e se avessi pensato averne a rendere el conto qui, saresti stati o più vergognosi a fare el male o più ingegnosi a dargli colore. Ma la cosa giace qui, el punto è questo: credesti, poi che la guerra si maneggiava in nome del papa, poi che eri in campo come ministri suoi, averne a dare conto a Roma, dove le cose vanno alla grossa, dove si corrompe ognuno, dove el papa sarebbe stato come per el passato cosi liberale de' danari di altri, come sempre è stato stretto de' suoi, dove la autorità di messer Francesco arebbe serrato la bocca a ognuno, dove el favore di Iacopo Salviati arebbe difeso Alessandro. E chi sa anche se Iacopo è a parte di questo furto, perché la preda è sì grossa che a pena si può credere che messer Francesco solo, benché abbia lo stomaco grande, l'abbia smaltita, che una rete sola l'abbia tenuta; né lui si stima sì poco che a Alessandro solo avessi voluto dare dieci soldi per lira. Questo è verisimile: avevano fatto tutt'a dua la lega intorno al papa; Iacopo aveva procurato di farlo venire a Roma, l'uno rimetteva la palla in mano all'altro; è credibile che come erano compagni alla ambizione, fussino ancora compagni alle prede.

Vedete, giudici, come tuttavia si chiariscono più le cose, e come cercando uno delitto se ne truova dua, cercando uno ladro se ne truovono parecchi: col furto veggiamo la falsità de' libri, con messer Francesco ladro vediamo ladro Alessandro del Caccia, scorgiamo qualche pedata di Iacopo Salviati, siamo in luogo che tutto verrà in luce: così vuole la divina giustizia, cosi vogliono e' peccati vostri. Strignete pure alla restituzione messer Francesco, come è conveniente, sendo lui el principale che si vede, sendo quello che aveva autorità di dispensare el danaro, quello a chi toccava a fare pagare e' soldati, che aveva a commettere tutte le spese: vedrete che per non volere pagare la parte di altri, sarà sforzato a cavare fuora el libro segreto, a scoprire e' compagni, a pregarvi che voi riscotiate da ognuno la parte sua. Allegherà che nel tempo che ha governato le terre della Chiesa è stata predicata la sua integrità, e che non è credibile che se ha cercato buono nome nelle terre di altri, l'abbia voluto cattivo nella patria; produrrà testimoni, fede, lettere di quelle comunità, e vorrà che noi crediamo più alle cose da lontano e che ci sono e' monti in mezzo, che a quelle che abbiamo innanzi agli occhi.

Io non so di che qualità tu sia stato nelle terre di altri, né mi curo di cercarlo, ma dico bene che sei stato tristo quivi. Non è miracolo che tu abbia continuato nel male, perché chi comincia a farne abito va sempre peggiorando; se sei stato quivi buono, tanto minore scusa meriti, tanto più sei degno di odio, sendoti dato al male non in età giovane, non quando eri povero, che arebbe pure qualche compassione, ma quando eri già ricco, quando eri in su guadagni grossissimi, quando avevi già passato quaranta anni, in modo che non si può averti né misericordia né perdono; e se in tale età, in tale esperienzia hai cominciato a diventare tristo, né ti sei curato di perdere el nome di buono, quanto più facilmente ora e con quanto minore rispetto, pure che n'avessi occasione, continueresti nel male! Rimuovi adunche questi tuoi testimoni lombardi e romagnuoli, queste tue carte mendicate dalle comunità, perché né fo difficultà di accettare né durerei fatica di riprovarle. So bene come si vive in coteste città, so che quegli uomini che non ebbono mai né libertà né imperio, cognoscono solo lo interesse loro, ed el fare piacere a più potenti di loro; non hanno nelle cose loro gravità, non vergogna, non conscienzia; sono non manco servili con l'animo che con la necessità; una raccomandazione in Lombardia di uno conte, uno priego in Romagna di uno governatore, uno cenno di uno vescovo non che di uno cardinale, gli farebbe ogni dì fare mille sagramenti falsi; e quello che fanno a casa loro e che si sanno per ognuno, che conto credete che tenghino di farlo negli interessi di altri, ed in luogo dove pensano che non sia ripruova? Non fui mai io in Lombardia né in Romagna, ma non sono però sì povero di amici, né ha alla fine sì poche forze la verità, che se la importanza della causa consistessi in questo, non mi fussi dato l'animo affogarti nelle lettere e ne' testimoni, ma per essere cose leggiere e di nessuno momento, mi pare perdere queste poche parole che io ci consumo drento, e mi incresce che tu abbia perduto la spesa e la fatica per condurre in qua tanti suggelli.

È adunche il furto chiaro ma non già la quantità, perché la non ha regola, non ha misura, non ha certezza; tanto ha rubato quanto ha voluto; pensate dunche quanto è stato; non vi aggiugne già lo arbitrio mio, non lo capisce la immaginazione, come s'ha dunche a liquidare? Giudicherete che quello che non potrà fare constare legittimamente d'avere speso, tanto abbia a restituire, perché chi è debitore alla entrata è obligato a provare la uscita. Si farebbe così in ogni uomo buono, perché non è giusto che la negligenzia faccia male a altri che a sé; quanto più si debbe fare in uno che s'ha certezza che sia tristo. Se questo modo di procedere non vi piacerà, giudici, le legge hanno provisto per altra via: vogliono che ogni volta che el danno è certo, ma la quantità incerta, si stia al giuramento dello attore, né può lamentarsi di questo rigore chi con le ribalderie sue è stato causa che bisogni usare questo rigore. Avete udito, giudici, le rapine ed e' mali causati dalla avarizia sua; non tutti, perché era cosa infinita ed impossibile, ma quegli che io v'ho saputo proporre. Udite ora e' peccati della ambizione ed e' pericoli che se non sì provedessi porterebbe da lui la nostra libertà.

Io dico che in questa città non è cittadino alcuno che abbia ricevuto tanti benefici da' Medici quanto ha lui; nessuno che della ruina loro abbia perduto più che lui; nessuno che del ritorno e grandezza loro fussi per guadagnare più; nessuno finalmente a chi s'abbia a credere che per molte ragione dispiaccia più la vita privata; perché gli altri tutti o hanno avuto da' Medici manco di lui, o se alcuno ha avuto più, non è stato dato a lui ma al parentado, a qualche antica servitù, a qualche beneficio fatto loro nel tempo delle sue infelicità. Quelli che hanno avuto o danari o benefici o altra utilità, se le tengono, né l'hanno perduto per la ruina loro, né sono certi d'avere a cavare utilità del ritorno loro; e ciò che hanno avuto non è stato per modo che gli abbia dato causa o necessità di spiccarsi con lo animo o colle opere dalla civiltà. Ma costui non aveva co' Medici congiunzione alcuna di sangue, non alcuno vinculo o dependenzia se non una generale, che con loro aveva avuto anticamente la casa sua, la quale per molti anni e vari accidenti che erano occorsi, era già quasi fuora della memoria degli uomini; e nondimeno ha avuto da loro undici continui anni, magistrati ed amministrazione onoratissime e grandissime, di che ha cavato guadagno ed utilità inestimabile e tanta riputazione e grandezza che si può dire che sono già molti anni e forse qualche età, che non uscì di Firenze cittadino che stessi fuora maggiore e più onorato di lui. Né gli ha avuti per tempo determinato, ma con certissima speranza d'avergli a tenere durante la vita del pontefice, apresso a chi era in tanto grado, che gli fussi concesso governare per sustituti una provincia grande ed importante come è la Romagna, avessi in tempo di guerra la cura di tutti gli eserciti ed arme sue, e nella pace fussi eletto a stargli apresso per consultore ed espeditore di tutte le faccende maggiore. Luoghi di tanta grandezza e di tanto profitto che non si può porre termine a questi guadagni uno, dua o tre migliaia di ducati l'anno, ma sono somme incerte ed infinite; e la riputazione non è minore, perché chi è sì grande apresso a uno papa è in notizia di tutta Italia, è osservato da tutta la corte, adorato da tutto lo stato della Chiesa, e finalmente è ancora grande e riputato apresso a tutti e' prìncipi del mondo; e per essere apresso a uno papa che aveva usurpato el governo di questa città, ci aveva così abundante quella autorità e grandezza, che lui medesimo voleva, ed era in potestà sua disporre per e' parenti ed amici suoi e per chi gli pareva, delli onori ed utili che ci sono. Perché come poteva negare tali cose el papa a uno che avessi in mano tutti e' segreti e tutto lo stato suo? e come quegli che erano qua vicari suoi, poi che la indignità in che era allora questa povera città mi sforza usare questo vocabulo, potevano fare di non consentire ogni cosa a uno che era di continuo agli orecchi ed in tanto credito con quello principe, da chi dependeva tutto el bene e la speranza loro?

Tutte queste cose adunche tanto utile, tanto grande, tanto onorevole ha perduto messer Francesco per la ruina de' Medici; tutte e forse maggiore spererebbe recuperare per la esaltazione loro; ma mentre che stanno depressi, come desiderano tutti buoni, è restato sanza guadagni, sanza potenzia, sanza autorità, fuora della memoria ed esistimazione de' prìncipi, e qui pari a tutti voi a chi gli pareva potere comandare, ed a molti de' quali si sarebbe quasi sdegnato di parlare. E dove soleva dominare a nobile e magnifiche città, dove negli eserciti era obedito da' principali signori e gentiluomini d'Italia, dove già undici anni è stata la casa, la vita, la spesa e la corte sua non da privato ma da principe, ora gli sono mancati e' guadagni, gli è mancata la autorità, sta sottoposto alle legge ed alla esistimazione degli uomini, e bisogna ancora che aspro gli paia che viva in casa e fuora in dimostrazione ed in effetti così privatamente, così abiettamente come fa ciascuno di noi.

Non crediate, giudici, che quelle città che lui ha governato siano povere e debole come sono quelle del vostro dominio; non crediate che chi le governa per la Chiesa vi stia con poca corte, con poco braccio o con la autorità limitata come stanno e' vostri rettori; e' quali per avere poco salario, per vivere obligati alle legge vostre, per avere vicina la città dove e' sudditi ogni di hanno ricorso, si può quasi dire che in fatti ed in apparenzia siano poco meglio che privati. Ma immaginatevi città grande, abundanti, ricche, piene di nobilità, piene di conti e di baroni, dove e' governatori hanno gli emolumenti ordinari ed estraordinari grandissimi, dove hanno la autorità molto maggiore: non sottoposta a legge o regola alcuna, è tutta in arbitrio loro. Per essere el papa lontano ed occupato in cose molto maggiore, non possono avere e' sudditi ricorso a lui se non con grandissima spesa e difficultà, e con pochissimo profitto; in modo che reputano per manco male sopportare da' governatori le ingiurie che gli sono fatte, che cercando el remedio perdere tempo e danari, e provocarsi più chi di nuovo gli può ingiuriare; e però uno governatore ed è e pare signore di quelle città.

E certo se voi avessi veduto, giudici, messer Francesco in Romagna, come credo che qui siano presenti molti che l'hanno veduto, con la casa piena di arazzi, di argenti, di servidori, con el concorso di tutta la provincia, che dal papa in fuora, quale rimetteva totalmente ogni cosa a lui, non cognosceva altro superiore, con una guardia intorno di più di cento lanzchenech, con alabardieri, con altre guardie di cavalli andare per la città in mezzo sempre di centinaia di persone, non cavalcare mai con manco di cento o centocinquanta cavalli, affogare nelle signorie, ne' titoli, nello illustrissimo signore, non l'aresti ricognosciuto per vostro cittadino, per simile a voi; ma considerata la grandezza delle faccende, la autorità smisurata, el dominio e governo grandissimo, la corte e la pompa, vi sarebbe parso più presto equale a ogni duca che a altro principe. Così quando era negli eserciti, non vi immaginate vedere uno vostro commissario, che per non essere e' campi nostri più grossi, né la autorità della città maggiore di quello che la sia, e per molti altri rispetti, può parere grande negli occhi di ognuno, ma non supremo: non era così lui, trovandosi con tutta la autorità in mano di sì grande principe come era uno papa, capo sempre e principale delle leghe in eserciti grossissimi, e dove erano tutti e' grandi capitani e signori di Italia, tanti gentiluomini, tanta nobilità; dove avendo grandissima occasione di fare utilità e riputazione a molti, era non solo onorato ma quasi adorato.

Infiniti erano e' concorsi, gli spacci, le faccende, le lettere delli imbasciadori, [de] prìncipi e de' duchi, insino del re di Francia, che gli venivano. Già lui con le dimostrazione, co' pensieri, con le voglie, con tutte le azione non sapeva più di privato; già le parole, e' modi, la alterezza, el volere essere ubidito ed inteso a cenni, non erano altrimenti che di uno che fussi nato e vivuto sempre da principe, e che sempre avessi a vivere principe e morire. Fastidiva il titolo di commissario come inferiore alla grandezza sua: faceva chiamarsi luogotenente, che non è altro che dire di essere el medesimo che el papa. E crediamo che chi ha perduto tanto, non sia malcontento della ruina de' Medici? Chi spera recuperare tanto, non desideri dì e notte la grandezza loro? Chi è uso tanti anni a vivere così, possa stare sotto la vita privata, possa fermare el capo sotto uno de' nostri cappucci? Uno di noi se esce de' signori, sta uno mese innanzi che possa assettarsi alla vita di prima; e nondimeno è officio di dua mesi preso da noi con animo di lasciarlo; è limitato, accompagnato, e che a dire el vero ha di signore poco altro che 'l nome. E noi crediamo che uno che già undici anni continui ha avuto tanta utilità, tanta riputazione, tanta grandezza, tanta pompa ed onori, e nella quale ha sempre pensato e sperato più quasi perpetuarla che finirla, possa sopportare pazientemente la vita privata, possa vedersi spogliato di tutte quelle cose che lo facevano differente dagli altri, possa sopportare che noi mediocri cittadini gli siamo pari, parliamo delle cose della città, o seco o sanza lui come di cosa commune; non si vergogni d'averci per compagni ne' magistrati, possa tollerare d'avere a essere vegghiato e giudicato da' nostri pari, d'avere a essere finalmente condannato da voi?

Non è così, giudici, non è. Non solo tutti e' suoi pensieri e disegni non hanno altro fine che ritornare a quello che ha perduto; ma chi potessi sapere la verità, tutti e' sogni della notte non sono pieni di altro che di guardie, di staffette, di governi, di eserciti, di signori e di tiranni. E certo, come io sono naturalmente inclinato più a pensare e desiderare el bene, che a interpretare male, se io non vedessi nel resto della vita sua manifesti effetti, se io non lo vedessi avarissimo, io mi lascerei facilmente persuadere che avessi lo animo quieto, e che essendosi goduto modestamente tanti anni quello bene che la fortuna gli aveva dato, ora si accommodassi facilmente a quello che succede, come prudente che è, e finalmente come buono non tenessi più conto delle particularità sue e degli oblighi che ha co' tiranni, che del bene universale e della libertà della sua patria. Ma quando mi rivolgo nella mente le opere sue e la vita passata, e ricognosco e' costumi e cattivi fini suoi, e quello che sempre è stata la natura sua, la ragione mi vince, e mi bisogna, ancora che io non voglia, acconsentire e confessare che lui non desidera e pensa a altro che potere satisfare alle cupidità sue, e ritornare in quella vita dove pensa che consista la felicità.

Ricordomi averlo cognosciuto e conversato seco quando era giovanetto: non si potrebbe dire quanto era inquieto, quando desideroso di governare gli altri compagni suoi, ed essere sempre el primo fra tutti, nelle compagnie o come diciamo noi nelle buche, pieno di sètte e di praticuzze, seminatore di discordie e di scandoli. Che io non finga queste cose vi farò constare, giudici, perché de' compagni nostri vivono molti degnissimi di fede, quali mi rendo certo che esaminati non negheranno la verità, e vi diranno più oltre che tra noi tutti era tanto nota questa sua inquiete ed ambizione, che alcuni de' nostri lo chiamavano Alcibiade, volendo denotare uno spirito cupido, inquieto ed autore di cose nuove; il che, o fortuna della nostra città, non solo è stato prudente ed oculato iudicio, ma più presto profezia, perché non di minori mali è stato costui causa a Firenze che fussi Alcibiade a Atene. Chi adunche in sì tenera età dimostra e scuopre questa natura, che si può credere che abbia a essere nel resto della vita? Non dice quello proverbio vulgato che el buono di si cognosce da mattina? E ragionevolmente, perché ognuno nella età matura sa meglio coprire e simulare gli umori suoi; il che quegli che sono sì giovani non sanno fare, ma tutto quello che hanno insino nelle viscere, insino nel cuore apparisce sanza alcuno riservo. E se nella età sì tenera, nella quale è quasi miracolo che sentissi el gusto della potenzia e degli onori, fu tale, che possiamo noi credere che sia stato poi e che sia ora, avendo ed eletto modo di vita ed avuto fortuna atta a destare la ambizione in ogni freddo e molle spirito, nonché in uno che da se medesimo ne ardessi?

Difficile è repugnare alla natura, giudici, difficile spegnere quelli abiti che sono infissi nelle ossa, che t'hanno accompagnato col latte e con la cuna. Chi per necessità o per accidente piglia vita contraria, a pena con lungo tempo mortifica la inclinazione naturale; ma chi piglia vita conforme, e vi ha drento successo, la nutrisce e la accresce ogni giorno, in modo che se era per natura verbigrazia ambizioso, diventa per natura e per accidente ambiziosissimo. Non avete voi udito di Cesare, in chi ancora fanciullo furono cognosciuti quelli semi, el frutto de' quali fu poi la ruìna della patria? Non so parlare per molto tempo degli anni che seguirono a quella età, perché andò fuora di Firenze a studio, ma la ragione vi forza a credere che quale avete inteso essere stato el principio suo, quale vedete essere stato di poi el suo progresso, tale sia stato questo tempo della assenzia sua; perché sempre e' mezzi corrispondono e participano della natura degli estremi.

Tornato da studio, insino al tempo che andò in Spagna, se bene visse principalmente attento alla sua facultà della legge, donde sperava cavare l'utile e l'onore, pure in quelle discordie che erano allora nella città tra el gonfaloniere e quelli cittadini principali, che in nome biasimavano la troppa autorità che pigliava el gonfaloniere, ma in fatto non potevano tollerare el governo populare, dette qualche segno dell'animo ed inquietudine sua, ma in modo che potette apparire solo a chi lo considerò più da presso: dall'universale della città e da chi non conversava seco non fu cognosciuto, perché per la età non interveniva ne' magistrati e consulte publiche, e la apparenzia del vivere suo pareva piena di gravità e di modestia. Nondimanco ancora che fussi povero, prese per moglie con poca dota e quasi contro alla voluntà del padre una figliuola di Alamanno Salviati, che allora era uno di quelli che più che gli altri si mostrava contro al gonfaIoniere; il che non fece per altro che per cominciare a mescolarsi nelle sedizione e guadagnarsi el favore degli amici de' Medici; e si sarebbe scoperto più questo suo pensiero se la autorità del padre, al quale volessi Dio che lui fussi simile, che era uomo alienissimo da questi modi, non l'avessi constretto a procedere più reservatamente che non arebbe fatto, in modo che per questo e per la brevità del tempo che non fu più di tre o quattro anni, per la professione del dottore nella quale secondo la età aveva buono credito, per la grazia e riputazione del padre, per el numero de' parenti, per la presenzia, per e' costumi che parevano pieni di prudenzia e bontà, fu eletto in 28 anni con favore grande degli ottanta, imbasciadore in Spagna, e fattogli più onore che mai fussi fatto a giovane alcuno della nostra città. E certo da questi semi della ambizione in fuora, che allora erano noti a pochi, erano le qualità sue da tirarsi drieto credito, perché è copioso di quelle parte che sono necessarie alle faccende. Né crediate che se non ne fussi stato bene dotato, fussi sì giovane salito facilmente a tanto onore; e però è tanto più pericoloso questo suo appetito di grandezza, perché se fussi accompagnato da ignavia e tardità di ingegno, forse lo riprenderemo, ma sanza dubio non ne temeremo; ma dove concorrono tante parte quante sono in lui, è imprudenzia farsene beffe o disprezzarlo.

La imbasceria di Spagna, dove era al ritorno de' Medici, ha fatto parlare molti, di sorte che se io l'avessi chiamato in giudicio per odio o per fine mio particulare, e non per affezione mera della republica, piglierei questa occasione, procederei da accusatore, lo officio del quale è non solo accrescere le cose vere ma colorire le dubie, fomentare tutte le suspizione, né lasciare intentata cosa alcuna per la quale possa darsi carico o molestia allo accusato; ma perché io non procedo da accusatore né cerco la vittoria ma el bene publico, mi dispiacerebbe che e' peccati non veri fussino accettati per veri; però proporrò la cosa nudamente come è, e le conietture che ci sono, non pigliando carico di affermare quello che non so, né di confortare e' giudici a crederne se non quello a che gli indurrà la verità stessa della cosa.

Hanno, giudici, detto molti che benché fussi mandato in Spagna dalla republica e per la libertà della città, nondimeno che apresso a quello re favorì la tornata de' Medici, e che fu in gran parte causa di indurlo a mandare lo esercito suo a rimettergli. Le conietture che loro allegano, perché di simile cosa non si può avere certezza, sono molte: che quando in quella corte venne la nuova del ritorno loro, el re si rallegrò con lui publicamente come con amico de' Medici, il che sentirete dire da testimoni; dove vedendolo imbasciadore mandato dalla città, aveva a credere el contrario se non l'avessi prima sentito loro fautore; che doppo el ritorno loro ve lo lasciorono circa a uno anno, che pareva male verisimile non essendo confidato loro; che finalmente tornato di Spagna, ancora che mai non avessi veduto e' Medici né fatto altra cosa per loro, fu da loro accarezzato ed onorato con tanta dimostrazione, che a qualunque noto ed interessato con loro non sarebbe stato fatto più segni di benivolenzia e di fede. Conietture che certo paiono potenti, ma io non le accresco, non le riscaldo, non voglio che vaglino più che conforti la verità.

Ma quando questa imputazione fussi vera, di che io mi rimetto alla verità ed alle prudenzie vostre, non potrebbe nessuna orazione dimostrare abbastanza quanto fussi grande questa sceleratezza; nessuno benché acerbissimo supplicio potrebbe essere pari a tanta iniquità, a tanto enorme ribalderia, a tanto inaudito tradimento. Perché se nessuno eccesso che possino fare gli uomini è maggiore che essere operatore di tôrre la libertà della sua patria, perché contiene in sé tanti tristi effetti quanti non si possono immaginare nonché esprimere, quanto si aggrava per le circunstanzie, avendo fatto questo uno di chi la città si era fidata, uno che aveva accettato di essere suo ministro, uno che contro a lei ed in pernicie sua abbia usato quel nome, quella autorità di che lei con somma confidenzia l'aveva vestito ed onorato per beneficio suo! Non lo chiamo tradimento, non assassinamento, non parricidio, perché sono minori vocabuli che non si conviene.

Ma sia quello che si voglia, io non posso sanza grandissima indignazione ricordarmi della sua singulare ingratitudine, ed anche non maravigliarmi del suo corrotto gusto e giudicio; che avendo in sì giovane età conseguito dalla patria sua con commune consenso di coloro che secondo le legge n'avevano autorità, tanto onore che mai più dalla città libera fu dato a uno sì giovane, e del quale e' vecchi sogliono onorarsi grandemente, e potendo da questo principio essere certo che non gli mancherebbono tutti e' primi gradi e quella autorità che può avere uno cittadino nella republica; dimenticato di tanto beneficio, di tanta affezione che gli era stata dimostrata, di tanta fede che era stata avuta in lui, e di prudenzia e di bontà, abbi potuto diventare amico e ministro delle tirannide, e sostenuto di essere ancora lui instrumento ed aiutare di tenere el piede in sul collo alla patria sua, ed a quella patria con la quale aveva tutte le obligazione commune che hanno gli altri cittadini e particularmente questa sì rara, di sì rara demostrazione ed onore che gli era stato fatto; che abbia tenuto più conto e stimato più quello favore e grandezza che gli potevano dare in Firenze e' tiranni (che non si può avere sanza indegnità, sanza pericolo, sanza continuo ed acerrimo stimulo della conscienzia) che non stimato ed apprezzato quegli onori ed autorità che poteva conseguire dalla città libera, che sono sicuri, sono gloriosi, ed a chi non ha corrotto lo stomaco, con infinita satisfazione dell'animo.

Non posso certo ricordarmene sanza dispiacere, perché se bene ho ora in odio e' vizi tuoi, se bene ho paura del pericolo che portiamo tutti da te, non però voglio male da te; anzi ricordandomi che tutti siamo uomini, che siamo cittadini di una medesima patria, e della conversazione che in quelli primi tempi ebbi teco, ho dolore, t'ho compassione che la natura tua e gli abiti cattivi abbino potuto tanto in te, che quelle dote che tu hai di lettere, di ingegno, di eloquenzia, le quali io confesso che sono molte e grande, tu l'abbia volte a cattivo cammino; e dove avevi facultà di essere uno de' rari ornamenti della nostra città, di essere glorioso e di autorità grata a ognuno, e vivere con benivolenzia singulare apresso a' tuoi cittadini, abbia più presto, per appetito male misurato ed erroneo, voluto essere. instrumento di offendere ed oscurare el nome della patria, farsi inimico a tutti e' cittadini, odioso si può dire a se medesimo, e finalmente detestabile nella memoria degli uomini. Ma passiamo alle altre cose sue.

Tornato di Spagna fu ricevuto da Lorenzo de' Medici quale non aveva mai veduto, che allora era venuto al governo nostro, con grandissime carezze e con tanto onore e dimostrazione di confidenzia, che non sanza ragione accrebbe el sospetto a quegli che avevano dubitato che mentre che era imbasciadore non avessi venduto e tradito la nostra libertà. Fu fatto subito de' diciassette, che erano tutti de' più intimi e più onorati amici loro; ebbe tutti e' gradi che poteva avere per la età; fu chiamato alle pratiche strette dove intervenivano pochissimi, e nessuno che non avessi più di lui almanco dodici o quindici anni; né desiderò cosa per e' fratelli, parenti ed amici che non ottenessi. Quale fussi allora el vivere suo, e con che mezzi si conservassi nella benivolenzia e favore del tiranno, non si può sapere particularmente, perché per l'ordinario le azione di quelli tempi non appariscono come ora ne' consigli e publicamente: sono cose che girano in privato per le camere ed in pochi, ma si può cognoscere benissimo per gli effetti. Perché l'averlo accettato negli intimi quando tornò di Spagna, si potrebbe dire che fussi proceduto da essersi ingannati; ma el continuare nell'onorarlo, lo accrescere ogni dì segni di amore e benevolenzia, mostra manifestamente che lo trovorono amico ed utile alla tirannide, che è quello solo che el tiranno osserva; el quale non studia in altro se non chiarirsi dello animo degli uomini, ed adoperar quegli che truova confidati e desiderosi della sua grandezza: così è necessario dire che trovassino lui. Però non solo mentre che stette in Firenze gli feciono quegli onori e piaceri che voi avete inteso, ma non molto poi, non lo dimandando né vi pensando lui, lo mandorono governatore di Modena: a che concorsono tutti e quegli di Roma e quelli di Firenze, perché per le arte medesime era grato a tutti ed in spezie madonna Alfonsina, donna come sappiamo tutti avarissima ed ambiziosissima, la quale fu quella che lo propose, ed a chi fu sempre molto grato. Che se è vero quello che è verissimo, che ogni simile ama el suo simile, vi può mostrare abastanza che ancora lui fussi infetto di ambizione e di avarizia, della quale quella donna fu una fonte ed uno esemplo.

Da questo principio fu come uno corso degli onori e grandezza sua, perché diventò ogni dì più grato e più confidente a' tiranni; in modo che ebbe poco di poi el governo di Reggio, ebbe quello di Parma, fu mandato commissario generale con suprema autorità nella guerra contro a' franzesi; ebbe la presidenzia di Romagna, ed in ultimo fu chiamato dal papa a Roma perché stessi apresso a lui come consultore e secretario suo, donde fu poi mandato luogotenente suo in questa pestifera guerra, con tanta potestà, con tanta riputazione che parve che uscissi fuora non uno instrumento, non uno ministro del papa, ma uno compagno, un fratello, uno altro se medesimo. Le quali cose sì grande e sì rare non si può credere che gli avessino date da principio ed accresciute ogni di doppo l'averlo provato, se non l'avessino trovato confidentissimo e tutto loro, tutto tirannico: massime che se uno di loro solo gli avessi fatto questi favori, si potrebbe dubitare che fussi proceduto da qualche falsa opinione, da qualche similitudine di natura, da qualche conformità di influsso; ma quando io veggo che è stato grato, che è stato accetto, che è stato confidatissimo a tutti, a Leone, a Clemente, a Giuliano, a Lorenzo, insino a madonna Alfonsina, donna come sapete propriissima ed inumanissima, non debbo già credere che tutti si siano ingannati, che tutti avessino qualche inclinazione simile alle sue, che tutti fussino nati sotto una medesima stella di lui. La conformità di natura, lo influsso è l'averlo trovato amatore delle tirannide, inimico della libertà della sua patria; questo è stato el vinculo, questa è stata la coniunzione, questo è stato el mezzo di approvarti, di farti tanto grato a loro; della quale se tu fussi mancato, saresti mancato della principale parte, del primo fondamento che negli uomini desiderano e cercano e' tiranni; e non avendo quello che loro vogliono e stimano più che altro, non saresti stato loro tanto grato, tanto accetto, non saresti stato un altro se medesimo.

Sento, giudici, quello che lui risponderà in questo luogo per offuscare una cosa chiarissima: che forse ricercavano appetito tirannico in quelli che adoperavano in Firenze, ma che lui gli serviva di fuora in cose dependenti dalla Chiesa, le quali appartenevano a loro come a prìncipi, non come a tiranni; narrerà la integrità, la fede, la sufficienzia sua, e' pericoli corsi molte volte, e cercherà tirare a sua laude e suo onore quello che è eterna sua macula, eterno suo vituperio.

Io vi confesso, giudici, che questa difesa mi spaventerebbe, mi farebbe vacillare lo animo, perché la è, prima facie, verisimile e magnifica; ma mi conforta la prudenzia vostra, la notizia che io so che voi avete delle cose, el cognoscervi tali che non vi lascerete ingannare dagli estrinsechi, ma vorrete penetrare insino alle midolle. Non è nessuno di sì poca notizia del mondo, di sì poca esperienzia, che non sappia che, come ancora io accennai poco fa, la prima cosa che ama e che ricerca uno tiranno in uno suo cittadino è el cognoscerlo amatore e confidato allo stato suo, e cerca con ogni diligenzia, con ogni industria chiarirsi e scoprire se ha questo animo o no; e ragionevolmente, perché essendo el suo primo fondamento, el suo primo obietto el conservare la tirannide, bisogna che questi siano e' suoi primi pensieri, la sua prima cura. Leggete in Cornelio Tacito scrittore gravissimo, che Augusto insino al dì che morì, insino al punto che spirava l'anima, ancora che per la vecchiaia ed infirmità avessi già consumato el corpo e lo spirito, lasciò per ricordo a Tiberio successore suo, chi erano quegli di chi non doveva fidarsi. Però impossibile è che gli sia grato o che vòlti riputazione a uno cittadino el quale non creda che sia amico suo, che sia desideroso di mantenere la sua tirannide; perché come bene disse Salamone a quello scolare secondo la novella di colui, sono reciproche queste cose, l'amore e la opinione di essere amato; né può uno tiranno fare grande e riputato uno se non l'ha per amico, se non pensa d'aversene a valere, se crede che gli abbia a essere contrario; perché in una città solita a essere libera non si può considerare mezzo alcuno: ciascuno di necessità o ama la libertà o ama el tiranno, e chi ama l'uno, bisogna che odii l'altro.

Né è buona o vera distinzione dalle cose di Firenze a quelle della Chiesa, perché se tu gli avessi veduto malvolentieri grandi a Firenze, aresti avuto anche per male la grandezza del pontificato; e se tu amavi quella, amavi anche di necessità questa altra, perché erano congiunte e connesse in modo insieme, che non potevano ruinare nell'una che non ruinassino nella altra. E se loro non avessino bene cognosciuto e fatto paragone dello animo tuo, t'arebbono intrattenuto in Firenze come uno altro tuo pari; ma che necessità avevano di adoperartisi estraordinariamente, massime che tu sei seculare ed uxorato, ed e' luoghi dove loro t'hanno posto erano tutti debiti e soliti darsi a prelati? Dirai la carestia degli uomini virtuosi e sufficienti come tu; moderata certo difesa e degna dirsi in tanto concorso di uomini, acciò che questi più giovani imparino da te parlare modesto e conveniente a cittadini; ma è bene debito che la ambizione sia accompagnata dalla arroganzia, né ci possiamo sdegnare e maravigliare che dove sono tante altre macule, sia ancora la superbia; anzi se la è, come è veramente, madre della ambizione, è molto onesto che noi la vediamo insieme con la figliuola.

Ho confessato e confesso di nuovo che le dote tue sono rare, e che tu hai qualità da fare faccende, in modo che se el papa non avessi facultà di eleggere ministri se non di una città sola, potrebbe forse passare questa risposta; benché né anche sanza difficultà perché io t'ho per uomo virtuoso, non già per miracoloso. Ma potendo el papa ed essendo consueto eleggere ministri di ogni qualità e di ogni nazione, ed avendo sempre intorno infiniti che cercano queste cose, troppo presummi di te medesimo, troppo credi che noi ti stimiamo, se pensi darci a credere che la necessità l'abbi indotto a disprezzare e' prieghi e le ambizione di tanti che erano in corte, e venire a cavare da' libelli e di uno studio te che eri lontano dagli occhi suoi, che pensavi a ogni altra cosa, che eri sanza notizia e pratica alcuna di governi e di cose di Chiesa. Però rimuovi, lieva via, ti priego, questa difesa come vana, come arrogante, come più atta a dimostrare la tua natura e la immoderata opinione che hai di te, che a darci indizio alcuno di virtù o diminuire in parte alcuna questa suspizione.

Ma perché consumo io tanto tempo, perché cerco io sanza bisogno tanto di conietture, come se manchi la facultà di allegare effetti, esperienzie certe ed inescusabile, e non una sola, ma più? Dimmi, non si sa egli che doppo la morte di Lorenzo, el cardinale de' Medici che oggi è papa, sendosi fermo al governo di Firenze, volle che tu restassi qui, con lasciarti e' governi in mano e tenervi per sostituto Luigi tuo fratello? Non ti voleva già qua per niente: non per adoperarti nelle cose della Chiesa e del papato, ma per ministro a mantenere la sua potenzia, per uno in chi potessi riposare e' segreti della tirannide. Si sa bene el fondamento che faceva di te; sono penetrati benché fussino occulte gli ordini delle intelligenzie che s'avevano a fare; sàssi bene el disegno che aveva di fare parentado teco; e se non ti fermasti non fu perché quello che io ho detto non sia vero, ma perché succedendo la guerra ti volle adoperare in quello che importava più allo stato suo. Poi la morte del papa ed altri accidenti ed in ultimo la elezione sua al papato variorono tutti questi pensieri. Ma dimmi più oltre, nella stanza tua di Roma non intendevi tu e non maneggiavi tu le faccende di Firenze come quelle di fuora? Perché quivi non si deliberava niente di importanza, ma tutto si riferiva a Roma, e di quivi veniva la legge in ogni cosa benché minima. Dunche come puoi tu negare che el papa non abbia con-fidato in te così intrinsicamente delle cose di Firenze come di quelle di fuora? E come possiamo noi credere che avendoti lui maneggiato tanti anni in faccende sì grandi ed in tanto diverse, che non abbia avuto mille volte occasione e facultà di cognoscerti insino alle piante de' piedi, e che t'abbia eletto per instrumento confidantissimo alla tirannide, perché con mille paragoni t'ha cognosciuto e veduto tale?

Ma vegnano finalmente a quello che abbiamo veduto tutti noi, che ha per testimonio tutta questa città, a quello che allora guardamo con gli occhi pieni di lacrime, con l'animo pieno di desperazione, ora ce ne ricordiamo con inestimabile desiderio di vendetta. Chi fu quello che el dì di san Marco ci tolse el nostro Palazzo? Chi fu quello che ci spogliò della recuperata libertà? O di da non se ne ricordare mai sanza pianto! O fatto da fame una memoria, uno esemplo che duri quanto dureranno le prietre e la memoria di questa città! O cittadino, se tu meriti questo nome, più detestabile, più pernizioso alla nostra republica che non fu mai né Alcibiade a Atene, né Silla o Cesare a Roma! Loro oppressono una libertà invecchiata e che moriva, tu opprimesti la nostra el dì medesimo che la nasceva e risuscitava; loro mossi da qualche ingiuria e da qualche pericolo e dagli sdegni che avevano con gli altri concorrenti loro, cercorono di farsi capi della loro città; tu non ingiuriato da nessuno, onorato e chiamato da tutti, vendesti per schiavi, rimettesti in servitù la patria, te ed ognuno; loro accompagnati da parte della città e da molti se bene cattivi cittadini, pure cittadini, oppressono l'altra; tu solo di tutta questa patria rimettesti el giogo in sul collo a ognuno.

Non era uomo in questa città di ogni qualità ed età, che non fussi corso al Palazzo insino a' più stretti e più intrinsechi amici de' Medici, o non volendo discrepare da quello che facevano gli altri, o non avendo ardire di opporsegli; el sommo magistrato, del quale era capo tuo fratello co' modi legittimi ed ordinari della città gli aveva dichiarati rubelli; era una allegrezza di ognuno in se medesimo, una congratulazione fra tutti inestimabile; e' vecchi per smisurato gaudio piagnevano, e' giovani saltavano, nessuno capeva in se medesimo. Sentivansi voce di tutti: abbiamo pure recuperata la nostra libertà, abbiamo pure riavuto l'anima, siamo pure vivi, siamo pure liberi, non siamo più in servitù, non siamo più schiavi, siamo usciti delle tenebre, siamo usciti di Egitto. O dì lieto, o dì giocondo, o dì di eterna memoria, nel quale Dio ha pure finalmente visitato el popolo suo!

In questi romori, in questi concorsi, in questi ed altri maggiori segni di letizia, sendo e' soldati già dispersi, e' Medici a cavallo per fuggire, el marchese di Saluzzo di animo di lasciare correre el duca di Urbino di dare la spinta; tu solo fermasti la ruina, tu rimettesti animo a' tiranni, tu ristrignesti e' soldati, pregasti quelli signori, e tutti insieme, ma tu come capitano, tu come la ruìna di tutti, ne venisti alla piazza; né potendo quello innocente popolo disarmato, atto più alle mercatantie ed alla pace che a combattere, opporsi a tanto impeto, resistere a tanto furore, combattere con uomini armati e persone militari, lo cacciasti di piazza, ve ne facesti signori. Né dando requie a tanta ribalderia, cominciasti subito a fare trarre al palazzo; a quello palazzo nel quale consiste la maiestà di questa città, a quello palazzo che è armario delle legge, recettaculo di tutti e' consigli publici, che è difesa e fondamento della libertà e gloria nostra, a quello palazzo a' cenni del quale non soleva essere cittadino alcuno sì grande e sì superbo che non ubidissi, che non si umiliassi; alla voce del quale solevano inginocchiarsi gli uomini, tremare insino alle pietre; la riverenzia di chi farebbe inginocchiare ancora te, farebbeti tremare, se tu fussi cittadino, se pure uno uomo, non una fiera, uno monstro, se in te non fussi più durezza che in una prieta, più impietà che in una tigre, più invidia che in uno Lucifero; ed el quale non ti bastò avere circundato, non averlo combattuto, che con scelerato pensiero, con effetto ancora più scelerato, con fraude, con insidie, con tradimento cavasti dalle mani nostre.

Ricordatevi quando, ottenuto da noi di potere venire a parlarci, venne su col signor Federigo; proposeci tanti pericoli, la ruina nostra e di tutta la città sì manifesta: tante gente d'arme, tante artiglierie, tante fanterie; el popolo parte dissipato, parte avere preso le arme per e' Medici; empiè falsamente ogni cosa di minacci e di terrore; el volto era tutto ardente, gli occhi pieni di arroganzia, le parole piene di furore, lo spirito tutto fiamma e tutto fuoco; credavamo fussi la pietà della città, el desiderio di liberarci dal pericolo; pensavamo si ricordassi di essere fiorentino, fussi conforme di animo a' fratelli, a' cognati, a tanti parenti, a tutta la nobilità della città che era quivi. Avevamogli, doppo el tumulto levato, scritte lettere pregandolo che venissi a soccorrere la sua patria, che menassi alla salute nostra gli eserciti pagati da noi; non sapevamo che sotto questa effigie di uomo fussi tanta malignità, tanto veneno; credevamo che in questo corpo fussi una anima, non uno spirito di diavolo. Credemo non al signor Federigo, quale sapevamo che era forestiere, e che non amando la patria sua non poteva amare la nostra; a te credemo, a te prestamo fede, credemo alle tue belle parole, a' tuoi giuramenti. Tu ci persuadesti che fussino e' pericoli dove non erano; che gli apparati fussino grandi, che erano piccoli; che el popolo fussi spento e rivoltato, che non aspettava altro che la notte già vicina per tornare alla salute nostra; tanto che sotto quelle fede che sai quanto ci furono osservate, ci inducesti a lasciare el Palazzo, a rimettere el collo sotto el giogo, a desperare in perpetuo, se Dio miracolosamente non ci avessi soccorso, della nostra libertà. Questa fu tutta tua opera, queste sono le egregie pruove che tu hai fatto in questa guerra; questo el trionfo che tu n'hai cavato, orribile inimico della tua patria, la quale non ti può perdonare tanta atrocità, né te la perdonerebbe tuo padre se fussi vivo.

E si disputa ancora se tu se' amico del tiranno? Sono cose così chiare che non conviene se ne dica più; per tutti e' segni, per tutte le opere ed azione tue si scorge la immoderata ambizione. È più chiaro che el sole, che impossibile è che tu ti quieti sotto la vita privata, che tu non desideri tornare a quella grandezza che tu hai perduta, e che per conseguirla non è cosa di sorte alcuna che tu non tentassi. E certo questo appetito tuo mi darebbe poca molestia se io vedessi che ti potessi succedere sanza el ritorno de' Medici in Firenze; perché come disse Neri di Gino al conte di Poppi, quando feciono al ponte d'Arno la capitulazione per la quale lui si uscì dal suo stato, io vorrei che tu fussi uno signore grande ma nella Magna. E' tuoi guadagni, la tua riputazione, queste tue prosopopeie, che tu fussi signore nonché presidente di Romagna, che tu consigliassi e governassi tutti e' papi che sono e che saranno, a me darebbe poca molestia, pure che tu potessi ottenerlo sanza la nostra servitù. Ma né papa Clemente può più essere grande né ricuperare el dominio che aveva la Chiesa, che è conquassato e lacerato come voi vedete, se non ritorna nello stato di Firenze, se non può fare le guerre co' nostri danari; e quando pure potessi avere quello sanza questo, a te non può riuscire l'uno sanza l'altro, perché puoi essere certo che la città che ragionevolmente è gelosa della sua libertà e che dagli esempli passati ha imparato a vivere in futuro, non permetterà mai che tu o altri cittadini vadino a servirlo, né consentirà mai che abbiate commerzio con chi dì e notte non penserà mai a altro che rimetterci quello giogo sotto el quale e' passati suoi e lui ci hanno fatto, bontà de' tristi cittadini, crepare tanti anni. Però non potendo tu pervenire a quello fine nel quale ti pare che consista el sommo bene, sanza questo mezzo, chi dubita che tu desideri e che sia per cercare e quello ed ogni altra cosa che ti conducessi al disegno tuo?

Più dico, giudici, che per le medesime ragioni, posposti ancora tutti gli intressi e speranze del papato, non è da dubitare che ami e' Medici in Firenze; perché l'abbiamo visto in questa medesima inclinazione innanzi che andassi a' governi: non è uso alla equalità né alla civilità; è nutrito ne' pensieri ed azioni tirannici; non cognosce lo amore della libertà, non la riputazione che può avere uno cittadino in una città libera, non che contento che frutto sia nella vita privata, nella tranquillità dello animo, nello amore e benivolenzia de' suoi cittadini.

Ma dirà forse qualcuno, forse cadrà ancora nel pensiero vostro, giudici: tutte queste cose sono verissime ed è impossibile non confessare che a chi ha lo stomaco depravato e corrotto non piaceranno mai sapori e cibi contrari a quegli co' quali insìno a ora è vivuto e nutrito; pure lo animo sanza le forze importa poco, né si debbe tenere conto della sua mala intenzione perché non ha facultà di metterla in effetto: lui, quello che e' sia stato per el passato, è ora privato cittadino, sottoposto alle legge nostre come qualunque minìmo di questa città, non ha più autorità di soldati, né governo di popoli a chi comandare. In che può egli offendere la nostra libertà? Questa sua immoderata ambizione, questo ardore di grandezza serve più presto a farlo vivere con perpetuo cruciato e tormento, che a satisfare alle sue prave cupidità; è più presto supplicio suo che nostro pericolo. Il che volessi Dio che fussi così, e che io avessi preso invano in uno tempo medesimo fatica, pericolo ed inimicizie. Ma chi lo crede si inganna, perché in lui concorrono molte cose alle quali è necessario avere buona considerazione.

Principalmente ha, come voi sapete, nella città molti parenti ed amici, nel contado molto credito; di fuora, per le cose grande che lungo tempo ha maneggiate, ha riputazione e molte amicizie; è noto nelle corte di tutti e' prìncipi, ha esperienzie assai negli stati; concorre in lui lingua, animo ed ingegno e molte parte che, come se lui fussi buono cittadino sarebbono grate ed utili alla patria, così essendo el contrario sono pericolose. La libertà nostra è nuova; la città ancora non bene unita, gli animi di molti cittadini dubi; el governo, come di necessità accade ne' principii, più presto insino a ora confuso che ordinato; pieno ogni cosa di sospetto e di varietà. Non abbiamo a temere di uno tiranno uomo privato, ma di uno papa, che benché al presente paia afflitto, può ogni ora risurgere: le cose di Italia in tanta agitazione e travagli che da mille anni in qua non furono mai tante. Non ci bisogna solo considerare el mondo come sta ora, ma possono nascere ogni ora molti accidenti che augumenterebbono sanza comparazione le difficultà, e' sospetti e pericoli. In questo stato adunche di cose tanto incerto, tanto sospeso, è bene debole, è bene male pratico chi non cognosce e non considera quanto sia pericoloso avere in casa uno inimico che abbia qui séguito, fuora riputazione, e che possa essere creduto quando prometterà più ancora che non sia in potestà sua di osservare, che abbia animo a tentare cose nuove, ingegno a saperle ordinare, lingua e penna da poterle persuadere, e che sia in grado che dì e notte non pensi altro che a rimettere la tìrannide, che a suffocare la nostra libertà.

Non erano né di esperienzia né di credito né di parte alcuna da comparare a messer Francesco quegli che nel 12 cacciorono el gonfaloniere: e' tiranni parevano spenti, la città amatrice come ora del vivere populare, quale era molto più ordinato e fondato che non è di presente, le cose di Italia finalmente assai più sedate, più sicure che non sono ora; e nondimeno se co' loro giovani inesperti e di poca rìputazione potettono cosi facilmente mutare el governo, se quello piccolo seme per non essere curato e stimato produsse si pestiferi frutti, che potrà fare costui che ha tante qualità, tanto credito e tante occasione? Che farà questo arbero che ha sì profonde radìce, così grandi e sparsi rami? Non pareva certo che allora la libertà nostra si potessi perdere, tanto aveva messo barbe e fondamenti: uno gonfaloniere a vita integro ed amatore del popolo, uno consìglio grande durato tanti annì, uno governo che per essere già ìnvecchiato e cancellata la memoria delle mutazionì piaceva quasi a tutti e non era temuto da persona.

E veramente non si poteva perdere, non ci poteva essere tolto, se si fussino stimati e' pericoli, se si fussi ovviato a' principii, se la troppa sicurtà o la troppa bontà non ci avessi fatto essere più che el bisogno negligenti o rispettosi. Perché in Piero Soderini, giudici, furono molte parte, molte eccellente virtù che lo feciono degno di tanto grado: prudenzia, ingegno, eloquenzia eccellente esperienzia grande, nettezza ed integrità quanto si potessi desiderare; modestia grandissima così in non ingiuriare altri, come in non permettere che e' suoi l'ingiuriassino; diligenzia singulare in conservare e' danari publici; tanto amore alla libertà ed al popolo quanto a se stesso; el medesimo umanissimo pazientissimo catolico; aveva innanzi fussi gonfaloniere, affaticato assai per la patria; era noto in tutta Italia, grato in Francia donde allora dependevano le cose nostre, di casa nobile ed onorata, di padre e fratelli che furono uno ornamento di questa città; lui di bella e grata presenzia, lui sanza figliuoli, stato alieno da tutte le discordie e sedizione che furono in quello tempo.

E però concorrendo in lui tante dote di natura e di accidenti, fu eletto gonfaloniere con favore inestimabile e con aspettazione molto maggiore: alla quale sarebbe stato sanza dubio pari, se a tanti doni del corpo e della fortuna e dell'animo si fussi aggiunta una qualità sola. che fussi stato o più suspizioso a dubitare de' cattivi cittadini, o se ne dubitava, più animoso e più vivo a assicurarsene. Ma mentre che, o credendo quella bontà negli altri che era in lui, o non gli parendo giusto per e' sospetti soli, insino che le congiure non erano scoperte, insino che le cose non si potevano più dissimulare, battere persona, o parendogli forse non a proposito della città, o privatamente a sé pericoloso el manomettere cittadini, non ovviò a' principii, non medicò le cose quando era facile, lasciolle scorrere in luogo che quando volle provedervi non fu a tempo. E questa sua o negligenzia o pazienzia o pusillanimità fu causa di fare morire lui in esilio, e di tenere noi quindici anni in una servitù sì crudele, sì insolente e sì vituperosa. Sursono a tempo suo molti accidenti, de' quali ciascuno che fussi stato medicato assicurava in perpetuo la nostra libertà; perché la pena di uno non solo giova con lo effetto levando via el male che machinava lui, ma molto più per lo esempio, faccendo che per paura tutti gli altri simili si astengono da pensare di machinare contro allo stato.

Filippo Strozzi, el quale io non nomino per odio o per offenderlo perché gli sono amicissimo e, come penso che sia assai noto, molto obligato, Filippo Strozzi dico, ancora garzone tolse per moglie la Clarice, figliuola di Piero de' Medici. Funne fatto dagli amatori della libertà molto romore, mostrando quanto era di malo esempio che uno nostro cittadino facessi sanza licenzia e consenso del publico, parentado con quelli rebelli che aspiravano alla tirannide; quanto era pericoloso lasciargli congiugnere con persone nobile e potenti; quanto era pernizioso che gli altri avessino a pigliare animo di intrinsicarsi con loro più innanzi, e ristrignere ogni dì seco le pratiche ed el commerzio; non essere verisimile che questo garzone avessi preso tanto animo da se medesimo, ma che era da credere che fussi stato consigliato e fomentato da quelli che ogni di più pigliavano ardore dalla pazienzia nostra, e non altro effetto che per andare ordinando la strada al ritorno de' Medici.

Allegossi in contrario la età del giovane, che non era credibile che pensassi tanto oltre; che non ci era legge che proibissi questo parentado, se non uno statuto antico che metteva pena pecuniaria assai leggiere; che quivi non appariva congiura, non pratica alcuna contro allo stato; essere uno semplice parentado fatto o per leggerezza o per avarizia praticato da frati e simili instrumenti, e non da cittadini: volere dire che fussi fomentato da altri e che avessi maggiore fondamento, essere uno indovinare, uno calunniare gli uomini al buio; non convenirsi in casi di tanta importanza; aversi a giudicare le cose criminali per pruove non per conietture; non essere questo delitto contro allo stato, ma trasgressione solo di uno statuto, e sì oscuro nelle parole sue che si poteva disputare in ogni parte, e però o eleggendo in dubio, come si debbe, el senso più mansueto, doversi assolvere; o volendo pure andare al rigore, non si potere condannare se non secondo quello statuto; volerlo trapassare essere cosa tirannica, detestabile in una città libera, dove e gli uomini hanno a vivere ed e' magistrati a giudicare secondo le legge. Che più? Ingannorono gli uomini imperiti sì belle parole, el gonfaloniere la natura sua, in modo che fu condannato leggermente ed anche in capo di pochi mesi fu restituito; e dove se si trattava da caso di stato come per ogni conto si doveva, la pena sua arebbe spaventato gli altri, la impunità dette grandissimo animo e licenzia, e quello che poteva essere fondamento di assicurare la libertà, fu el principio e la origine della ruina.

Cognoscesti tutti Bernardo Rucellai, cittadino certo notabile di lettere, di ingegno, di esperienza e di grandissima notizia di cose, ma più ambizioso ed inquieto che non è a proposito di una città libera. Fu molti anni inimico de' Medici: eransi lui ed e' figliuoli travagliati a cacciargli; di poi o per sdegni che ebbe con Piero Soderini ancora innanzi che fussi gonfaioniere, o più presto per la natura sua impaziente di questa equalità, volse lo animo al ritorno loro, cominciò a essere uno refugio de' malcontenti, uno corruttore de'giovani, e' quali facilmente si lasciono ingannare dalle cose cattive quando hanno colore di buone. Cominciò quello orto suo a essere come una academia: quivi concorrevano molti dotti, molti giovani amatori di lettere, parlavasi di studi, di cose belle. Era udito come una sirena perché era ornatissimo ed eloquentissimo, né si vedeva estrinsecamente cosa alcuna che si potessi biasimare o riprendere; nondimanco e la natura dell'uomo e la riputazione che aveva ed el concorso di tanti malcontenti e giovani faceva paura a chi considerava più drento; in modo che molti savi facevano instanzia che vi si provedessi, allegando non essere a proposito tollerare uno uomo di autorità, ambizioso, malcontento e di séguito; bisognare nelle cose degli stati tagliare e' princìpi e le origine, le pratiche e le congiure maneggiate massime dagli uomini prudenti e di esperienzia; non si potere facilmente provare o scoprire, né essere sicuro aspettare tanto che ogni uomo le cognoscessi: essere necessario prevenire e con la pena di uno o di dua fermare la salute di tutti.

In contrario si allegava non essere onesto fare cattivo giudicio degli uomini, se non quanto mostrava la esperienzia; non essere utile disperare e' cittadini grandi; partorire cattivi effetti el toccare sanza necessità el sangue, o mandare in esilio persona; non bastare e' sospetti e le conietture, ma ricercarsi evidenzie manifestissime e che si toccassino con mano; altrimenti essere modi da spaventare ognuno, da fare che nessuno si tenessi sicuro, da fare che tutti quelli che o per bontà o per non si mettere in pericolo non pensavano a alterare la città, per necessità e per paura vi volterebbono lo animo. Fu approvata questa opinione dalla incredulità o poco animo del gonfaloniere; e dove col partire Bernardo era tagliata la pianta che produsse el veleno con che morì la nostra libertà, el tollerarlo gli dette facultà di tenere stretti ed uniti e' malcontenti, di corrompere l'animo di molti giovani, in modo che di quell'orto, come si dice del cavallo troiano, uscirono le congiure, uscinne la ritornata de' Medici, uscinne la fiamma che abruciò questa città; e si scoperse finalmente tutto in modo che potette essere cognosciuto da ognuno, ma in tempo che non potette essere proveduto da nessuno.

Sento ora, giudici, in simili casi e pericoli dirsi le medesime cose e difese: perché non crediate che messer Francesco e chi parlerà per lui, confessi le congiure, confessi che gli abbia animo di procurare el ritorno de' Medici, e facci instanzia che appartiene alla clemenzia vostra el perdonarli per questa volta, che è utile col fare tanto beneficio guadagnarsi lui e tanti parenti suoi, che questo esemplo di misericordia, che tanta bontà e dolcezza vostra assicurerà ed obligherà in eterno molti che ora hanno paura della invidia o dello sdegno. Non si diranno, no, queste cose, perché le si dicono a padri non a giudici, ma si dirà: che fa egli? E' vive privatamente, non si sa sua pratica alcuna, non si vede alcuno suo andamento che meritamente lo faccia sospetto; sta basso ed abietto quanto sia possìbile: perché vogliamo noi credere el male dove facilmente potrebbe essere el bene? Ha travagliato tanto, ha corso tanti pericoli, che non è maraviglia che ora ami la qiete, la sicurtà, che voglia godersi quello che con tanta fatica ha acquistato; non si dovere sanza grandissime cagione volere fuora uno per inimico, chi si possa avere drento per amico; che se co' sospetti soli si condanna lui, el medesimo temeranno tanti altri che erano amici de' Medici; dispererassi tanta nobilità, e questo stato che noi possiamo tenere con la benevolenzia, cerchereno di metterlo in pericolo con lo odio.

Dirannosi queste cose e molte altre, come è communemente più ingegnoso chi difende el male che chi favorisce el bene; le quali ragione quando si allegheranno, giudici, in superficie belle, piacevole, dolce, utili e sicure, ma in effetto brutte, amare, insidiose, pericolose e velenose, è uficio vostro ricordarvi e tenere sempre fisso nella memoria, che messer Francesco è beneficato eccessivamente da' Medici, che è stato sempre instrumento e ministro loro, che è malissimo contento, che desidera che tornino, perché è ambizioso, perché ha perduto della ruina loro grandissimi onori ed utili, e spera recuperarli della esaltazione; che è impossibile che si accommodi alla vita privata, a essere equale a quelli a chi soleva essere superiore; che ha offeso tanto el publico, massime nel cavarci del nostro Palazzo, nel tôrci la libertà recuperata, che o dubita continuamente della pena, o dispera di avere mai nel vivere libero autorità; che e' pensieri, e' disegni, le azione, le opere sue sono sempre state di sorte che non ci può essere scusa, non colore, non dubio alcuno che e' sia per procurare sempre opportunamente ed importunamente di tôrvi la vostra libertà, la quale lui reputa sua pena, sua infamia e sua servitù.

Tutte queste cose bisogna, giudici, che abbiate fisse innanzi gli occhi, e quanto più efficace saranno le parole, gli argumenti, le lusinghe, e' prieghi, le persuasione, le esclamazione ed e' terrori, tanto più sempre voltiate a queste el cuore, e' pensieri e lo animo. Bisogna che più oltre vi ricordiate che ne' giudici delle congiure, delle machinazione contro allo stato, non si procede come in quelli delle cose private, o delle publiche ancora di minore importanza. Gli altri delitti si credono quando sono scoperti, si puniscono quando sono commessi, non si condanna la voluntà, non el tentare ancora sanza le opere; questo solo, per la grandezza sua, si crede innanzi si sappia, questo si gastiga innanzi sia commesso, in questo è punito non solo chi ha operato, chi ha tentato, ma ancora chi ha voluto o consentito, e quello che è più chi solamente ha saputo.

Fu a tempo de' maggiori nostri, tagliato el capo a messer Donato Barbadori perché aveva avuto notizia di una congiura e non l'aveva revelata; a' dì miei fu per la medesima causa tagliato la testa a Bernardo del Nero, cosa introdotta non solo dagli statuti vostri, ma ancora dalle legge commune, le quali e tutti e' savi che hanno fondato le republiche, hanno studiato più nella provisione che non si commetta, che nella vendetta, e però in questo hanno introdotto, così nel cercarlo come nel gastigarlo, molti esempli singulari, mossi non manco da giustizia che da prudenzia; perché principalmente questo è delitto contro alla patria, alla quale siamo più obligati che a' parenti, che al padre, che a noi medesimi. Ordinarono le legge supplicio crudelissimo a chi amazza el padre; quanto più merita chi amazza la patria, con la quale abbiamo maggiore vinculo, ed offendendo quella non si offende uno solo, ma infiniti, non si toglie la vita a uno che aveva a vivere pochi anni, ma a chi poteva averla lunghissima e forse perpetua! Gli altri delitti quando sono commessi possono essere facilmente puniti, perché non si spengono e' ministri delle legge; ma mutati gli stati, oppressa la libertà, chi gli muta non solo resta in grado di [non] temere di essere gastigato del male che ha fatto, ma con autorità di offendere chi non ha mai fatto se non bene. Gli altri delitti sono particulari, questo universale; negli altri delitti se bene la pena non emenda al danno, pure fa satisfazione o pari o poco minore della offesa; ma che è el tôrre la vita a uno scelerato che abbia occupato una libertà, a comparazione di tanti mali, di tanta ruina di che è stato causa? Però a cercare questo delitto con tutte le severità non bisognano indizi o molto leggieri, a punirlo non bisogna le opere, basta l'avere voluto, l'avere saputo, a assicurarsene basta l'avere sospetto, el cognoscere che lui abbia commodità, abbia facultà.

Così hanno fatto sempre coloro che sono stati maggiori e più savi che noi, coloro della virtù de' quali possiamo più presto maravigliarci che aggiugnervi pure coi discorso. In Roma doppo la cacciata de' Tarquini... e' re, doppo avere tolto loro e' beni, avere fatto morire una congiura di giovani nobilissimi che trattavano di rimetterli, doppo l'avere con molte buone legge, con molti buoni ordini stabilito la loro libertà, non parve loro abastanza avere punito e' peccatori, avere levato via e' sospetti, l'avere proveduto dove era ogni spezie di pericolo a tutto quello che poteva nuocere non solo con lo effetto ma con lo esemplo; che ancora giudicorono necessario tôrre ogni autorità che cosa che potessi dare ombra alla libertà, e che fussi meglio essere incolpati di diligenzia superflua, che lasciare apparire vestigio alcuno di negligenzia. Però mandorono in esilio Lucio Tarquinio consorte de' re', non ostante che fussi inimico loro capitale, perché l'adulterio e la violenzia per la quale erano stati cacciati fu commesso nella moglie sua, e non ostante che lui, mosso da tanta ingiuria, fussi de' principali a scoprirsi con Bruto a cacciargli, e che come manifesto amatore della libertà, fussi insieme con lui stato fatto console. E tennono più conto [di] quella utilità che parve loro che tornassi alla republìca di cacciare via el nome de' tiranni, di spegnerne ogni memoria che restava nella città, che di fare ingiustizia a uno cittadino e rendere sì cattiva remunerazione a chi era stato uno de' primi instrumenti a fargli diventare liberi; e ragionevolmente, perché s'ha a tenere più conto della sicurtà di tutti che della salute di uno solo.

Gli ateniesi, da' quali non solo tutta la Grecia ma ancora molte nazione forestiere imparorono l'umanità, la dottrina e le buone arte, oltre a essere sempre presti e veementi in punire chi machinava contro alla libertà, giudicorono che non fussi bene sicuro avere drento nella città quelli cittadini che o per nobilità e molti parentadi, o per eccessive ricchezze, o per riputazione di cose fatte, paressi che avanzassino gli altri, giudicando, come è verissimo, che e' veri amici della libertà sono e' cittadini mediocri o di minore qualità, e che quelli che si discostano dalla mediocrità verso la grandezza, abbino più presto causa, semi o occasione di cercare di opprimere gli altri che di amare la equalità, e che alla sicurtà della republica appartenga non solo che non vi sia chi non voglia, ma né anche chi possa conculcarla. E però ebbono una legge che sempre in capo di dieci anni si mandassino a partito nel consiglio del popolo tutti e' cittadini, e quello che pareva a più numero fussi mandato in esilio; donde sempre era cacciato non uno che avessi mala fama, non uno che fussi provato che avessi machinato contro alla republica, perché a questo provvedevano e' giudici ordinari, ma uno che avessi più qualità e più riputazione che gli altri, e spesse volte quelli che l'avevano acquistata con le virtù e con lo affaticarsi e mettersi a pericolo per la patria. Perché sempre e' savi governatori delle republiche hanno cognosciuto che le libertà hanno molti inimici, molti pericoli, ed a comparazione di quegli che le oppugnano pochi e caldi defensori; e però che a conservarle è necessaria estrema diligenzia e vigilanzia, non aspettare che e mali creschino o ingagliardischino, ma provedere a' principii ed alle origine; levare via le piante troppo eminenti e che fanno ombra alle altre; medicare non solamente e' sospetti, ma tutte le cose che potrebbono per l'avvenire fare mai sospetto; e finalmente per essere pietoso di uno solo, non usare crudeltà nella salute di tutti.

Ma che cerco io gli esempli forestieri potendo allegare e' nostri medesimi? A' tempi degli antichi nostri messer Corso Donati, cittadino di grande virtù e riputazione e che aveva fatto più che nessuno altro in favore del governo che reggeva, tolse per moglie una figliuola di Uguccione della Faggiuola, forestiere, capo di parte e potente, per il che venne in sospetto che non volessi occupare la libertà; ed a questo la provisione che vi si fece per quegli antichi nostri uomini veramente savi, veramente virili, non fu osservare gli andamenti suoi, non cercare pruove e testimoni, non fare diligenzia per chiarirsi se era uno parentado semplice o fatto con pensiero di turbare lo stato della città; ma pensando che le cose che consistono nello animo non si possono facilmente scoprire, che el differire le provisione potrebbe talvolta essere pericoloso, che ancora secondo le legge nelle cause private non che in quelle che va tanto interesse, e' sospetti qualche volta hanno forza di pruove; ma el medesimo giorno che in loro nacque el timore lo oppressono, faccendo nel medesimo dì accusarlo, nel medesimo dì citarlo, nel medesimo dì condannarlo; e quello che è più, sanza alcuno intervallo di tempo, el popolo tutto armato andò alle case sue a fare la esecuzione, né gli parve avere assicurato la sua libertà se non quando lo vedde tagliato a pezzi per le strade.

La quale prudenzia di così savie republiche se fussi in noi, o se noi avessimo quello vigore e generosità di animo che ebbono già gli avoli e bisavoli nostri; se fussimo gelosi di questa nostra sposa, come per infiniti rispetti doverremo essere, come pure tante esperienzie ci doverrebbono avere oramai insegnato, non si procederebbe in uno caso sì brutto, sì atroce, sì vituperoso, pieno di sì pessimi esempli, con tante cerimonie, con tanta maturità. Non si farebbono tante diligenzie di fare pruove e di esaminare testimoni; non starebbe qui el popolo ozioso, come se el caso fussi di altri, a udire orazione, a aspettare lo esito di questo giudicio; non si darebbe facultà di difendersi secondo gli ordini delle legge a chi sempre è stato inimico delle legge, non di godere e' benefici della libertà a chi ha sempre cercato di opprimerla; non sarebbe, messer Francesco, udita la parola tua, la quale hai sempre adoperata per tôrre a tutti noi la facultà di potere parlare; non ti sarebbe lecito fermarti per difendere in questa piazza della quale armata mano cacciasti sì crudelmente questo popolo, non ti sarebbe consentito el guardare questo Palazzo del quale con mille fraude, con mille inganni sì sceleratamente privasti e' nostri cittadini.

Quello dì medesimo che doppo la cacciata de' Medici tornasti contro alla opinione di ognuno insolentemente di campo in questa città, dico quello dì, quell'ora medesima sarebbe el popolo corso furiosamente a casa tua; arebbe col fare di te mille pezzi esequito quella sentenzia che tu hai meritato già tanti anni, quella sentenzia dico, che ti si legge scritta nella fronte; arebbe saziato gli occhi del più onesto, del più giusto, del più desiderato e più aspettato spettaculo che avessi mai questa città, e fatto del sangue tuo quello sacrificio che si doveva alla patria ed alla nostra libertà. Almanco quando, dimenticato di quello che pochi dì innanzi avevi fatto, ardisti non so se più impudentemente o più superbamente entrare in Palazzo, la signoria t'arebbe fatto saltare a terra delle finestre, né comportato mai che tu tornassi a basso per quelle scale per le quale eri sì frescamente salito a spogliarci della recuperata libertà. Con questi modi si stabiliscono le republiche, con questi modi si danno esempli che bastano per molte età e memorie degli uomini.

Francesco Valori, quando io ero giovane, cittadino buono e di grandissima autorità, essendo el popolo in tumulto per le cose del frate, mentre che con uno mazziere innanzi andava per comandamento della signoria da casa sua in Palagio, fu amazzato per la via da' parenti di Niccolò Ridolfi e di quelli altri e' quali lui poco innanzi aveva procurato che si punissino, perché avevano congiurato di rimettere Piero de' Medici. E noi tutti, uno popolo intero, non abbiamo avuto ardire di fare per la salute nostra sì giustamente contro a uno tale scelerato, quello che pochi privati bastò loro l'animo di fare ingiustamente contro a sì buono e sì notabile cittadino, e ci maravigliamo poi che sì spesso si trovi chi abbia ardire di cercare di opprimere la nostra libertà, chi pigli ogni dì animo di fare machinazione e congiure, poi che è lasciato vivere chi sì manifestamente, così crudelmente ce l'ha tolta; e non solo lasciato vivere, ma permesso che usi la patria, usi la civilità, usi tutti e' benefici e le legge della libertà, non altrimenti che è permesso usare a chi l'ha fondata. Ma poi che si vive così vediamo se vorrà allegare altra difesa.

Ricorderavi come amatore della republica, o lui o altri per lui, che è mala cosa mandare in esilio cittadini, avere fuorusciti, che vengono molti tempi che sono dannosi alle città e danno animo a' prìncipi di travagliarle. Dirà che più si guadagnano e' cittadini co' benefìci, che non si spengono con le pene; essere più utile avergli drento amici, che fuora inimici; che la condannazione sua dispererà molti, temendo ogni dì el medesimo di sé, che la assoluzione assicurerà ognuno e fermerà gli animi che stanno sospesi; quello che in ultimo non gli parrà potere ottenere con questa ragione, cercherà di ottenere co' prieghi, con la misericordia, con la compassione. Deplorerà le sue calamità e persecuzione, allegherà mille esempli della vostra mansuetudine; pregherravi che non pigliate natura e costumi nuovi, che non vogliate discrepare da voi medesimi, da Dio finalmente esempio e fonte di misericordia. Cose che potrebbono forse essere udite se si potessi sperare che tu diventassi dissimile di te medesimo, o se questa facilità non fussi per essere la totale ruina di questa città: perché se bene e' peccati tuoi sono inestimabili, se passano sanza comparazione tutti e' peccati insieme che da cento anni in qua si sono commessi da cittadini di questa città, a chi ha passato ogni esemplo di peccare non conviene che giovino gli esempli della misericordia. Io che sono lo accusatore tuo volterei questa voce a peccare per te, né sarei manco caldo in pregare che sono stato in accusare. Darei questo a' parenti tuoi, dareilo alla conversazione che già ebbi teco, dare' lo a' meriti di tuo padre; ma se vi sei incorrigibile, se questa mansuetudine che tu alleghi è crudeltà contro alla patria, chi è quello che non vede che per la salute tua non si debbe distruggere la salute nostra?

Le cose nostre passate, provate con tanto danno nostro, ci debbono ammunire delle future, e quello che non è stata potente a insegnarci la ragione, ci doverrebbe pure insegnare la esperienzia. Non doverremo più confondere e' vocabuli delle cose, doverremo pure oramai sapere che è differenzia da bontà a dappocaggine: quella conserva e' buoni, questa perdona a' tristi. E' padri nostri nel 94 usorono questa misericordia agli amici de' Medici, perdonando loro tutte le cose passate, esaltandogli sanza distinzione a tutti gli onori; né però mutorono opinione, anzi si dette animo agli altri di tentare cose nuove, sperando con questi esempli anche loro la impunità, donde seguì la perdita della nostra libertà, e quella misericordia fu causa che fumo di nuovo conculcati e che di nuovo andamo in bocca di Faraone. Se si fa ora el medesimo, seguiranno gli effetti medesimi, ma con più infamia nostra, perché felice è chi impara a spese di altri, pazzo è chi impara alle sue. Che fanno questi esempli altro che dare animo a' tristi di machinare, altro che fare che in ogni tempo non manchino a' tiranni satelliti e ministri? Chi è quello che non voglia essere amico de' tiranni, se mentre stanno in Firenze si gode lo stato e grandezza loro; cacciati che sono, non ne va altro che avere per qualche mese uno poco di grido drieto sanza effetto, e per una volta o due qualche decina di ducati più che non vorrebbono di balzello? Studiano tutte l'altre città di fare esemipli che non si cerchi di restituire e' tiranni, che, quando sono drento, che e' cittadini non gli seguitino e non gli fomentino; e noi facciamo ogni cosa perché, quando sono fuora, ci sia chi apra le porte a fargli tornare, e quando sono drento, chi le serri perché non possino andarsene.

Non è questa misericordia, non mansuetudine, è dissoluzione di governo, è equivocazione di ordine, crudeltà di se stesso. Quando non abbiamo la libertà, non pensiamo, non desideriamo, non suspiriamo altro; quando l'abbiamo, perdiamo ogni memoria di conservarla.

Ricordatevi, giudici, quanto ci è parsa lunga e grave questa ultima servitù; ricordatevi quante orazione, quante lacrime, quanti voti abbiamo fatto per recuperarla; ricordatevi che non la virtù, non le opere nostre, ma Dio miracolosamente ce l'ha restituita. Quando togliemo l'arme per recuperarla, ci caddono prima di mano che l'avessimo prese; quando ci pareva essere più soggiogati, più oppressi, Dio, dico, di nuovo miracolosamente ce l'ha renduta; non ce l'ha data perché ce la lasciamo cadere; non ci ha dato facultà di conservarla perché per dapocaggine la perdiamo. Non vogliamo tentare Dio, non dargli causa di voltare gli occhi da noi: non vuole sempre fare miracoli, vuole che anche gli uomini si aiutino per se stesso. Perdonate, io sono contento, a messer Francesco, se non siate certi che e per la natura sua sarà pernizioso come prima, e per la misericordia vostra più animoso al male che prima. Abbiategli rispetto per non spaventare troppo o disperare gli amici de' Medici, se non cognoscete che e' sono incorrigibili, e che è pazzia cercare di piegare con la dolcezza quelli che è necessario tenere legati con la rigidità. E' fisici valenti quando hanno curato lungamente uno infermo co' rimedi freddi, se veggono che non giovano, pigliano la via contraria ed adoperano e' caldi. Noi abbiamo voluto sanare tante volte la città con la mansuetudine e con la clemenzia; veggiamo che questo infermo è sempre piggiorato, procuriamo la severità e la asprezza. Manco male è che gli amici de' Medici spaventino, che e' piglino animo; meglio che si desperino, che se avessino causa di sperare troppo; meglio e più sicuro è che stia fuora chi sarebbe pericoloso drento. Vorrei che sanza danno publico si potessi lasciare stare ognuno nella città; ma di dua mali si debbe eleggere el minore, e lo inimico che è fuora ti fa paura, quello che è drento ti fa male.

Avete udito e' peccati di messer Francesco: paionvi cose nefande, inaudite, nuove; paionvi cose che con difficultà vi aresti potuto immaginare, cose che avete orrore a sentirle dire. Che direte quando gli arete uditi tutti, quando arò messo in luce quello che è la fonte e la origine di tutti gli altri, quello che passa ogni esempio di ambizione e di avarizia?

Era presidente di Romagna, con tanto piede che vi teneva el fratello per sustituto; stava lui fermo apresso al papa a consigliare ed espedire tutte le faccende dello stato, le quali quanto siano grande in uno pontificato è difficile a pensare, più difficile a dire. Trovavasi in tanta riputazione, in tanta autorità, in tanti guadagni, che non che mai l'avessi sperata, non aveva mai avuto ardire di desiderarla: perché la verità è che sono gradi che passano la misura di cittadini fiorentini, non da uomini privati ma da personaggi grandi; gradi che nonché gli altri ma e' cardinali sogliono tenersene onorati; e nondimeno né tanti onori né tanta utilità né tanta grandezza bastorono a questo animo corrotto, a questa fonte di tutta la cupidità. Per andare capo degli eserciti, per trionfare della Lombardia, per farsi vedere in excelsis a quegli popoli che aveva governato tanti anni; per parere quello che governassi la pace e la guerra, per parere unico apresso al papa, e come io credo anche per avere commodità di rubare tanto tesoro; per qualunque di queste cose o per tutte insieme, perché uno peccato sì grande bisogna che abbia più di una origine, tanto parlò, tanto disse, tanto arguì, tanto esclamò, tanto subornò gli altri, che indusse el papa alle arme, a pigliare questa guerra perniziosa, a accendere questo fuoco del quale è già abruciata mezza Italia ed innanzi finisca abrucierà el tutto.

Non aveva bisogno el papa di fare questa deliberazione, perché non vi era né inimicizia né, pericolo; la guerra non era con lui, ma tra lo imperadore ed el re di Francia; ciascuno di loro lo riguardava, ciascuno l'onorava; non erano più per combattere in Italia ma fuora; più conservava lo officio suo, più la sua autorità a conservarsi neutrale; era el suo debito trattare la pace tra loro, pensare alla guerra contro agli infedeli, provedere alla Ungheria a chi già si accostava quello fuoco del quale pochi mesi poi abruciò. Era più secondo la natura sua, che come hanno mostro poi gli effetti ed era anche cognosciuto insino allora, era aliena dalle difficultà e dalle molestie: ma la ambizione, la avarizia di messer Francesco, la sua inquieta natura, lo animo suo immoderato lo spinse a una deliberazione vituperosa, pericolosa e di infinita spesa e travaglio; e quello che per noi fu peggio, fu causa di mettervi anche drento la nostra città.

El grado, le forze, le facultà, la consuetudine sua non comportava che si implicassi nella guerra tra questi prìncipi grandi, ma che, come avevano sempre fatto e' nostri padri, attendessi a schermirsi e ricomperarsi da chi vinceva, secondo le occasione e le necessità. Non era uficio nostro volere dare legge a Italia, volerci fare maestri e censori di chi aveva a starci, di chi aveva a uscirne; non mescolarci nella quistione de' maggiori re de' cristiani; abbiamo bisogno noi di intrattenerci con ognuno, di fare che e' mercatanti nostri che sono la vita nostra, possino andare sicuri per tutto, di non fare mai offesa a alcuno principe grande se non constretti ed in modo che la scusa accompagni la ingiuria, né si vegga prima la offesa che la necessità. Non abbiamo bisogno di spendere e' nostri danari per nutrire le guerre di altri, ma serbargli per difenderci dalle vittorie; non per travagliare e mettere in pericolo la vita e la città, ma per riposarci e salvarci. Potavamo oziosi stare a vedere le guerre d'altri, ed alla fine comperare la pace e la salute nostra con infiniti danari manco, che non abbiamo el primo dì comperato la guerra e la ruina. Avevamo mille modi di salvarci, ora non è nessuno: se vince lo imperadore andiamo a sacco, se el re di Francia e viniziani restiamo in preda ed in servitù; apresso all'uno de' re siamo in grandissimo odio, apresso all'altro in disprezzo, abbiamo dissipato tanto tesoro che oramai è dissipato el publico, el privato; abbiamo avuto nel paese nostro gli eserciti amici ed inimici, l'uno e l'altro ci ha trattato crudelissimamente; abbiamo avuto paura che questa povera città non vadia a sacco, al fuoco ed a quegli estremi mali, e ne siamo tuttavia in più pericolo che mai; crescono ogn'ora le spese ed e' disordini; non possiamo gittare in terra questo peso, e standoci sotto crepiamo.

Tutte queste cose hanno una fonte medesima ed una origine: messer Francesco l'ha mosse, messer Francesco l'ha procurate, messer Francesco l'ha fomentate, messer Francesco l'ha nutrite. Voi vi dolete che e' Monti non rendono, che le fanciulle non si maritono: messer Francesco ne è causa; e' mercatanti si lamentano che non si fa faccende: messer Francesco ne è causa; e' poveri cittadini che per e' danni ricevuti, per le immoderate gravezze che si sono poste e pongono, hanno impegnato le entrate, hanno fatto debito, sono in estrema necessità: vedete qui chi ne è cagione; la città tutta è spaventata per e' pericoli del sacco: vedete qui donde procedono. Ma che piango io e' mali soli di questa città? La calamità, la ruina di tutto el mondo non nasce da altri che da te. Per te è sbandito da tutti el nome santo della pace, el mondo tutto è in guerra, in arme, in fuoco. Per te è stata data in preda agl'infideli l'Ungheria; per te è andata Roma a sacco con tanta crudeltà, con tanta ruina universale e particulare di tanti nostri cittadini; per te gli eretici dominano e' luoghi santi; per te hanno gittate a' cani le reliquie. Tu la peste, tu la ruina, tu el fuoco di tutto el mondo; e ci maravigliamo che dove abiti tu, inimico di Dio e degli uomini, inimico della patria e delle provincie forestiere, sia pieno di morbo, sia pieno di carestia, venghino tanti flagelli?

Volete voi che el morbo vadia via, volete voi che torni la abundanzia, volete voi recuperare la pace, e mandare agli eretici, agli infedeli questi terrori? Cacciate via messer Francesco in Costantinopoli o in Paganìa, meglio sarebbe nello inferno. Rallegrerassi questo paese, rasserenerassi questa aria; rideranno insino alle prietre; dove abiterà lui, abiteranno sempre tutti gli spaventi, abiteranno tutti e' mali, abiteranno finalmente tutti e' diavoli. Le quali cose essendo così, giudici, vedete che qui non si tratta o di mediocri o di oscuri peccati, non si tratta di interessi piccoli, ma della libertà, della salute, della vita vostra; non di punire uno cittadino, non uno uomo, ma uno morbo, uno monstro, una furia.

A me privatamente non importa più el fine di questo giudicio; importa a questo populo, a questa città, alla salute nostra e de' nostri figliuoli. Io ho satisfatto assai alla esistimazione mia, avendolo accusato in modo che resta condannato nella opinione di ognuno; quello che resta, tocca a voi, giudici. Sono stato solo a accusarlo; ho presa io, debole cittadino, tutta la inimicizia addosso a me: l'ho presa voluntariamente, non aspettava questo da me la patria, non avevo obligazione propria di farlo; nessuna imputazione mi sarebbe stata data, nessuna querela sarebbe stata fatta se io non l'avessi accusato. Che avete a fare voi che siate molti, che siate sì qualificati e sì onorati cittadini? Vi stringe el debito dell'uficio al condannarlo; questa necessità ed el numero vi cuopre dalle inimicizie; el popolo v'ha eletti a questo giudicio, ed avendovi messo in mano la somma della republica, ha dimostrato grandissima fede in voi, alla quale non corrispondere è somma sceleraggine. Vedete quanto concorso, quanta espettazione; ognuno cognosce che in questa sentenzia si contiene la vita sua, la salute sua e de' figliuoli. Assoluto lui, è ruinata questa legge la quale è el bastone della libertà; non ci resterà più reverenzia, non terrore; resteranno sanza pene le insolenzie, le rapine, le congiure; non bisognerà più legge, non magistrati, non giudci. Tutte queste cose o dalla assoluzione sua hanno a pigliare la morte, o dalla condannazione la perpetuità; nelle sentenzie vostre consiste la libertà o la tirannide, consiste la salute o la ruina di tutti.

Anzi ci consiste più presto la salute vostra, giudici, particularmente, e di quelli che con tanta impudenzia aiutano questo scelerato, perché se camperà delle mani vostre, non camperà da quelle del popolo; se le arme vostre non lo amazzeranno, lo amazzeranno e' sassi e le arme di questa moltitudine, la quale se comincia a farsi ragione da se medesima, chi vi assicura che lo sdegno giusto, che la desperazione non la traporti; chi, che la si contenti del sangue di questo monstro, e non si vendichi contro a chi a dispetto del cielo e della terra lo vuole difendere, contro a chi mette nella guaina quella spada che nuda gli è stata messa in mano per fare giustizia? Non mancherà chi stimoli, chi riscaldi el popolo; io, se mancheranno gli altri, sarò el confortatore, el concitatore. Perché che abbiamo noi più a fare al mondo? A che proposito più vivere se ci è di nuovo tolta la nostra libertà? Vadia prima in confusione el tutto, rovini prima ogni cosa, faccisi prima uno nuovo caos, che noi sopportiamo e vediamo più tanta indignità. Io lo dico un'altra volta, sarò se bisognerà el confortatore, el concitatore, sarò el primo a pigliare sassi, a gridare popolo, a gridare libertà.

Ma lo farà lui medesimo sanza che altri lo riscaldi. Non vedete voi giudici, quanto ognuno è commosso, quanto ognuno è infiammato? Non vedete voi che ora con grandissima difficultà si ritengono, non vedete voi e' moti e gesti, non sentite voi già e' mormorii e' romori? Troppo pure ora è el pericolo che quella tanta pazienzia non si volti in grandissima rabbia, in grandissimo impeto; che questi nugoli, che questa tempesta si sfoghi non solo contro gli autori del male ma ancora contro agli adiutatori, fautori e consenzienti, contro a chi potendo non arà proibito. Non gli tiene fermi altro che la speranza del giudicio vostro; come questa manchi loro, vedrete da per se medesimo concitato ogni cosa; vedrete el popolo in furore, dal quale se gli altri priegano Dio che ci liberi, guardate voi giudici di non lo accendere. Vogliate provederci, giudici, con la vostra prudenzia, e faccendo quello che si aspetta alla fede, alla bontà e sapienzia vostra, come ciascuno meritamente spera da voi, essere più presto causa del bene, della libertà, della salute di questa patria, che mancando del debito vostro, a voi medesimi ed alla espettazione che s'ha di voi, dare occasione a qualche pericolosissimo scandolo, ed essere finalmente causa con gravissima vostra infamia e pericolo, con infinito danno di questa città, che dove ora a spegnere questo fuoco basta poca acqua, non sia per bastare tutta quella che è in Arno ed in Tevere e finalmente in mare.



ORATIO DIFENSORIA
 
 
Cognosco non essere conveniente, giudici, che chi si sente innocente e con la conscienzia purgata, tema o si perturbi per le accusazione false, perché debbe sperare che Dio giustissimo giudice sia suo protettore e defensore, né comporti che la verità sia suffocata dalle calunnie. Nondimeno queste cose insolite che mi si presentano innanzi agli occhi mi commuovono non mediocremente l'animo, vedendomi qui in mezzo di tanta multitudine, la quale tutta guarda me solo ed è testimone delle mie molestie; e che doppo una legge nuova, una nuova forma di cognoscere la causa ed udire le parte publicamente, io sia el primo chiamato in giudicio e riguardato da tutti quasi per esemplo, pieno di travagli abbia in pericolo tutto quello bene che ha e possa avere uno cittadino; e dove pochi mesi innanzi pareva che io avessi tanta felicità che fussi quasi invidioso agli amici, ora mi truovi sì afflitto che sia nonché altro, miserabile agli inimici. Nondimanco la speranza che io ho prima nello onnipotente Dio, che non è solito lasciare opprimere alcuno a torto, di poi, giudici, nella bontà e sapienzia vostra, mi conforta e mi sostiene, in modo che non solo tengo per certa la salute (e che altro può sperare innanzi a tali giudici uno innocente?) ma ancora mi pare che lo essere chiamato in giudicio si possa attribuire a felicità.

Migliore fortuna sarebbe stata che questi carichi e questi romori che non hanno causa o fondamento alcuno, non mi fussino sì ingiustamente andati addosso; ma poi che erano andati ed appiccati negli animi di molti, non potevo desiderare più cosa alcuna, che venire occasione che la innocenzia mia fussi cognosciuta da ognuno sì chiaramente, che nessuno ne potessi più dubitare, acciò che finalmente io apparissi al presente nel conspetto della città quello che sempre sono stato e per el passato sono apparito. Arebbelo a ogni modo fatto el tempo per se medesimo, perché come dice el proverbio, gli è padre della verità, la quale è impossibile che a lungo andare non venga in luce; ma con queste contradizione e dispute si chiarirà per modo che resterà sanza dubio più purgata e più splendiente. Però se lo accusatore mio si è mosso a questa accusazione per zelo, come lui ha detto, della republica, non posso, sendo ancora io cittadino, volergli male di questa sua buona mente; se l'ha indotto la ambizione, come e molti credevano prima, ed ora che l'hanno udito lo credono molto più, sono sforzato avere obligazione alla imprudenzia sua, poi che non ha cognosciuto che da quelle arme con che credeva offendermi ed opprimermi, io resterò difeso e sullevato, benché di lui e del fine suo io parlerò in altra parte.

Ora poi che tutto el fondamento della innocenzia mia consiste in Dio e ne' giudici, io priego prima con tutto el cuore la Divina Maestà, che quale è l'animo mio e quali sono state le mie azione, tale sia el fine di questo giudicio. Se io sono infetto di quelli peccati che io sono imputato, non recuso di essere punito come meritamente si debbe, ed essere esemplo a ognuno della severità vostra, giudici; ma se io sono innocente, che mi dia facultà di esprimere bene le ragione mie ed illumini in modo la mente de' giudici, che la autorità che questo popolo ha data loro per gastigare e' cattivi, non sia a distruzione de' buoni.

Di poi dimando a voi giudici non misericordia, non compassione, non memoria di quella benivolenzia che ho avuto con molti di voi, ma una sola cosa, ed a giudicio di ognuno molto ragionevole e molto onesta: che voi non portiate qua le sentenzie fatte in casa, ma le facciate nascere e le formiate in su questo tribunale; caviatele non dalle opinione e romori del vulgo, non dalle calunnie de' maligni, ma dalle conietture, da' testimoni, dalle pruove che vi saranno addotte in giudicio; rimoviate le impressione se alcuno n'avessi fatte, e fermiate l'animo e la intenzione come se oggi udissi una cosa di che non avessi mai sentito parlare, e con resoluzione di giudicarla non secondo che molti vanamente hanno creduto, ma secondo che maneggiandola e mettendo la mano nella piaga la vi apparirà e consterà. Così appartiene alla vostra bontà, la quale debbe essere più presto desiderosa di potere giustamente assolvere, che rigidamente condannare, o almanco non inclinata in parte alcuna; così appartiene alla vostra sapienzia, la quale debbe considerare quanto sia pernizioso alla republica che alcuno innocente sia con false calunnie, con invidiosi romori oppresso a torto; così ancora è la voluntà del popolo, el quale se bene ha creduto o crede forse ancora qualche cosa, ha però voluto che diligentemente sia cognosciuto la verità, e però non ha commesso o che io sia punito sanza essere udito, o preposto a questo giudicio uomini ignoranti e leggerissimi, ma persone di tanta prudenzia, bontà e gravità, che ha tenuto per certo che non manco abbino a sapere che a volere trovare la verità.

E certo, giudici, se in voi sarà quella attenzione ed animo che io presuppongo, vi farò facilmente cognoscere che rimosso questo velo, questa nebbia di carichi e romori falsi, questo grido che, nonché sanza causa, ma anche sanza colore mi è andato addosso, non fu mai chiamato in giudicio alcuno con più debole, con più leggiere calunnie; nessuno fu mai assoluto con più aperti, con più saldi, con più giusti fondamenti. Però sono certo che udendo le mie giustificazione vi verrà non solo compassione di me, che sanza alcuna causa sia stato così iniquamente sottoposto alle lingue de' maligni, così ingiustamente lacerato da ognuno, ma nel caso mio considerrete el vostro e quello di ognuno, perché quello che sanza alcuna causa e sanza alcuno colore è intervenuto a me, può intervenire ogni dì a voi ed a ognuno.

Così è in facultà della invidia e della malignità fingere e divulgare uno peccato di uno altro innocente, come contro alla verità ha fatto e divulgato di me; così in potestà dello errore e della ignoranzia credere vanamente nel caso di uno altro, quello che ha creduto nel mio. Anzi sono molti sottoposti più a questo pericolo che non ero io, perché avendo io già molti anni fatto in tanti modi ed in tanti luoghi esperienzia di me, ed essendo non per una esperienzia sola di uno di, ma per molte, e per el corso di molti anni risonato in questa città tale odore della integrità e delle altre qualità mie, che per parlare modestamente né io né la casa mia aveva da vergognare, pareva poco credibile che facilmente potessi nascere di me romore contrario, manco credibile che facilmente si avessi a credere, e scancellare così facilmente una opinione già confermata ed invecchiata. Nondimeno se con uno grido di uno dì si è dimenticato ogni cosa e creduto in una ora sola el contrario di quello che era stato creduto tanti anni, quanto più n'hanno a temere coloro che insino a ora non hanno avuto occasione di mostrare quello che sono, e della virtù de' quali s'ha più presto speranza che se ne sia veduto esperienza, ed in chi uno romore falso che nascessi non arà a combattere con opinione o memoria delle azione ed opere passate, ma non trovando ostaculo si apiccherà più facilmente e con più fondamento, ed essendo più fondato, sarà più difficile a spegnere o sbarbare. Nella causa mia adunche e nel pericolo mio si tratta la causa ed el pericolo di molti, perché a tutti può accadere el medesimo che a me, a molti ancora più facilmente che a me: però quella bontà e quella prudenzia vostra, giudici, che è debita in questo giudicio a me solo, mi debbe tanto più volentieri essere prestata da voi, quanto più cognoscete che quella salute che voi darete a me, con ragione potrà essere utilità vostra e di tutti, quello male che voi mi facessi a torto potrebbe a qualche tempo nuocere con lo esempio a voi ed a tutti.

Sia adunche el fondamento principale della difesa mia quello che è verissimo, quello che è giustissimo, quello che non può avere alcuna replica o contradizione: che in questo giudicio non si attendino e' carichi, non si attendino e' romori, non si giudichi la causa col grido ma si cerchi la verità; odinsi diligentemente e' testimoni, pesinsi le pruove, considerinsi bene le conietture; concesso questo, che nessuno, mi si può negare, sono già assoluto, sono liberato. Né io, giudici, fo instanzia che voi già fermiate nello animo vostro che questi romori siano falsi, che siano contrari alla verità; non vi dimando questo, se bene quando io lo dimandassi, non dimanderei forse cosa troppo inconveniente: perché che ingiustizia sarebbe, che essendo in su una bilancia da uno canto le cose fatte da me per el passato, la esperienzia di tanti anni, e quello che lungamente voi ed ognuno ha inteso e creduto di me: da altro niente, eccetto una opinione in aria durata quattro dì, uno romore incerto sanza origine, sanza autore, sanza verisimilitudine alcuna; che ingiustizia, dico, sarebbe, se con uno fondamento fermo, certo e paragonato, si ributtassi una vanità di uno grido che non ha né verità né colore? Ma io non dimando questo, non voglio che le cose mie procedino con sì buona condizione, non che mi giovi le fatiche, el sudore e pericoli di tanti anni, non che voi abbiate memoria alcuna di quello che per el passato avete veduto e creduto me; bastami, contentami, ho per grandissima felicità, che stiate con la opinione vostra sospesi, stiate neutrali, parati a credere che e' carichi siano veri, se con le pruove e con la chiarezza, e non col grido, si mostrerrà che siano veri; parati ancora a credere che siano falsi, se con la verità, con la ragione si mostrerrà che siano falsi.

E perché tutto el fondamento della causa, tutta la difesa mia consiste qui, e fermato bene questo, è remosso ogni difficultà, ogni disputa, io, se non mi confidassi interamente nella sapienzia vostra, mi ci affaticherei più, mi distenderei più, allegherei molti esempli per e' quali saresti capaci non solo voi che sanza questo siate, ma ancora tutto questo popolo, né manco che gli altri, quegli che hanno creduto più che gli altri, che quello che ora è intervenuto a me di essere calunniato falsamente, è in ogni tempo ed in questa città, come nelle altre, intervenuto a infiniti uomini di grandissima virtù e bontà, e che erano lo specchio ed omamento delle loro patrie; anzi pare che questa, o invidia o fortuna che la sia, percuota più spesso e più volentieri chi manco lo merita, che gli altri; e quello che in ogni tempo è accaduto a tanti e che ora accade a me, può facilmente in futuro accadere a tutti gli altri.

Direi che Roma non ebbe mai né el più utile né el più savio cittadino che Fabio Massimo che con la prudenzia sua e col sapersi temporeggiare raffrenò el corso delle vittorie di Annibale; nondimeno quando era più utile alla republica, ebbe tanto carico di tenere quelli modi co' quali salvava la città, che fu creduto dal popolo che fussi d'accordo con Annibale, e venne in tanta infamia che alla dittatura gli fu dato uno compagno, cosa che né prima né poi non fu mai fatta a Roma; ma non mancò la verità del solito suo, perché poco poi furono cognosciuti e' sua meriti e confessato da ognuno che da lui solo s'aveva a ricognoscere la salute della città.

Ardirò dire che non solo in Atene che fu sì savia e sì famosa città, ma che anche in nessuna altra republica non fu mai el più degno né el più glorioso cittadino di Pericle; perché non con forze, non con fazione, né con alcuna corruttela governò trenta anni quella città che era libera, con la autorità sola e riputazione della virtù; e nondimeno perché nella guerra contro a' Lacedemòni, di che lui era stato consigliatore, seguì qualche disordine, fu con grandissimi carichi e romori deposto dal popolo del governo; benché poco poi accortisi del torto fatto a lui e del danno fatto a sé, lo restituirono maggiore che prima.

Né mi mancherebbono anche esempli nella nostra città, e quello che è più nella famiglia nostra medesima. Messer Giovanni Guicciardini, essendo commissario del campo nostro nello assedio di Lucca, ed essendo el campo nostro sforzato a ritirarsi, fu sanza fondamento alcuno infamato d'avere avuto danari da' lucchesi, di che fu accusato innanzi a' rettori della città, e se bene gli fussi spinto adosso da Cosimo de' Medici che allora aspirava alla grandezza, prevalse la innocenzia sua ed onorevolissima. mente fu assoluto da' giudici, e cognosciuto da ognuno quello che era. Ricordomi io ancora quasi fanciullo levarsi uno grido adosso a Piero Soderini, che andò tanto innanzi che insino allo uscio di casa gli furono dipinti molti improperi; nondimeno perché non aveva fondamento cadde da se medesimo in terra in capo di poche settimane, e lui, innanzi che passassi uno anno, fu fatto con grandissimo favore gonfaloniere a vita.

Potrei allegare questi ed infiniti altri esempli, ma è superfluo, giudici, alla sapienzia vostra la quale per se medesima è capacissima che altra cosa è una calunnia, altra una imputazione vera. Questa ha principio, ha autore certo, ha chiarezza, ha particulari de' modi e de' tempi; vedesi la origine sua, vedesi el progresso, veggonsi e'mezzi, non si può tanto occultare che si spenga, non tanto negare che non appaia, e quanto più va innanzi col tempo, tanto più si fonda e si ferma; quella non ha capo, non ha principio alcuno certo, non si vede la fonte, né si sa lo autore; è varia e confusa, non distingue tempi, non modi; non sa dire altro che dire: ha rubato; dimandato che, come o quando, tanto ne sa uno quanto uno che venga di Egitto; quanto più si cerca manco si truova; quanto più si vuole scuoprire tanto più diventa incerta; el tempo da se stesso la consuma e la riduce in termine che alla fine chi l'ha creduta si vergogna di se medesimo d'averla creduta. Vediamo ora di che sorte è la nostra, e giudicate, giudici, se io sono degno di odio o se io merito compassione.

È el primo capo della accusazione che io ho rubato somma infinita di danari, e per potergli rubare, ho concesso a' soldati nostri a sacco questo paese: peccato sanza dubio sì grande, sì enorme e sì orribile che tutte le arte di che è stata piena la orazione dello accusatore, tutte le esclamazione che ha fatto, ancora che siano state sì veementi e terribile, non sarebbono bastate a dimostrare una minima parte della gravezza sua. Ma non si può ragionare della pena se prima non si cognosca del delitto; s'aveva prima a chiarire questo, prima a dichiarare el verbo principale, poi a parlare degli accessori, e spargere quella vena di eloquenzia, la quale ti è parso non potere fare meglio cognoscere che col pigliare una accusazione falsa, perché le vere sa mostrare ognuno anzi si sostengono da se medesime, né hanno bisogno dello ingegno o lingua dello oratore; benché più laudabile era cercare di mostrare alla patria prudenzia o bontà che artificio di parlare; mostrare che tanti anni che tu hai studiato e Cicerone e filosofi, avessi imparato che la patria ha bisogno di cittadini buoni, amorevoli e gravi, non di ornati parlatori, e' quali o non mai gli sono utili, o almanco sempre gli sono dannosi, se non hanno congiunta la prudenzia e gravità con la eloquenzia. Ed in che consiste più la prudenzia di uno accusatore, che in sapere eleggere reo che difficilmente possa essere assoluto, non uno che non possi essere condannato? In che consiste più la gravità, che nel fondarsi in cose solide, pesate e certe e vere, non in argomentuzzi ed in cavillazioncelle, che da lontano paiono poco, da presso e quanto più le strigni si risolvono in fummo?

Ha chiamato per testimonio uno esercito intero; credetti vedere questa piazza piena di arme e di cavalli; ebbi, io lo confesso, paura, perché ora che sono così abietto, così percosso dalla fortuna, con difficultà combatto con uno, non che io potessi difendermi da uno esercito. Ma dove è questo esercito? Volessi Dio che così fussino tutti gli eserciti! Non aremo mai paura di guerre o di inimici; perché questo non si vede, non si sente, non fa né male né paura a persona; è simile alle nostre calunnie, che chi le ode da altri, crede siano qualche cosa grande, ma ognuno che se gli accosta vede che sono non nulla. Così, tante migliaia di uomini, tanti capitani, tanti signori, tante legioni, si riducono a quattro, sei testimoni, e' quali dimandati diligentemente quello che dicono, diranno alla fine loro medesimi che non sanno quello che si dicono. Non voglio recusarli, come giustamente potrei, perché sono tutte persone che, come hanno detto loro medesimi, patirono gravi danni nei transito ed alloggiamenti di quelle gente, né potendo valersi contra di chi gli ha danneggiati, cercano sfogarsi dove possono.

E chi non sa quanto le cose de' testimoni sono tenere ne' giudici, quanto bisogna avvertirvi, quanto debbono essere non solo tali che in loro non apparisca causa alcuna di grave passione, ma ancora tali che non si possa conietturare una minima scintilla di qualunque leggiere sdegnuzzo? Perché poi che dal detto loro ha dependere cosa sì grande quanta è la condannazione di uno uomo, arebbono volentieri le legge ordinato che non si stessi a detto d'uomini, sapendo quanto sono communemente corruttibili, e potendo dubitare che se bene non apparisca causa di corruzione, pure che segretamente la vi fussi; ma poi che per difficultà di provare le cose altrimenti, è stato necessario ammettere e' testimoni ne' giudici, hanno voluto le legge obidire alla necessità, ma non dimenticarsi el sospetto, e però hanno escluso el testimone ogni volta che si possa conietturare causa alcuna per la quale possino avere passione, benché leggiere, nel negocio che si tratta.

Se adunche io facessi instanzia che a questi testimoni che dicono avere patito gravi danni, non si credessi, che non si tenessi conto alcuno del detto loro, né e' giudici lo negherebbono, né questa moltitudine se ne maraviglierebbe, né tu sapresti che dire in contrario. Ma vedi quanto io procedo alla piana, quanto io confido nella verità, quanto io non fo altro fondamento che della innocenzia mia: non oppongo a questi tuoi testimoni né questo né altro che si potessi opporre; non gli rifiuto; presto loro quella medesima fede che tu, anzi gli metto in migliore grado; che dove tu gli hai prodotti per soldati, io sono contento che questi giudici gli accettino per vangelisti, perché non so se el detto loro è vero o falso, ma so bene che non mi nuoce; ed a te forse pare che io t'abbia fatto una grazia grande, a me pare averti donato non nulla.

Che dicono questi benedetti testimoni? Dicono che quando si facevano quelli danni, udirono dire a molti fanti, (forse che hanno allegato capitani? o almanco avessino allegato uomini d'arme!) udirono, dico, dire a molti fanti, mentre che erano ripresi del rubare, che rubavano perché non erano pagati, e messer Francesco aveva dato loro licenzia che rubassino; questo ridotto atto è el sugo di tutto questo esamine. O bello testificato, o pruove concludente, o testimoni da averne paura! Non si sa chi siano questi fanti, non di che compagnie; non so se erano fanti pagati ordinariamente, o pure venturieri mescolati tralle compagnie, come sempre ne concorre infiniti drieto agli eserciti; e noi vogliamo avergli per testimoni, stare a detto di loro soli in una causa di tanta importanza, di tanto interesse?

Vogliono le legge che in ogni causa benché minima si sappino e' nomi de' testimoni, la patria, la origine, la vita, le dependenzie, acciò che si possino interrogare, si possi ricercare se hanno passione alcuna, si sappino e' portamenti loro; perché a quegli che sono di mala fama, di mala vita, non si dà fede, e si crede che chi è poco circunspetto nel fare, sia ancora manco avvertito nel dire; vogliono, quando sono ancora integri da ogni parte, che abbino a dire quello che ne sappino, allegare particularmente tutto quello che hanno inteso, che hanno veduto, che è stato loro detto, dove, come, quando e da chi; che abbino a dire tanti particulari, che la cosa quasi da se stessa si metta in luce e si tocchi con mano; e noi crederreno a testimoni incogniti, a testimoni di poca condizione, a spadaccini, a ruffiani, testimoni usi a dire più bestemmie che parole, e quello che è più, a testimoni ladri, a testimoni trovati in sul furto?

Non dicono questi testimoni che tu hai prodotti, a' quali io presto fede e non derogo loro niente, avere udito così rispondere da questi soldati quando erano ripresi delle loro ruberie? Dunche s'hanno a credere a uno che ruba le cose, che dice per coprirsi, a uno che si truova col furto in mano? Non si impiccherebbe mai nessuno ladro. Che volevi tu che dicessino: noi rubiamo perché siamo di mala natura, perché noi siamo ladri, perché non facemo mai altra arte? O quale è quella moglie che trovata col compagno addosso non sappia trovare qualche scusa; chi è quello ladro che confessi mai alla prima el furto quando è prigione ed è alla corda, nonché quando è libero per le piazze? E che scusa potevano allegare altro che questa, che è sola ed unica de' soldati che rubano in terra degli amici, perché non ci è legge, né ragione, né consuetudine militare che lo permetta, se non el non essere pagati?

Non dicono che messer Francesco l'abbia detto loro lui, non averlo inteso da lui, non cosa alcuna che sappino che gli abbia dato questa licenzia o commissione; e se e' primi e migliori uomini di questa città testificassino a questo modo, non sarebbe sì piccolo giudice che non se ne ridessi, non procuratore o avvocato che gli volessi leggere, e che non gli paressi avere gittato via el tempo e la spesa a farlo esaminare. Ma perché consumo io tante parole in una cosa sì manifesta? E perché vo io cercando di generare fastidio dove ho bisogno di generare attenzione? Se adunche questi testimoni per loro medesimi non vagliono nulla, se non pruovano nulla, se da sé soli sono ridiculi, quali sono le conietture o aiuti estrinsechi che gli sostenghino e faccino empiere el detto loro?

Sogliono coloro che governano le cause, quando bene si truovino gagliardi di testimoni, cercare di aiutare el fondamento suo o con scritture o con qualche altro lume, almanco con qualche coniettura; il che se fanno quegli che co' testimoni soli possono vincere, quanto più lo debbono fare coloro che hanno e' testimoni deboli, e molto più come ha el nostro accusatore che non ha nessuno! Perché tanto è avere testimoni che non pruovino, quanto è non ne avere nessuno. Ma dove sono in questa causa? Non solo non ce n'è nessuna, ma non ne è pure stata allegata nessuna, non pare pure che vi sia stato pensato. Direno che proceda [da] imperizia dello accusatore? Non sarebbe forse maraviglia, perché altro è leggere Prisciano o Aristotele, altro è trattare una causa; ma non è questo, giudici, non è questo; perché ha pure imparato tanto che saprebbe pure governare in una causa in volgare; e quello che da se medesimo non avessi cognosciuto, crediate a me, non gli è mancato maestri, non gli è mancato con chi consultare, e di quegli della professione mia, e' quali io non nomino per avere più rispetto loro, che non hanno essi a me.

Non sono ancora in tanta compassione che manchi chi mi perseguiti; non manca chi, non saziato di vedermi afflitto nel conspetto degli uomini, di vedermi avere bisogno di coloro che solevano avere bisogno di me, desideri el sangue mio, desideri vedere l'ultima ruina mia, desideri vedermi esemplo di tutte le calamità e miserie. Misero a me, che ho io fatto loro? Non gli ho già mai offesi, non gli ho provocati; se è invidia, sono pure oramai ridotto in grado che doverrebbe succedere la compassione, e come è scambiata la fortuna mia, così doverrebbe essere scambiati gli affetti degli uomini verso di me. Ma la non va così: è in loro quella medesima sete di spegnermi e di estirparmi, che era già di abbassarmi; però non sono mancati allo accusatore né consigli, né ricordi, né suggestione.

Se potessino mostrare qualche spesa grossa fatta da me, che facessi fede al furto, crediate che a questa ora l'arebbono mostra; se altra coniettura, indizio o parola, non sono stati negligenti a cercarla, non sarebbono mancati di diligenzia a dedurla. Se nella vita mia avessino trovato note di furti, di rapine o di avarizia l'arebbono allegate; cercato con le cose passate fare ombra alle presente, e meritamente, perché quale è stata la vita di uno per el passato, tale si debbe credere che sia di presente, e come difficilmente si può credere che uno che sia stato sempre buono cominci di subito a diventare malo, così è mai verisimile che chi ha fatto abito nel male se ne astenga quando n'ha occasione. Non si allegano dunche queste cose, perché non ci sono; non ci sono testimoni, non scritture, non chiarezze non lume alcuno, non pure conietture mediocre, non pure leggiere, non tale che abbino, nonché altro, ardire di allegarle; tutto è fondato in su' romori, in su' gridi, e' quali voi avete già ributtati, a' quali siate già deliberati di non dovere né potere credere. Però in quanto a questo capo io ho satisfatto alla difesa, perché non è provato, non pure aombrato el furto; e chi non sa che non solo nelle cause criminali, ma in una differenzia di tre quattrini, se chi dimanda, chi fa instanzia non pruova, che el giudice non ha a fare altro che assolvere?

Posso adunche passare agli altri capi della accusazione, perché tra molte difese che ha chi è chiamato in giudicio, nessuna è più facile, più ferma, più espedita, e che più serri la bocca allo accusatore, più tolga fatica al giudice, che potere dire el reo: e' non è provata la intenzione.

E certo se el primo dì che io fui chiamato in giudicio, anzi per dire meglio el dì medesimo che fu publicata la elezione de' giudici, vedendogli io di tale qualità che nessuno innocente poteva desiderarli migliori, io non mi fussi proposto nello animo maggiore fine che la assoluzione, e di salvarmi dalla rabbia degli inimìci miei, io starei contento a questo né cercherei più oltre, e mi parrebbe assai, se non provato buono, non essere chiarito cattivo. Ma perché da quello dì in qua ho sempre sperato non tanto avere a essere assoluto, quanto essere assoluto in modo che tutta la città, tutti coloro che hanno creduto el male toccassino con mano el bene, ed essere restituito a quella buona opinione che già tutto questo popolo per sua bontà ebbe di me, non mi basta quello che è fatto insino a qui, voglio procedere più oltre, voglio fare io quello che toccava a fare allo accusatore, voglio provare, voglio chiarirvi che io non ho rubato, né ho potuto rubare e' vostri danari; né recuso di essere, se io non lo pruovo, condannato come doverrei essere se lo avversario avessi provato lui: condizione tanto insolita, tanto dura che bisogna o che voi mi tegnate pazzo, o che voi cominciate a credere che io sia innocente. Né basterebbe che io fussi pazzo di una pazzia mediocre, ma di quella forte di quegli che gettano el pane non che le prietre, poi che trovandomi assoluto cercassi di ritornare in pericolo sanza proposito; e quello che è più, non solo mi obligo a provarlo, ma a provarlo con ogni spezie di pruove che soglia ammettersi ne' giudici, con conietture potentissime, con testimoni, con scritture. Il che se io farò, o cittadini, non vi prego altro, non vi dimando altra grazia, se non che si cancelli la mala opinione che a questi mesi avete avuto di me, che più sia creduta la verità che e' carichi, che la invidia che m'ha tanto percosso diventi compassione, ma vegnamo allo effetto.

Mi persuado che ognuno di voi, giudici, ognuno di questi cittadini abbia opinione e creda, o che non sia vero che io abbia dato licenzia a' soldati che saccheggino el contado, o che se questo è vero, che la causa sia stata che, avendo io voluto rubare le paghe, mi sia bisognato pascere e' soldati con questo altro modo; e però se e' non è vero che io abbia rubato e' vostri danari, che non sia anche vero che io abbia fatto saccheggiare el contado, perché questo è causato e depende da quello, e provandovi che io non ho rubato, confesserete tutti d'accordo che io non vi ho fatto saccheggiare. Non dite voi questo medesimo? Ma che bisogna dimandarne voi che non darete mai se non risposte vere, piene di gravità e di prudenzia? Non l'ha detto lo accusatore medesimo, non l'hanno detto e'suoi soldati, che per non gli pagare io davo loro questa licenzia? Ma quando non l'avessi detto, non lo dice la ragione da se medesima? Perché gli uomini non si mettono mai a fare male se non o per utilità o per piacere. A me, se io pagavo e' soldati come se non rubassino, che utilità era fargli rubare, che piacere, che contento, che satisfazione di animo? Anzi in contrario molestie, querele, romori, carichi, inimicizie della sorte che voi vedete. Sogliono gli altri quando rubano cercare che si dia la colpa a altri: io arei de' furti di altri cercato di avere la colpa io; gli altri quando sono tristi fanno ogni cosa per parere buoni: io essendo buono arei fatto ogni cosa per parere tristo. Siamo adunche tutti d'accordo che se io non ho rubato le paghe, non ho anche fatto saccheggiare el contado. Veggiamo se ho rubato queste paghe.

Sempre, giudici e cittadini, (io parlo ora anche a' cittadini perché quello che io cerco, per che mi affatico ora, cioè di recuperare la buona fama, l'ho avere communemente da tutti; quello che era proprio de' giudici, cioè essere assoluto, l'ho già avuto, l'ho conseguito abastanza) sempre dico, quando si propone uno delitto di uno, la prima cosa che si apresenta all'animo degli auditori, innanzi si sentino pruove o testimoni, è el pensare se quello che si dice è verisimile o no; se è verisimile, si comincia a aprire una via che fa facilmente parere maggiore e più vere le chiarezze che si allegano; e pel contrario se non è verisimile, bisogna bene che e' testimoni siano degni di fede, bisogna bene che pruovino concludentemente, che le scritture siano chiare, perché è cosa molto naturale che malvolentieri si può credere che una cosa sia, se non è verisimile o ragionevole che la sia. Però ne' giudìci criminali si dura fatica assai circa le conietture, e quando sono gagliarde, le sono di tanto peso, che bene spesso si dà loro più fede che a' testimoni, perché e' testimoni possono facilmente essere appassionati o corrotti, ma la natura delle cose è sincera ed uniforme e non può essere variata; e se e' verisimili hanno tanta forza dove sono testimoni che pruovano, quanta ne debbono avere nel caso nostro che non è provato nulla? E tra tutte le conietture una delle più potente fu sempre ed è la vita passata dello imputato, e' portamenti suoi, la sua consuetudine del vivere, perché in dubio si crede che ognuno sia di quella medesima natura, di quella medesima qualità che è stato per el passato.

Cognosco, giudici, quanta difficultà abbia questo ragionamento, perché come naturalmente gli uomini pare che piglino uno certo piacere quando sentono dire male di altri, così pare che offenda gli orecchi quando sentono che uno dice bene di se medesimo; nondimeno poi che lo accusatore m'ha voluto fare ladro, la necessità mi sforza a dire tutte quelle cose che mostrano che io non sia ladro; delle quali se alcuna è che vi dia fastidio, non dovete attribuirlo a me che sono necessitato a dirle, ma volerne male a chi per malignità è stato causa di mettermi in questa necessità. Di poi non è laude dell'uomo avere quelle cose delle quali se ne mancassi gli sarebbe vizio; lo essere netto non è tanto laudabile perché el non essere netto è vizio, quanto in chi fussi altrimenti sarebbe biasimevole. Sarà più presto scusarsi che laudarsi; sarebbe laude se io dicessi di essere ingegnoso, di essere prudente, di essere eloquente, perché anche chi non ha questa parte, non può essere biasimato, non essendo in sua potestà, ma doni della natura.

Io non voglio, giudici, raccontare quale fussi la vita mia innanzi che io andassi al governo di Modena, perché lo accusatore medesimo n'ha fatto fede, confessando che non sanza cagione fui così giovane eletto dagli ottanta imbasciadore in Spagna; e credo pure che sia nella memoria di qualcuno, che non ostante che lo esercizio mio sia odioso e sottoposto alle calunnie, la fu sempre di sorte che non fu mai giudicato che né di modestia né di bontà io non fussi degenerato da mio padre, e' costumi e la integrità de' quali furono sempre tali che lo accusatore me n'ha più volte voluto fare carico; dove io spero che la mi abbia a fare grazia a favore, e che e' meriti e la memoria sua m'abbia a giovare, quando apparirà che né lui se vivessi si pentirebbe d'avermi per figliuolo. Ma io non insisto in questi tempi perché si potrebbe forse dire che avevo poca occasione di fare male ed assai rispetto, essendo negli occhi della patria e di tutti e' cittadini, a' quali chi non ha desiderio di satisfare, si può bene dire che sia sanza gusto e sanza ingegno. Parliamo de' luoghi dove cessano queste obiezione, ancora che in Firenze ed in quella professione non mancano de' cattivi.

Andai di 33 anni al governo di Modena con quella autorità e forse maggiore che ha detto lo accusatore, perché né alle amministrazione mie fu mai riveduto conto, né alle sentenzie dato appello; trovai una città piena di parte, piena di sangue, conquassata per tutti e' versi, in modo che e la grandezza della autorità e la condizione della città mi dava infinita occasione di rubare, massime che, come ancora ha detto lui, non si vive in quelli paesi come qua, perché non vi è republica, non si tiene conto del giudicio degli uomini, ognuno non attende a altro che al profitto suo particulare, sono soliti insomma a vendere e comperare ogni cosa. A Modena mi fu poco poi aggiunto el governo di Reggio, all'uno e l'altro quello di Parma. Andai commessario generale in campo con pienissima potestà; ebbi poi la presidenzia di Romagna, e tutte in modo che ognuno vedeva che tutto era rimesso a me, e che quanto allo effetto io non avevo superiore.

Che credete voi adunche che in tanto tempo, in tante città, in città tanto ricche, in città piene di parte, che erano state lunghissimo tempo sanza giustizia, dove erano infinite cognizione di cose criminali, infinite confiscazione, dove solo avevo autorità di condannare, di bandire, di fare grazie, di fare composizione di qualunque sorte; che credete, dico, se io avessi voluto rubare, che fussi quello che io arei potuto? Non ha, sappiatelo certo né peso né misura; sarebbe bene tanto che io mi potrei ridere degli uficiali del balzello, dove ora, così mi aiuti Dio, è el maggiore pensiero che io abbia. Furono più le volte che mi furono offerti mille, tremila, quattro, cinquemila ducati per campare la vita a qualcuno che meritava la morte, che non sono state le bugie che ha oggi detto lo accusatore, che non sono però state né otto né dieci; vi vissi in modo e vi detti tanto odore di non essere parziale e di avere le mani nette, che e' superiori feciono a gara di darmi, sanza che mai io ne dimandassi alcuno, l'uno governo addosso all'altro; ed in tutte le calunnie, che qualche volta vere e bene spesso false, si dànno a chi governa, massime tanto tempo e con tanta libertà, non fu mai uomo che avessi ardire di dire che io avessi pure uno quattrino di quello di persona.

Ecco qua e' brievi di tre pontefici: guardate se è ancora più onorevole e più ampio quello di Adriano che gli altri; leggete le lettere che quelle tre comunità, Parma, Reggio e Modena, scrissono tante volte a dimandarmi per governatore a Adriano con tanta efficacia; che dicono altro se non che la salute di quelle città consiste nell'avermi per governatore? Ecco qua e' partiti e le elezione degli imbasciadori mandati a dimandare questo medesimo: non sono cose fatte ora, non fede mendicate con favore di conti, che tutti, perché io gli tenevo bassi e non gli lasciavo opprimere e' popoli come erano soliti prima, mi erano inimicissimi; ma sono le città intere in tempo che si trattava della maggiore importanza che abbino, perché la salute e ruina loro consiste totalmente dalle qualità de' governatori; in tempo che per avergli governati lungamente mi potevano cognoscere, in tempo che nessuno poteva credere che io avessi luogo apresso a uno pontefice nuovo, che non m'aveva mai veduto né udito nominare, che non solo m'aveva a cassare per volere instrumenti nuovi come fanno tutti gli altri, ma più particularmente per essere io dependente dal cardinale de' Medici, quale lui batteva allora con tutti e' modi e che era in tanto disfavore che non ardiva stare a Roma.

E nondimeno, udito el testimonio di tante città, la fama ed el grido universale che gli risonò negli orecchi, non solo mi confermò el governo di Parma, ma mi restituì Modena e Reggio, donde el Collegio e la insolenzia del signor Alberto e del conte Guido Rangone m'avevano levato: affermando restituirmeli non per essere io antico ministro suo, non per cognoscermi amico delle tirannide, ma per e' meriti miei, per avere governato eccellentemente quelle città, per cognoscermi integerrimo. Ecco qua e' brievi scritti con molto più onorevole e magnifiche parole che per modestia non dico; questi sono e' miei testimoni, non saccomanni, non fantaccini incogniti, bestemmiatori ed assassini. Che allegrezze credete voi, giudici, che fussino quando arrivorono questi brievi in quelle tre città? Che concorso universale, che romore di campane, che fuochi, che artiglierie? Pareva che ognuno fussi rinato.

Ecco qua e' testimoni: tanti vostri cittadini, tanti vostri mercatanti che passando per Lombardia hanno tutti veduto e sentito queste cose. Vedete quello dicono, quello che dicono questi altri che sono stati in Romagna, questi che fanno tuttodì faccende con romagnuoli; né solo udite quelle che dicono ora, ma so che ognuno di voi si ricorda che allora non si parlava di altro che della nettezza mia, della buona fama che avevo ne' governi, della giustizia grande che io facevo. Le quali cose quando mi tornavano a orecchi, che pure le sentivo spesso, era, Dio mi sia testimonio, maggiore sanza comparazione el piacere che io avevo d'avere tra voi buono nome, che di quanti onori ed utili io vi avevo. E nondimeno, meschino a me, io non posso parlare per dolore; meschino a me, avevo a essere tenuto nella patria mia ladro publico, avevo a essere tenuto assassino, avevo a essere tenuto saccheggiatore e distruttore di questo paese. O speranze degli uomini fallace, o pensieri incerti, o disegni fondati in su la nebbia! Quante volte pensai da me medesimo: io tornerò in Firenze finiti che saranno e' governi, che so che hanno a finire, tornerò con facultà che basteranno al grado mio, ma molto più ricco di buono nome che di roba; non si spegnerà mai la opinione della bontà e della integrità mia, viverò felice con questa conscienzia mia, con questo buono concetto degli uomini; questo solo basterà a tenermi contento più che altro cittadino da Firenze.

E nondimeno quanto sono io restato ingannato! Quando la nave era condotta in luogo che vedeva el porto, quando credevo cominciare a godere questo frutto di tante fatiche, di tanti pericoli, di tanti anni che mi sono strascinato, che ho stentato, che Dio sa se ebbi mai uno dì di riposo, quando credevo potere vivere riposato e consolato, ogni cosa mi è tornata vana, mi sono trovato con le mani piene di fummo. Se io avessi perduto la roba, se io avessi perduto e' figliuoli, se avessi perduto la patria, non mi dorrebbe la metà; ma troppo mi pare strano, troppo mi pare ingiusto, troppo mi pare disonesto che in sullo uscio della patria mia mi sia caduto quello buono nome, che per condurci avevo rifiutato più oro, più oro che non pesa quello gigante. Dio che cognosce el cuore degli uomini, a chi non è occulto nulla, sa se io dico la verità; nel quale se io non sperassi, credo mi pentirei di tutto el bene che io ho mai fatto, di tutto el male che io ho potuto fare [e] non ho fatto; ma voglio sperare in Lui: forse ha permesso questo a qualche buono fine acciò che io non mi lievi in superbia, acciò che io ricognosca ogni bene da Lui e non da me. Sono contento alla voluntà sua, ma lo prego bene con tutto el cuore che voglia che la verità abbia el luogo suo, e che finalmente torni di me in quella buona opinione che già soleva avere. Ma seguitiamo el parlare nostro.

Vedete di che qualità io sono stato ne' governi e con quanta nettezza e buono nome io sono vivuto; e se io sono stato così in città forestiere, dove sapevo non avere a vivere continuamente, e dove l'avere grazia e viva fama, subito che io ne fussi partito, non importava nulla, che si debbe credere che io sia stato quando ho maneggiato le cose vostre? Che conto è verisimile che io abbia tenuto di essere in buono concetto apresso a voi con chi avevo a vivere, e dove se bene avessi avuto mille sicurtà di non potere essere mai accusato, lo essere in buona opinione per infiniti rispetti mi importava assai, e pel contrario l'averla cattiva mi poteva fare grandissimi danni? Arò tenuto più conto di quegli che non avevo mai più a rivedere, e che non mi potevano né giovare né nuocere, che di coloro negli occhi di chi avevo a essere ogni dì, e da chi alla fine aveva a dependere la maggiore parte del mio bene e del mio male?

Andai in Lombardia giovane, povero, e fu la prima occasione che io ebbi mai di rubare: né la facilità della età né el bisogno non bastò a corrompermi; ed ora di età di più di quaranta anni, quando ho già fatto abito di resistere tante volte alle corruttele, quando ho facultà non quante è la opinione degli uomini, ma quante bastano a uno animo modesto ed a vivere in questa città, arò cominciato a rubare? Arei potuto farlo allora con minore perdita, perché non essendo ancora esperimentato in questa spezie di cose, non avevo nome di incorruttibile; ed ora che avevo acquistato uno nome che, io non so del giudicio degli altri, ma al mio valeva più che ogni tesoro, non arò fatto capitale di conservarmelo? Sarò stato astinente ne' luoghi dove per essere spesso governatori rapaci non si fa così romore di ogni cosa, ed arò provato a diventare ladro dove non solo di uno furto grossissimo ed infinito come è questo, ma di ogni piccola quantità si fa grossissimo romore? Sarommi guardato da usurpare privati di città suddite che non hanno né tanta autorità di esclamare, né tanta fede di essere creduti, per saccheggiare una republica potente come questa, la quale avessi modo di risentirsene e facultà di punirmi?

Le rapine ne' governi, se fussino state con dispiacere degli oppressi, erano anche con satisfazione di coloro per conto di chi si faceva la ingiustizia, ed io non sono voluto essere ladro con displicenzia di qualcuno, per rubare poi con danno di ognuno; quivi di quello che io avessi rubato sarebbe bene alla fine andata la fama, ma non si sarebbe potuto provare, perché sono cose che si fanno occultamente e non hanno testimoni né ripruove; ed io mi sarei difeso da quello per fare uno furto che apparirebbe in mille modi né si potrebbe nascondere? È detto e creduto quando non fu mai fatto: pensate quello che sarebbe se fussi fatto. Arei finalmente, se volevo rubare, perduta la occasione di undici anni, dove solo potevo valermi, per aspettare doppo tanto tempo una commodità incerta se aveva a venire e sottoposta a mille difficultà, e dove almeno sanza la compagnia di altri non potevo rubare? Perché lui medesimo confessa che bisognava el consenso di Alessandro del Caccia.

Vedete, giudici, quanto la cosa apparisce da se stessa; vedete, giudici, se tutte le conietture, tutte le ragione ripugnano: se questo caso fussi narrato qua sanza nominare le persone, come caso di qualche provincia lontana, e fussi dimandati tutti la vostra opinione, diresti non solo non essere verisimile, ma non essere possibile che chi giovane, povero, in grandissima licenzia, in patrie forestieri delle quali non aveva a tenere conto, si fussi astenuto per tanti anni da furti privati che poteva negare se non celare, ed e' quali non erano con dispiacere di tutti; in età provetta, in facultà buone, avessi cominciato a rubare nella patria sua, dove aveva a vivere e che aveva autorità di punirlo con odio infinito di ognuno, sanza speranza di potergli nascondere. Non potresti rispondere né credere altrimenti; dunque bisogna che el medesimo diciate e crediate di me, se la impressione fatta prima non vi occupa el giudicio, se volete giudicare con la verità non co' gridi: però di nuovo vi priego che abbiate lo animo vacuo, né crediate se non quello che trovate, quello che vi si pruova e vi si mostra. Sono stato netto tanti anni, astenutomi da' furti piccoli, da' mediocri, per diventare in uno momento sceleratissimo? Non è questo secondo la natura delle cose, né può essere: nessuno, dice el proverbio antico, diventa in uno tratto tristissimo; sono scale che si salgono a scaglioni, si comincia, prima si augumenta, poi si conferma; così fu sempre fatto el mondo per gli altri, così s'ha a credere a me. Immaginatemi ladro quanto voi volete, quanto ha detto lo accusatore; non sono però stato d'altra natura, né proceduto altrimenti che abbino solito a' fare gli altri ladri; quello s'ha a credere che è verisimile che si può credere, non quello che aborrisce dal senso di ognuno, che è contro alla consuetudine, contro allo ordine e contro al naturale di tutte le cose.

Ma udite vi priego un'altra più presto certezza che coniettura. Se io ho rubato tanti danari, bisogna che io gli abbia o che io gli abbia spesi; ecco qui el calculo di tutte le possessione che io ho comperato, ecco qui el sunto cavato di tutti e' libri che io ho prodotti, così quegli che ho tenuti io, non con ordine mercantile ma con tale ordine che apparisce la verità, come quegli che con stile mercantile ha tenuti Girolamo mio fratello. Vedete quante erano le facultà mie innanzi che cominciassi la guerra, vedete quello che sono più dal principio della guerra in qua. Ecco nota de' danari rimessi a Vinegia, di che si è fatto tanto rumore, ecco le lettere, e' conti mandatimi da Vinegia da Girolamo. Le quali tutte cose, giudici, sapete che io le produssi el dì medesimo che fui citato, in modo che né lo ordine con che sono state tenute di tempo in tempo, né lo spazio che io ho avuto lascia uno minimo sospetto che siano scritte a proposito di questo pericolo. Non sono già rigattiere che per ordinario tenga e' libri doppi, né sono indovino che dua, tre o quattro anni fa avessi immaginato questo caso e preparatomi. Dove dunche sono andati questi danari? Guardate come bene dice quello proverbio che le bugie sono zoppe, guardate quanta è la forza della verità e della conscienzia. Non aspettava già questo lo accusatore che io producessi e' libri mia, a che nessuna ragione mi poteva strignere, non che io mettessi qua in mezzo le arme mie proprie, e dessi libertà a ognuno di adoperarle contro a me. È grande differenzia da non comparire e fuggire el giudicio, a sottoporsi al giudicio più ancora che l'uomo non è obbligato, più che forse non s'ha a memoria che facessi mai alcuno; se io fussi stato in Spagna sarei venuto per le poste, e tu mi credi persuadere a andarmene? Ho, se io non mi inganno, satisfatto a ogni cosa più forse che voi non aspettavi, giudici, più certo che non credeva questo popolo; ma non voglio ancora restare di mostrarvi più oltre.

Io dico che dal principio di questa guerra insino alla ruina di Roma, tutta la fanteria vostra e del papa ha avuto la paga ogni trenta dì; e se qualche volta per non essere e' danari in ordine o per essere impedito el tesoriere sono andati più in là dua o tre dì, sono stati fatti loro buoni in sulla paga; in modo che non hanno servito una ora sanza pagamento, e particularmente sono stati pagati nel tempo che vennono in Toscana. Chi dice questo? Diconlo tutti, diconlo loro; ecco qua le lettere di diversi tempi del conte Guido, del conte di Gaiazzo, che dimandano le provisione de' capitani, perché era lo ordine pagare prima e' fanti; ecco le fede de' capitani medesimi; ecco tanti testimoni che dicono che in nessuna guerra di Italia non si feciono mai sì belli pagamenti. Ecco le lettere del nunzio del papa da Vinegia che quella signoria fa instanzia che noi non paghiamo ogni trenta di, perché e' fanti loro, che sono pagati più tardi, si sviano, di che se avessimo potuto contentargli l'aremo fatto sanza aspettare loro prieghi; ma lo essere distribuita questa fanteria in capitani troppo grossi, conte di Gaiazzo, conte Guido Rangone, signor Giovanni, ha fatto che non la potevo maneggiare a mio modo, e come si dirà di sotto, è stata causa di molti disordini. Sono queste tante prove che bastano? Credo che oramai ne avanzi, credo siate pure troppo chiari oramai che io non ho rubato. Ma veggiamo l'ultima pruova che non ha replica e bastava sola.

Tutti e' danari sono venuti in mano di Alessandro del Caccia, tesoriere deputato dal papa e non da me: tocca a darne conto a lui e non a me; non si vede in su' libri partita che in mano mia, dalle provisione mie in fuora, sia venuto uno quattrino: perché adunche si cerca da me quello che ha avuto altri e non io? Potevo in questi conti essere chiamato per testimonio come persona che ne potessi avere notizia, ma essere fatto io la parte, essere fatto el principale, è cosa tanto strana che si sentì mai simile. Se voi avete sospetto o opinione che e' vostri danari siano stati rubati, dimandatene el conto a Alessandro del Caccia, esaminate lui: se non ci è furto, assoluto lui sono assoluto io, se ci è furto, non posso avere rubato io sanza lui, ma può bene lui avere rubato sanza me. Che giustizia è adunche, che onestà, che si cerca el furto da colui che può essere che non lo sappia, e si lasci quello sanza chi non può essere fatto? Se furto ci è, può essere sanza me, ma non può già essere sanza Alessandro, e si cerca da me, non da Alessandro? E questo è, Iacopo, lo amore che tu di' che mi porti? Ma lasciamo stare gli interessi privati: questo è el zelo della republica? Fate instanzia che sia astretto a dare conto uno che può essere che non abbia rubato, lasciato indrieto quello che non può essere che non abbia rubato; strignete quello sanza chi può essere fatto el furto, lasciate quello sanza chi non si poteva fare.

Non puoi già più dire che t'abbia mosso l'amore della republica, non el beneficio publico, perché né a questa città né alle altre non fu mai utile condannare e' cittadini innocenti; più presto è qualche volta a proposito serrare gli occhi a qualche cosa, ma non mai punire chi non lo merita. Non puoi più negare che la sia malignità, che la sia rabbia; hai creduto opprimermi co' gridi, concitare contro a me el popolo, fare che e' giudici o per paura o per errore non mi udissino; hai pensato diventare grande col sangue mio, parere amatore della republica, e che per interesse suo non tenessi conto di inimicizie. Se avessi creduto che io fussi udito, che e' giudici fussino disposti a procedere con la verità, non co' romori, che el popolo stessi attento, non pigliavi già tu questa fatica, non davi a me questa occasione di mostrare la innocenzia mia; ho obligo non già alla tua voluntà, ma alla tua o malignità o imprudenzia, perché non sì presto si cognosceva la verità e forse sempre nella opinione degli uomini restava qualche nota; dove ora essendo per opera tua condotto al paragone, ne uscirò più chiaro, più lucido che mai.

S'ha adunche a vedere el conto a Alessandro e non a me. Ma io voglio essere d'accordo con lo accusatore; voglio satisfarlo in ogni cosa; arò contento che el conto de' danari spesi ne' soldati si vegga così a me come a lui, essere obligato se si truova che siano stati rubati; se si vede fraude, non si cerchi chi l'ha fatta, ma si dica che io l'ho fatta io. Vedete e' libri come si sono tenuti, con che riscontri di tempi, con che ordine; avete udito quanto ieri Alessandro giustificò bene ogni cosa: produsse e' libri delle rassegne, mostrò le ricevute de' capitani, le fede che nuovamente ha avuto di tanti signori, de' quali ognuno direbbe più volentieri di restare creditore, che di essere pagato. Che dubio resta qui, che disputa? Io affermo arditamente che qui non è furto; ho veduto tutte queste cose, e perché so di più che se le paghe non fussino state date a' tempi che Alessandro scrive, che arei sentito el romore de' soldati: sarebbono venuti a querelarsi a me, a fare instanzia che io provvedessi; non ho sentito alcuna di queste cose, ho veduto el più delle volte fare le rassegne io. Adunche io so che io posso offerire di obligarmi per lui sanza pericolo.

Sia sempre laudato Dio, io sono, giudici, in questo punto più contento, più allegro che io fussi mai, perché si vede pure che io non sono ladro, è pure ora chiaro questo popolo che io non ho rubato, ho pure recuperato quello antico buono nome, restano pure le cose mie più chiare, più purgate come le fussono mai. Non ho rubato, non ho dunche neanche dato a sacco el contado, perché, come abbiamo detto, non poteva essere questo sanza quello. Ma mi potrà domandare alcuno: donde sono proceduti tanti danni, donde tanta disubidienzia? Se non è stata tristizia tua, bisogna sia stata negligenzia o dapocaggine. Potrei di questo espedirmi con una parola, che sono chiamato in giudicio per furti e per malignità, non per insufficienzia, né hanno questi giudici carico di cognoscere, né autorità di condannare per altri capi che per quelli per e' quali sono stato accusato. Ma perché m'ho proposto nello animo maggiore fine che lo scampare la pena, né penso tanto alla assoluzione quanto a giustificarmi nel conspetto di ognuno e di quello che si è detto e di quello che si potessi pensare nonché dire, ho somma grazia che mi sia dato occasione di parlare di questo, e vi prego tutti che mi prestiate la medesima attenzione; perché se vi ho fatto constare chiaramente che in me non è peccato, vi farò ancora toccare con mano che non ci è colpa, e che nessuno di quegli che patirono danno ebbe tanto dispiacere in quello tempo de' danni suoi propri, quanto ho avuto io dolore ed abbia di quelli di ognuno, e che non solo ho preso per questo inimicizie grandissime, ma ne sono stato a certissimo pericolo della vita.

Non crediate, giudici e cittadini prestantissimi, che solo questo paese abbia patito, e che e' soldati abbino cominciato a disonestarsi nel fine della guerra, ma tutti e' luoghi dove siamo stati hanno avuto e' medesimi danni, ed el principio fu non el secondo, non el terzo mese, ma el primo dì, la prima ora della guerra; né solo questi soldati o quelli, ma tutti, e' franzesi, e' viniziani, e' nostri, in modo che quando andamo alle mura di Milano, tutto el paese che ci era amicissimo per e' mali trattamenti avuti dagli spagnuoli e sperava essere liberato e bene trattato dallo esercito della lega, veduto che aveva più presto peggio che meglio, ci diventò inimicissimo. El medesimo fu fatto poi a Parma, a Piacenza, in Bolognese; in modo che quando andamo in Romagna, molte terre che avevano sentito questa fama, ci serrorono le porte, e quelle che non lo feciono si pentirono di non l'avere fatto. Sapete che successe poi di qua; el medesimo si fece poi in terra di Roma, dove si disperò tutta la fazione Orsina che ci aspettava con desiderio; el medesimo hanno fatto e fanno ora in tutti e' luoghi, dove sono stati e stanno di presente. Dimandatene tutti e' paesi, troverrete essersi fatto per tutto e da tutti e' medesimi mali; cose che alle imprese recano infinite difficultà, perché mancano le vettovaglie, le guide, le spie, infinite commodità che si possono avere da' paesi amici.

Di tanti disordini e di tante insolenzie è causa prima la natura de' soldati, che sempre sono inclinati a rubare ed a fare male; né cominciorno a' tempi nostri quest loro tristi portamenti, ma è male vecchio e nato insieme con loro. Non vi ricordate voi quello che dice el proverbio antico, che el soldato è pagato per fare male e fa peggio? Che mostra pure che sempre furono di una sorte. Dimandate questi più vecchi che si ricordano della guerra del 78 e 79; vi diranno come fu trattata la Valdelsa e gli altri luoghi dove furono e' campi. Questi loro tristi modi sono multiplicati a' tempi nostri, per quello che si può comprendere, dallo esempio di questi eserciti spagnuoli, che come voi sapete sono stati molto licenziosi e sottili; ma loro hanno avuto qualche giustificazione o per dire meglio qualche scusa, perché el non essere quasi mai pagati gli ha sforzati a vivere di ratto; e l'hanno fatto sì disonestamente che torna loro più utile stare con la licenzia sanza pagamento, che col pagamento sanza la licenzia. Lo esempio di questi ha insegnato agli altri, e come è natura degli uomini accrescere sempre el male, hanno, ancora che siano pagati, imparato a vivere nel medesimo modo; di sorte che la conclusione è questa, che oggidì gli eserciti in ogni luogo trattano male quanto possono gli amici, né e' loro capitani che arebbono autorità di provedervi lo vogliono fare, o perché la natura inclini anche loro più al male che al bene, o perché nella licenzia di altri si approfittino ancora loro di qualche cosa, o perché col comportare a' soldati tutto quello che vogliono, se gli mantenghino più benivoli ed abbino da loro più séguito. Né di questi eccettuo alcuno: sono stato col signor Prospero, col marchese di Pescara, con quello di Mantova, con tutti gli altri di questa ultima guerra: tutti a uno modo, tutti a una stampa.

Queste cagione possono tanto più in uno esercito di una lega come era el nostro, perché se pure uno vuole provedere a' suoi, non può provedere agli altri, e se una parte fa male, impossibile è tenere che gli altri non faccino peggio: incitansi per lo esempio ed hanno facultà di coprirsi e scusarsi l'uno sotto l'altro, né dove è uno esercito di tanti vescovadi non sono mai tutti e' capitani del campo d'accordo a raffrenare ognuno e' suoi. E certo questo è stato ora causa di infiniti mali, perché e' soldati franzesi, per essere male pagati e per avere uno capitano atto a ogni cosa che a comandare eserciti, e con loro non aveva obedienzia alcuna, hanno rubato estremamente, abruciato case e fatto eccessivi mali, in modo che gli altri con questo esempio e compagnia cominciorono a fare el medesimo; e veramente innanzi che loro venissino in campo, e' viniziani ed e' nostri facevano male assai, ma non a comparazione di quello che hanno fatto poi. Queste sono state le cagione universali di tante iniquità; ce n'è di più stata qualcuna in particulare.

Le Bande Nere, che feciono mali assai, erano avvezze sotto el signor Giovanni che dava loro molta licenzia, e morto lui augumentorono, perché stettono molti mesi o sanza capi o con capi a loro modo. La cagione fu che nel tempo medesimo che el signor Giovanni morì, con chi erano in Mantovano, e' lanzchenech passorono Po, e noi trovandoci sprovisti ed abbandonati allora dalle gente de' collegati, fumo sforzati a mandarle in Piacenza, dove alloggiorono a discrezione e non avendo freno alcuno presono ardire, ed el conte Guido Rangone che vi andò poi, gli intrattenne ed allargò la mano, di modo che sempre peggiororono, né io che allora ero in Parma né potevo partire, vi potetti provedere. Né e' pericoli in che noi eravamo (perché e' lanzchenech erano fermi tra Parma e Piacenza, e gli spagnuoli stavano per uscire a ogni ora di Milano, e già era fatta la deliberazione di venire alla volta di Firenze) ci lasciavano cassargli ed alterargli; anzi volendo dare loro uno capo, non lo voliono accettare e feciono certa unione insieme, che per essere nelle necessità ci bisognò avere pazienzia. Non è el più altiero né el manco ragionevole animale che el soldato quando cognosce el tempo suo.

Successe di poi la passata de' lanzchenech alla volta di Bologna ed in Romagna, e noi per essere sforzati a guardare molte terre e perché el duca di Urbino aveva deliberato di dare loro la via, tenemo le gente sparse, in modo che sempre queste Bande Nere stettono lontane da me, né fu mai possibile che io vi ponessi alcuno rimedio. Le quali cose considerando io, poi che el papa ebbe fatto el primo accordo col viceré e che lui poi in Firenze trattava di accrescere la somma, confortai quanto potetti che non si guardasse in danari, allegando sempre nelle lettere mie questa ragione, ché più sarebbe el danno che ci farebbono gli amici che gli inimici. Ecco qua tante lettere che dicono questo medesimo.

Cognoscevo la insolenzia di queste Bande Nere, vedevo la mala ed intollerabile natura del conte di Gaiazzo, uomo sanza ragione, sanza vergogna e sanza religione, sapevo la licenzia che el conte Guido è uso a dare a' suoi, che lo essere el paese nostro magro e con difficultà di vettovaglie darebbe loro occasione di fare ancora peggio; e tanto più mi facevano paura queste cose perché, come gl'inimici si dirizzavano verso Toscana, a me bisognava spignere innanzi queste genti sbandate, né potevo venire con loro, perché la necessità mi sforzava a non mi spiccare uno passo dal marchese di Saluzzo, e per le deliberazione importante che nascevano ogni dì, e perché in questa disputa se Lautrec andrebbe innanzi o no, surgevano ogni dì nuove difficultà del venire loro al soccorso nostro, e perché come voi sapete consisteva allora in questo la nostra salute, che lo esercito della lega passassi ancora lui, e bisognava lasciare tutte le altre cose per questo; ed el medesimo intervenne quando fumo in Firenze, che per risolvere e sollecitare le cose non potevo allargarmi dal duca di Urbino né da lui. Così le Bande Nere sendo sanza capo, e le quali io non avevo mai vedute doppo la morte del signor Giovanni, se non passare una volta per la piazza di Bologna, el conte di Gaiazzo pessimo e rapacissimo, e' fanti del conte Guido avezzi alla licenzia sua, feciono tanti mali di ogni sorte che non se ne spegnerà sì presto la memoria. E la fortuna volle che io non potetti mai andare a provedervi, che se pure vi fussi potuto andare, arei moderato qualche cosa, non dico provisto al tutto, perché non si può fare peggio che dare compagnie grosse a questi signori grandi.

Aveva el conte di Gaiazzo duemila fanti, el conte Guido tremila; questi ricognoscevano per padroni loro e non me, a' fanti non potevo comandare, a' capitani bisognava andare con rispetto perché eravamo nella acqua a gola. Non mancai però di fare tutte le diligenzie possibile: parlai in Bologna con tutti e' capitani delle Bande Nere, confortandogli pregandogli strignendogli a volere portarsi bene in Toscana; mandai con loro a questo effetto per commissario el vescovo di Casale, servitore antico del papa e persona bene qualificata; quante volte a bocca commessi e per lettere pregai e scongiurai del medesimo el conte di Gaiazzo! Ecco qua le risposte sue dove promette fare tanto bene, che mostrano se io consentivo el sacco; el medesimo dico del conte Guido; e vedendo questo essere vano, non perdonai a querele, non a romori, non a adirarmi; erano infiniti in casa e' Medici, quando per questo ebbi parole col conte di Gaiazzo, che allo effetto che io desideravo furono vane, ma furono per non essere vane per me, perché, come è publico a tutto lo esercito in terra di Roma, quando vidde el papa perduto, si fermò una mattina in sulla strada per ammazzarmi, e fu tanto el pericolo che ancora quando io me ne ricordo mi viene orrore. Ma Dio, amico della innocenzia, mi aiutò quella volta come ha fatto molte altre.

In somma io non mancai di fare tutte le diligenzie e le provisione a me possibile perché non seguissino tanti disordini, né arebbe in questo caso saputo o potuto fare alcuno altro più di me; e so bene io con quanto dispiacere, con quanto affanno ne stetti. Arei volentieri fatto sanza menargli perché vedevo quello avevano a fare; ma oltre alla commissione che io ebbi spesso di condurgli, la necessità sforzava, non volendo restare a discrezione delli inimici, e' quali, se non fussi stato questo soccorso, arebbono fatto a Firenze quello che hanno fatto a Roma. Avete inteso el progresso tutto di questa cosa, e potete essere certi che tanti mali sono stati contro a mia volontà e che io non ho potuto provedervi; e se in Romagna e Lombardia mi sono fatto obedire ed ho avuto nome di farmi temere, quanto più l'arei fatto di qua, dove di quelli che pativano erano molti parenti ed amici miei, gli altri erano tutti cittadini quali avevo a vedere ogni dì e di chi avevo pure a stimare lo amore, non a cercare sanza alcuno mio profitto d'avere a essere in odio di tutti!

Non crediate, giudici, che ogni dì non mi venissino mille querele, mille romori, e che io non sapessi quanto bruttamente si parlassi di me, che tutte mi erano coltellate al cuore e mi passavano l'anima, in modo che se non per amore degli altri e per fare el debito mio, almanco per mio onore vi arei provisto col sangue proprio, avessi io pure potuto, che ero ridotto in termini che la morte mi sarebbe stata grazia; ma non si possono fare le cose impossibile. Però io prego quelli che hanno patito, che o per passione o per errore n'hanno avuto malo animo meco, che considerino la verità del caso, che si lascino governare alla ragione, che non imputino a me le cose che non erano in potestà mia, né pensino mai di me o tanta malignità che avessi consentito queste iniquità, né tanta pazzia che sanza mio profitto avessi voluto farmi vergogna ed acquistare tanti inimici, né tanta dapocaggine che se fussi stato possibile non vi avessi proveduto: perché quello che fussi mancato alla sufficienzia, arebbe compensato el dispiacere, lo sdegno, lo stimulo dello onore.

Resta parlare dell'altra parte della accusazione, che come ha detto lui, concerne la ambizione, e nella quale poi che non può infamarmi co' peccati e carichi veri, ha cercato di opprimermi co' sospetti e col cercare di persuadervi che io sia pericoloso alla libertà. In che io risponderò solo alle cose che a lui è paruto che abbiano più nervo, lasciando adrieto l'altre che sono di sorte e con sì poco colore, che el parlarne sarebbe uno darvi fastidio invano; perché che importa rispondere alle cose che ha detto della puerizia e di Alcibiade, non solo alienissime dalla verità, ma dette sanza fondamento, sanza testimoni e sanza spezie alcuna di verisimile? In che non posso fare non mi maravigli della prudenzia sua, avendo in uno giudicio di tanta importanza, presente tanta moltitudine, innanzi a tali giudici, parlato di cose fanciullesche non altrimenti che se fussi stato in una compagnia di fanciulli. La puerizia mia e di costumi e di lettere, per parlare modestamente, fu di qualità, che se nella giovanezza è poi stata alcuna buona opinione di me, il che lui medesimo ha confessato, non solo non parve disforme agli anni più teneri, ma ancora avere avuto principio e fondamento da quegli, perché non ebbono corruttela alcuna, non alcuna leggerezza, non perdita di tempo; cose che se bene procederono da mio padre, uomo ottimo e diligentissimo, nondimeno se avessino trovato la natura mia repugnante, arebbono più tosto ceduto a quella che tiratola seco. Ma lasciamo queste inezie e quelle ancora del tempo innanzi che io andassi in Spagna, dove non ha saputo dire altro se non che per mescolarmi nelle discordie della città io tolsi per donna una figliuola di Alamanno Salviati contro alla voluntà di mio padre. E nondimeno quale fu lo effetto? Che io mi astenni da travagliarmi di quelle cose per non fare dispiacere a mio padre.

Guardate, giudici, che cosa è la passione, che cosa è la malignità degli uomini ed el desiderio di calunniare; quanto gli accieca, quanto toglie loro ogni intelletto e cognizione. Non fanno e' figliuoli communemente cosa alcuna più secondo la voluntà e col consiglio del padre che el pigliare donna, né possono anche fare altrimenti, perché con l'aiuto del padre l'hanno a vestire, a conducere a casa e sustentare; e costui vuole che nel tôrre donna io non abbia avuto rispetto al padre, e poi nello effetto mi sia astenuto da quelle cose per le quali arei fatto questo errore. Ma sono cose tanto frivole che io mi vergogno a parlarne, massime essendo dette da lui in modo e con nessuna spezie di pruova, che essendogli negate non può replicare. Lasciamo adunche queste insulsità e vegnamo a quelle che sono provate poco come queste, ma che se fussino vere sarebbono di troppa importanza.

Tre cose in sustanzia sono quelle che mi ha opposto lo accusatore: l'una, che nella legazione di Spagna io procurai col re el ritorno de' Medici; l'altra, che io tolsi la piazza ed el Palazzo al popolo el dì di san Marco; la terza, che io sono stato causa di questa guerra. Tutto el resto della accusazione sua è stato in volermi mettere a sospetto ed in persuadere che ancora che io fussi innocente e sanza peccato alcuno, che io avessi a essere gastigato: perché non vuole dire altro che dire che sanza testimoni, sanza pruove, sanza segno alcuno, ma solo per una prosunzione generale, per una opinione in aria io sia condannato.

Alle quali cose, giudici, mentre che io rispondo particularmente, vi prego mi udiate con la medesima attenzione e benignità che avete fatto insino a ora; perché toccherete con mano in me tanta integrità circa le cose della vostra libertà e del vostro stato, che abbiate fatto ne' vostri danari; né vi maraviglierete manco della impudenzia ed audacia dello avversario, che e' non si vergogni dire cose sì manifestamente false, e si confidi con sì frivole invenzione, anzi con non altro che con esclamazione e con minacci, opprimere ed oscurare la verità e la innocenzia, ed aggirare e' giudici.

"Francesco Guicciardini - Scritti autobiografici e non" : "Autodifesa di un politico", pp 164-281, a cura di R. Palmarocchi, Laterza, Bari, 1936







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