Francesco Guicciardini - Opera Omnia >>  Dialogo del reggimento di Firenze




 

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PROEMIO.
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È tanto bello, tanto onorevole e magnifico pensiero il considerare circa i Governi publichi, da' quali depende il bene essere, la salute, la vita degli uomini e tutte le azione egregie che si fanno in questo mondo inferiore, che ancora che non s' avessi speranza alcuna che quello che si pensa o si disegna potessi mai succedere, non si può dire se non che meriti di essere laudato chi applica l'animo e consuma ancora qualche parte del tempo nella contemplazione di sì onesta e sì degna materia; senza che sempre se ne può cavare documenti accommodati ed utili a molte parte del vivere nostro. Se già non crediamo che Platone, quando pensò e scrisse della republica, lo facessi mosso da speranza che quel Governo immaginato da lui avessi a essere introdotto e seguitato dagli Ateniesi; i quali a tempo suo erano in modo diventati licenziosi ed insolenti, che, non che egli tentassi di fargli ricevere buona amministrazione, ma, come si truova scritto in una sua pìstola, disperato che mai più s'avessino a governare bene, non volle mai mescolarsi nè travagliarsi della loro republica.

Non sarà adunque per conto alcuno reprensibile nè il pensare nè lo scrivere circa il Governo della nostra città; e molto manco perchè, se bene per la autorità che hanno i Medici in Firenze, e per la potenza grandissima del pontefice paia perduta la libertà di quella, nondimeno per gli accidenti che tuttodì portoro seco le cose umane, può a ogn'ora nascere, che così come in uno tratto dallo stato populare la venne allo stato di uno, possi ancora con la medesima facilità ritornare dallo stato di uno alla sua prima libertà. E tanto più, che senza dubio si può più difficilmente sperare perpetuità di una famiglia che non si può di una republica; il che se accadessi, potrebbe ancora questo pensiero e discorso non essere del tutto inutile, e massime che, come mostra lo esemplo fresco del tempo in che fu Gonfaloniere Piero Soderini, nel quale questa città si accostò molto a pigliare forma di buono e laudabile governo, le cose sue non paiono ancora corrotte, nè transcorse in modo che sia da disperarsi che non potessino essere capaci di questo bene. Nè potrò essere ripreso che io presumma di me stesso, o mi attribuisca troppo, se non essendo di più ingegno e prudenzia che io mi sia, e stato il più tempo della età mia assente dalla patria, mi paia essere sufficiente a dimostrare come s'avessi a introdurre in Firenze uno Governo onesto, bene ordinato e che veramente si potessi chiamare libero; il che dalla sua prima origine insino a oggi non è mai stato cittadino alcuno che abbia saputo o potuto fare. Perchè in questo discorso non sarà parte alcuna di invenzione o judicio mio, ma sarà tutto una sincera e fedele narrazione di quello che altra volta ne fu ragionato da più nostri cittadini gravissimi e savissimi; il quale ragionamento perchè si conservi alla memoria con lo instrumento delle lettere, ho voluto scrivere con quel modo ed ordine che più volte mi fu recitato da mio padre, che uno fu di coloro che ne parlorono; ancora che, come era consueto di fare il più delle volte, cercassi più di intendere la opinione degli altri che dire la sua.

Raccontommi adunque più volte, come essendo Piero Capponi, Pagolantonio Soderini, cittadini ornatissimi e di grande autorità, ed egli, andati insieme l'anno 1494 e poche settimane doppo la cacciata di Piero de' Medici, non so se per voto o per divozione, al nostro tempio di Santa Maria Impruneta, visitorono, nel ritornare, Bernardo del Nero, cittadino già vecchissimo e molto savio, il quale sequestrato allora dalle faccende publiche per il sospetto grande in che erano quasi tutti quegli che avevano potuto a tempo de' Medici, si dimorava tranquillamente nella sua villa quivi vicina. Nè potrei facilmente dire quale fussi maggiore in mio padre, o il piacere che i pigliava dalla memoria di questo ragionamento, che certo era grandissimo, o il dispiacere di considerare lo infelice fine che ebbe Bernardo. Il quale essendo sì savio, ed avendo quasi come uno oraculo previsto tante cose che poi seguirono, o fussi per lo sdegno di qualche ingiuria che nello stato del popolo gli fu fatta, e massime per le molto disoneste gravezze che gli furono poste; o perchè disperato che la città, che allora era ridotta in grandissime divisione e confusione, si potesse ridurre a uno Governo bene ordinato, tornassi con l'animo a' pensieri di quel vivere nel quale insino da fanciullo era nutrito e che molto era stato amato da lui; o fussi pure perchè al fato non si può resistere, non seppe o non potette serrare tanto gli orecchi a chi gli manifestò pratiche che andavano a torno di rimettere Piero de' Medici, che, non come autore o consultore di cose simili, ma come non rivelatore, fu decapitato.

Ma ritornando al nostro proposito, non mi pare anche potere essere notato come ingrato, se bene io abbia le grandissime anzi estraordinarie obligazione alla casa de' Medici, perchè dua pontefici di quella casa, Leone prima e poi Clemente, mi hanno adoperato ed onorato eccessivamente, come persona in chi hanno avuto, ed ha più che mai Clemente, somma confidenzia. Alle quali obligazione non pare che si convenga nutrire pensieri contrari allo stato della casa loro; perchè dallo scrivere mio, massime fatto per mio piacere e recreazione nè con intenzione di publicarlo, non si può nè debbe inferirne che io abbia animo alieno dalla grandezza loro, nè che la loro autorità mi dispiaccia. Se già per la medesima ragione non vogliamo arguire che a Zenofonte, cittadino ateniese ed amatore come si debbe credere della sua patria, per avere sotto nome di Ciro scritto del Principato, dispiacessi la libertà di Atene; o che Aristotele, precettore e tanto obligato a Alessandro Magno, per avere scritto la Politica, fussi inimico suo. Come se la volontà ed il desiderio degli uomini non potessi essere diverso dalla considerazione o discorso delle cose, o come se da questo ragionamento apparissi quale di dua governi male ordinati e corrotti mi dispiacessi manco; se già la necessità non mi costrignessi a biasimare manco quello di che s'ha più speranza potersi riordinare. Perchè quando si proponessi uno modo di vivere con la libertà onesta, bene composta e bene ordinata, non potrei essere notato se dicessi piacermi sopra tutti gli altri; essendo notissimo quello che scrivono i filosofi delle obligazione che s'hanno con la patria, e di quelle che s'hanno con gli altri; e che essendo nel vivere civile distinti i gradi de' beneficii e degli officii degli uomini, non si può chiamare ingratitudine il tenere più conto del debito ed obligazione che sono maggiore che delle minore. Ma lasciato gli argumenti e le objezione da canto, diamo principio al ragionamento, il quale io, per discostarmi il manco che ho potuto dalla verità e dalla forma stessa che ebbe, ho introdotto a modo di Dialogo.




DEL REGGIMENTO DI FIRENZE.

DIALOGO.
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LIBRO PRIMO.

Parlano:                                                  
            BERNARDO DEL NERO
PIERO CAPPONI
                     PAGOLANTONIO SODERINI e
         PIERO GUICCIARDINI.

 

PIERO CAPPONI.  Noi abbiamo preso grandissimo piacere dell'essere venuti a visitare questo santissimo luogo; ma ce l'ha ancora augumentato l'avere occasione di vedere voi, la assenzia del quale dal Palagio e dal Governo della città reputiamo fuora d'ogni dovere, che non ci pare, in una mutazione di stato sì grande, come è stata questa certamente, cosa più strana veduto avere.

SODERINI.  Non solo diciamo così noi, che sempre vi abbiamo portato amore e riverenzia come a padre; ma universalmente tutti quelli che hanno judicio, sono del medesimo parere.

GUICCIARDINI.  Questo però conforta ognuno, che si cognosce che quello che fa al presente, fuora d'ogni ragione, la natura delle mutazioni, in brieve tempo si ricorreggerà, ed i medesimi che vi veggono ora volentieri discostato dalle faccende publiche saranno i primi che, cognoscendo avere bisogno della prudenzia vostra, deposte le passioni ed i sospetti vani, faranno di richiamarvi, e volere che la città si vaglia del vostro consiglio.

BERNARDO.  La città non è sì povera di uomini, che mai in tempo alcuno abbia avuto o sia per avere bisogno del consiglio mio, ed ora massime che per la vecchiezza è declinato ed è consumato non manco forse che sia il corpo; in modo che non solo non debbo pensare di ritornare alle fatiche del Palagio, ma se vi fussi drento, bisognerebbe che io pensassi di levarmene. Mi dispiace bene che di quello che io dovevo fare volontariamente già qualche anno, ne sia stata causa la mutazione dello stato e la cacciata di Piero de' Medici, la quale mi è doluta e per la affezione che io sempre ho portato a quella casa, e molto più perchè in tanto tempo che io ho, ho veduto per esperienzia che le mutazioni fanno più danno alla città che utile, di che vi potrei molti esempli allegare.

CAPPONI.  Come dunche siate voi di opinione che fia dannosa questa mutazione alla città.

BERNARDO.  Io vi dico che ho sempre cognosciuto per esperienzia che le alterazioni danno travaglio alla città, e partoriscono cattivi effetti.

SODERINI.  Sì forse, quando le sono di quella sorte che sono state l'altre de' tempi vostri, le quali si debbono chiamare più tosto mutazioni da uomo a uomo, o come meglio avete detto voi, alterazioni che mutazioni di stati; perchè in quelle o si è transferita la potenza da uno cittadino a un altro, o per le dissensioni civili si è augumentata la autorità di chi reggeva; e di questa natura fu il caso del 33 e del 34, del 66, del 78, e li altri insino a questo ultimo; nel quale solo a' dì vostri si è fatta mutazione d'una specie di Governo a un'altra. E quando questo accade, e si muti di una specie cattiva in una buona, o d'una buona in una migliore, io non so perchè la mutazione non sia utile; e se mai ne fu alcuna tale credo sia stata questa, per la quale la città nostra, solita a essere naturalmente libera, e che per le discordie de' maggiori era venuta in servitù, ora con la virtù di pochi, senza sangue, senza ruine o notabili scandoli, con lo esilio di quello cittadino solo che la teneva oppressa, è tornata alla sua naturale ed antica libertà. E credo che a voi paja il medesimo, e che, atteso la integrità e grandezza dello animo vostro, non vi piaccia manco che a noi; se bene forse per la intrinsichezza che avete avuta co' Medici vi pare che 'l parlarne così sia più modesto.

BERNARDO.  Io non voglio che il piacere che io so che voi avete preso di vedere me, nè quello che ho preso io di vedere voi, che è stato grandissimo, si diminuisca in parte alcuna, anzi più presto che lo accresciamo quanto si può. Però lasciato questi ragionamenti ne' quali il disputare e discrepare di cose importantissime, se bene fussi fatto amichevolmente, non potrebbe essere che non ci recassi qualche molestia, parliamo di cose più dilettevoli. Andiamo, se vi piace, a vedere la possessione: vi mostrerrò molte belle cultivazione che io penso di fare non più per me, ma per chi verrà doppo me; vi mostrerrò uno disegno di una bella fabrica che si potrebbe fare, ma non da me, che in tanto tempo che mi sono travagliato dello stato, non ho guadagnato tanto che possa cavarmi commodamente queste voglie. Vedrete quanto piacere io cavo della agricultura, e come onestamente si possa dispensare il tempo e trarre frutto dello ozio; il quale debbe essere grato a ognuno quando è bene usato, ma molto più a chi, affaticatosi lungamente in faccende onorevoli, si riposa qualche volta. Che se bene si doverrebbe fare più presto che non ho fatto io, e per elezione non per necessità, come pare che intervenga a me, pure è meglio qualche volta che non mai, ed in qualunche modo che in nessuno; e certo io mi ci truovo drento più contento e più quieto che io non fui mai negli onori e nelle grandezze.

GUICCIARDINI.  Deh! per l'amore di Dio, lasciati i ragionamenti dello ozio, nel quale siamo tutti certissimi che non manco vale la vostra prudenzia che nelle faccende, seguitiamo il parlare di prima, il quale, io non dirò tra amici, ma più tosto tra padre e figlioli come ci reputiamo esservi noi, non solo non sarà molesto, ma bisogna sia piacevolissimo. Io per me non so che maggiore diletto mi potessi avere, che udire parlare delle cose publiche e civili uno uomo di grande età e di singolare prudenzia, che non ha imparato queste cose in su' libri da' filosofi, ma con la esperienzia e con le azioni, che è il modo vero dello imparare. Io ho sempre desiderato una occasione tale, nè credo siano di altro animo Piero Capponi e Pagolantonio, i quali, ancora che sappino più di me, sono certo che pensano potere imparare assai da voi.

CAPPONI.  Tu mi hai cavato di bocca, Piero, quello che io volevo dire; perchè non potrebbe accadere cosa che io desideri più, nè so di che materia si possi parlare, che non solo ne' tempi della qualità che ora corrono e che si apparecchiano, ma sempre sia per essere più utile e più degna di animi nobili. E chi potremo noi avere migliore maestro che Bernardo, il quale, e per il judicio suo naturale che è perfettissimo e per la esperienzia grandissima che gli ha dato la età e lo avere maneggiato sempre queste faccende, credo ne sappia, per parlare modestamente, quanto filosofo che fussi mai. Però ardirò pregarvi in nome di tutti, perchè se bene Pagolantonio tace, gli veggo scritto in fronte la sua voglia, che se mai desiderasti compiacerci e farci migliori con gli ammaestramenti vostri, come spesso avete desiderato e fatto, lo facciate oggi in questo di che vi ha richiesto Piero Guicciardini. E se qualche volta vi contradireno, non sarà per disputare con voi, quale abbiamo in luogo di maestro e di padre, ma per darvi causa di dichiarare meglio tutto quello che sarà in proposito. Adunque lasciata a un altro tempo la agricultura, gli orti e le fabriche, vi preghiamo di nuovo che ci diciate per che conto non vi paia utile questa mutazione che si è fatta, e quale sia circa il Governo della nostra città la vostra opinione.

SODERINI.  Deh, Bernardo, in cosa sì grave non mancate a' vostri figlioli, a' quali in minore importanzie avete sempre cercato di satisfare.

BERNARDO.  Io sono contento avere con voi questo ragionamento, non meno per imparare che per insegnarvi, perchè quello poco che io intendo di queste cose, lo so solo per esperienzia, della quale nessuno di voi manca, avendo già più e più anni sono, atteso alle cose dello Stato; ed oltre a questo ed il naturale buono, avete davantaggio le lettere con le quali avete potuto imparare da' morti gli accidenti di molte età; dove io non ho potuto conversare se non co' vivi, nè vedere altre cose che de' miei tempi. Vi dico dunche che, come voi sapete, io ho avuto lunghissima amicizia co' Medici, ed ho infinite obligazioni a quella casa, per mezzo della quale, non essendo io di stirpe nobile, nè cinto di parenti come siate tutti a tre voi, sono stato beneficato ed esaltato e fatto pari a tutti quegli che ordinariamente mi sarebbono andati innanzi negli onori della città. Però non direi che la ruina di Piero non mi sia dispiacciuta, perchè direi il falso; e se lo dicessi, mi parrebbe potere essere notato di troppa ingratitudine. Ma sappiate che molto più dispiacere ho avuto de' modi che sono stati causa di questa ruina, la quale io prevedendo e giudicandola perniziosa non solo a lui ed agli amici ma ancora alla città, se io non mi inganno, cercai di rimediarvi col consigliarlo, col riprenderlo, co' l'adirarmi; pure ha potuto più la disposizione de' cieli e quello che era destinato che avessi a essere, che i consigli miei e di alcuni altri che lo consigliorono sempre bene. Ho adunque amato ed amo quella Casa, e nondimanco, Dio mi sia testimonio, se io credessi che questa mutazione fussi in parte alcuna utile alla città, io la arei cara quanto alcuno altro; perchè fui prima fiorentino ed obligato alla patria, che amico o obligato a' Medici, e cognosco che quando Firenze starà male, non possono i Medici ed ogni altro che reggerà, stare altro che male. Ma può bene essere Firenze grande senza i Medici; e che questo sia lo animo mio, non ne voglio dare altro testimonio, perchè parlo con persone che credo che oramai mi cognoschino. Ma per non fare lungo il parlare nostro più che si bisogni, non voglio in principio convincervi con altre arme che con le vostre medesime. Non dicono i vostri filosofi, se messer Marsilio Ficino, con chi qualche volta ne ho parlato, mi ha riferito il vero, che essendo tre le spezie de' governi, di uno, di pochi e di molti, il migliore di tutti è quello di uno, il mediocre quello di pochi, il manco buono quello di molti? Però non so come voi vi scuserete co' vostri libri, poi che partendovi dal Governo più lodato da loro, eleggete i manco lodati.

CAPPONI.  Tocca a rispondere a quest'altri che hanno lettere, che io non ho quasi nessuna, da uno poco di astrologia di Gino in fuora, che non serve a questo proposito; però lascerò difendersi a loro da filosofi, e mi risentirò quando si ragionerà in modo che anche chi ha poca grammatica possa parlare.

SODERINI.  Questa risposta appartiene a Piero Guicciardini che è de' discepoli di messer Marsilio, ed onorato da lui ne' libri suoi, per quello ingegno melancolico, temperato, felice; però egli risponda, ed è bene conveniente che essendo stato il primo a pregare Bernardo che parli, sia ancora il primo a rispondere.

GUICCIARDINI.  Voi non mi date questo luogo per farmi onore, ma perchè la obiezione vi pare facile, e cognoscendo essere stata messa da Bernardo più per tentare che per farvi fondamento. Osservate il costume de' buoni capitani che nel principio de' fatti d'arme mandano innanzi i cavalli leggieri per spignere, di poi quando le cose stringono, gli uomini d'arme e di mano in mano il nervo dello esercito. Però pur che io resti auditore nelle difficultà, vi dirò volentieri quello che ho imparato da messer Marsilio, e quello che ognuno di voi sa molto meglio che non so io.

È vera cosa che di questi tre reggimenti, quando sono buoni, il migliore è quello di uno; ma difficilmente può essere buono se è fatto più per forza o per fazione o per qualche usurpazione, che per elezione o volontà libera de' sudditi; e di questa sorte non si può negare che non fussi quello de' Medici, come quasi sono tutti oggidì i domìni di uno, che il più delle volte non sono secondo la volontà o il naturale de' sudditi, ma secondo lo appetito di chi prevale; e però siamo fuora del caso de' filosofi, che mai approvorono reggimento di spezie simigliante. Potrei ancora dire, secondo i medesimi filosofi, che il Governo di uno, quando è buono, è il migliore di tutti, ma quando è cattivo è il peggiore. Credo ancora che più spesso si abbatta a essere cattivo il Governo di uno che quello di molti perchè ha più licenzia e manco ostaculi. Però vorrei che i filosofi mi avessino dichiarato questo passo: se considerato da uno canto quanto sia migliore il Governo di uno che di molti, presuponendogli tutt'a dua buoni, da altro canto quanto è peggiore, presuponendogli tutt'a dua cattivi, ed inoltre quanto più spesso si abbatte a essere cattivo quello di uno; quale importa più, o il vantaggio che ha il Governo di uno quando è buono, per essere migliore degli altri, o il disavantaggio che ha quando è cattivo per essere il peggiore, e perchè è più spesso cattivo; e quale fussi migliore sorte di una città che nascessi ora e che si avessi a ordinare il Governo suo, o che fussi ordinata in uno Governo di uno, o in Governo di molti.

BERNARDO.  È bella dubitazione, ma per ora non necessaria, perchè basta la prima risposta.

GUICCIARDINI.  Ed a me basta dunche avere satisfatto, nè più torrò assunto di rispondere, perchè lascerò la cura a Piero e a Pagolantonio, i quali sono obligati difendere con le parole quello che hanno fatto con le opere.

CAPPONI.  Non ci darai mai a credere che tu desideri stare neutrale ed in modo da potere durare a ogni stato, ma ti ricordo che essendo tu figliuolo di Iacopo Guicciardini e nipote di Piero di messer Luigi, e sempre stato onorato da Lorenzo e da Piero, nè mai stato loro contrario, assai si può comprendere che inclinazione sia la tua, come anche interverrebbe a Pagolantonio ed a me, a lui per messer Tommaso suo padre, ed a me per Neri di Gino mio avolo, se non ci fussimo governati in modo che le opere nostre avessino scancellato la memoria delle loro.

GUICCIARDINI.  Nè anche per questo non cercherò di tórvi il luogo vostro, ma lasciati i motteggi, seguitate per Dio il ragionamento principale.

BERNARDO.  Piero dice bene, e la risposta sua ha tolto molto bene lo obietto mio, il quale io feci non per tentare, ma per aprire con questo principio la via al mio ragionamento. Dico adunque che, posposta ogni autorità de' filosofi, parlando naturalmente, è ancora agli uomini vulgari capace che il Governo di uno buono sia migliore che altro governo, perchè è più unito e manco impedito a fare il bene. E quella distinzione che ha fatta Piero, tra il Governo di uno quando è naturale e per elezione e voluntà de' sudditi, ed uno Governo usurpato e che ha del violento, ha anche in sè ragione capace agli idioti, perchè chi domina amorevolmente e con contentezza de' sudditi, se non lo muove la ignoranzia o la mala natura sua, non ha causa alcuna che lo sforzi a fare altro che bene. E questo non interviene a chi tiene lo stato con violenzia, perchè per conservarlo e per assicurarsi da' sospetti, gli bisogna molte volte fare delle cose che egli medesimo non vorrebbe e che gli dispiacciono, come io so che spesso fece Cosimo; e sono testimonio che Lorenzo qualche volte lagrimando ed a dispetto suo fece deliberazioni che non potevano essere più contrarie alla natura sua, ed alla generosità e grandezza del suo animo. Questa diversità adunque tra l'uno Governo e l'altro non procede perchè la spezie del Governo in sè faccia buono o cattivo quello che fussi d'altra condizione, ma perchè secondo la diversità de' governi, bisogna tenerli con mezzi diversi. Voglio in effetto dire che se fussi possibile dare uno Governo usurpato che si tenessi con quelli modi piacevoli e buoni che si può tenere uno Governo amorevole, che questa sola ragione di essere usurpato non lo farebbe peggiore che quell'altro; perchè io credo che a cognoscere quale spezie di Governo sia più buona o manco buona, non si consideri in sustanzia altro che gli effetti, e che uno Governo violento soglia essere giudicato cattivo, perchè ordinariamente suole producere effetti cattivi. Che dite voi a questo.

CAPPONI.  Io credo che voi pognate uno caso impossibile, che i sia tanto buona una cosa cattiva quanto una buona.

BERNARDO.  Io non lo pongo perchè così sia, nè per disputare ora se può essere, ma per procedere più apertamente ed avere occasione di considerare meglio la natura delle cose, e la origine e radice loro; però quando pure fussi così, che diresti voi? Ma diciamo più chiaro ed in modo che io possa essere inteso meglio; se quegli medesimi mali o per ignoranzia o per malizia facessi uno principe naturale, che fa uno che ha lo stato violento, non diremo, credo io, che fussi peggiore Governo il violento che quell'altro, ma considerato gli effetti di tutti dua essere in uno medesimo modo maligni e perniziosi, tanto biasimeremo l'uno quanto l'altro. Non è questo vero e senza disputa.

CAPPONI.  È verissimo; anzi oltre al dire l'uno e l'altro Governo essere equalmente cattivo, diremo essere peggiore uomo colui che avendo lo stato voluntario, facessi male per sua natura senza necessità, che l'altro che per natura dello stato suo, facessi di quelle cose che, se non fussi necessitato, forse non farebbe.

BERNARDO.  Tu di' bene; e per conchiudere quello che ho voluto dire, per non dare la sentenzia solo con la distinzione di Piero Guicciardini, dico che a volere fare judicio tra Governo e governo, non debbiamo considerare tanto di che spezie siano, quanto gli effetti loro, e dire quello essere migliore Governo o manco cattivo, che fa migliori e manco cattivi effetti. Verbigrazia, se uno che ha lo stato violento governassi meglio e con più utilità de' sudditi, che non facessi un altro che lo avessi naturale e voluntario, non diremo noi che quella città stessi meglio e fussi meglio governata? Però ogni volta che senza venire a particulari, si ragiona quale Governo è migliore, o uno violento o uno volontario, risponderei subito essere migliore il volontario, perchè così ci promette la sua natura e così abbiamo in dubio a presummere, avendo l'uno quasi sempre seco necessità di fare qualche volta male, l'altro, non avendo mai cagione di fare altro che bene. Ma quando si viene a' particulari ed a' governi che sono in essere, e si dimanda quale è migliore governo, o quello che è nella tale città o quello che è nella tale o quello che fu in Firenze a tempo de' Medici o quello che ci era prima, allora per potere rispondere risolutamente, io non guarderei tanto di che spezie siano questi governi, quanto io arei rispetto a porre mente dove si fa migliori effetti e dove meglio siano governati gli uomini, dove più si osservino le leggi, dove si faccia migliore giustizia e dove si abbia più rispetto al bene di tutti, distinguendo a ciascheduno secondo il grado suo. Di questo non so io quello che dichino i vostri filosofi, ma parlando naturalmente io la intendo così e mi pare cosa assai chiara.

SODERINI.  Il medesimo diciamo noi; e se i filosofi ne fussino domandati, non credo dicessino altrimenti.

CAPPONI.  E così è la verità.

BERNARDO.  Procediamo adunque più innanzi. Noi vogliamo disputare se la mutazione dello stato è stata utile alla città o no; e secondo questo fondamento che io ho fatto, a volere bene risolversene, bisogna considerare gli effetti di quello Governo che è mutato e le condizioni sue, e da altro canto considerare quali saranno gli effetti e le condizioni di questo che voi avete introdotto, o forse per dire meglio, pensate di introdurre; perchè vedendo che il cammino al quale pare che ora si indirizzi, è diverso da quello che mostrava il principio del vostro parlamento, io non so come averlo a battezzare. Però ditemi che Governo sarà questo, acciò che, considerata la natura sua e la natura della città e di questo popolo, possiamo immaginarci che effetti producerà; e così postigli da uno canto, e da altro gli effetti di quell'altro che sappiamo tutti di che sorte erano, possiamo fare il nostro judicio.

GUICCIARDINI.  Sarà difficile, perchè non sarà altro che avere a fare judicio tra una cosa certa ed una incerta, in che si potranno facilmente pigliare molte fallacie.

BERNARDO È vero che il judicio non potrà farsi così risoluto totalmente, come se tutt'a dua queste cose fussino equalmente in essere; ma penso che i non si discosterà anche dal segno quanto forse tu credi, perchè la lunga età che io ho, e lo avere molte volte veduto travagliare questa città nelle cose di drento, e quello che spesso ho udito ragionare de' tempi passati da uomini antichi e savi, massime da Cosimo, da Neri di Gino e dalli altri vecchi, dello stato, mi hanno dato oramai tanta notizia della natura di questo popolo e de' cittadini ed universalmente di tutta la città, che io credo potermi immaginare assai di presso che effetti potrà portare seco ciascuno modo di vivere. Nè voglio mi sia imputato a arroganzia, se essendo io vecchissimo, ed avendo sempre atteso alle cose di drento e quasi non mai a quelle di fuora, fo qualche professione d'intenderle; la quale è di questa sorte, che io credo che facilmente molti particulari potrebbono variare dalla opinione mia, ma negli universali ed in tutte le cose di sustanzia spero ingannarmi poco. E dove mi ingannassi io, potrete facilmente supplire voi, perchè avendo voi letto moltissime istorie di varie nazioni antiche e moderne, sono certo le avete anche considerate e fattovene uno abito, che con esso non vi sarà difficile il fare giudizio del futuro; perchè il mondo è condizionato in modo che tutto quello che è al presente è stato sotto diversi nomi in diversi tempi e diversi luoghi altre volte. E così tutto quello che è stato per il passato, parte è al presente, parte sarà in altri tempi ed ogni dì ritorna in essere, ma sotto varie coperte e vari colori, in modo che chi non ha l'occhio molto buono, lo piglia per nuovo e non lo ricognosce; ma chi ha la vista acuta e che sa applicare e distinguere caso da caso, e considerare quali siano le diversità sustanziali e quali quelle che importano manco, facilmente lo ricognosce, e co' calculi e misura delle cose passate sa calculare e misurare assai del futuro. In modo che senza dubio procedendo noi tutti insieme così, errereno poco in questi discorsi e potreno pronosticare molto di quello che abbia a succedere in questo nuovo modo di vivere. Però ditemi, io ve ne dimando di nuovo, come s'ha egli a battezzare?

SODERINI.  Innanzi che i vi si risponda a questo, vi dirò che io dubito che i non si pigli una equivocazione, perchè quello fondamento che voi avete fatto di volere considerare dagli effetti quale Governo sia migliore, non so se starà fermo nel caso nostro; dove da uno canto viene in considerazione lo stato de' Medici, che era Governo di uno solo ed usurpato, da altro canto uno vivere libero, quale se negli altri luoghi è buono, è ottimo nella nostra città dove è naturale e secondo lo appetito universale; perchè in Firenze non è manco scolpita ne' cuori degli uomini la libertà, che sia scritta nelle nostre mura e bandiere. E però credo che i politici, ancora che ordinariamente ponghino tre gradi di governi, di uno, di pochi e di molti, non neghino però che il migliore che possi avere una città sia quello che è il suo naturale. Però io non so come in termini tanto sproporzionati si potrà procedere colla regola vostra, e come potreno mai dire che il Governo della libertà, che a Firenze come ognuno sa è naturalissimo, non sia migliore che qualunche altro che ci si possa introdurre.

BERNARDO.  Io non veggo, Pagolantonio, che per questo abbia a variare il fondamento nostro, perchè parlando in genere, tu mi confesserai che uno Governo di libertà non è di necessità migliore che gli altri. E' vostri filosofi, o come tu dicesti ora, politici, ne sono abondanti testimoni, che ordinariamente appruovano più la autorità di uno quando è buono, che la libertà di una città; e ragionevolmente, perchè chi introdusse le libertà non ebbe per suo fine che ognuno si intromettessi nel governare, ma lo intento suo fu perchè si conservassino le leggi ed il bene commune, il quale, quando uno governa bene, si conserva meglio sotto lui che in altro governo. E quella ragione in che tu hai fatto fondamento grande, di essere la libertà naturale in Firenze, non contradice alle cose dette prima, perchè il filosofo ed ognuno che abbia judicio, dimandato in genere, risponderà che il migliore Governo che si possa mettere in una città sia il suo naturale; perchè confaccendosi meglio a' cervelli ed appetiti di quegli uomini, si ha a sperare che cessando tutti gli impedimenti e difficultà che sogliano recare seco le cose che hanno del violento, fiorirà meglio e farà più frutti che qualunche altro modo; come se tu volessi cultivare uno tuo giardino, saresti sempre consigliato di farvi porre di quelle piante che sono più amate dal terreno, perchè ordinariamente fanno meglio. Ma se venendo agli individui, si vedessi che uno vivere libero, ancora che naturale di una città, per qualche cagione particulare non facessi buoni effetti, allora nè i filosofi vostri nè alcuno che fussi savio, lo proporrebbono a un altro vivere, anzi loderebbono più ogni altro Governo che portassi seco maggiori beni. E però ci bisogna ritornare a quel mio primo fondamento, che se io non mi inganno è sì chiaro che mi pare superfluo il perderci drento più tempo. Dunche ditemi, questa è la terza volta che io ve ne dimando, che Governo sarà questo vostro.

CAPPONI.  La intenzione nostra fu cavare la città dalla potenza di uno e riducerla in libertà, come si è fatto. Vero è che desideravamo non mettere il Governo assolutamente nel popolo, ma in mano di cittadini principali e di più qualità, in modo che fussi più tosto uno stato di uomini da bene che tutto populare; nè però ristrignerlo tanto in pochi che i non fussi Governo libero, ma non allargare tanto la briglia che i venissi in mano della multitudine e non si facessi distinzione da uomo a uomo; ed a questo cammino andò la elezione de' venti con l'ordine di fare lo squittino, e gli altri modi introdotti per il parlamento. È di poi saltato su questo frate, ed ha tanto gridato il Governo populare ed uno consiglio grande alla viniziana, che per essere cosa da se stessa secondo il gusto de' più ed avere egli il credito che ha, ha fatto variare in modo gli ordini del nostro parlamento, che non ci è restato altro che la autorità che abbiamo noi accopiatori, di fare per tutto questo anno la signoria, che anche dispiace tanto a questo universale, che Dio sa se ci bisognerà lasciarla prima. In effetto le cose vanno a molto più larghezza che non fu il primo disegno; nondimeno la città sarà libera, che fu la principale nostra intenzione, e benchè il Governo sia tutto populare, sarà pure necessario che gli uomini da bene e che vagliono, sieno ricognosciuti più che gli altri; ed anche di mano in mano co' modi buoni e con le occasioni si potrà andare limando le cose e riducerle vel circa a quelli effetti che noi avevamo disegnato, chè, come dice il nostro proverbio, le some si acconciano tra via.

BERNARDO.  Io credo che voi abbiate uno obligo grande a questo frate, che per avere levato a buona ora il romore, è stato causa che i non si sia fatto esperienzia di quello che arebbe partorito questa vostra forma di governo; perchè io non dubito che arebbe introdotto discordie civili di qualità che si sarebbe venuto presto a qualche mutazione disordinata e tumultuosa. E sarebbe per aventura prudenzia finire di fare quello che vi resta, ora che parrebbe che voi lo facessi volontariamente e ne potresti avere qualche grado, più presto che aspettare di farlo forzatamente; perchè queste sono dua cose contrarie, che a Firenze sia uno consiglio grande, e da altro canto vi siano venti cittadini che abbino autorità di fare la signoria; ed essendo necessario che l'una di queste cose dia luogo a l'altra, credo sia poca fatica a cognoscere che il numero grande sarà quello che inghiottirà il piccolo. E per parlare in questa materia liberamente, se i si potessi fermare in Firenze uno stato nel quale la città fussi veramente libera, e che gli uomini da bene, cioè i più savi ed i migliori, vi avessino qualche grado e qualche condizione più che gli altri, e che le cose importanti non avessino a venire in deliberazione ed arbitrio di chi non sa, io lo chiamerei Governo ottimo, e credo che questo era il disegno vostro, e la elezione de' venti e gli altri ordini del vostro parlamento, aveva qualche parte da fare questo effetto, benchè in molte cose la intenzione vostra più che la invenzione meritava di essere lodata. Ma io sono di ferma opinione, e così sempre mostrerrà la esperienzia, che a Firenze sia necessario o che il Governo sia in mano di uno solo, o che venga totalmente in mano del popolo; ed ogni modo di mezzo sarà pieno di confusione e ogni dì tumultuerà. Questo me lo ha insegnato la esperienzia de' tempi passati, ne' quali tutti, quando lo stato è venuto in mano di pochi cittadini, la città sempre è stata piena di discordie: ogni dì si è fatto mutazione e parlamenti; pochissimi sono stati grandi in quelli modi di governi che non siano stati decapitati o mandati in esilio; e finalmente in breve spazio di tempo lo stato uscito di mano di quelli pochi, o si è ristretto in uno solo o è ritornato alla larghezza. Li esempli sono sì spessi e sì noti che io non voglio perdere tempo in raccontargli, ma non sono meno note le cagioni. A Firenze li uomini amano naturalmente la equalità e però si accordano mal volentieri a avere e ricognoscere altri per superiore; ed inoltre i cervelli nostri hanno per sua proprietà lo essere appetitosi ed inquieti, e questa seconda ragione fa che quelli pochi che hanno lo stato in mano sono discordi e disuniti, e per appetito di prevalere l'uno a l'altro tirano chi in qua chi in là, in modo che per difetto loro viene a indebolirsi tanto più la sua potenzia. Ed il non amare gli altri la superiorità di alcuno, fa che a ogni occasione che venga, vanno in terra; perchè dispiacendo naturalmente a Firenze a ognuno che non è nel cerchio la grandezza d'altri, è impossibile che la duri se la non ha uno fondamento ed una spalla che la sostenga. E come vi può essere questa spalla e questo fondamento, se coloro che reggono non sono d'acordo? Però di nuovo vi conchiuggo, e credo non ingannarmi, che se bene quello modo del parlamento fussi introdotto da voi a buono fine, nondimanco non era durabile, perchè tra voi non vi saresti mantenuti d'acordo, e di necessità innanzi a non molto spazio di tempo si sarebbe mutato con alterazione e con danno di qualcuno di voi, e mutato in uno de' dua modi: o venuto a una larghezza populare più licenziosa che per ora non sarà quella che ha introdotto questo frate, perchè sarebbe nata con impeto e con tumulto, o aperta la via alla ritornata di Piero con disordine e con violenzia, perchè tra voi ed in questa città non è uomo che abbia tante condizioni e tante barbe, e di questo non vi ingannate che saresti pazzi, che possi disegnare di tirarsi adosso tanta autorità che abbia a essere unico e superiore agli altri. Non nego che per qualche disordine non potesse accadere che qualcuno si facessi grande; ma oltre a essere difficile, sarebbe cosa di poco fondamento e da non potere durare e fermare lo stato. Bisogna che a fare questo effetto concorrino in uno medesimo, il che è cosa rarissima, prudenzia, tesoro e riputazione; e quando bene tante qualità concorressino tutte in uno, è necessario siano aiutate da lunghezza di tempo e da infinite occasioni, in modo che è quasi impossibile che tante cose e tante opportunità si accumulino tutte in uno medesimo; e però poi in fine non è mai stato in Firenze più che uno Cosimo. Dunche il frate è causa che ora si sia fatto quello che senza lui si sarebbe presto fatto, e si è fatto con migliore modo e con manco disordine. E però abbiamo a ragionare dello stato populare; e per tornare al nostro principale intento ci bisogna considerare da uno canto quello che era o faceva di bene e male il Governo de' Medici, da altro, che effetto farà a Firenze uno Governo di popolo, poi che il frate ci toglie questa fatica di parlare del Governo di pochi, o come voi altri solete dire, degli ottimati. Ma prima che noi entriamo più innanzi, arei caro di intendere da voi quello che vi occorra intorno a questo.

CAPPONI.  Fu pure, a tempo di messer Maso degli Albizzi, di Gino mio bisavolo, di Niccolò da Uzzano e di quegli altri, uno stato in mano de' cittadini principali e di più qualità, nè però stretto in modo che la città non fussi libera; durò unito molti anni, e si governorono drento e fuora con grandissima riputazione, perchè tennono la città senza mutazione, e non solo si difesono da inimici potentissimi che cercorono in quel tempo di opprimerci, ma ancora acquistorono Pisa e molti altri luoghi, ed augumentorono assai il Dominio e la riputazione della città, in modo che, secondo la opinione di ognuno che ha parlato o scritto di queste cose, non fu mai stato in Firenze che l'abbia meglio governata e più onorata di quello. E però non avevamo a disperarci che ciò che fu allora potessi tornare un'altra volta, massime che eravamo per accostarci, e già avevamo comminciato, a quella forma di vivere il più che avessimo potuto. Nè era alcuno tra noi che si ingannassi tanto, che pretendessi alla superiorità; e la paura che noi aremo avuto di non venire a uno di quegli dua estremi, o di una larghezza populare o della ritornata di Piero inimico a tutti noi, ci arebbe di necessità tenuti uniti e stretti insieme.

BERNARDO.  Io sono uno di quegli che in queste cose non allegherei mai la esperienzia, se io non la vedessi accompagnata dalla ragione, la quale in questo caso mi pare manifesta secondo quello che io ho detto; perchè, se bene alcuno di voi non pretendessi per ancora a quello primo luogo, nondimeno ve ne sarebbe stati più di quattro che arebbono sempre pensato di andare ampliando ogni dì la sua autorità. E per questo e per molti altri accidenti nascono infinite emulazioni ed ambizioni che generano disunione, la quale rare volte si raffrena per quelle paure che tu hai detto, perchè gli uomini per odi, per sdegni, per cupidità accecano; quegli che governano non sono tutti savi, anzi tanto pochi sono i savi che è maraviglia non saresti stati tutti tanto inimici di Piero che forse alcuno di voi, o perchè fussi così la verità, o per judicio corrotto da sdegni e da ambizione, o per nuove pratiche, non si fussi persuaso non solo salvarsi ritornando lui, ma ancora farne meglio. Però non sarebbono stati bastanti questi vinculi a tenervi legati, e sarebbe intervenuto a voi quello che quasi sempre intervenne a tutti gli altri che sono stati in grado simile. Nè voglio che vi inganni lo esemplo di quello stato che fu a tempo di messer Maso e delli altri; perchè quando viene in considerazione una cosa che pare fuora del ragionevole, chi vi penserà bene vi cognoscerà drento qualche cagione particulare che produce quello effetto, che a chi non considerava più oltre pareva effetto diverso dalla ragione; e così io ho udito molte volte da' più vecchi, che due condizioni che estraordinariamente vi concorsono, furono cagione di tenerlo più unito che non erano soliti a essere i governi che erano stati innanzi. La prima, che la città nostra non ebbe mai sì grande e sì spesse mutazioni, nè mai in alcuna novità furono tanto battuti gli uomini da bene, quanto era stato gli anni precedenti, massime per il caso de' Ciompi e poi per la grandezza di messer Giorgio Scali col braccio della plebe e con la depressione di quasi tutti i migliori; in modo che come gli uomini di più qualità, che erono pieni di stracchezza e di desperazione, ebbono punto facultà di respirare, non fu maraviglia che la memoria sì fresca di tanti mali gli facessi per qualche tempo stare più uniti che non sarebbono stati. La seconda, che alla città non furono mai fatte più pericolose guerre nè più lunghe nè da più potenti inimici; perchè avemo la guerra gravissima col conte di Virtù, che durò dodici anni, e poi col re Ladislao, che furono di tanto peso e di tanto pericolo, che molto più furono forzati, lasciato da canto le gare, attendere con ogni studio alla conservazione della città. E nondimeno, leggete e considerate bene le vostre croniche, quello non fu Governo libero, perchè ogni cosa fu in mano di pochi cittadini, ed il popolo non vi ebbe, si può dire, parte alcuna; nè fu anche pacifico, perchè vi furono spesso novità e travagli; nè a pena ebbono finito di assicurarlo e stabilirlo che vennono tra loro in nuove divisioni, e sursono quelle parte donde poi nacque il 33 ed il 34. Però vi dico che, considerato bene tutto questo discorso, quello Governo non fu tale, nè durò tanto che voi dovessi contentarvi, se bene ne avessi introdotto uno simile; perchè chi si fa autore di fondare stati nuovi, e massime sotto il nome della libertà, debbe proporsi per fine di fare migliore Governo e più lungo, non essendo ragionevole procedere nelle cose publiche con la misura solo di quegli pochi anni che egli ha a vivere; ma debbe andare con la misura della vita della città e della posterità, la quale abbiamo a sperare, o almanco a desiderare, che sia perpetua. Di poi, se pure vi paressi assai in una città fluttuosa ed inquieta come la nostra, fondare uno stato di quella sorte, vi dico che non avevi a sperare che vi potessi riuscire, perchè mancavano in voi quelle ragioni che lo causorono. E se voi mi dicessi: gli era pure possibile, e noi potremo pure avere avuta questa felicità che fussi tornato a' tempi nostri, io ve lo confesso; ma se i si ha a arguire dalla ragione, si doveva credere a venti per uno il contrario; se dalla esperienzia, il medesimo. Però io non so che prudenzia sia fondarsi in sulla speranza che una cosa abbia a succedere in uno modo, quando è solita quasi sempre a succedere al contrario. Ma lasciamo questo da parte, poi che lo stato che si è fatto è populare e che quello di pochi non ha ora a venire in considerazione.

SODERINI.  Così è bene; parliamo di questi dua che sono in fatto: di quello de' Medici e del populare.

BERNARDO.  Noi dureremo poca fatica a capitolare di che natura fussi lo stato de' Medici, perchè non si può negare che non sia vero quello che disse Piero Guicciardini, che fussi uno stato usurpato per mezzo di fazione e con la forza; anzi bisogna confessare quello che per costumatezza non volle forse esprimere lui, che era uno stato tirannico, ed ancora che la città ritenessi il nome, le dimostrazioni e la immagine di essere libera, nondimeno loro dominavono ed erano padroni, perchè si davano i magistrati a chi loro volevano, e chi gli aveva, gli ubidiva a' cenni. È vero, e questo so che voi non negherete, che la tirannide loro è stata, secondo le altre, molto mansueta; perchè non sono stati crudeli o sanguinosi, non rapaci, non violatori di donne o dello onore di altri; sono stati desiderosi e caldi a augumentare la potenza della città ed hanno fatti molti beni e pochi mali, eccetto quegli a che gli ha indotti la necessità; hanno voluto essere padroni del governo, ma con quanta più civilità è stato possibile e con umanità e modestia. Il che credo che abbino fatto principalmente per natura loro, perchè non si può negare che non siano stati di buono sangue e di animo molto generoso; ed anche essendo Cosimo e Lorenzo stati prudenti, ed avendo avuto sempre intorno a sè uno numero di cittadini savi e di buono consiglio, hanno cognosciuto che atteso la natura dello stato suo e la condizione della città, non potevano quasi governarsi altrimente, e che ogni modo che avessino tenuto di riducere le cose al sangue ed a più violenzia, come vediamo che si fa a Perugia ed a Bologna, arebbe a Firenze distrutto più che accresciuto la loro grandezza. Ho voluto dire questo in genere; ora aspetterò udire da voi più in particulare in che voi riprendiate le cose de' Medici.

CAPPONI.  Io durerò più fatica a raccontare i mali di quello stato, che non avete durato voi a dire i beni; non perchè i mali siano manco noti, ma perchè sono tanti più che i beni, che la memoria non mi servirà a ricordarmi di tutti; pure dove mancherò io, Pagolantonio supplirà. Io credo che nel Governo di una città simile alla nostra si abbino a considerare principalmente tre cose: come si amministri equalmente la giustizia, come convenientemente si distribuischino gli onori ed utili publici, come bene si governino le cose di fuora, cioè quelle che appartengono alla conservazione ed augumento del Dominio. Quanto alla giustizia, io non voglio già dare carico a' Medici di essere stati molto appetitosi nella civile, perchè in verità, dove non è stato qualche interesse che gli abbia stretti assai, sono proceduti con rispetto; pure non si può negare che qualche volta non l'abbino maculata con raccommandare gli amici a' magistrati o a' giudici, e quello che loro non hanno fatto, hanno spesso fatto senza saputa sua i suoi ministri o chi era grande con loro, le raccomandazioni de' quali per avere il caldo dello stato potevano assai. Ed ancora che fussino fatte senza consenso loro, questo non si ha a considerare, perchè basta che procedendo dalla loro grandezza, sono de' difetti che produce la autorità de' tiranni, le voluntà de' quali sono avute in tanto rispetto, che eziandio tacendo loro, gli uomini cercano di indovinarle, nè si pensa di satisfare solo a chi è capo dello stato, ma ancora a tutti quegli che si crede che vi abbino drento parte o favore. E che effetto crediamo noi che facessi la diligenzia che usò massime Lorenzo negli squittini della mercatantia? Non solo era a proposito, quando lui pure avessi voluto aiutare qualche amico; ma empiendo le borse di uomini dependenti da sè, essi medesimi nelle liti l'uno de l'altro si riconoscevano, in modo che senza altro aiuto dello stato, le cause di chi era del cerchio, andavano con grandissimo vantaggio dagli altri. Nè questo poteva dispiacere a Lorenzo, perchè bisognava che avessi caro che le condizioni degli amici suoi fussino cognoscinte da ognuno tanto migliori che quelle degli altri, che ciascuno avessi a desiderare di esser capitolato per suo amico; e credo che per la medesima ragione di potere favorire copertamente le cose degli amici, tenessi sempre alla mercatantia uno cancelliere fatto a mano, il che faceva ancora in tutte le Arti ed offici. E perchè credete voi che i giudìci de' sei e de' ricorsi, che solevano a tempo de' passati nostri essere in tanta riputazione in tutte le parti del mondo, non abbino ora più credito? Non può essere proceduto da altro che dal sospetto del favore; chè già oggi i nostri cittadini non intendono manco della mercatantia che facessino gli antichi, nè credo che gli uomini della età nostra sieno di sua natura più corruttibili che fussino a quelli tempi. Ma che potren noi dire della giustizia criminale, dove senza comparazione si procedeva a gratificare con la mano più larga? Io non negherò che Lorenzo in verità desiderava ordinariamente che la città ed il paese stessi quieto e che nessuno fussi oppresso e che si osservassino le legge e si vivessi senza scandoli; ma pure quando i delitti erano fatti, gli bisognava fare avere rispetto a' suoi e passare le cose loro con gli occhi chiusi, overo terminarle molto leggiermente; e questi suoi erano tanti, che infiniti casi nascevano l'anno che si risolvevano con questi fini. Sapete quanti capi, quanti parentadi intratenevano nel Dominio per potersene servire a' bisogni, cioè per avere forze da tenere soffocati i cittadini: a tutti questi si conveniva avere rispetto, ed a' parenti ed amici e partigiani di questi. Il medesimo dico in Firenze; e per questa ragione non solo si procedeva spesso dolcemente contro alle ferite e l'altre violenzie, ma si tollerava che i nostri cittadini o questi tirannelli di fuora usurpavano i beni de' vicini, degli spedali, delle communità e delle chiese. Voi ve ne ricordate tutti senza che io ne nomini alcuno; e quanti soprusi di questa sorte si facevano l'anno, che non venivano in notizia, perchè gli oppressi tacevano, dubitando col querelarsi degli uomini potenti trovare più presto nuovo danno che rimedio. E che sdegno, anzi disperazione crediamo noi che si generassi nelli animi degli altri, quando vedevano che quello che in loro era peccato mortale si trattava in una sorte di uomini come veniale; che l'uno era trattato come figliuolo della patria, l'altro come figliastro? E quanto era inumana e tirannica quella parola con la quale pareva loro scaricare, anzi per dire meglio ingannare la conscienza, e che già era venuta come in proverbio: che negli stati si avevano a giudicare gli inimici con rigore e li amici con favore; come se la giustizia ammetta Oltramontanistinzioni e come se la si dipinga con le bilancie di dua sorte, l'una da pesare le cose delli inimici, l'altra quelle degli amici! Non voglio aggravare più questo capo, perchè si aggrava da se stesso abastanza; però non ne dicendo altro vegnì no al secondo che è la distribuzione degli onori ed utili publici. Quanto importi questa distribuzione in una città è superfluo a dire, ed a Firenze massime dove pagando i cittadini per sostentazione della republica le gravezze grande che si pagano, è molto onesto che siano aiutati con quegli emolumenti che sono propri della republica; e tanto più che essendo il nostro naturale avere avuto quasi sempre la libertà, non interviene a noi come a chi è consueto di stare sotto uno principe, perchè già queste cose, cioè gli onori e gli utili, appartengono a tutti noi e sono commune. Come questi siano stati distribuiti dalla casa de' Medici lo sa ognuno, perchè il principale obietto non è mai stato di dargli a quelle persone che per la qualità della casa, per le virtù o altri meriti se gli convenghino, ma fargli girare in chi hanno riputato amico e confidente, e contentatone ancora spesso gli appetiti più leggieri. Lo sappiamo tutti, che non solo le moglie, i cagnotti e molte persone basse loro domestiche hanno avuto autorità in questo, ma se ne è satisfatto insino agli amori. E quello che importa più ed è manco tollerabile in una republica, una parte grande della cittadinanza ne è stata esclusa quasi per legge, cioè quelle case delle quali non si sono mai voluti fidare, che cominciando dal 34, i figliuoli e discendenti loro in perpetuo ne sono stati privati totalmente, come prodotti da radice infetta. Di che è riuscito il male doppio, perchè non solo si è tolto a chi si doveva dare, ma ancora mancando questi, si è dato a chi non si doveva, ed esaltato a' primi onori molte case ignobile ed abilitati allo stato infiniti plebei e contadini; e come tirannicamente disse Puccio, sforzatisi di riempiere il luogo de' nobili col mettere indosso alla gente vile i panni di grana di san Martino. È appiccata con questo capo la disonestà delle gravezze, perchè coloro a' quali hanno tolto gli utili hanno anche caricato di pesi maggiori. È notissimo quante nobilità, quante ricchezze furono distrutte da Cosimo, e poi ne' tempi sequenti, con le gravezze; e questa è stata la cagione che mai la casa de' Medici non ha consentito che si truovi uno modo fermo, che le gravezze si ponghino quasi dalla legge, perchè hanno voluto riservarsi sempre la potestà di battere co' modi arbitrari chi gli pareva. E certamente se avessino voluto tenere in mano questo bastone per usarlo solo contro alli inimici e sospetti, sarebbono alquanto più escusabili, non lo adoperando per altro che per la sicurtà sua; ma si è veduto che se ne sono serviti a fare terrore a ogni generazione di uomini; e non potendo muovere con lo appetito delli onori i cittadini quieti e le persone non ambiziose che pretendevano più alle mercatantie che allo stato, hanno usato quest'altro instrumento per farsi adorare e diventare con questo mezzo padroni di ogni cosa e di ognuno, e sforzare gli uomini a cercare di indovinare per ubidirgli nelle cose eziandio minime. Ho troppo dispiacere a fermarmi nella memoria di questa parte non che a parlarne più; però passiano più innanzi e ragioniano del terzo capo che io proposi, cioè di quella parte del Governo che tocca alla conservazione ed augumento del Dominio. Dico che avendo i Medici sempre per ultimo fine il bene suo particulare, ed a questo tutti i mezzi dirizzando, le deliberazioni del pigliare o lasciare le imprese e del fare o conservare le amicizie, erano non secondo la utilità della città, ma come pareva loro che fussi più a proposito della grandezza propria; e se pure in alcuna concorrevano l'una e l'altra insieme, cioè il beneficio publico e lo interesse suo particulare, usavano arte di governarle in modo che non solo tutto il maneggio dependessi da loro, ma ancora tutto l'onore, tutto il grado fussi suo, e che a ognuno fussi noto che loro erano padroni assoluti. La guerra di Volterra che ci messe in grave spesa e pericolo, fu causata da Lorenzo che per sdegni suoi particulari constrinse i volterrani a ribellarsi. Il volersi conservare privatamente lo appoggio della casa sforzesca, e lo inimicarsi Sisto ed il conte Girolamo per cose sue particulari, esasperò tanto il papa ed il re Ferrando che tentorono la novità de' Pazzi, e non gli riuscendo il rovinare Lorenzo per questo verso, ruppono la guerra con grandissima spesa nostra e gravissimi danni del paese. Per aiutare il medesimo re nella guerra de' baroni, facemo spesa grossissima e senza necessità perchè a noi non veniva male a proposito il suo travaglio; ma non lo volle comportare Lorenzo per la intelligenzia stretta che aveva fatta con lui. Questa medesima ragione e la intrinsichezza con gli Orsini è stata causa che Piero, per non si volere sviluppare da quelli nodi co' quali gli pareva avere molto bene legato lo stato suo, fece questa pazzia di opporsi al re di Francia e messe in tanto precipizio la città, di che io non mi voglio lamentare, poi che da questo ha avuto occasione la nostra libertà, ma è pure stato con troppo pericolo dell'ultima ruina di tutti. La difesa di Ferrara fu deliberata saviamente per opporsi alla troppa grandezza de' viniziani; ma per tirare a sè Lorenzo tutta la riputazione ed il grado, volle andare in persona alla dieta di Cremona. Nè biasimo la impresa di Pietrasanta per le cose di Lucca; ma quando la fu stretta dal campo nostro in modo che bisognava si arrendessi, Lorenzo vi andò per avere lui solo l'onore delle fatiche d'altri. Il medesimo fece a Serezzana, dove nello acquistarla e poi nel fortificarla, si è fatto senza proposito una spesa intollerabile; benchè questo non attribuisco a interesse suo particulare, ma più tosto a essere mancato di judicio. La conclusione in somma è che la città ed i privati hanno corso molte volte grandissime spese e pericoli per satisfare agli interessi loro particulari; ed il danno che si è avuto di qualunche impresa è stato commune a tutti i cittadini, l'onore ed il grado si hanno appropriato loro. Tutti questi mali hanno una medesima radice, perchè chi è capo di uno stato stretto non ha per fine altro che la grandezza sua particulare e fa sempre quanto gli pare a proposito di conservare questa, senza rispetto alcuno di Dio, della patria e degli uomini. Non sappiamo noi quante volte, perchè l'arme nostre fussino dipendenti da loro, ci hanno fatto fare condotte senza bisogno, tolto capitani insufficienti ma sua amici e confidati? Per potere reggere le spese eccessive e mantenersi gli amici nelle corte ed appresso i prìncipi, Lorenzo, quasi fallito nelle mercatantie, non mess'egli mano a' danari del commune, facendosi servire con modi coperti di grosse somme? Non si sa egli come andorono le cose di quel suo banco, al quale si voltorono i pagamenti de' soldati nella guerra del 78 e 79? Quello che lui fece per sè non seppe o non volle o onestamente non potette negare agli amici; de' quali molti furono serviti de' danari del commune che uscivano del sangue e delle ossa de' poveri cittadini, anzi che erano le dote delle sventurate fanciulle. Doppo simili portamenti viene di necessità il sospetto; perchè sapendo che questi termini non possono piacere a chi non è maligno o di animo vile o interessato molto estraordinariamente seco, hanno sospetto di tutti gli altri, però sono sforzati a guardare alle mani a ciascuno e tenere bassi tutti quegli che gli paiano grandi o di troppo ingegno. Da questo nacque il tórre a' Pazzi con una legge iniqua l'eredità de' Borromei, ed il battergli per tanti versi che la desperazione gli condusse alla congiura donde seguirono infiniti mali; da questo, il non lasciare fare parentadi tra quelle persone che gli pareva che congiugnessino insieme troppe qualità; da questo, il travagliare e tenere indrieto molti con diversi modi. Non parlo del fallimento mio, perchè poi che non seguì lo effetto, mi ricordai sempre più del beneficio che Lorenzo mi fece in mostrare di aiutarmi, che della ingiuria del mettermi in pericolo; ma si sa che non fu per altro che per tórre lo ardire a me e forse con questo esemplo a molti altri. Nè mi voglio maravigliare delle altre cose, quando mi viene in mente che degli amici suoi più confidenti non si fidava, aggirandogli con vari mezzi ed avendo sempre con loro qualche riservo; di che può fare fede quella sottile invenzione di tenere, con ordine degli otto della prattica, cancellieri fermi appresso agli imbasciadori, nonostante che gli imbasciadori erano pure sempre de' suoi più intrinsechi. Da questi fondamenti si può inferire che se a' Medici fussi venuto a proposito lasciare da canto la mansuetudine con la quale voi avete detto che sono vivuti, ed è la verità, a rispetto de' tiranni di Bologna e di Perugia, l'arebbono lasciata; perchè chi si propone per ultimo fine suo la grandezza propria, ha per inimico ogni cosa che è contraria a questa e per conservarsela farebbe, ogni volta che bisognassi, uno piano delle facultà, dell'onore e della vita di altri. E che più bello esemplo vogliamo noi che il 34, dove Cosimo mandò in esilio e distrusse tanta nobilità e tante case, che si può dire con verità che di tutti i mali che ha avuto la città nostra in alcuno tempo, nessuno è stato comparabile a questo? La ingiuria che ebbe Lorenzo da' Pazzi fu gravissima; errerò forse manco a dire l'offesa, perchè non pare si possa dire ingiuriato chi ha provocato; e nondimeno la vendetta passò ogni misura di civilità, perchè non solo nel primo impeto furono impiccati molti che non erano in colpa, ma poco appresso fu fatto il medesimo a Renato che aveva sempre detestato l'arme, e poi a sangue freddo tenuti tanti anni in prigione quegli poveri giovani innocenti; vietato il maritarsi alle fanciulle, e fatto molte altre esorbitanzie che sono tutte secondo la natura di simili stati, ne' quali si castiga non solo chi ha cercato mutazione, ma ancora i figlioli, i fratelli, i parenti. Potrebbesi dire infinite altre cose, ma avendo io detto assai voglio lasciare il luogo a Pagolantonio.

SODERINI.  Piero ha toccato in modo tutti i capi principali, che io giudico sia abastanza, massime che a volergli narrare tutti sarebbe troppo lungo, perchè in fatto i mali di quello tempo sono infiniti; e quello che Bernardo ha detto con verità, che il modo di Cosimo e di Lorenzo fu mansueto a comparazione degli altri tiranni, o per la loro buona natura o per essere savi e bene consigliati, questa ragione dico che mi fa più avere in odio simili governi, perchè se sotto uno tiranno piacevole e savio si sopportano tanti mali, che si può aspettare da uno che sia imprudente o maligno? Che si poteva aspettare da Piero, che oltre a non avere avuto prudenzia maggiore che voi sappiate, non fu anche di quella buona natura e dolcezza di sangue che furono il padre e lo avolo, e che ordinariamente suole essere la nostra nazione? Nè è maraviglia, perchè essendo nato di madre forestiera, era imbastardito in lui il sangue fiorentino, e degenerato in costumi esterni e troppo insolenti ed altieri al nostro vivere. Che si sarebbe poi potuto aspettare da' figliuoli di Piero che sono Orsini da tutte le bande? Ma che dirò io? Che se bene Piero fussi stato simile al padre, le cose sarebbono sempre a ogni modo di necessità andate in peggio, perchè la natura degli stati stretti è che del continuo si vadino più strignendo, e si augumenti sempre la potenza del tiranno, ed in consequenzia tutti i mali che procedano dalla grandezza sua. Considerate i progressi di Cosimo, e quanto egli fu maggiore nel fine della vita, che non era nel principio del 34. Lorenzo successivamente ebbe lo stato più assoluto che Cosimo; e negli ultimi anni suoi era molto più stretto in lui ogni cosa, e si strigneva a giornate, che non fu ne' primi tempi doppo la morte del padre. Il medesimo si sarebbe veduto in Piero, anzi già si vedeva, avendo messo in mano ogni cosa a ser Piero da Bibbiena e tirato alla cancelleria di casa sua tutte le faccende che a tempo di Lorenzo solevano stare negli otto della prattica. E questo procedeva, perchè, come ha detto Piero Capponi, chi ha lo stato stretto si diffida eziandio degli amici; a' quali se bene piace il participare, nondimeno quando anche non avessino punto di spirito di buono cittadino, il che mal volentieri si debbe credere in chi non ha lo animo al tutto corrotto, quando, dico bene, non avessino alcuna scintilla di amore alla patria sua, non può essere che tacitamente non si sdegnino, vedendo aversi sospetto di loro, e che la autorità ed il pondo del Governo è in cancellieri, persone vili e di poca qualità, ed il più delle volte sudditi nostri; a' quali nondimeno chi vuole intratenersi bisogna che diferisca e che gli onori per maggiori. E questo oltre a essere cosa molestissima a chi ha punto di gusto, di essere dominati da chi doverebbe servire, è ancora pernizioso alla patria trovarsi in mano di persone che ci sieno inimici ed almanco non ci abbino amore; e che i segreti ed intrinsichi di tutti noi e gli umori e valuta della città abbino a passare ogni dì per mano a simili ed a essere noti a loro più che a noi medesimi. Però non so come Bernardo potrà aguagliare il vivere di simili stati al Governo populare, nel quale quando bene gli effetti non fussino migliori che quegli della tirannide, l'uno è secondo lo appetito naturale di tutti gli uomini che hanno per natura lo appetire la libertà, l'altro è direttamente contrario, avendo ognuno in orrore la servitù; donde eziandio con disavantaggio si debbe preporre quello che satisfa più alla naturalità, che il contrario. E questa ragione è generale in tutti gli uomini, perchè ordinariamente gli instinti naturali sono in ognuno. Ma particularmente coloro che sono di ingegno più elevato o di animo più generoso, non possono nè debbono stare contenti alla servitù, anzi bisogna si disperino quando veggono che le azioni loro, che arebbono ragionevolmente a essere libere nè avere dependenzia da altri che da sè medesimo e dal bene della patria, bisogna che si regolino secondo lo arbitrio di altri, o sia giusto o sia a beneplacito; quando cognoscono che non solo sono constretti a sottomettersi a chi sa molte volte manco di loro, ma ancora gli bisogna andare nascondendo la sua virtù, perchè al tiranno dispiacciono tutti gli spiriti eccelsi, ogni potenza eminente, massime quando procede da virtù, perchè la può manco battere; e questo fa qualche volta per invidia, perchè vuole essere lui singulare, spesso per timore, del quale per l'ordinario è sempre pieno. Non voglio applicare queste parole a particulare alcuno, ma voi sapete tutti che io non le dico senza proposito. Adunque se il primo obietto di coloro che hanno retto legitimamente le città, se la principale fatica de' filosofi e di tutti quegli che hanno scritto del vivere civile, è stata di mettervi quella instituzione che produca le virtù ed eccellenzia di ingegno e di opere generose, quanto sarà da biasimare e detestare uno governo, dove per contrario si fa estrema diligenzia di spegnere ogni generosità ed ogni virtù! Parlo di quelle virtù con le quali gli uomini si fanno atti alle azioni eccellenti, che sono quelle che fanno beneficio alla republica. E che misera condizione è degli ingegni nobili e degli uomini che desiderano fama, vedere che gli siano tagliati tutti i mezzi di fare opere egregie e di acquistare gloria, ed essere necessitato lodare spesso chi non lo merita, ed avere a interpretare la voluntà di chi vuole essere inteso a' cenni! In che, come ognuno sa, Lorenzo premè sopra tutti gli uomini. E non si ha però a fare così per altri meriti che per dire: egli ha più forze di me. Però io replico di nuovo che ogni volta che il Governo non sia legitimo, perchè allora la virtù è onorata, ma abbia del tirannico o fiero o mansueto, che con ogni disavantaggio ed incommodità di roba o di altra prosperità, si debbe cercare ogni altro vivere; perchè nessuno Governo può essere più vituperoso e più pernizioso che quello che cerca di spegnere la virtù ed impedisce a chi vi vive drento, venire, io non dico a grandezza, ma a grado alcuno di gloria, mediante la nobilità dello ingegno e la generosità dello animo. Aggiugnerò un'altra considerazione la quale a me pare verissima, se bene non sarebbe forse capace a ognuno: che la casa de' Medici, come fanno tutti gli stati stretti, attese sempre a cavare l'arme di mano a' cittadini e spegnere tutta la virilità che avevano; donde siamo diventati molto effemminati, nè abbiamo quello vigore di animo che avevano gli avoli nostri; e questo quanto sia di danno a una republica lo può giudicare chi ha considerato che differenzia sia a fare le guerre con le arme proprie, a farle con le arme mercennarie. Nè sia alcuno che lodi questo ordine perchè il vivere dove non si adoperano le arme è quieto, e dove le arme si maneggiano surgono spesso degli scandoli; perchè il verso vero sarebbe non volere, per questo timore, perdere il bene che resulta a chi tiene le arme in mano, ma ordinarsi in modo che le arme si adoperassino a beneficio della patria e non si potessino adoperare a' tumulti e sedizioni. E che questo sia facile lo dimostrano le antiche republiche e se ne vede oggi qualche vestigio in questi svizzeri, che ora cominciano a farsi conoscere in Italia; i quali ancor che siano feroci ed armigeri quanto si vede, intendo che in casa loro vivono in libertà, sotto le leggi ed in somma pace. Potrebbonsi, credo, dire delle altre cose, ma mi pare sia detto abastanza, e pure anche sarebbe bene che Piero Guicciardini aggiugnessi quello che noi abbiamo lasciato.

GUICCIARDINI.  Io mi rallegro che voi avete detto tanto che mal volentieri si debbe potere dire più; ed è tanto che non si potrà rispondere per Bernardo, nè alle risposte che egli farà replicarsi per voi, senza dichiarare molti passi belli appartenenti al Governo di una città, che è quello che io desideravo. Però essendo in sul cammino di avere ciò che io ho cercato, non accade che per ora io interrompa senza proposito.

BERNARDO.  Voi avete raccontato con tale ordine e con tanta memoria i difetti di quello stato, che bene si vede che voi vi avete pensato più di una volta; nè io voglio negargli o alleggerirgli più che si convenga, perchè noi ragioniano per trovare la verità, non per disputare; ma credo bene che mi riuscirà il mostrarvi che questo vostro governo, dal quale voi aspettate una età di oro, arà seco molti di questi medesimi difetti, e ne arà anche degli altri, in modo che, bilanciando minutamente l'uno e l'altro, troverrete forse le cose in grado diverso da quello che voi vi immaginate. Ma perchè Pagolantonio mi vuole tagliare sempre la via col nome della libertà, e dimostrando quanto la sia naturale allo appetito degli uomini, massime nella nostra città, e per contrario quanto sia detestabile la servitù, conchiude che uno Governo libero, ancor che portassi seco peggiore condizione, debbe essere più amato che uno stato che sia in mano di uno, e spezialmente dagli uomini di ingegno e generosi e che aspirano alla gloria, a' quali sotto la potenza di uno è levata ogni occasione di operare la sua virtù e di acquistare fama, anzi sono a sospetto e bisogna che cerchino di coprire le sue virtuose qualità; mi pare necessario, prima che io passi più oltre, parlarne qualche cosa, perchè, se ci lasciassimo ingannare da questa equivocazione, sarebbe interrotto ogni mio fondamento. Io ho considerato spesso che questo nome della libertà è molte volte preso più presto per colore e per scusa da chi vuole occultare le sue cupidità ed ambizione, che in fatto si truovi così naturale negli uomini questo desiderio; parlo di quella libertà che si considera nel Governo di una città, non di quella che concerne lo stato delle persone, cioè che uno uomo sia libero o sia stiavo. Mi pare bene, se io non mi inganno, che negli uomini si truovi naturale il desiderio di dominare e di avere superiorità agli altri, e che communemente siano pochissimi che amino tanto la libertà, che se avessino occasione di farsi signori o superiori degli altri, che non lo facessino volentieri. E questo si vede in fatto ogni dì, non solo tra quegli che non hanno congiunzione l'uno con l'altro, come uno principe o una republica che cercano sempre di insignorirsi delle terre e stati vicini, ma ancora tra quegli che sono membri di uno medesimo corpo. Però se voi considerate gli andamenti di coloro che vivono in una medesima città e le discordie che nascono tra essi, troverrete che per ultimo fine risguardano più la superiorità che la libertà; ma gli uomini si lasciono spesso ingannare tanto da' nomi che non cognoscono le cose, e però allegandosi il più delle volte nelle discordie civili il nome della libertà, i più, abagliati da questo, non cognoscono che il fine è diverso. Coloro che sono de' primi gradi delle città non hanno tanto per obietto la libertà, quanto cercano sempre di ampliare la sua potenza e farsi superiori e singulari quanto possono. Sforzonsi bene, mentre lo possono fare, di coprire la ambizione sua con questo piacevole titolo della libertà, perchè essendo in una città molti più quegli che temono di essere oppressi che quegli che sperano di opprimere, ha molti più compagni chi pare che pigli il patrocinio della equalità, che chi scopertamente andassi alla via della superiorità; e nondimeno se la gli viene bene colta, lo effetto mostra i pensieri loro, perchè con questo inganno si servono il più delle volte della moltitudine a farsi grandi. Degli esempli credo ne troverrete molti se leggete le vostre istorie e l'antiche. Da altro canto i popoli cercano e pigliano per obietto la libertà, perchè essendo la maggiore parte in grado che dubita di essere oppressa o che participa manco degli onori ed utili della republica, bisogna che la prima cosa a che attendino sia la equalità, perchè con questo mezzo si assicurono e ricevono più parte che prima; e chi vuole di grado basso salire in alto, bisogna che di necessità arrivi prima al mezzo. Nondimanco si vede sempre per esperienzia, che questi medesimi, come sono condotti alla equalità, non fermano quivi il suo fine, ma cominciano a cercare o almeno a desiderare la grandezza ed avanzare gli altri; e dove prima procuravono la libertà, cominciano, se ne avessino occasione, a procurare la servitù, o cercando di farsi capi principali dello stato o di fare capo un altro, sotto la aderenzia di chi sperino più parte che non speravano dalla equalità. E questo vi dimostra veramente quale sia il fine degli uomini, poi che chi è potente si serve molte volte del nome della libertà per ingannare gli altri, e molti di quelli che la hanno cercata, come sono condotti alla equalità, la abbandonano, pur che paia loro essere di sorte da potere sperare superiorità. E se voi mi dicessi che nelle istorie si truovano pure molti che hanno avuto per ultimo fine il desiderio della libertà della patria, e sì ardente che hanno messa la vita propria in certo pericolo, vi prego non inganniate voi medesimi, e che se io mi ingegnerò di farvi cognoscere bene la natura delle cose, non mi riputiate per questo amatore delle tirannide ed inimico della libertà e delle republiche, massime che io spero che innanzi che sia finito il nostro ragionamento farò manifesto che io non ho lo animo punto alieno da una libertà bene ordinata. Tutti quegli che si sono messi a pericolo per la patria, o lo hanno fatto contro a inimici forestieri, o contro a quegli che drento occupavono la tirannide. Lo esemplo di chi ha fatto contro alli inimici forestieri, come furono molti appresso a' Romani, non è a proposito del nostro ragionamento, perchè costoro hanno fatto per amore della patria, e perchè la non sia concultata o depredata dagli inimici; in che non ha avuto a venire in considerazione che lo stato sia in mano di uno, o di pochi, o di republica. Si può dire più tosto che questi simili abbino fatto per amore della patria che della libertà; la patria abbraccia in sè tanti beni, tanti affetti dolci, che eziandio quegli che vivono sotto i prìncipi amano la patria, e se ne sono trovati molti che per lei si sono messi a pericoli. Coloro che hanno fatto contro a chi occupava la tirannide, o gli è riuscito loro il disegno di avere levato il tiranno, o sono stati impediti. Di questi ultimi non si può dare judicio certo che fine gli abbia mossi, perchè non sappiamo, se gli fussi riuscito lo opprimere la tirannide, se si sarebbono fermati quivi o se pure avessino poi cercato di andare più innanzi ed attendere alla grandezza propria. Ma se ne può dire quasi il medesimo che si dice di quelli a chi è riuscito opprimere il tiranno, molti de' quali si è veduto che in progresso di tempo hanno cercata la tirannide; donde bisogna giudicare che questo fussi anche lo animo loro in principio. Molti perchè non erano grandi nè onorati a loro modo, nè vedevano altro mezzo da sollevarsi, possono avere cercata la libertà a questo effetto; altri di questi è certo che si sono mossi da qualche sdegno o da qualche ingiuria ricevuta dal tiranno o da altri, ma non vendicata da lui, come gli pareva conveniente; altri hanno avuto paura che il tiranno non gli opprima, e però hanno prevenuto e cercato per questa via la sua sicurtà; altri trovandosi in disordine delle facultà, hanno cercato novità per trovare modo di riordinarsi, come fanno communemente i malestanti; altri per essere stati parenti o amici di qualche sbandito dal tiranno, hanno procurato con questo mezzo il ritorno de' suoi. Molte altre cagione si possono considerare, per le quali tutte si inferisce questo: che tra gli inimici del tiranno sono stati pochissimi quegli che si siano mossi meramente per amore della libertà della sua patria, a' quali si conviene supprema laude e tanto maggiore quanto è più rara; ma dico che sono sì pochi che non si può inferire da questo lo appetito universale degli altri, perchè, come si dice in proverbio, una rondine non fa primavera. E se i non paressi che io volessi troppo anichillare questo appetito della libertà, direi più oltre, che forse la maggiore parte di questi tali pochissimi non si sono mossi tanto per amore della libertà, quanto perchè cognoscendo questo patrocinio essere gloriosissimo, hanno cercato con questo mezzo di acquistare nome e gloria; e così vengono a essersi mossi non per bene commune, ma per fine di proprio interesse; i quali però meritano commendazione singulare di averla voluta guadagnare con opere laudabili e con opinione di fare bene alla patria, e non con modi scelerati, come si è già trovato chi ha fatto. Conchiudendo adunque dico che non è così naturale nè così universale il desiderio de' governi liberi come ha detto Pagolantonio; e se era così a' tempi antichi, è molto più ne' nostri, che sono più corrotti; e però dico che se questi che predicano la libertà credessino in uno stato stretto avere per il particulare suo, migliore condizione che in uno libero, ne resterebbe pochi che non vi corressino per le poste. E questi ingegni elevati e spiriti generosi che lui ha detto, non sarebbono forse degli ultimi, i quali quando cercano la libertà, si muovono quasi sempre per qualcuna delle ragioni dette di sopra. E de' lamenti loro di non avere in uno stato stretto occasione di mostrare bene la sua virtù, diremo in altra parte del nostro ragionamento, bastandoci per ora solamente questo: che chi ha scritto de' buoni governi delle città, non avendo rispetto a questa ambizione di pochi, ha sempre proposto il Governo di uno, quando è stato buono; e la ragione è stata questa, perchè i governi non furono trovati per fare onore o utile a chi ha a governare, ma per beneficio di chi ha a essere governato, e nel disporgli non si cerca che ognuno governi, ma solo chi è più atto. E però sempre è più approvato e chiamato migliore Governo quello che partorisce migliori effetti. Ed infine, discorrete quanto volete, bisogna, se io non mi inganno, ritornare a quello mio primo fondamento: che gli effetti de' governi sono quegli che danno la sentenzia; però è necessario calculare quali siano maggiori, o' beni che si avevano dal Governo de' Medici, o quelli che si aranno da questo nuovo populare.

SODERINI.  Ancora che chi cerca la libertà per avere la equalità non la cercassi mai per suo ultimo fine, come voi avete detto, i non si può però negare che in ogni città non siano senza comparazione molti più coloro che desiderano la equalità, che non sono gli altri; perchè è maggiore numero di chi manco participa che la rata, e di chi teme di essere oppresso, che di quelli che hanno più che parte e che sono in grado da pensare di potere opprimere altri. E però in ogni tempo è maggiore assai il numero di coloro a chi piace il vivere libero, perchè vi si truova drento la equalità più che in nessuno altro; donde ne seguita che il vivere non libero non si può negare che è contra il gusto e desiderio della maggiore parte, e quello che ragionevolmente dispiace a' più debbe essere rifiutato, massime che la più utile sorte di cittadini che possa avere una città, sono quegli che stanno nella mediocrità, perchè sopra a questi s'ha a fare il fondamento, e contro a chi vuole tiranneggiare e contro alla plebe che voglia disordinare.

BERNARDO.  È difficile rimuovere questa impressione dallo animo di Pagolantonio; nondimeno io dico che questa equalità non s'intende in ogni cosa; verbigrazia che le sustanzie di ciascuno siano pari, perchè le vanno diminuendo o crescendo secondo la industria e fortuna degli uomini; ma si ristrigne a' termini debiti, e quanto al caso nostro si può considerare in dua cose, cioè che ognuno sia equalmente sotto le leggi, nè possa l'uno essere oppresso da l'altro; e questa parità e sicurtà s'ha tanto, e forse meglio, sotto un altro Governo quando è bene ordinato, come sotto il Governo libero; e però per questo solo non è necessario desiderare la libertà. Nel secondo capo si può considerare la equalità, cioè che ognuno governi, tanto l'uno quanto l'altro; e questo non è appetito ragionevole, perchè ne' magistrati e nel Governo debbe avere più parte chi è più atto a governare, essendo, come è stato detto innanzi, trovate le autorità civili ed i magistrati per beneficio di chi è governato, non per satisfazione di chi ha a governare. Però non si debbe tenere conto di chi desidera per questo rispetto la libertà, perchè è cosa non ragionevole e non utile, e chi ordina le città non debbe dare fomento alle voglie ambiziose, anzi tagliarle e stirparle quanto può.

SODERINI.  Non voglio per ora dire altro, perchè forse udendo le altre cose che voi direte, resterò più satisfatto che ancora non sono, o almanco nella fine del ragionamento potrò replicare, se altro mi occorrerà.

BERNARDO.  Passiamo adunque alle cose dette per Piero Capponi, e de' tre capi bene considerati e bene discorsi da lui, io commincerò dal secondo, cioè da quello che appartiene alla distribuzione degli onori ed utili publici; perchè venendo sotto questo membro la elezione de' magistrati da chi depende la amministrazione della giustizia ed il maneggio delle cose di fuora, potreno meglio esaminare questi dua altri capi, se aremo dichiarato bene questo. Nel quale tre sono gli errori che ci si possono considerare: il difetto della persona, cioè quando colui a chi si danno i magistrati non gli merita, o per non essere buono uomo, o per non essere atto a tale peso; la condizione della casa, cioè quando si danno a uomini nuovi e non di tale nobilità che se gli convenga quello onore, perchè i gradi delle persone sono distinti, e ne' governi bene ordinati non si debbono confondere; il terzo, fargli girare in una parte solo della città, escludendone, come per legge, quasi sempre un'altra. L'ultimo di questi errori è ingiusto, il secondo è disonorevole, il primo è dannoso al publico. A me pare che avendo voi, o per dire meglio chi ha ordinato questo Governo nuovo, rimesso al consiglio grande la elezione di tutti gli offici, che non si possa aspettarne altro che molti errori, perchè il popolo non sarà buono giudice delle qualità degli uomini, nè misurerà con diligenzia quanto pesi ognuno, anzi andrà alla grossa e si governerà più con certe opinioni che andranno fuora senza fondamento, e per dire meglio con certi gridi, che con ragione. Però vedrete che spesso sarà messo ne' primi gradi chi non sarebbe atto a governare la casa sua, e che aranno più corso e più fave certe persone riposate e da sapere fare poco bene o poco male, che gli uomini savi ed atti a' governi. E' populi danno spesso più riputazione a chi se la guadagna col non fare nulla e con lo stare cheto, che a chi l'ha meritata col sapere fare; e se pure uno fa qualche pruova che gli piaccia in una spezie di cose, lo adoperano senza distinzione a un'altra tanto lontana da questa, quanto, come dice il proverbio, è il gennaio dalle more, imitando i medici poco pratichi che mettono al capo quelli unguenti che non hanno proprietà a altro che allo stomaco. Ed essendo il corso della città fondato, come sapete, in sugli esercizi ed in sulle botteghe, non sarà col consiglio poca scala allo stato ed al governo, lo avere nome di attendere sollecitamente a queste. Però vedrete spesso i gonfalonieri di giustizia, i dieci della balìa e gli altri magistrati che hanno il peso d'ogni cosa, andarne in mani che ve ne verrà compassione. Si aggiugne che questo Governo è stato principiato con uno certo nome ed opinione di larghezza, che si farà tuttodì a gara a allargarlo; perchè ognuno pretende a' primi onori, e tale che è stato in villa trenta anni e non ha notizia alcuna delle cose della città, è corso qua a furore, persuadendosi di avere a essere de' primi del suo quartiere. Donde vedrete distendersi tanto e farsi sì universale, non dico il desiderio degli utili, perchè questo sarebbe tollerabile, ma le ambizioni degli onori e del governare, che senza dubio andranno con poca distinzione; conciosiachè nella moltitudine sono più senza comparazione gli insufficienti, e però la diligenzia o la ambizione del minore numero non potrà resistere a questa piena. Mi darebbe il cuore nominarvene venticinque che voi vedrete avere favore al Gonfaloniere ed a' dieci, che io non so se i vi paressi troppo il fargli de' cinque del contado, o degli uficiali della torre. Nè crediate che benchè il popolo sia buono ed abbia nome di buono, i cattivi non ci abbino a avere luogo, perchè la medesima ignoranzia che sarà causa che a' dapochi sia dato quello che si arebbe a dare agli uomini d'assai, farà spesso mettere i cattivi dove arebbono a stare i buoni. Il popolo, come io ho detto, va alla grossa, non discerne nè pesa sottilmente le cose, però con facilità è ingannato da chi si ingegna parere buono; pensa ciascuno agli esercizi suoi, nè fa diligenzia di informarsi del vivere di questo e di quello; però non gli sono note le opere particulari di ognuno, e più lo moverà il portare uno il collo torto, che è cosa che si vede senza che la si cerchi, che le azioni sue, perchè non le sanno; e così facilmente si appiccherà, e sarà creduta, una infamia adosso a uno che non la meriti, come uno bene di uno che sia lo opposito. Da non pensare alle cose e non ne tenere conto diligente, nasce la oblivione, perchè ancora che uno si porti male in uno magistrato ed in modo che sia noto, nondimanco si dimentica presto; nè mi negherete ancora che in quello consiglio si troveranno molti cattivi, i quali non possono tenere le fave a' suoi simili. Per queste cause adunque e per altre che appariranno alla giornata, dico che in quanto a quelli che non meritano o per insufficienzia o per bontà, si distribuiranno, a judicio mio, peggio gli onori e gli offici, che non si faceva a tempo de' Medici e che non si farà forse mai in uno Governo simile; perchè chi ha la cura d'uno stato tale esamina diligentemente la natura e qualità degli uomini, e dove gli bisogna mettere persone che vaglino, si sforza di farlo, nè è ingannato facilmente come il popolo, perchè discerne più, vi pensa con più diligenzia, ed essendo questa la sua bottega, ne tiene conto particulare e non si regge co' gridi e con le opinioni vane, ma tocca il fondo delle cose; e se pure uno lo inganna una volta, perchè non si può sempre cognoscere la condizione di ciascuno, non si lascia ingannare l'altra. E se voi mi dicessi che uno stato, verbigrazia di Lorenzo, non aveva bisogno di usare spesso questa diligenzia, perchè da imbasciadori, commessari e simili carichi in fuora, dove erano necessari valent'uomini, i dieci, gli otto della prattica, le signorie non importava quello che fussino, perchè a ogni modo avevano l'orma del maestro; vi rispondo prima, che questa ragione fa contro a voi, perchè dunche quando fussino stati insufficienti, questo errore importava poco; non così nel Governo del popolo, dove avendo questi magistrati tutto il peso in sulle spalle, gli errori saranno capitali. Ma lasciando questo, vi rispondo che uno stato simile aveva per molti rispetti bisogno di intratenersi gli uomini d'assai e di buona fama, perchè communemente gli importava avere per amici più presto questi che gli altri; e però se bene qualche volta avevano anche bisogno servirsi di persone non buone, nè potevano lasciarne facilmente indrieto qualcuno per essere di linea troppo amica, pure questi non erano tanti che si potessi dire che ordinariamente non carezzassino sempre e onorassino, da quegli in fuora da chi la diffidenzia non gli ritiri, più volentieri le persone bene qualificate, ed a questi più che agli altri voltassino non solo i magistrati di onore ma ancora di utile. E perchè Pagolantonio mi dirà che i cercavano di tenere bassi gli uomini di ingegno e di animo, vi dico essere vero che uno che ha lo stato in mano ha rispetto di non fare alcuno sì grande che gli possa portare pericolo, e più teme da' valent'uomini che dagli altri, perchè sono atti a maggiori cose; nondimeno se è prudente, si governa con modo e con distinzione, faccendo differenzia da uno che è savio e non animoso, a uno che è savio, animoso e non inquieto, e da questi a chi ha ingegno ed animo ed inquietudine: co' primi procederà largamente, co' secondi bene con qualche rispetto più, co' terzi andrà più stretto. E questo si doverrebbe anche fare in una libertà, non però togliendogli le dignità nè alienandogli dalle faccende, ma avvertire di non gli confidare, massime in tempi sospetti, la somma delle cose, o dargli tale compagnia che non possa disordinare; e tutto si fa in modo che questo resta piccolo errore, perchè nuoce a pochissimi e non totalmente. E di questo participa anche il popolo, perchè spesso, e con minore cagione, si reca a sospetto gli uomini che vagliono ed usa minore prudenzia a sapergli ritirare ed assicurarsene, anzi gli esclude senza rispetto ed in modo che gli dispera; perchè non ha maggiore judicio nel non dare che nel dare, anzi si confida bene spesso e con grandissimo suo danno di quegli di che sarebbe bene di guardarsi, perchè non cognosce e non distingue. E se il popolo nelle cose ponderose ed in quelle che contengono la importanzia della republica, si governa così indiscretamente, che pensiamo noi che abbia a fare in quelle che importono manco, come sono gli officii di utile e di non molta amministrazione, i quali ancora che, come ha detto Piero Capponi, sia bene che siano communi in Firenze, dove si pagano tante gravezze e dove già sono stati communi, pure si debbe fare qualche distinzione da chi merita a chi non merita, almanco per invitare gli uomini alle virtù ed al bene operare? Conchiuggo in effetto che se bene a tempo de' Medici, il dare magistrato a chi non lo meritassi procedeva più da malignità, per dire così, che da ignoranzia, e per contrario al Governo del popolo nascerà più da ignoranzia che da malignità, pure che in questo più spesso e con più danno del publico errerà il popolo che' Medici; perchè quello che si fa studiosamente, suole avere peso e misura; ma la ignoranzia è cieca, confusa e senza termine e regola, e però dice il proverbio che spesso è meglio avere a fare col maligno che co' l'ignorante.

SODERINI.  Io dirò una parola circa a questo: io non so se le elezione del popolo saranno tanto cattive quanto voi presuponete, poi che si è ordinato il vincere per le più fave; perchè avendo a concorrere tante opinioni insieme, spero pure che il più delle volte il maggiore numero giudicherà bene, e di questo veggo lo esemplo in Vinegia; nè mi pare che si abbi a fare coniettura da quelle poche elezione che si sono fatte in questi princìpi, perchè ancora ogni cosa è piena di appetiti vani, di sospetti e di confusione, umori che si purgheranno in brieve tempo; e fatta questa digestione, io ho speranza che le elezione del consiglio, massime negli officii più importanti, saranno assai ragionevoli.

BERNARDO.  Potrebbe forse essere vero quello che tu di', se questo modo delle più fave durassi, ma che sicurtà hai tu che gli abbi a durare? Io per me credo che se le elezione si andranno limando come sarebbe ragionevole, che tutti questi che amano la larghezza, i quali sono grandissima parte, saranno contrari a questo modo; e se i si abbatterà che ne' signori o ne' collegi siano una volta tanti di loro che possino conducere ne' luoghi larghi una provisione di levare le più fave, lo faranno subito e si vincerà. E se i non potranno per questa via, non mancherà loro al peggio il non vincere in consiglio grande nè officii nè provisione, tanto che sarà necessario che i migliori cedino a' più; massime che con questo modo non bisognerà che i duo terzi siano d'acordo, ma bastera si ristringhino tanti, che impedischino il vincere. Ed a questo se voi avessi pensato da principio si sarebbe forse potuto fare qualche rimedio.

SODERINI.  Ed a questo ed a molte altre cose che non si possono cognoscere ne' princìpi, si potrà col tempo pigliare qualche buono ordine. Non solo ne' governi, ma nelle arti, nelle scienzie ed in ogni altra cosa, non furono mai perfetti i princì pi, ma si va aggingnendo alla giornata secondo che insegna la esperienzia.

BERNARDO.  Io non voglio entrare per ora in questo ragionamento, perchè mi pare essere certo che in altro luogo accadrà molto più in proposito; ma ritornando dove noi eravamo, mi pare si possa comprendere assai chiaro che manco errava lo stato de' Medici circa la sufficienzia e bontà di chi aveva gli offici, che non farà il popolo; gli errori del quale procedono in questo da ignoranzia, e però sono indistinti e spessi quante volte il caso gli porta; ma quegli de' Medici erano fatti in pruova, anzi forse quasi sempre per necessità, però non erano generali, ma quanto il bisogno o i fini loro gli ricercavano. Vegnamo ora alla altra considerazione della nobilità e condizione delle case; in che io mi ricordo che da' Medici furono abilitati molti allo stato che erano inabili. Credo che il popolo ne abiliterà anche lui, e forse non minore numero; vedete che già si è ordinato che ogni anno ne vada tanti a partito in consiglio, e che quegli che vincono restino abili; e forse non è fuora del ragionevole, perchè alle case ed alle nobilità interviene come alle città ed alle altre cose del mondo, che invecchiano, si diminuiscono e si spengono per vari accidenti, ed in luogo di quelle che mancono bisogna che sempre surghino e si rinnovino delle altre. Ricordomi ancora che delle case che sono abili ne furono esaltate da' Medici più che non si conveniva al grado loro, dico per favore, non per virtù, perchè per virtù non sarebbe stato errore; ma credo che il medesimo interverrà molto più dal consiglio, perchè loro, e Lorenzo massime, per potere onorare i cittadini ed intratenergli diversamente secondo i gradi loro, si ingegnava di conservare in riputazione le dignità ed officii principali; conciosiachè quanto erano più stimati, tanto più beneficio pareva ricevere a chi gli aveva. Ma il popolo che non distingue, e non ha questi obietti, confunderà tutte le distinzione che erano da l'uno officio, e da l'uno scaglione di onore a l'altro; in modo che se nel Governo di una città è errore il non fare qualche distinzione, credo che errerà più il consiglio; pure voglio gli mettiano del pari. Resta di questo primo membro l'ultima parte, cioè dello essere esclusa come per legge una parte della città, ed in questo io confesso liberamente che è la verità quello che disse Piero Capponi: i Medici ed ogni stato stretto escludono di necessità le case che gli sono state inimiche, e come lo stato va per successione, così si conserva negli eredi la memoria di queste inimicizie e sospetti. Cosa certo detestabilissima, nè io la scuso; ma affermo che in uno Governo populare non interverrà così, e che quando bene qualche volta le fave si recassino a urtare uno cittadino, o forse, per qualche sedizione che nascessi, una parte della città, nondimanco, non che sia per andare in successione, ma rare volte si allungherà molto tempo, se già per causa onesta o urgente non si facessi per legge, come a' tempi antichi furono fatti dal popolo, gli ordinamenti della giustizia contro alle famiglie.

GUICCIARDINI.  Questo primo membro resta, a judicio mio, molto bene discusso, e secondo che voi avete conchiuso, in quello che è disonorevole, cioè in abilitare gli uomini nuovi e nobilitare le case basse, saranno quasi pari gli errori dell'uno e dell'altro governo; in quello che è ingiusto, cioè in escludere una parte della città, erravano senza comparazione più i Medici; nello inutile, cioè in dare a uomini non sufficienti e non buoni, errerà più il popolo. Ma vorrei intendere ora quale errore di questi dua sia più importante, cioè o il dare a chi non merita, o escludere e per successione una parte che merita.

BERNARDO.  Se i non si trattassi di altro interesse che del privato, biasimerei più i Medici perchè il tórre è odioso, il dare è favorevole, e però credo che si debba manco imputare chi dà a chi non conviene, che chi toglie a chi merita. Ma essendo interessi publici, dico che se parlassimo da filosofi, che ho sempre sentito che in Oltramontaniscussioni propongono l'onesto a l'utile, saranno più biasimati i Medici, perchè erra più chi si discosta dalla onestà, che chi si discosta dalla utilità; pure secondo le considerazioni con che ordinariamente si governano le città, sarà forse maggiore errore quello del popolo, perchè il dare amministrazione a chi non merita è danno publico, atteso che ne nascono i travagli e la ruina qualche volta delli stati; ma lo escludere chi merita, quando nondimeno il Governo resti in mano di chi è atto, è più presto danno di chi è escluso che della republica; ed ognuno sa che i rispetti publichi si hanno a preporre a' privati.

CAPPONI.  Pare pure che anche sia danno del publico, perchè la parte esclusa resterà mal contenta, e sempre macchinerà novità.

BERNARDO.  Nè anche restano bene contenti i valent'uomini, quando veggono che quello che si converrebbe a loro è dato a uno che non lo merita, e però si volgono alle sedizioni ed alterazione dello stato; e questo si può fare molto più facilmente in uno Governo di popolo che in uno simile a quello de' Medici, e più è da fuggire il tenere mal contenti coloro che vagliono, che gli altri.

GUICCIARDINI.  Ma che direte voi circa le gravezze.

BERNARDO.  Dirò la prima cosa, che non mi alleghiate lo esemplo de' tempi primi di Cosimo, nè in questo nè in male alcuno che si facessi allora, perchè il parlare nostro nacque dal dire che io non credevo che questa mutazione fussi utile, in che avevo rispetto a questi ultimi anni di Lorenzo e poi di Piero, e non a' princìpi di Cosimo, che furono come sono tutti gli altri stati quando si fundano, che sono pieni di rigore e di mali esempli; perchè chi fonda uno stato stretto, bisogna che lo assicuri e lo stabilisca e sbarbi gli ostacoli con più violenzia e con manco onestà che non è necessario usare nel conservargli, poi che sono indiritti e stabiliti. Ed in questo merita forse qualche escusazione Cosimo che a assicurarsi degli inimici e sospetti usò le gravezze, in luogo de' pugnali che communemente suole usare chi ha simili reggimenti nelle mani. Quanto alle gravezze adunque de' tempi sequenti, ripiglierò quel fondamento che mi converrà replicare oggi più volte, cioè che gli errori che fa lo stato stretto per malizia o per necessità, i medesimi farà spesso per ignoranzia il vivere populare; ed ogni volta che gli errori siano del pari, tanto nuoce quello che si fa per una di queste cause, quanto quello che si fa per l'altra, anzi è da avere più paura della ignoranzia, perchè, come ho detto di sopra, la non ha nè misura nè regola. Io vi confesso che nelle gravezze i cittadini dello stato erano riguardati, e che a comparazione loro erano gravati gli altri, ed anche talvolta per altre cause più particulari qualcuno era male trattato; ma io vi dico che anche il popolo farà il medesimo, perchè al porre le gravezze eleggerà spesso persone che sapranno poco di questo come delle altre cose. E dove le gravezze, quando non sono fondate in su' beni sodi, arebbono bisogno di grande prudenzia e di uomini che cognoscessino bene la città e le condizione de' cittadini, ed anche poi arebbono fatica a non fare di molti errori, pensate quanti ne faranno quando sarà in mano di chi sappia poco; senza che anche loro aranno de' parenti e degli amici da riguardare, e di quegli a chi voranno male, in modo che e per private passioni peccheranno qualche poco, e per ignoranzia erreranno assai. Vi dico bene che quanto a' modi delle gravezze, saranno communemente più ingiusti e peggiori quegli del popolo, perchè la natura sua è caricare sempre adosso a chi ha più condizione; e perchè sono più numero quegli che ne hanno manco, riesce loro facilmente. E però ordinariamente propongono modi che battono oltro al dovere i ricchi, in modo che gli rovinano; che è cosa dannosa alla città, perchè si debbe conservare ognuno nel grado suo, ed i ricchi si hanno a acarezzare non a distruggere, perchè in ogni tempo fanno onore alla patria ed utile a' poveri, e quando è bisogno, sovvengono il publico; e Lorenzo ed i Medici avevano rispetto grande a fare che i modi fussino più vivi e manco ingiusti che si potessi. E quanto a ordinare una gravezza che si ponga dalla legge, come disse Piero Capponi, io credo che non sarebbe piaciuta a' Medici perchè volevano in mano il bastone delle gravezze; ma perchè ne ho udito parlare mille volte vi dico, se io non mi inganno, che sarà grandissima fatica a metterla in uso, e le ragioni vi saprei dire, ma si allungherebbe troppo fuori di bisogno.

CAPPONI.  Si torna pure nel medesimo; se a tempo del popolo si porranno le gravezze ingiustamente, non sarà sempre contro a' medesimi, ma come girerà la sorte, secondo la ignoranzia o passione di chi arà a porle; però sarà minore male e manco ingiusto quello che toccherà quando a uno e quando a un altro, che quello che sempre starà fermo in uno luogo medesimo.

BERNARDO.  . . . pure nelle gravezze come uno è segnato male una volta, è più facile lo andare di male in peggio, che ricorreggere lo errore; senza ch'io non sono bene certo che anche a questo consiglio non sia con le gravezze battuta fermamente più una parte che un'altra; perchè chi assicura, verbigrazia, noi altri tenuti amici de' Medici, contro a' quali è ora l'odio, la invidia ed il sospetto, che non siamo caricati disonestamente? E nondimeno sarebbe fuora di ogni giustizia, massime non faccendo distinzione da quegli che col favore dello stato non si sono valuti disonestamente e non hanno in cosa alcuna soprafatto gli altri, a quegli che si sono portati altrimenti; perchè se questi ultimi non sono puniti per altra via de' peccati loro, può parere loro manco strano il sentire qualche cosa per questa; ma che ordinariamente abbia a essere offeso uno cittadino che non abbi fatto altro errore che di avere avuto favore da' Medici, è cosa molto strana; anzi più tosto si doverrebbe cercare di conservarlo, perchè maggiore certezza non si può avere che in uno Governo libero e sottoposto alle leggi, sia per vivere sempre bene, che vedere che abbi fatto il medesimo in uno stato stretto, dove aveva caldo e licenzia. Di poi io mi persuado che nelle città bene ordinate si debbe fare ogni diligenzia possibile perchè non le si riduchino sotto uno Governo tirannico; ma non mi pare già che se la mala fortuna loro o la disposizione de' cieli ha voluto che surga uno tiranno, che si debba dare nota di cattivo cittadino a quelli che, poi che il tiranno senza opera loro è introdotto, si sforzano, non mutando costumi o non usando male la autorità che avessino, a avere luogo nello stato stretto; e massime quegli che sono di qualche condizione, perchè se vogliono giucare al largo vengano presto a sospetto di essere inimici dello stato; e se questo non nocessi loro in altro che in tórgli gli onori, gli chiamerei ambiziosi se cercassino guadagnargli con lo accostarsi allo stato. Ma impossibile è che uno uomo qualificato possa riposare in una città dove il capo dello stato stretto non lo reputa amico, nè può difendersene col non travagliarsi o col non lo offendere, perchè a ogni ora nascono infiniti casi che di necessità bisogna capitargli alle mani, ed avendo lo animo alieno da te, sei trattato di sorte, che meglio sarebbe abbandonare la patria che vivere così. Però non veggo che si possa biasimare chi cerca conservare le facultà ed il grado suo, intratenendosi con lo stato stretto, poi che altro rimedio non vi è; e se nel resto vive modestamente ed è sempre uomo da bene, non solo per questo non viene a offendere la patria, ma più presto gli fa beneficio, perchè trovandosi in qualche fede con chi regge, gli viene occasione co' consigli e con le opere di favorire molti beni e disfavorire molti mali; e nessuna cosa potrebbe fare peggio alla città, che il non essere intorno al tiranno altro che uomini tristi. E questa è forse la ragione che, secondo che m'ha raccontato messer Marsilio, diceva il suo Platone che quando le città sono bene ordinate e bene governate, gli uomini buoni debbono fuggire quanto possono lo intromettersi nel Governo e nelle faccende publiche; ma quando veggono essere pericolo che in luogo loro piglino autorità persone triste e che siano per nuocere alle città, errano grandemente se non si ingeriscono alle faccende e non fanno il possibile di trovarsi ancora loro a governare. Se adunque io e gli altri che sono vivuti col caldo della casa de' Medici modestamente e nettamente, sareno in questo nuovo vivere caricati con le gravezze, ecco che il vostro consiglio arà in questo articolo, oltre agli errori che io ho detto di sopra che causerà la ignoranzia, questo altro di più della passione e malignità; nondimeno, perchè io non voglio credere il male se io non lo veggo, e massime in modo che abbia a durare, non voglio fare fondamento in questo ultimo; basta avere mostro che la ignoranzia sola farà, in questo caso delle gravezze, molti mali.

GUICCIARDINI.  In ogni modo ci è da fare; ma non vi paia grave dirci la opinione vostra circa le gravezze che pone la legge; nè bisogna avere paura che si consumi troppo tempo, poi che non si può spendere meglio che in questi ragionamenti.

BERNARDO.  Io ve lo dirò brevemente. A volere che la gravezza sia posta dalla legge, bisogna che sia fondata o in su la entrata delle possessioni, e questa non basta a' bisogni, perchè a Firenze il minore membro che sia di ricchezza sono le possessioni; o ha a essere fondata in sugli esercizi ed in sul mobile, e questo, parte è impossibile, perchè i danari si girano in molti modi che non si vede, parte è difficile e disonesto: difficile, perchè sarebbe troppo faticoso avere a tenere conto di tutti i contratti, mercati e cambi che si fanno; ed essendo spesso le faccende fondate in sul credito, è disonesto avere a publicare lo stato vero de' mercatanti. Se adunque non ci è altro che la entrata delle possessioni dove la legge possa fermare il piede, bisogna che per supplemento la si fondi in su lo augumentare le gabelle o' pregi della farina e del sale. E questo, se voi considerate bene tutti gli altri luoghi di Italia, ha ora più che la parte sua, e volergli dare nuovo peso sarebbe ingiusto, ed uno fare gridare tanto il popolo minuto, che non si troverrebbe facilmente chi volessi esserne autore e tirarsi adosso carico sì grande, e genererebbe sì mala disposizione, che io non so se a qualche tempo la fussi forse troppo. Però se si potessi trovare uno modo che fussi ragionevole, sarebbe molto utile, perchè assicurerebbe gli uomini dal potere essere battuti dalle gravezze, che è una delle importanti cose che abbia la nostra città; ma perchè sono cose che meglio si dicono che non si fanno, se questo modo non si è trovato agli stati passati, credo che non si troverrà anche a tempo del consiglio grande. Ma passiamo, se vi piace, al primo membro della distinzione di Piero Capponi, cioè alla osservazione della giustizia, che è la più importante cosa che sia, perchè le libertà ed i governi buoni furono ordinati principalmente per conservare questo, volendo che ognuno fussi sicuro di non potere essere oppresso, così nella persona come nelle facultà; e però mi ha detto messer Marsilio, da chi io ho pure imparato alcuna volta qualche cosa, che Platone, quando fece quello libro che parla delle republiche, lo intitolò dalla giustizia, volendo mostrare che era il fine principale che si aveva a cercare. Dunche gli errori che si fanno circa a questa, importono più che tutti gli altri, perchè offendono la parte più sustanziale e, per dire così, la anima delle città. In dua modi errono gli uomini, come io ho detto già più volte: o per ignoranzia o per malignità; della ignoranzia avete inteso di sopra la opinione mia, dalla quale potete concludere che gli errori che nello amministrare giustizia possono nascere dalla ignoranzia, saranno più spessi nel Governo del popolo. Quanto alla malignità, io vi dico che per natura tutti gli uomini sono inclinati al bene, nè è nessuno a chi risulti interesse pari dal male come dal bene, che per natura non gli piaccia più il bene; e se pure se ne truova qualcuno, che sono rarissimi, meritano esser chiamati più presto bestie che uomini, poi che mancono di quella inclinazione che è naturale quasi a tutti gli uomini. Vero è che la natura umana è molto fragile, in modo che per leggiere occasione diverte dalla via diritta, e le cose che la fanno divertire, cioè le cupidità e le passioni, sono tante ed in uno subietto debole come è la natura dello uomo hanno tanta forza, che se non fussi altro rimedio che quello che ciascuno fussi per fare da sè medesimo, pochissimi sono che non si corrompessino. E però è stato necessario a chi ha ordinato i governi pensare a' modi di mantenere fermi gli uomini in quella prima inclinazione naturale; e per questo furono trovati i premi e le pene, i quali dove non sono o sono male ordinati, non vedrete mai alcuna forma buona di vivere civile; nè senza questo sprone e freno aspettate mai che gli uomini faccino troppo bene. Dunche se noi vogliamo fare judicio dove chi sarà sopra alla giustizia studiosamente errerà più, o a tempo de' Medici o del populo, bisogna considerare dove alle opere loro saranno più presenti i premi o le pene. Ed in questo, se io non mi inganno, ci è differenzia non piccola, perchè uno ufficiale che si porti bene, spererà poco dal popolo, uno che si porti male ne temerà poco, non distinguendo, come ho detto, il popolo di sua natura, non pensando e non tenendo a mente; in modo che in capo del gioco arà così facilmente un altro officio chi si sarà portato male nel primo, come chi si sarà portato bene, massime se voi leverete questo modo delle più fave, che per mia oppenione si leverà presto. Appresso, se uno ufficio farà uno torto, a chi si arà a ricorrere che vi provegga? Non ci sarà rimedio alcuno, perchè non ci sarà chi abbia facultà di provedergli. Di poi molte volte, chi sarà in ufficio arà forse buona mente, ma quando si arà a toccare persone di qualità, arà rispetto a farlo, perchè ne' governi liberi l'uno cittadino riscontra spesso con l'altro, e non avendo uno capo che ti difenda dalle ingiurie, ognuno faccendo dispiacere a altri, dubita di quello che gli potrebbe spesso intervenire. Queste cagioni cessavano assai a tempo di Lorenzo, perchè tenendo lui diligente conto de' portamenti degli uomini, era in luogo di premio il satisfargli, in luogo di pena lo essergli in cattivo concetto, vedendosi per effetto che con l'uno andavi innanzi, con l'altro restavi indrieto; e però ognuno aveva grandissimo rispetto a non mancare del debito suo, ed era questo maggiore freno che non sarà quello nè del consiglio nè di una legge. Così se pure eri gravato, avevi il rimedio presente: quivi era il ricorso, quivi la appellazione; e quando per uno magistrato si faceva torto a uno, gli erano spesso tirati gli orecchi di sorte che si ritirava nel cammino diritto. Ed a gastigare uno gli uomini erano più animosi, perchè si temeva più il non satisfare a lui che il dispiacere a qualunche cittadino, e sapevi che aresti chi ti difenderebbe, quando per quella cagione ti fussi voluto fare torto. Se adunque i magistrati aranno minore stimulo e manco freno, chi dubita che si farà manco ragione? Perchè i parenti, gli amici, i presenti e gli altri mezzi piegheranno chi arà a giudicare; nè so se sareno più sicuri da questi giudici forestieri che sono sopra il civile, che non si lascino maneggiare da' prieghi degli amici e dalle corruttele, che non facevano allora che gli era dato diligente e particulare ricordo che tenessino la bilancia pari. E appresso a questi è forse vero che a tempo di Piero si facessi a instanzia sua qualche torto; ma se fu, fu rarissime volte, e so che voi non lo negate; ma non già, forse mai, a tempo di Lorenzo; nè aveva cancelliere o ministro che avessi avuto ardire di fare loro una raccommandazione, e credo che anche i cittadini dello stato ne facessino poche; e se ne facevano erano di poco momento, perchè i giudici tenevano più conto de' ricordi del capo che delle instanzie d'altri. Così ne' sei e nelli altri uffici andavano le cose civili nette dal canto dello stato, e la diligenzia che si faceva negli squittini della mercatantia non veddi mai che avessi questo fine, nè la riputazione mancò loro per questa causa, perchè si sa che era mancata molto innanzi ed imbastardito quello judicio, come fanno ogni dì tutte le cose del mondo. Nè i cancellieri che vi si tenevano a proposito loro, era a altro effetto che per pascere gli amici e forse per sapere gli andamenti e modi di ognuno, cognoscere le qualità e passione de' cittadini, per Doge esta notizia; perchè si stava a bottega a questo mestiero e si teneva conto e diligenzia di ogni cosa. Queste ragioni servono così al criminale come al civile; nè voglio però negare che è vero che nel criminale, così in Firenze come di fuora, bisognava avere spesso rispetto agli amici dello stato e dependenti da loro, pure o poco o assai, si puniva quasi sempre ogni delitto; ed a conservare bene la giustizia basterebbe assai che i delitti, da quegli in fuora che sono molto atroci, fussino puniti a dodici soldi per lira, pure che fussino puniti tutti. E' casi scandolosi o di malo esemplo si gastigavano; ed in quegli a chi si aveva rispetto, si usava pure qualche destrezza di non lasciare disordinare le cose, e sempre era parte di pena sapere di avere offeso la mente di Lorenzo o di essere in cattivo concetto appresso a lui. In somma io non nego che la giustizia criminale sarebbe potuta andare molto più severa e molto più universale che la non andava, ma dico che i medesimi disordini e forse maggiori saranno nel Governo populare. La ignoranzia, la timidità, i parentadi, le amicizie, i rispetti, i presenti molte volte e le corruttele ne saranno cagione; alle quali cose gli uomini si inclineranno spesso, nè ci sarà chi gli ritiri, o per riverenzia di chi se ne astenghino. E' governi populari in qualche impeto sono più presto furiosi o bestiali che severi; che è quando giudicano a sangue caldo, massime in sulle imputazione di machinare contro allo stato; ed allora è pericoloso che non faccino qualche ingiustizia e stravaganzia grande, spezialmente contro agli uomini potenti e di autorità, che spesso per sospetti vani gli rovinano. Ma per l'ordinario sono facili e dissoluti, perchè gli uomini hanno i rispetti detti di sopra, nè toccando la cura delle cose particularmente più a uno che a un altro, non è chi ne tenga conto, ma ognuno lascia andare l'acqua alla china, e chi si truova in magistrato, avendo a uscirne presto, si va più volentieri temporeggiando che ingolfando nelle cose. Credo bene che la giustizia andrà meglio ordinata per il Dominio, perchè in quello cesseranno in gran parte le ragioni che noi abbiì no considerato di sopra; ma dubito in Firenze del contrario, e massime contro a quegli che sono di più parentado e di più qualità. E questo sarebbe disordine di più importanza, essendo la città il capo principale, e perchè le autorità che si pigliano i maggiori partoriscono discordie tra loro medesimi, disperano i minori ed in effetto rovinano le republiche; e di questo non si aveva a dubitare a tempo de' Medici, perchè uno stato simile è pure troppo presto a ovviare a simili inconvenienti. È adunque vero che a quello tempo non era la giustizia ordinata bene come si converrebbe in uno vivere retto civile, pure io non veggo le cagioni da sperare che questo la abbia a avere migliore; e se bene nasce da diverse fonti, basta che gli effetti siano i medesimi, anzi più pericolosi a partorire nel Governo populare maggiori disordini, perchè non è presto ed abile a rimediargli, come si fa dove le cose dependono da uno o da pochi. Sotto questo membro mi pare che caggia molto bene la considerazione delle legge; non dico delle legge che si fanno contra le violenzie e gli inganni, perchè sotto le cose criminali vengono discusse abastanza, ma di quelle che si fanno per riformazione, per ornamento delle città, per limitare le spese superflue e per inducere buoni costumi e modo di vivere civile; nel quale membro non si può negare che meglio provede e meglio e con più facilità fa osservare uno Governo stretto che uno largo. E la ragione è manifesta, perchè chi ha lo stato non ha interesse particulare di farle più a uno modo che a un altro, anzi gli torna a proposito che le città e le facultà degli uomini siano bene ordinate e che le ricchezze si mantenghino, gli è onore che le cose publiche paino intese e governate bene, e gli dà grazia e riputazione; però ha causa di desiderare che le si faccino bene e si osservino. E presuposto che abbia questo desiderio, come è da credere, lo sa fare meglio, perchè intende più che una moltitudine: piacendo a lui, si fanno; volendo lui, si osservano; che non interviene in uno vivere largo, dove i pareri degli uomini sono vari, nè concorrono facilmente nella medesima opinione; poi nel farle osservare ci sono gli impedimenti detti di sopra, cioè i rispetti e la negligenzia. Ricordatevi delle legge degli ornamenti e delle spese, fatte quando era Gonfaloniere di giustizia messer Luigi Guicciardini, quanto Lorenzo fu caldo a ordinarle ed a farle osservare; però furono bene intese e distinte, e di poi osservate quanto legge che si facessi mai in questa città; nonostante che simili legge difficilmente si mantengono, perchè nel farle osservare si offende chi è condannato, ed il non le fare osservare è con poco carico, perchè non si offende direttamente alcuno, ed il male che ne risulta non viene evidentemente in pregiudicio del terzo, ma in consequenzia e con uno certo esemplo che non muove alcuno a querelarsi. E però credo certo che in uno vivere largo non si sarebbono mai osservate tanto tempo, perchè operò più che la pena, la riverenzia di Lorenzo e lo esemplo suo, che mi ricordo che mai volle comportare che le figliuole portassino drappi di grana ancora che permessi e che ognuno li portava, solo perchè non si dessi materia di credere che fussino drappi chermisi, che erano proibiti. Restami, se voi non volete dire altro, parlare di quella parte che spetta alla conservazione ed augumento del Dominio.

CAPPONI.  Per ora non voglio dire altro, nè interrompervi.

SODERINI.  Il medesimo dico io, perchè alla fine potreno riandare quello che ci occorressi; però seguitate il ragionamento.

BERNARDO.  Se voi fussi così capaci di quello che io ho detto insino a ora, come io mi persuado che voi resterete di quello che io dirò in questa ultima parte, noi saremo troppo bene d'acordo, perchè a me non pare che ci sia dubio che altrimenti era atto a conservare ed accrescere il Dominio lo stato de' Medici, che non sarà questo del popolo. La conservazione ed augumento del Dominio depende dalle cose di fuora, cioè dagli andamenti degli altri potentati, i quali continuamente pensano di ampliarsi e di usurpare quello di altri, e chi non è in grado da sperare questo, fa tutto il possibile per conservare quello che ha; e per diffendersi dalle macchinazioni de' primi e vincere la vigilanzia de' secondi, è necessaria una diligenzia ed industria incredibile, e bisogna farlo con consiglio e con forze, le quali dua cose erano molto più vive e più pronte nello stato de' Medici, che non saranno nel Governo di una moltitudine. Perchè le cose di questa sorte non hanno regola certa nè corso determinato, anzi hanno ogni dì variazione secondo gli andamenti del mondo, e le deliberazioni che se ne hanno a fare, si hanno quasi sempre a fondare in su le conietture, e da uno piccolo moto dependono il più delle volte importanze di grandissime cose, e da princìpi che a pena paiano considerabili nascono spesso effetti ponderosissimi. Però è necessario che chi governa gli stati sia bene prudente, vigili attentissimamente ogni minimo accidente, e pesato bene tutto quello che ne possi succedere, si ingegni sopra tutto di ovviare a' princìpi ed escludere quanto si può la potestà del caso e della fortuna. Questo è proprio di uno Governo dove la autorità è in uno solo o in pochi, perchè hanno il tempo, hanno la diligenzia, hanno la mente volta tutta a questi pensieri, e quando cognoscono il bisogno, hanno facultà di provedere secondo la natura delle cose; che tutto è alieno da uno Governo di moltitudine, perchè i molti non pensono, non attendono, non veggono e non cognoscono se non quando le cose sono ridotte in luogo che sono manifeste a ognuno, ed allora quello che da principio si sarebbe proveduto sicuramente e con poca fatica e spesa, non si può poi ricorreggere se non con grandissime difficultà e pericoli, e con spese intollerabili. Nè basta che nella città sia qualche savio che lo cognosca a buona ora, perchè come questi propongono i rimedi, i più, che non sono capaci della ragione, gli gridano drieto ed interpretando che lo faccino per ambizione o per qualche altro appetito particulare, non solo impediscono la provisione per allora, ma sono causa che a un altro tempo questi medesimi, vedendosi delusi ed in sospetto, non ardiscono mostrare un altro periculo. La moltitudine ha sempre questa opinione, che gli uomini eccellenti non si contentino del vivere libero, e però che di continuo desiderino guerre e travagli per avere occasione di soffocare la libertà, o almanco perchè la città abbia bisogno di adoperargli più che non sono adoperati nel tempo della pace. Però la autorità di questi tali non muove, perchè non hanno fede; le ragione loro non persuadono, perchè non sono intese. Per questa fallacia sono rovinate molte republiche, moltissime hanno perduto opportunità bellissime di accrescere il Dominio, infinite si sono invilluppate in grandissime spese e pericoli. A' tempi de' padri nostri, volendo Filippo Maria Visconte ricuperare lo stato vecchio della casa de' Visconti che per la morte di Gian Galeazzo suo padre si era dissipato in molte parte, cercò di adormentare la nostra republica dimandando pace onorevolissima per noi e tanto sicura quanto si poteva desiderare se fussi durata. Fu cognosciuto da Nicolò da Uzzano e da qualche altro savio questo inganno, e che egli non desiderava pace ed amicizia con noi, ma di levarsi con questo modo lo ostaculo nostro per potere stabilire le cose sua di Lombardia ed acquistare Genova, e poi attendere a opprimerci; ed ancora che nelle pratiche e ne' consigli mostrassino questo pericolo, nondimanco il nome della pace piacque tanto a' mercatanti ed al popolo, che rifiutati i consigli de' savi accettorono il partito proposto. E dove sicuramente e con poca spesa arebbono potuto interrompere lo augumento del suo inimico, bisognò che poi entrassino in lunghissime e pericolosissime guerre, nelle quali si consumò tesoro infinito e si messe assai della dignità della città; perchè la fu constretta collegarsi co' Viniziani con le legge che parvono a loro, nè si potette assicurare da quello pericolo senza farne nascere un altro, cioè fare grandi i Viniziani che sono sempre poi stati formidolosi allo stato nostro. Morto Filippo predetto, i Viniziani pensorono di usurpare il ducato di Milano, che non era altro che la via di insignorirsi presto di tutta Italia; e questo pericolo fu nel principio sì poco considerato da' nostri cittadini, che se la città fussi stata in uno Governo di molti, è certissimo che non vi si provedeva. Ma la grandezza di Cosimo fu cagione che noi ci ristrignemo col conte Francesco e lo aiutamo di sorte che diventò duca di Milano; il che se non si fussi fatto, sarebbe, già sono molti anni, di altri quello che per grazia di Dio e per la autorità e prudenzia di Cosimo è ancora nostro. Di queste cose sono infiniti gli esempli nelle istorie moderne e credo anche nelle antiche, i quali riandare sarebbe superfluo. Nè negherò per questo che anche uno Governo stretto non faccia qualche volta degli errori, ma senza comparazione minori e più di rado; perchè oltre a quello che è detto, che più vigila, più intende, più cognosce uno o pochi che tanti, ci si aggiugne che il provedere a' pericoli, lo ovviare a' princìpi non si fa communemente senza qualche spesa, senza qualche fastidio, senza qualche difficultà; cose che dispiaccino a' populi, e per la dolcezza di starsi in ocio, di non travagliare, di non spendere, lasciano scorrere le cose in luogo che per una oncia di quello che hanno fuggito bisogna che a dispetto loro ne portino cento libre. Ci si aggiugne che uno Governo largo non ha quella facultà e quello mezzo d'intendere i segreti e gli aggiramenti degli altri potentati, che uno Governo stretto; perchè oltre a non usare la medesima diligenzia, chi sono quegli che voglino occultamente rivelare uno segreto in luogo donde oltre al non aspettarne premio, sia prima publicato che detto? Perchè il manifestarlo a uno o dua cittadini non gli serve, dirlo nelle pratiche, ne' consigli è come bandirlo; però non solo gli uomini privati che per speranza di premi o per altri suoi fini scoprirebbono qualche cosa, non ardiscono di farlo, ma i prìncipi ancora parlano con gran riservo, perchè non dà loro il cuore tenere con una città che si governi dal popolo, una pratica che lui voglia che sia occulta. E questo caso del segreto offende doppiamente, perchè non sapendo i disegni degli altri non vi puoi provedere, e sapendosi i tua, ti sono interrotti innanzi al tempo. Chi sarà in uno esercito inimico, in una terra che tu vuoi acquistare, che ardisca di tenere teco uno trattato? E se pure si troverà de' pazzi, rare volte si terranno coperti, poi che bisogna che ogni deliberazione passi per mano di molti; e nondimanco voi sapete che con questi mezzi si conducono grandissime cose. Aggingnesi che in molti casi la prestezza è necessaria, e questa in simili stati non si può sperare: presenterassi una occasione, ma arà sì poca vita, che innanzi che la pratica sia ragunata, che sia risoluta, che sia indirizzata, sarà spenta. Di poi il più delle volte non si può fare acquisto, non si possono fuggire i pericoli, senza la coniunzione di qualche altro potentato, e questa non si ha se non quanto muovono gli interessi communi, i quali i prìncipi savi misurano con quello che corre giornalmente, e col discorso della condizione di tutte le cose e di molti anni insieme. Però le coniunzione e gli appoggi che sono durati qualche tempo, sono di molto più frutto che quegli che si fanno in sul bisogno proprio; perchè, oltre che tra l'uno e l'altro è maggiore fede, vi sono ancora le cose meglio discusse, meglio indirizzate, e disposte in modo da potersi in un tratto mettere in atto; dove chi ha a fare di nuovo in uno subito, non ha mai a tempo in ordine quello che bisogna. Queste coniunzione continuate si fanno difficilmente con uno popolo, perchè non essendo sempre i medesimi uomini che governono, e però potendosi variare i pareri ed i fini secondo la diversità delle persone, uno principe che non vede potere fare fondamento fermo con questi modi di governo, nè sa con chi si avere a intendere o stabilire, non vi pone speranza nè si ristrigne teco, disegnando che ne' bisogni o nelle occasioni tue tu ti vaglia sì poco di lui come lui spera potersi valere di te. Dalla grandezza de' Viniziani e da molti accidenti che arebbono potuto travagliare Italia, la difese molti anni la intelligenzia stretta che si fece tra il re di Napoli, lo stato di Milano e fiorentini, la quale era fondata in poche teste; così volessi Dio che la mala fortuna di Italia e la ambizione del signor Lodovico e la alterezza del re Alfonso e forse la poca prudenzia di Piero de' Medici non la avessi rotta, che non saremo in preda di barbari. Ma dico che se tra questi tre potentati fussi stato uno Governo populare, non si sarebbe fatta mai questa unione, o si sarebbe disunita molti anni sono. Nè crediate che io mi affatichi in dimostrare che i populi non sentino i princìpi ed origine delle cose, dalle quali nascono spesso inclinazioni importantissime, perchè io presuponga che scoperte che le sono, si governino poi bene. Anzi so che voi mi confesserete che tutte le cose che passano per deliberazione di molti, oltre che non hanno il segreto e prestezza debita che in ogni tempo è necessaria, hanno anche spesso seco la irresoluzione, perchè molte volte non sono d'acordo a deliberare e quello che pare a l'uno non pare a l'altro, in modo che o le resoluzione vanno più lunghe che il bisogno, o riescono confuse; non solo dove hanno a convenire molti, ma se mettete insieme pure otto o dieci savi, nasce qualche volta tra loro tale varietà che saranno giudicati pazzi. Se ne vede ogni dì lo esemplo de' medici, che messine a qualche cura più che uno, ancor che siano eccellenti, vengono facilmente in controversia e molte volte con le discordie loro amazzano lo infermo. Dove hanno a deliberare molti è il pericolo della corruttela, perchè essendo uomini privati e che non hanno il caso commune per suo proprio, possono essere corrotti dalle promesse e doni de' prìncipi; ed io ho udito dire più volte che il padre di Alessandro Magno fondò lo stato suo non manco col corrompere i capi delle città libere di Grecia, che con le arme; e questo non si ha a temere da uno, perchè essendo padrone di quello stato, non si lascerà mai comperare per dare via o per disordinare quello che reputa suo. Però vi dico che non solo ne' princìpi delle cose, ma ancora in tutti i progressi insino alla fine, non sono salde le deliberazioni de' governi populari; e questo apparisce più ne' maneggi delle guerre che hanno bisogno di più prudenzia, e nelle quali doppo gli errori fatti, si truova più facilmente la penitenzia che la correzione. senza che, molto manco si possano confidare de' capitani e de' soldati, che possa fare uno solo, perchè tra' soldati mercennari ed i populi è una inimicizia quasi naturale: questi se ne servono nella guerra, perchè non possono fare altro; fatta la pace non gli remunerano, anzi gli scacciano e gli perseguitano, pure che possino farlo; quegli altri, cognoscendo non servire a nessuno, o pensano tenere la guerra lunga per cavare più lungamente profitto dalla sua necessità, o voltono lo animo a gratificarsi col principe suo inimico; o almanco gli servono freddamente, perchè non avendo amore e non sperando da loro, non è possibile gli possino servire con caldezza. Però a tempo de' padri nostri, sempre i cittadini savi consigliavano che i non si pigliassino le guerre se non per necessità; il quale consiglio io lodo ma non basta, perchè molte volte è necessario pigliare le guerre, e molte volte a chi avessi modo di maneggiarle bene si appresenta occasione tale che sarebbe molto utile l'averle prese. Dunche vedete che difetto sia, e quanto per infiniti rispetti che da per voi potete considerare, resti debole uno Governo che bisogni consigliarlo a guardarsi dalle guerre, le quali molte volte sarebbono utile, molte volte sono necessarie. In somma, per ritornare al parlare di prima, il Governo di molti manca assai nelle cose importanti, di segreto, di prestezza, e quello che è peggio di resoluzione. Però vediano che spesso una republica nelle guerre degli altri sta neutrale, cosa che molte volte è pestifera, e sarà massime a' tempi che si apparecchiano, dove per questa passata de' franzesi in Italia, le cose verranno in mano di più potenti, e con arme più vive che non erano per il passato. Quando la guerra è tra dua prìncipi che non sono sì grandi che tu, o per le forze tua proprie o per avere buoni appoggi, abbi da temere che uno di loro che vinca ti possa opprimere, allora la neutralità è buana, perchè non solo durante la guerra loro tu manchi de' travagli e spese che ti porterebbe lo entrarvi, ma ancora il consumarsi gli altri fra loro, fa in uno certo modo te più potente e ti dà qualche volta occasione di ampliare il tuo Dominio mediante la debolezza degli altri. Con questa via i viniziani, stando a vedere le discordie de' vicini, hanno accresciuto spesso la potenza loro; ed in loro la neutralità è stata prudente, perchè erano sì potenti che la vittoria di uno di quelli che guerreggiava non era per mettergli in pericolo. Ma quando tra dua che faccino guerra, qualunche sia vincitore abbi a restare più potente di te, allora è mala la neutralità, perchè, vinca chi vuole, tu resti a discrezione e non ha obligo di riguardarti; dove se ti accostassi a uno, hai pure da sperare che vincendo lui tu non resterai distrutto. Ed a questo errore di stare neutrale inclinerà molto più uno Governo populare che di uno solo, o per dire meglio, che non arebbe fatto quello de' Medici; le ragioni sono manifeste: la dolcezza de l'ocio e della pace presente che accieca chi poco pensa a' periculi futuri; il non volere i cittadini che si spenda, per paura che non si abbia a mettere mano alle sua borse; il lasciarsi ingannare da quelli che sono in guerra, perchè almanco sempre uno di loro, cioè quello che si vede più potente o che dubita che tu non sia inclinato più a l'altro che a lui, parendogli fare guadagno assai della tua neutralità, ti proporrà bastargli che tu sia neutrale, e che stando neutrale non si terrà offeso nè arai a temere della vittoria sua. Ma più spesso questo errore nasce da irresoluzione, perchè le pratiche ed i consigli non si accordano: l'uno inclina a questa parte, l'altro a quella, o per corruttele, o per passioni o pure per diversità de' pareri, in modo che non si ristrignendo mai in una opinione tanti che prevaglino, non si fa deliberazione alcuna. E quello che è peggio nella neutralità, ti stai neutrale non risolvendo però mai il volere stare neutrale; perchè se tu pure da principio deliberassi la neutralità e ne assicurassi o la capitolassi con quella parte che ti propone contentarsene, sarebbe minore errore, perchè sarebbe uno modo di aderirsi, anzi in qualche caso sarebbe migliore partito. Ma non ti risolvendo dispiaci a ognuno, a quello ancora che dimanda la neutralità, perchè lo tieni sospeso e male satisfatto, e perdi la occasione di assicurarti di lui e di capitulare seco; tanto che se poi resta vincitore, ti ha per inimico, e gli hai donato anzi gettato via la neutralità che lui voleva comperare da te.

GUICCIARDINI.  Sono pure degli altri casi che la neutralità torna a proposito, e ne riferirei qualcuno, se questa discussione non fussi fuora del nostro ragionamento.

BERNARDO.  Non entriamo per ora in questo; la verità è quanto io ho detto, ma ogni regola ha delle eccezioni, le quali nelle cose del mondo si insegnano più con la discrezione che possino distinguersi abastanza, o che si truovino scritte in su' libri: bisogna siano distinte dal judicio di chi considera le circunstanzie de' casi. Se bene qualche volta per varie cagioni particulari la neutralità è buona ancora fuora de' termini che io ho detto, nondimanco universalmente non è buona, e chi ha judicio e considera in su che ragione è fondata questa conclusione, facilmente, quando i casi vengano, gli sa distinguere e risolvere bene. Per tutte queste ragioni e per molte altre che sarebbe troppo lungo a dire, sarà il Governo del popolo molto manco atto a conservare ed augumentare il Dominio che non era quello de' Medici. Nè mi allegate in contrario lo esemplo de' Romani, che benchè avessino il Governo libero e largo, acquistorono tanto imperio; perchè ancora che poco sia mia professione parlare di cose antiche, non avendo notizia se non per relazione di altri ed in pezzi, o per qualche libro fatto vulgare, che credo siano assai male translatati, a me non pare che il modo del Governo di Roma fussi di qualità da fondare tanta grandezza; perchè era composto in modo da partorire molte discordie e tumulti, tanto che se non avessi supplito la virtù delle arme, che fu tra loro vivissima ed ordinatissima, credo certo che non arebbono fatto progresso grande. E questa fece effetti non manco in comparazione a tempo de' re, che facessi poi sotto la libertà; e dove si fa il fondamento in sulle arme proprie, massime eccellenti ed efficaci come erano le loro, si può intermettere quella vigilanzia e diligenzia sottile che è necessaria a chi si regge in su le pratiche ed aggiramenti. Nè avevano allora i capi della città a durare fatica a persuadere al popolo che pigliassi una impresa nuova, o per ovviare a uno pericolo o per augumentare lo imperio, perchè erano uomini militari, e che non sapevano vivere senza guerra, che era la bottega donde cavavano ricchezze, onori e riputazione. Però non si può regolare secondo questi esempli chi non ha le cose con le condizione e qualità che avevano loro. E se Pagolantonio replicherà che noi potremo armarci, a questo risponderò di sotto, e se io non mi inganno vi mostrerò che molte cose si dicono che non si possono fare, molte ancora si potrebbono fare usandovi i debiti mezzi, ma per vari rispetti ed impedimenti non si usano. E perchè il discorso mio è andato per uno cammino che vi potrebbe forse fare pensare che, se in uno Governo populare si portano de' pericoli per non fare o per fare tardi le imprese necessarie, che ci è il contrapeso, perchè con la medesima ragione si astengano da pigliare le imprese non necessarie e pericolose, che è una di quelle cagione che fa spesso rovinare i prìncipi, che molte volte per ambizione pigliano imprese male misurate, sotto le quali alla fine periscono; vi dico che anche in questo errano più i populi, perchè considerano manco, intendono manco, cognoscono manco, e però riputando spesso facilissimo quello che poi si scuopre difficillimo, sotto una leggiere speranza, sotto uno debole fondamento si imbarcano in imprese pericolosissime. A tempo de' padri nostri, fatta che fu la pace della prima guerra col duca Filippo, Niccolò di Stella entrato con certe genti in quello di Lucca, doppo avere preso alcune castella, propose alla nostra città che volendolo aiutare gli darebbe in breve tempo Lucca. Ed ancora che questa offerta fussi gagliardemente contradetta da Niccolò da Uzzano e da altri savi, che consideravano la città nostra essere stracchissima per la guerra passata, la impresa difficile per l'odio che ci portano i lucchesi, e perchè i non era verisimile che il duca, che vi poteva facilmente ovviare ed era grandissimo inimico nostro ed aspirava al Dominio di Toscana, ce la lasciassi vincere, nondimeno la voglia traportò tanto la moltitudine, che senza considerazione deliberorono ne' consigli del popolo e del commune la impresa; donde quanti mali seguissino credo lo sappia ognuno di voi. Potrei allegarvi molti altri esempli, e della medesima Lucca e di altro, ma gli lascio indrieto per non essere sì lungo, e molto più perchè, se io non mi inganno, questa Pisa ve ne farà vedere molti. La recuperazione di Pisa è giustissima e molto necessaria; la impresa pare facile perchè è una città sola, povera e male abitata, noi a rispetto loro, ricchi, potenti ed abbondanti di ogni provisione; e pure chi considererà più drento, la vedrà molto difficile, perchè è forte di sito per i fiumi tra' quali è posta e per avere il paese paludoso in modo che per molti mesi dell'anno non si può calpestare; ed è anche forte di muraglia; gli uomini sono valorosi, e vediamo che il contado si è congiunto con loro in modo che non saranno pochi; sono ostinatissimi di non tornare sotto al Dominio fiorentino. Le cose di Italia sono in termini che è impossibile che manchi loro spalle: chi disegna cavare da noi, terrà aperta questa piaga per farlo più facilmente; il medesimo, chi vorrà stringerci a seguitare più una parte che un'altra: il boccone è sì bello, che non mancherà qualche potentato grande che vi disegni; i vicini che temono la nostra grandezza non mancheranno di aiutargli, e gli aiuti loro benchè piccoli saranno tanto pronti che importeranno assai, e le arme vostre, dove abbino riscontro gagliardo, varranno sempre poco. Se vi metterete ora gagliardamente alla impresa, non la vincerete, spenderete danari infiniti e vi tirerete umori adosso, che vi metteranno in travagli grandi e forse in pericolo del resto; e nondimanco ognuno ci è tanto acceso, che chi ora proponessi questo parere, grandissimo carico ne riporterebbe.

GUICCIARDINI.  Dunche consiglieresti voi che per ora Pisa si lasciassi stare.

BERNARDO.  Lasciarla stare non sarebbe bene, perchè si stabilirebbe tanto più ed anche si verrebbe in uno certo modo a perdere della nostra giustizia. Però consiglierei la via del mezzo, cioè che si facessi la impresa con provisioni che bastassino solo a racquistare il contado, e fornito dua o tre luoghi, disfarvi gli altri e ricordarci sempre a tempo delle ricolte di guastare loro le biade. Così gli verresti del continuo a indebolire e consumare, nè gitteresti i danari vostri inutilmente, massime che gli altri potentati, non vedendo pericolo presente che voi la pigliassi, non darebbono loro aiuti gagliardi da molestarvi, nè penserebbono di fare diversione alle vostre imprese; troverrestivi freschi di danari, co' quali chi gli saprà bene spendere arà da questi Oltramontani ogni cosa, e facilmente vi verrebbe qualche buona occasione, senza che uno corpo, quando è consumato, cade quasi sempre in uno tratto. Ora questo modo non si terrà se non forse doppo qualche anno, quando sarete stracchi e disperati poterla avere per altra via; e se io non sarò vivo allora come è verisimile, voi che siate più giovani ve ne ricorderete e mi crederrete tanto più che le imprese importanti sono male intese e male governate ne' reggimenti populari. Il che in ogni tempo importa assai, ma importerà molto più al temporale che corre ora, perchè essendo entrata in Italia questa peste oltramontana, dubito che non sia uno principio di grandissime calamità, ed i buoni governi sono molto più necessari ne' tempi fortunosi che negli altri.

SODERINI.  Ancora che nessuno rimedio sia più a tempo alle cose del reame, pure se si conchiude questa lega grande tra 'l papa, imperadore, re di Spagna, Viniziani e duca di Milano, potrebbe essere principio a cacciargli di Italia; e se ne escono una volta, forse che mai più non ci torneranno.

BERNARDO.  Il reame, come tu di', è spacciato, e la entrata loro in Italia e poi lo acquisto di questa prima impresa è stato sì felice, che io non so se il cacciargli riuscirà così facilmente; e quando pure riuscissi, dubito che il gioco non sarà finito, perchè la potenza di Francia è grande, ed aranno già comminciato a imparare la via di venirci, gustato la dolcezza di questa provincia ed accesi gli animi; nè mancheranno le cagioni e le occasioni di farcegli venire, perchè la unione di Italia è conquassata, e sono rotti quelli vinculi che la tenevano ferma. Questa lega che ora si pratica, quando bene si conchiugga, durerà tanto unita quanto questo bisogno che corre ora; di poi resterà ogni cosa più confusa che mai. Il regno di Napoli, ancora che i Ragonesi vi tornassino, sarà debole e forse smembrato; voi senza Pisa e con la piaga di fuorausciti potenti; uno papa ambizioso e cupido di cose nuove; viniziani, si sa naturalmente a che pretendono; il signore Lodovico, per parlare modestamente, non è sì savio come è tenuto, ma se doppo lo essersi fatto duca di Milano, doppo lo avere disfatto i Ragonesi e Piero de' Medici, gli riesce fare tornare il re Carlo in Francia, rimarrà pieno di vanità e di insolenzia. Sono certo che pensa alle cose di Pisa, e dubito che i Viniziani non vi voltino lo animo, perchè la natura loro è di abbracciare sempre con simili occasione: in modo che Pisa potrebbe essere causa di riaccendere il fuoco in Italia, e quando non lo faccia Pisa, non mancherà degli altri semi. Ognuno che arà ambizione, sdegno o paura, non potendo satisfarsi o assicurarsi per altra via, cercherà di fare venire Oltramontani, e quanto più prosperamente sarà riuscito al duca, tanto più vi piglieranno animo gli altri. Vedete che ora per cacciare franzesi si comincia a parlare di tedeschi e di spagnuoli; però non solo io non ci veggo sicurtà che i franzesi non abbino a stare o tornare in Italia, ma dubito ancora che non si apra la via a qualche altra nazione. E questa sarebbe la ruina ultima, perchè mentre che ci staranno d'accordo, si mangeranno Italia; se verranno a rottura, la lacereranno; e se per sorte l'uno oltramontano caccerà l'altro, Italia resterà in estrema servitù. Saranno queste cose più o manco secondo che Dio vorrà, ma non si può negare che i tempi che vengono saranno strani, e che quando bisognerebbe migliore medico, l'areno peggiore. E quanto importi questo capo della conservazione del Dominio, non lo dico perchè ognuno di voi lo sa.

SODERINI.  Non negherò che sia di grandissima importanzia, ma secondo l'ordine della natura viene prima in considerazione e prima si ha a cercare di essere libero o bene governato, e poi di dominare a altri. Però de' tre capi considerati da Piero Capponi importano più i primi dua che concernono proprio lo essere nostro, che quello del Dominio; e se il Governo populare avessi ne' primi dua o almanco in quello della giustizia, vantaggio dal Governo de' Medici, non sarebbe peggiore quando bene nel terzo non fussi sì bene ordinato.

BERNARDO.  Pagolantonio tu ti inganni, perchè tu vuoi dividere quelle cose che non si possono dividere. Se una città che si contentassi della libertà sua e del suo piccolo territorio fussi lasciata stare dagli altri, tu diresti bene; ma questo non è a casa nostra e non può essere, perchè bisogna o che la sia in modo potente che opprima gli altri, o che la sia oppressa da altri. Se voi perdessi il Dominio vostro, perderesti ancora la libertà e la città propria, la quale sarebbe assaltata, e non aresti forze da difenderla; ed il fare buona giustizia, il distribuirsi bene i magistrati, l'avere buone leggi e bene osservate, non vi difenderebbe. Però io sono di opinione contraria a te, che importi più questo ultimo, perchè ne dependono gli altri, che restano in terra, perduto il Dominio, e la città ne rimane soggiogata ed usurpata, senza speranza alcuna di potere mai risurgere. E questo non interviene se gli altri membri si disordinano, perchè la città patisce ma non muore; e restandogli la vita, gli resta la speranza di potere a qualche tempo riordinarsi, che è quello a che, ne' casi gravi, hanno sempre a pensare i governatori delle republiche, cioè sopportare ogni male, perchè la città non si spenga; e se tu la penserai bene, e tu ed ogni altro savio come sei tu, non diranno mai altrimenti che mi dica io.

SODERINI.  Non vi vo' più interrompere, ma poi alla fine del ragionamento dirò quello che mi occorre.

BERNARDO.  Seguiterò adunque, procedendo secondo l'ordine di Piero Capponi, e dico che è vero quello che fu detto da lui, cioè che nella deliberazione delle imprese e Governo delle cose di fuora, lo obietto de' Medici era più il bene suo particulare che la grandezza della città; ma affermo quello che egli confessò tacitamente, che non poteva quasi essere, anzi non poteva essere l'uno senza l'altro, perchè i Medici non avevano una signoria nè uno stato appartato dal quale avessino la grandezza, ma ogni cosa sua dependeva dalla potenza e riputazione dello stato di questa città, e nel bene ed augumento di questo era il bene ed augumento loro, perchè quanto era più grande e più potente la città, tanto venivano a essere più potenti loro. E se Lorenzo errò in impresa alcuna, che da quella di Volterra in fuora non errò forse in nessuna (ma non accade ora disputare questo), fu per cattivo consiglio, come interviene qualche volta a tutti i savi, ma non perchè il male o la bassezza della città fussi utile al particulare suo; e però se bene si movevano più per interesse proprio che per il publico, pure poi che male potevano procurare il suo, che non procurassino anche il publico, veniva a essere quasi il medesimo. Nè il grado che loro cercavano di appropriarsi e di essere tenuti padroni, faceva in quanto a questo, diverso effetto; perchè con tutto questo ognuno sentiva i medesimi commodi che porta a' suoi cittadini la pace e la riputazione e la sicurtà della sua patria e lo augumento del Dominio. Restano le ultime cose dette da Piero Capponi, cioè delle spese superflue per conto de' soldati, amici loro, e de' danari che Lorenzo cavò dal publico per sè e per fare servire qualche amico suo, che è la verità nè lo voglio escusare, se bene io potrei forse dire che era ridotto in ultima necessità e che le cose che allora correvano erano di sorte, che la ruina sua non poteva essere senza danno del publico, e però ne fu consigliato da tutti i principali dello stato. Ma consentiamo che fussi mal fatto: la esperienzia vi mostrerrà che tutto quello che in tanto tempo Lorenzo spese superfluamente, o di che si servì nelle necessità sue e degli amici suoi, fu una piccola quantità rispetto a quello che per i mali governi e per la poca diligenzia di chi ha cura delle entrate ed anche per qualche malignità, si spenderà in pochissimi anni. Una deliberazione male consigliata; una elezione di dieci poco pratichi; una delle vostre lunghezze o irresoluzione; una gravezza che non si vinca a tempo, che interverrà molte volte avendosi a vincere in consiglio grande, vi farà più gettare via in uno anno, che non si fece mai in tutto quello tempo; e così farà male al publico uno ducato che si spenda per cattivo governo, come quello che si spenda per altra cagione. Vedrete con quanto poco ordine saranno maneggiate le entrate, e quante negligenzie e rapine si faranno; perchè da uno Governo simile che non ha ordine e padrone fermo, non si può sperare altrimenti. In ultimo Piero Capponi, se io mi ricordo bene, si lamentò del sospetto e degli effetti che procedano da quello, cioè non lasciare crescere gli uomini eccellenti, interrompere i parentadi tra le persone qualificate, vigilare sempre gli andamenti degli altri, massime degli uomini di ingegno, diffidandosi non che altro degli amici ed intrinsichi suoi. Cose tutte verissime e necessarie in ogni tirannide; ma in quelle che sono inumane le provisioni sono crudeli, perchè si fanno col ferro. Vedete quello che si fa a' tempi nostri in Bologna ed in Perugia, ne' quali casi io lodo coloro che eleggono ogni altro partito che lo stare nella patria; ma dove sono più temperate, sono le provisioni più destre, e con quelle vie che biasimò Piero. E così faceva Lorenzo, che senza sangue o esilio di persona, si andava difendendo da' sospetti. Non lodo lo interrompere i parentadi, non il ritirare chi si faceva innanzi, e massime le persone di più qualità, ma dico bene che a comparazione de' mali detti di sopra era infine piccolo male, perchè toccava a pochissimi, ed a quegli dolcemente. Non voglio ora parlare delle cose de' Pazzi, perchè il volere troppo scopertamente combattere co' Medici in Roma ed in Firenze la grandigia, constrinse Lorenzo a pensare di abbassargli, ed elesse più tosto quegli modi che avere a mettere mano al sangue; in che meritò forse più laude di mansuetudine che di prudenzia, perchè gli esasperò e non se ne assicurò. Vi dico bene che questo vostro consiglio arà ancor egli de' mal contenti e di quegli che cercheranno alterazione e cose nuove, e sarebbe molto meglio difendersene con quella diligenzia e destrezza che faceva Lorenzo, che fare com'è la natura de' popoli, i quali non avertiscono agli andamenti minori e più occulti, e se vi avertiscono non vi provedono; di sorte che chi ha voluntà di machinare, piglia animo, e la licenzia cresce tuttodì tanto, che alla fine o gli riesce i disegni, o quando le cose sono ridotte nel fondo del pericolo, vi si provede, ma con sangue e con furore; ed a quello che sarebbe bastato una piccola diligenzia, si hanno poi a adoperare i ceppi e le mannaie, con infinito danno di chi patisce e con travaglio della città e di ognuno senza comparazione molto maggiore che non sarebbe stato il provedervi come faceva Lorenzo. Potrei dire molte altre cose, e rispondere più minutamente a molti particulari considerati per voi dua, Piero e Pagolantonio; ma gli lascerò indrieto, perchè non è molto necessario, avendo toccato le cose sustanziali e non volendo procedere in infinito. Basta, che io non so se il vivere populare sarà tale che la città abbia a avere molta obligazione a chi ha cacciati i Medici, sotto i quali confesso che erano molte cose che non stavano bene e che erano da dispiacere, e che gli uomini potevano difficilmente sopportare; ma ne saranno ancora in questo altro molte e forse più e più gravi. E gli uomini non debbono levarsi da uno stato per fuggire quelle cose che non gli satisfanno, se non per capitare in uno altro, dove, considerato quale sia più o quanto, abbino a essere migliori condizioni. Perchè le mutazioni non si hanno a cercare per fuggire i nomi ed i visi degli uomini, o per mutare il duolo dello stomaco in duolo di testa, ma per fuggire gli effetti e liberarsi da' mali che ti affligano senza intrare in altri mali pari e forse maggiori.

SODERINI.  E' discorsi vostri sono stati a judicio mio bellissimi, ma dubito non abbino seco uno inganno, perchè volendo esaminare tutt'a dua questi governi, avete dall'uno canto preso per fondamento il modo con che si reggeva Lorenzo, che era il migliore, il più savio ed il più piacevole che si potessi aspettare da uno Governo simile, da altro, avete preso questo principio del vivere populare, che è ancora confuso, disordinato e rozzo, e nel peggiore grado quasi che possa essere. Lo stato de' Medici era per peggiorare ogni dì, e ne abbiì no veduto lo esemplo in Piero, in modo che restrignendosi a ogni ora, e crescendo la insolenzia e la licenzia di chi ne era padrone, in progresso di pochi anni sarebbe stato diversissimo da quello che era a tempo di Lorenzo. Quest'altro che nasce ora si andrà ordinando alla giornata, perchè gli uomini sono desiderosi della libertà, e che la città si governi con quiete e con pace; però gli errori che si sono fatti ora in furia, parte per necessità, parte per sospetti e per ignoranzia, si cognosceranno con la esperienzia di pochi anni e si andranno limando e ricorreggendo, in modo che non ci aranno luogo quegli difetti che sarebbono se il Governo si continuassi come ora è; neanche sarebbono durati quegli beni che aveva lo stato de' Medici, perchè andava tuttavia declinando verso il male.

BERNARDO.  Se la cosa stessi come dice Pagolantonio, gli arebbe con poche parole posto in terra tutto quello che io mi sono affaticato di provare sì lungamente; ma io non credo che la stia così, e che le cose non sarebbono sotto Piero peggiorate quanto lui crede, e che questo Governo populare non sarà di qui a qualche anno tanto migliorato. Lo stato de' Medici, ancora che, come io ho detto, fussi una tirannide e che loro fussino interamente padroni, perchè ogni cosa si faceva secondo la loro voluntà, nondimanco non era venuto su come uno stato di uno principe assoluto, ma accompagnato co' modi della libertà e della civilità, perchè ogni cosa si governava sotto nome di republica e col mezzo de' magistrati, i quali se bene disponevano quanto gli era ordinato, pure le dimostrazioni e la imagine era che il Governo fussi libero; e come si cercava di satisfare alla moltitudine de' cittadini con la distribuzione degli uffici, così bisognava satisfacessino a' principali dello stato non solo con le dignità principali, ma ancora col fare maneggiare a loro le cose importanti, e però di tutto si facevano consulte publiche e private. E se bene i Medici avevano preso tanto piede e di arme e di seguito, che se avessino voluto pigliare assolutamente il Dominio della città, arebbono potuto farlo senza alcuna difficultà; nondimanco faccendolo, arebbono disperato interamente ognuno e non manco gli amici loro che gli altri; a' sudditi ancora che sono usi a ricognoscere il Palagio ed i modi della libertà sarebbe dispiaciuto. E però nessuno de' Medici, se non fussi stato publico pazzo, arebbe mai fatto questo, perchè potevano conservare la autorità sua, senza fare uno passo che gli avessi a inimicare ognuno, e bisognava che facendolo, pensassino o uscire di Firenze a ogni piccola occasione che venissi, o aversi a ridurre tutti in su le arme ed in su la forza; cosa che i tiranni non debbono mai fare, se non per necessità, di volere fondarsi tutti in su la violenzia, quando hanno modo di mantenersi col mescolare lo amore e la forza. Aggiugnesi che chi togliessi alla nostra città la sua civilità ed immagine di libertà, e riducessila a forma di principato, gli torebbe la anima sua, la vita sua e la indebolirebbe e conquasserebbe al possibile; e quanto è più debole e manco vale la città, tanto viene a essere più debole e manco valere chi ne è padrone; e così se i Medici avessino preso il principato assoluto, arebbono diminuito e non cresciuto la sua potenza e riputazione. Però non si aveva a dubitare che alcuno de' Medici, se non fussi stato publico pazzo, pensassi a tanta transgressione; e voi mi confesserete che se bene Piero era caldo e della natura che ognuno sa, non era però sì inconsiderato, che si avessi a credere che si mettessi a fare una pazzia sì notabile. Che vuoi tu inferire per questo? Voglio inferire che questo modo di consultare le cose co' principali dello stato ed esequirle col mezzo de' magistrati, era non piccolo freno alle esorbitanzie che avessino voluto fare i Medici. Non che questo bastassi a proibirgli quello che pure avessino resoluto assolutamente di volere fare, ma serviva a ritirargli e mostrargli il cammino migliore; ed andando con questi modi, non pareva loro quasi lecito uscire del consiglio di quelli che riputavano savi ed amici, e si andavano mantenendo nella opinione che fussi bene fare le cose con satisfazione della città, o almanco dello stato. Però insino che noi non fussimo riscontri in uno che fussi stato totalmente pazzo, non si aveva a judicio mio da dubitare che noi ci discostassimo troppo da quello traino che era stato a tempo di Lorenzo; e meno ancora nel Governo delle cose di drento che in quelle che appartenevano alle imprese ed amicizie co' prìncipi, perchè gli pareva lecito che queste dependessino più dallo arbitrio suo. E però se voi considerate bene, il ristrignere che aveva fatto Lorenzo era stato più presto circa il volere che i cittadini ricognoscessino più stiettamente da lui la loro riputazione, che circa il disordinare la giustizia o le leggi, e gravare le borse più che il solito, e circa le altre cose che concernono il buono e pacifico vivere. Anzi a questo giovava più la autorità che lui aveva ristretto in sè, perchè era manco necessitato a comportare a' cittadini principali le cose mal fatte; il che non avevano potuto bene fare nè Cosimo, nè Piero suo padre, perchè non avendo preso tanto piede quanto prese poi lui, la autorità di parecchi cittadini era sì grande che erano comportate loro infinite estorsioni. Non sapete voi come fu governato Firenze dal 34, e massime poi che Cosimo invecchiò ed infermò, insino a tanto che Lorenzo cominciò a fondare le cose sue, e quanto doppo questo tempo fu ognuno più sicuro e manco oppressato che prima? Nè con tutti i modi e natura di Piero, si disordinò la giustizia e la sicurtà e quiete de' cittadini; nè lo cognobbi però io mai di natura sì bestiale che si avessi a temere da lui che disordinassi e rovinassi il vivere della città. Le cose che vivente suo padre gli dettono cattivo nome, non furono altro che certe caldezze da giovane, delle quali se ne vede tuttodì in chi ha i medesimi anni che aveva lui e molto minore licenzia; cose che non toglievano la speranza che negli anni più maturi non avessi a avere la debita maturità e prudenzia. E chi considerrà bene il procedere suo doppo la morte del padre, dico nel Governo dello stato, non ci troverrà drento indizi di crudeltà o di sangue alieni da' nostri costumi. Che più manifesto segno delle cose di Lorenzo e di Giovanni di Pierfrancesco, e di Cosimo Rucellai e forse di Bernardo, che furono machinazioni contra lo stato e contra Piero, e pure furono governate piacevolmente? In che io vi confesso che valse assai il consiglio de' principali dello stato, perchè Piero era stato indiritto da qualcuno a cattiva via; ma se fussi stato di natura sanguinoso o implacabile, non si sarebbe lasciato persuadere da noi, e se voi negate questo, bisogna mi consentiate che, come io ho detto di sopra, il modo del Governo era tale che facilmente si ritirava dalle cose disoneste. Però di nuovo dico che a me non pare che Piero fussi per conducerci a quegli ultimi mali che diceva Pagolantonio. E se lui mi replicherà che continuandosi quello governo, che, se non Piero, potrebbe pure essere accaduto che una volta fussi venuto di loro uno di sì poca prudenzia che arebbe fatto quello di che lui temeva, io replicherò che oltre agli ostacoli che faceva a questo il modo del governo, che il parlare mio si mosse secondo i termini che noi ci trovavamo ed eravamo per trovarci qualche decina di anni, ma non ho tolto già assunto di parlare dello infinito, perchè in uno stato e grandezza di una famiglia non si può sperare la perpetuità. E di più vi dirò che il medesimo pericolo ha seco uno Governo populare, perchè quando le cose si disordinano e vengono a quella ultima licenzia, ha anche lui i suoi estremi mali, come voi sapete meglio di me, e gli esempli sono molti e manifesti. E se questo è difficile, il che non voglio ora disputare, non ammetto già, come diceva Pagolantonio, che con facilità il Governo vostro migliorerà da quello che è di presente e si limerà alla giornata e riducerà in termini che saranno laudabili e ragionevoli. Io dubito che più tosto sarà il contrario, perchè il fondamento de' mali di questo nuovo Governo nascerà dalla larghezza e dal volere ognuno non solo gli utili ed uffici ordinari, ma etiam tutti i primi gradi ed onori importanti della città. Il principio suo ha seco questa impressione ed opinione degli uomini, perchè non nasce doppo uno Governo di mezzo, ma doppo uno stato stretto caduto giù furiosamente, e però ognuno va senza misura al contrario, ed essendo lo arbitrio delle cose in mano della moltitudine che è quella che favorisce la larghezza, io non so che si possa sperare, nè pensare a altro che a allargare, e chi proporrà cose che tendino a questo fine, sarà molto più udito ed inteso che chi proporrà il contrario. Non ci veggo per ora altro freno che questo delle più fave, il quale se durassi, taglierebbe molte esorbitanzie; ma come si vedrà che le più fave ristringhino, gli sarà contro ognuno, e vedrete che saranno levate via e di necessità si allargherà ogni cosa, perchè ognuno pretenderà allo stato, ed in ognuno entrerrà la ambizione insino di essere chiamati alle pratiche ed a' consigli delle cose importanti in modo che si faranno a centinaia. Chi ha ordinato queste cose ha avuto buoni fini, ma non ha avertito particularmente a tutto quello che bisognava; nè me ne maraviglio, perchè non vive nessuno che abbi mai veduto la città libera, nè che abbi maneggiato gli umori delle libertà, e chi gli ha imparati in su' libri, non ha osservato tutti i particulari e gustatigli, come chi gli cognosce per esperienzia, la quale in fatto aggiugne a molte cose dove la scienzia ed il judicio naturale solo non arriva. Tornando a proposito, non veggo in effetto che ragione alcuna abbia a volgere gli uomini a ristrignere e riordinare bene il Governo populare, se non una: se alla città venissi qualche travaglio che evidentemente si cognoscessi essere causato dal cattivo governo; e se questo sarà piccolo non basterà a fare lo effetto; se lo desideriamo grande, potrebbe essere tanto che porterebbe troppo del vivo e ci metterebbe in troppo pericolo, perchè i colpi non si danno a misura, e male vanno le cose, quando non si può sperare di avere bene se non si ha prima il male. Ma considerate più oltre: non avendo questo Governo uno timone fermo, oltre alla larghezza che tuttodì andrà crescendo, se comminciano a nascere tra noi i dispareri e le divisione, le quali è impossibile che in uno Governo simile non naschino, dove si troverrà la città? Chi la medicherà? Chi la riordinerà? Chi metterà freno agli appetiti non ragionevoli degli uomini, o con autorità o con timore? Aspettiamo noi che lo abbia a fare il consiglio grande? Sono mali che hanno bisogno di più savio e di più esperto medico. Farannolo i magistrati, che non stando in offizio più che dua, tre o quattro mesi, aranno più facilità di guastare che di acconciare? Farannolo i cittadini principali che saranno immersi più che gli altri nelle divisioni? E se alcuno vi sarà di animo purgato, si troverrà con poca reverenzia appresso agli altri e con nessuna potestà. Considero più oltre che la città nostra è oramai vecchia, e per quanto si può conietturare da' progressi suoi e da la natura delle cose e dagli esempli passati, è più presto in declinazione che in augumento. Non è come una città che nasce ora o che è giovane, che è facile a formare ed instituire, e senza difficultà riceve gli abiti che gli sono dati. Quando le città sono vecchie, si riformano difficilmente, e riformate, perdono presto la sua buona instituzione e sempre sanno de' suoi primi abiti cattivi; di che, oltre alle ragioni che si potrebbono assegnare, potete pigliare lo esemplo di molte republiche antiche, le quali se nel suo nascere, o almanco nella sua giovanezza, non hanno avuto sorte di pigliare buona forma di governo, ha durato fatica invano chi ve la ha voluta mettere tardi; anzi quelle che sono use a essere bene governate, se una volta smarriscono la strada e vengono in qualche calamità e confusione, non tornano mai perfettamente al suo antico buono essere. È così il naturale corso delle cose umane, e come solete dire voi altri, del fato, che ha bene spesso più forza che la ragione o prudenzia degli uomini. Però Pagolantonio, io credo che il Governo de' Medici non sarebbe molto peggiorato da quello che era ridotto a ora, e che quello del popolo non migliorerà molto da quello che ora si mostra dovere essere.

GUICCIARDINI.  Dunche desiderate voi la tornata di Piero.

BERNARDO.  Io parlerò liberamente e senza passione. Io desiderrei che Piero non fussi stato cacciato, perchè non veggo guadagno in questa mutazione; ma ora che è cacciato, non vorrei che tornassi, perchè oltre che io non veddi mai che mutazione alcuna facessi bene alla città, le cose andrebbono in luogo che si peggiorerebbe di grosso. Perchè la tornata di Piero non può nascere senza forze ed eserciti forestieri, se già per le divisioni vostre non fussi richiamato da una parte, anzi quando avessi a essere, concorrerebbe più verisimilmente l'uno e l'altro insieme. Se fussi con forze forestiere, non potrebbe essere senza vergogna e danno grande della città, e con pericolo di non perdere una parte del Dominio. Se ha a procedere dalle vostre divisioni, bisogna che abbino tormentato assai la città, innanzi che le siano condotte in luogo che le possino partorire questo effetto. Ma oltre al modo del ritornare, che non può essere senza danno e vituperio, che altri effetti che cattivi potria fare il ritorno suo? Il desiderio di vendicarsi contra tutti o parte di quegli che lo hanno offeso, la volontà di assicurarsi di non potere essere cacciato un'altra volta, la povertà, perchè è stato saccheggiato e le facultà sue andate in ruina, e tanto più andranno quanto starà fuora, lo sforzerebbono a cacciare e distruggere molte case, e fare infiniti mali e mettere lo stato in diverso traino da quello di prima. Non pensi alcuno che Piero possi tornare, e ridursi il Governo a quello modo medesimo che era innanzi; dependerebbe più da lui, farebbe più fondamento in su le arme ed in su la forza, caverebbe tutte le cose degli ordinari suoi, i quali sono quegli che conservano Firenze, e parendogli che la benivolenzia degli amici non fussi stata bastante a tenerlo drento, nè lo odio degli inimici avessi potuto tenerlo fuora, non farebbe capitale alcuno dello amore de' cittadini, nè arebbe paura dello odio, perchè si volterebbe a opprimergli. E se sotto una tirannide non si può fare cosa più perniziosa a una città che dare causa al tiranno di avere sospetto, il che lo necessita tutto a male, pensate quello che è quando torna uno che è certo della malivolenzia del popolo, che, oltre alla esperienzia che ne ha veduta, ha ancora il desiderio di vendicarsi. Dio guardi ognuno dal riducersi in simili termini. Però non solo non arei piacere che Piero tornassi, ma dispiacere grandissimo, e conforto quanto posso voi e tutti gli altri, che facciate ogni diligenzia di non avere a provare una tale mutazione. Ed il modo è conservarsi uniti, e la unione non può essere se voi non disponete voi medesimi a contentarvi de' tempi che corrono e stare contenti a quella riputazione e grandezza che si può avere. Perchè come in una republica i cittadini principali, che poi a l'ultimo sono quegli che sono potissima causa del bene e del male delle città, si propongono certi fini, e quando non vi possono arrivare cercono di travagliare ogni cosa per condurvisi e pensano più alla ambizione ed appetiti loro che alla quiete delle città, allora surgono le discordie e le divisioni, allora si fanno autori di cose nuove, dove loro spesso rovinano e la città patisce sempre; i travagli della quale, mossi dalle discordie civili, partoriscano o tirannide nuova o ritorno del tiranno vecchio, o una dissoluzione e licenzia di popolo e di plebe che tumultuosamente conquassa le città. La signoria del duca di Atene, il ritorno e la grandezza di Cosimo, la tempesta de' Ciompi, non ebbono altri fondamenti che questi; e però bisogna che voi e gli altri principali, se in questo stato populare non potrete avere quella parte che voi vorresti o che vi parrà convenirsi alle qualità e meriti vostri, consideriate che minore male non solo per la città ma per voi ancora, sarà temporeggiarsi ed accommodarsi il meglio che potrete al vivere che correrà, e vi sarà molto più onorevole ed utile quella diligenzia che voi potresti mettere per travagliare e mutare le cose, voltarla a giovare alla città ed andare cercando destramente e co' modi civili di correggere e di limare, se qualche occasione lo consentirà, i disordini del governo. La quale vi verrà in mano più facilmente, se' portamenti vostri saranno tali che faccino impressione che voi amiate la libertà presente e vogliate vivere quietamente e vi contentiate della equalità, e che nelle consulte non vi facciate capi di opinioni; non dico che non diciate liberamente i pareri vostri, ma che non cerchiate di sostenergli pertinacemente, nè vi affatichiate perchè gli altri seguitino i vostri consigli, perchè questa è una delle cose che appresso a' popoli fa sospetti ed esosi assai i cittadini grandi. Ma dove sono io entrato a dare consiglio a voi più sufficienti assai di me? Lo amore non la prosunzione mi ha traportato; però mi arete per scusato, e perchè oramai debbe essere ora di cenare, parendovi, finiamo per stasera questi ragionamenti; e se ci sarà da dire altro, potreno farlo domattina, che a ogni modo non è da partire senza fare collezione.

CAPPONI.  A me pare che voi diciate benissimo e di stasera e di domattina. Andiano dunche a cena.

SODERINI.  Andiano.



LIBRO SECONDO.

Collocutori i medesimi.

 

BERNARDO.  Le notte sono sì lunghe ed i vecchi per l'ordinario dormono sì poco, che io ho avuto tempo parecchie ore a rivolgermi per la mente il ragionamento di iersera; e quanto più vi ho pensato tanto mi paiono più vere molte cose di quelle che io vi ho detto. Pure perchè facilmente potrei ingannarmi, arò piacere d'intendere la opinione vostra, non per disputare se la sarà contraria alla mia, perchè il disputare non sarebbe altro che generare tedio, conciosiachè questa materia, per quello che è stato detto jeri e per quello che di più direte voi, resterà illuminata abastanza. Voi avete a ogni modo a desinare qui, però abbiamo tempo assai; non siate più avari a me che sia stato io a voi: io vi udirò volentieri ed anche, se mi verrà a proposito, vi dimanderò.

CAPPONI.  La opinione nostra vi può essere nota ancor che noi non la diciì no, perchè se noi avessimo creduto che la città avessi a stare meglio sotto questa grandezza, nè Pagolantonio alla morte di Lorenzo arebbe confortato Piero de' Medici a moderarla, nè io poi mi sarei affaticato per cacciarlo. Ognuno di noi aveva avuto delle cose che ci dispiacevano, ma non erano però mortali, nè tali che avessimo solo per questo a metterci in tanto pericolo; nel quale è pazzia entrare chi non ha altro fine che lo interesse suo particulare, atteso che il pensare a mutare stati è difficillimo a riuscire, e riuscito che è, non ha effetti seco che bastino al particulare di chi gli muta; perchè uno solo non può fare questo, e come si ha a fare compagnia con altri, si riscontra il più delle volte in pazzi o in maligni che non sanno nè fare nè tacere; e quando bene tu trovassi uomini a proposito, guardate quanto sono pericolose le congiure, chè quello che communemente si cerca in tutte le altre azioni, è più contrario alle congiure che alcuna altra cosa. Certo è laudato in ogni azione chi sa governarle in modo che le conduca sicuramente; e nondimeno nelle congiure non si può fare peggio che proporsi questo fine, perchè come l'uomo pensa a questo, interpone più tempo, implica più uomini e mescola più cose, che è causa di fare scoprire simili pratiche. Le quali considerate di che natura sono, poi che è più sicuro cercare di esequirle con pericolo che con sicurtà; credo forse perchè la fortuna, sotto il Dominio di chi sono queste cose, si sdegni con chi vuole liberarsi troppo dalla potestà sua. Però la facilità non debbe invitare persona a congiurare, e manco la utilità propria, perchè uno cittadino che per interesse particulare si fa capo di mutare uno stato, mutato che è, non vi truova per sè quasi nulla di quello che ha disegnato, e senza frutto suo resta in tutta la sua vita obligato a uno perpetuo travaglio, avendo sempre a temere che, non risurga lo stato che lui ha mutato, che sarebbe mille volte con più suo danno che non ha avuto utile nella mutazione. Però a cacciare Piero non mi mosse altro che il giudicare che fussi utile della città, parendomi più beneficio ed onore suo che la fussi libera, come è stato sempre lo obietto suo, che stare in continua servitù. Nè ho veduto insino a ora cosa che mi abbia fatto mutare parere; e se bene lo stato nuovo è venuto più largo che io non avevo creduto o desiderato, e che io creda essere vero che in questo vivere populare saranno de' disordini ed almanco non vi sarà la liberazione di tutti i mali che erano nello altro, nondimeno io ho speranza che col tempo e le occasione molte cose si modereranno tanto, che i disordini non resteranno sì grandi che non si possino tollerare, e che, pesato i difetti dell'uno e dell'altro, sarà da amare molto più questo nuovo; senza che, come disse Pagolantonio, quando vi fussi disavantaggio, importa tanto lo essere libero, che non si sentono così i mali di uno Governo simile e si sopportano volentieri. E perchè le città non furono trovate nè si conservano per altro fine che per beneficio di quegli che vi abitano, il fondamento di che consiste nella conservazione del bene commune, il quale non può ristrignersi in bene proprio o particulare senza diminuzione del bene di tutti gli altri, io vi domando quale cosa può essere più perniziosa o più contro alla sustanzia di una città, che una parte di quella, senza giustizia, senza causa, da' beneficii del publico in tutto o in parte essere esclusa ed in consequenzia sentire più gli incommodi ed i pesi che l'altra. Il maggiore vinculo delle città e quello che è più utile e più necessario, è la benevolenzia de' cittadini l'uno con l'altro, e come manca questo manca il fondamento della società civile; ma come una parte si vede senza giusta causa oppressata dall'altra, bisogna che di necessità vi nasca uno odio, una malivolenzia inestimabile. Però se Lorenzo e la casa de' Medici esaltava una parte della città ed un'altra ne abbassava, confesso lo faceva per necessità, perchè in tutti gli stati stretti bisogna fare così, per fuggire i sospetti e per acquistarsi partigiani, ma era uno de' maggiori mali che potessi fare alla città, poi che faceva particulare il bene che doveva essere universale, e concitava lo odio dove arebbe a essere lo amore; nè è scusa bastante questa della necessità, anzi dimostra in contrario, quando per forza constrigne i capi a fare male; e questo mancamento non arà il vivere populare, dove non sarà rifiutato o battuto nessuno per essere figliuolo di questi e nipote di quegli altri. Uno de' frutti principali che si cavi de' buoni governi, è la sicurtà di sè e delle cose sue ed il poterne disporre a suo modo; e questo come si può avere in uno Governo tale dove ti sono impediti i parentadi, dove a arbitrio di altri sei soprafatto dalle gravezze, dove nelle controversie civili hai paura che il favore non ti impedisca la giustizia, dove temi, come dice il vulgare proverbio, di sputare in chiesa per non essere condannato, confinato o battuto indebitamente? E quando bene queste cose non si faccino, è misera condizione vedere che sia in potestà di uno farle fare; nè ha mai piena sicurtà chi ha a fondarsi in su la buona voluntà di altri, perchè la sicurtà vera è che le cose stiano in modo che l'uno cittadino non possa essere ingiuriato o offeso dall'altro. Questi mali non nascono in uno Governo libero, perchè nessuno ti sforza, nessuno ti punisce a torto, e si vedrà forse bene spesso che nelle cose criminali sarà assoluto uno che doverrebbe essere punito, ma rarissime volte che sia punito uno che non sia colpevole. E nel civile, quando io non veggo uno sì grande che possa comandare e che sia temuto dagli altri, non credo che per favore si abbino a fare torti spessi o notabili. Nè è dubio che molti più rimedi avevano i facinorosi, che non aranno al presente, perchè nel contado non sarà la protezione di chi voleva averlo pieno di partigiani, e non basterà la amicizia de' cittadini particulari, perchè se gioverà una volta non gioverà l'altra; e quando pure per i rispetti e freddezza de' magistrati i delitti multiplicassino in Firenze, gli uomini gli aranno tanto esosi che saranno necessitati di pensare qualche modo severo di giudicare, che vi provegga. Non voglio discorrere minutamente tutti i particulari, nè contrapesare le condizioni de l'uno Governo con l'altro; ma perchè il fondamento vostro principale pare che sia stato che le cose attenenti alla conservazione ed ampliazione del Dominio non saranno mai bene governate come erano a tempo de' Medici, io credo che sia vero che si vigilavano più ed esaminavano meglio che non si farà di presente. Ma credo ancora che la necessità di pensare alla sicurtà propria ed a' particulari dello stato suo, gli facessi pigliare molti partiti che non erano a proposito a chi non avessi avuto altro fine che il beneficio della città, perchè bisognava che nel pigliare o lasciare le imprese, nel fare o non fare le amicizie, avessino principalmente considerazione allo interesse suo, e che per questo conto facessino infinite spese e molti andamenti che non confacevano al bene della città. La grandezza della quale se bene risultava grandezza loro, pure vi erano certi articuli e punti segreti, dove si fondavano le intelligenzie e dependenzie della tirannide, e bisognava le avvertissino con danno ancora della città, la virtù della quale ogni volta che la sia libera, sarà più unita, più gagliarda e più sciolta al beneficio suo, nè sentirà quelle debolezze e sospetti che di necessità tenevano in ogni azione ed in ogni deliberazione di guerra e di pace sospeso ed implicato lo stato loro. Vedete che dal 34 in qua si può dire che non abbiì no augumentato niente del nostro Dominio; e pure Cosimo, come confessa ognuno, fu savissimo, e Lorenzo anche ha avuto nome di savio, e la città doppo lo acquisto di Pisa era cresciuta tanto di riputazione e di potenzia, che ragionevolmente gli era più facile il crescere che non era stato prima. La causa non può essere stata altra, se non che innanzi a' Medici tutta la virtù, tutto il nervo della città nel maneggio delle cose di fuora, non si adoperava a altro fine che alla grandezza di quella; ed i cittadini parendogli fare per sè medesimi, concorrevano più gagliardamente a aiutare la patria con danari e con tutto quello che potevano; e però augumentorono il Dominio, ed in frangenti e pericoli gravissimi difesono molto bene la libertà ed onore loro; dove poi non abbiamo quasi ampliato, ed in ogni guerra mediocre abbiì no perduto riputazione e stato. Però io crederrei che se noi areno sorte che questo vivere populare non caschi in una confusione, ma resti pure mediocremente ordinato, che quella diligenzia e vigilanzia continua che mancherà in questo, sarà supplita con quegli altri contrapesi, tanto che basterà a conservare almanco quello che ci hanno lasciato i padri nostri. E se non si potrà più, ci sarà assai mantenere questo ed avere la città libera; che a lei sarà molto più onorevole, ed i cittadini ne saranno più contenti e più ne goderanno. E certo io posso male credere che questo Governo populare ci abbia a conducere in tanto disordine, che noi non siì no per conservarci e che i difetti che si scoprirranno alla giornata non abbino a essere medicati convenientemente; perchè ognuno amerà il bene commune, e questa libertà gustata sarà ogni dì più amata e tenuta più cara; e se noi ci voltassimo a armarci, come ha detto Pagolantonio e come già furono i padri nostri, cosa che lo stato de' Medici non poteva consentire, saremo tanto più gagliardi. Ma di questo che opinione è la vostra.

BERNARDO.  Che lo essere armati di arme vostre fussi non solo utile ed il modo di conservarvi, ma ancora il cammino di pervenire a grandezza eccessiva, è cosa tanto manifesta che non accade provarla, e ve lo mostrano gli esempli delle antiche republiche e della vostra ancora, che mentre che fu armata, benchè piena di parte e di mille disordini, dètte sempre delle busse a' nostri vicini e gettò i fondamenti del Dominio che noi abbiì no, mantenendosi secondo i tempi e condizione di allora, in sicurtà e riputazione grandissima. E la potenza e virtù che vi darebbono le arme vostre quando fussino bene ordinate, non solo sarebbe contrapeso pari a' disordini che io temo che abbi a recare questa larghezza, ma di gran lunga gli avanzerebbe, perchè chi ha le arme in mano non è necessitato reggersi tanto in su la vigilanzia ed in su la industria delle pratiche. Ma se voi mi dimanderete: credi tu che si possa o che si abbi a fare? del potere non è dubio, che così lo potremo fare noi ora come lo feciono già gli antichi nostri e come si è fatto e fa ancora di presente in tante città e provincie; ma dubito bene che le difficultà ed impedimenti saranno tanti, che o non si farà, o faccendosi, non si conducerà a tale perfezione che se ne cavi frutto. La città nostra, come ognuno sa, fu già armata e con le arme sue e de' sudditi suoi faceva le sue imprese, e con esse ebbe molte vittorie e gloriosi successi, di qualità che la dovevano invitare più presto a darsi tutta a questo esercizio che a disarmarsi; nondimanco acciò che a torto non sia dato a' Medici questo carico, molto innanzi che loro fussino grandi, lasciò le arme e cominciò a servirsi nelle guerre di soldati condotti. La cagione di questa mutazione bisognò che nascessi o dalla oppressione che fece il popolo a' nobili, i quali avevano grado e riputazione assai nella milizia, o pure ordinariamente dagli altri che tennono per i tempi lo stato, parendo loro poterlo meglio tenere se la città era disarmata, o da comminciare il popolo a darsi troppo alle mercatantie ed alle arte e piacere più i guadagni per i quali non si metteva in pericolo la persona. Altra causa non so immaginare, ma qualunche fussi, fu deliberazione perniziosissima e che ha più indebolito questa città che cosa che si facessi mai, e per il tempo lungo che la è durata, ha messo gli uomini in uno vivere e fattogli pigliare abiti tanto contrari alle arme, che se uno vostro giovane comincia a andare in su la guerra diventa quasi infame. Però la prima difficultà che voi aresti a riducere ora la città ed i paesi nostri alla milizia, sarebbe fare capace allo universale, senza chi non si può deliberare, che fussi bene fatto; perchè una cosa sì nuova e tanto contraria al corso del vivere nostro, a qualcuno parrebbe impossibile, a molti pericolosa, a quasi tutti ridicula. E tanto più che a volere trarne frutto e non danno, bisognerebbe o nel principio o nel fine armare la città; altrimenti io non consiglierei armare i sudditi con animo di stare sempre disarmati voi, perchè sarebbe troppo pericoloso. E se bene forse nel principio gli ordini buoni e la riputazione inveterata del vostro Dominio gli tenessi obedienti, crediate che in progresso di tempo si accorgerebbono della sua gagliardia e della vostra debolezza, e volterebbono a offesa vostra quelle arme che voi gli avessi date per offesa di altri. Non vi tireresti adunque il popolo senza difficultà, poi che con lui si ha a andare sempre con la persuasione, e che i più non sono capaci della ragione e non cognoscano le cose da lontano. Ma le difficultà che seguitano sono di gran lunga maggiori; perchè questo ordine, principiato che è, ha bisogno di bonissimo governo, sì per tenere gli uomini obedienti acciò che sotto il caldo delle arme non facessino disordine, come per esercitargli ed in molti modi favorire ed augumentare la impresa; la quale ricerca superiori che se ne innamorino e che vi si ponghino a bottega, altrimenti sarà una milizia abbozzata, ma senza fondamento e senza nerbo, e non arà parte alcuna da potersene servire, anzi potrebbe fare danno se gli uomini la volessino adoperare per buona, prima che la fussi condotta a qualche grado di perfezione. Ora io non so come facilmente riusciranno queste cose in uno stato tale, dove tuttodì si variano gli uomini, e quegli che hanno la cura di una cosa bisogna che abbino mille rispetti, massime avendo alle mani una impresa che da molti è detestata, dagli altri è laudata freddamente, e che i frutti suoi non si possono vedere in uno dì, ma in processo di molti anni. In modo che non basta che per una volta sia bene ordinata e bene esercitata, se gli indirizzi suoi buoni non sono continui; anzi non si potendo vedere così presto il bene che la può fare, andrà col tempo perdendo nella opinione degli uomini più che acquistando, perchè le persone ignoranti considerano più le cose a dì per dì che altrimenti, e sarà sottoposta a infinite varietà, e se per sorte ne' princìpi suoi avessi qualche sinistro, sarà impossibile poterla più sostenere nella opinione di chi non sa. Però ancor che la cosa in sè fussi utilissima sopra ogni altra che si potessi immaginare, pure poi che non si può conducere senza diligenzia e Governo ottimo, lungo e continuo, io dubito che non tanto per la natura di se stessa, quanto per la negligenzia ed incapacità degli uomini, sarebbe grandissima difficultà tirarla a segno che riuscissi buona. Nè mi allegate i Romani, appresso a' quali in uno vivere populare e tumultuoso fiorì tanto la disciplina militare, perchè la nacque e crebbe sotto i re, e quando la città si liberò, non fu difficile nè nuovo continuare in quella arte nella quale era già nutrita centinaia di anni e che si può dire che allora fussi uno esercizio commune, perchè tutti i populi di Italia erano armati. Nè per questo sarei alieno dal farne la pruova, perchè ogni volta che si facessi in modo che per disubidienzia non si avessi a disordinare, quando bene il resto non riuscissi, non si sarebbe perso niente. E forse la fortuna della città, se la non è al tutto spenta, ve la faciliterebbe più che l'uomo non pensa, pure che come ho detto la si ordinassi in modo che si potessi stare sicuro che la non avessi a essere causa di disordinare; il che non sarebbe difficile, pur che si avessi rispetto a introducerla, massime in Firenze, in tempo che fussi a proposito; altrimenti chi non gli facessi questo fondamento fermo, sarebbe uno tentare di volere provare tutti i mali che uno modo simile può fare, senza avere speranza di sentire alcuno de' beni. Ma ritorniamo, se vi pare, a' ragionamenti di prima, ne' quali, come io dissi poco fa, io voglio stare a udire e non contradire.

SODERINI.  A me occorre più confermare quello che Piero Capponi ed io dicemo jeri, e ciò che stamani ha detto lui, che aggiugnere. Ed in verità, come diceva egli, se noi areno sorte di non cadere in una confusione, come io voglio sperare che abbia a essere, i ci sarà tanto ordine che basterà a conservare lo stato nostro, e le altre cose, a judicio mio, cioè quelle che attengono al Governo di drento, andranno meglio, e ne resterà senza comparazione più satisfatto ognuno in ogni grado. E quegli ingegni più elevati che sentono più che gli altri il gusto della vera gloria ed onore, aranno occasione e libertà di dimostrare ed esercitare più le sue virtù. Di che io tengo conto non per satisfare o fomentare la ambizione loro, ma per beneficio della città, la quale, se si discorre bene i progressi di ogni età ed antica e moderna, si troverrà che sempre si regge in su la virtù di pochi, perchè pochi sono capaci di impresa sì alta, che sono quegli che la natura ha dotati di più ingegno e judicio che gli altri. E' quali, se si riscontrono in uno modo di vivere che non gli sia lecito o necessario voltare lo spirito suo a grandezza ed autorità tirannica, si dirizzano tutti a conseguire la gloria ed onore vero, che consiste totalmente in fare opere generose e laudabili in beneficio ed esaltazione della sua patria ed utilità degli altri cittadini, non perdonando nè a fatica nè a pericolo. Legghinsi bene le istorie de' greci e de' Romani ed anche le nostre croniche: troverassi che sempre in ogni vivere ordinato, il pondo delle città si è posato in su le spalle di questi tali, i quali in ogni età sono stati pochi, nè mai le cose grandi e gloriose si sono mosse e condotte per altre mani. Però mi pare che il dare animo e facultà a questi tali di potere esercitare in bene il suo valore, sia beneficio al publico; e per contrario danno grande sforzargli a occultare la sua virtù o volgerla in mala parte. Consiste adunque il tutto, se noi areno tanta fortuna o tanto cervello, che questo nuovo Governo si temperi in modo che non transcorra in uno caos, il che spero pure che ci abbia a riuscire, e che principalmente Dio amatore delle libertà e poi tanti uomini da bene e prudenti che sono in questa città, aiuteranno indirizzarlo a buono cammino; e quando così sia, godereno in uno vivere che non fu forse mai cognosciuto in Firenze. E per dichiarare meglio quello che ho voluto dire altre volte, io credo che al bene essere di una città si abbi a considerare non solo che la sia governata giustamente e senza oppressione di persona ed in modo che gli uomini godino il suo con sicurtà, ma ancora che la abbia uno Governo tale che gli dia dignità e splendore; perchè il pensare solo allo utile ed a godersi sicuramente il suo, è più presto cosa privata che conveniente a uno publico, nel quale si debbe risguardare a l'onore, alla magnificenzia ed alla maiestà, e considerare più quella generosità ed amplitudine che la utilità. Perchè se bene le città furono instituite principalmente per sicurtà di quegli che vi si ridussono e perchè avessino le commodità che ricerca la vita umana, nondimeno si appartiene anche a chi ne ha la cura, pensare di magnificarle ed illustrarle, in modo che gli abitatori acquistino appresso a tutte le nazioni riputazione e fama di essere generosi, ingegnosi, virtuosi e prudenti; perchè il fine solo della sicurtà e delle commodità è conveniente a' privati considerandogli a uno per uno, ma più basso e più abietto assai di quello che debbe essere alla nobilità di una congregazione di tanti uomini, considerandola tutta insieme. Però dicono gli scrittori che ne' privati si lauda la umilità, la parsimonia, la modestia, ma nelle cose publiche si considera la generosità, la magnificenzia e lo splendore. Dunche quando voi dite che chi ha trattato de' buoni governi non ha avuto questo obietto che le città siano libere, ma pensato a quello che fa migliori effetti, e però quando il Governo di uno solo è buono, prepostolo a tutti gli altri come migliore; io crederrei che questo fussi vero, quando da principio si edifica o instituisce una città, perchè quanto migliore vi si pone il governo, e sia di che spezie vuole, più si hanno gli effetti e di sicurtà e di commodità e di onore. Ma quando una città è già stata in libertà ed ha fatta questa professione, in modo che si può dire che il naturale suo sia di essere libera, allora ogni volta che la si riduce sotto il Governo di uno, non per sua voluntà o elezione, ma violentata, e così si va poi mantenendo, questo non può accadere senza scurare assai il nome suo ed infamarla appresso agli altri. Perchè bisogna che si creda o che quegli cittadini siano dapochi, o che ve ne siano molti cattivi poi che tollerano o favoriscano che la patria a dispetto suo stia sotto il giogo; ed in questo consiste la degnità della città, la quale si conserva, quando si mantiene sotto il Governo che più ama, e si perde, quando sforzata vive sotto quello che non gli piace. Però ditemi, che vituperio era alla patria nostra che sempre si è chiamata libera ed intra tutte le altre città di Italia ha fatto professione speziale di libertà, e per conservazione della quale i padri, gli avoli ed altri passati nostri hanno fatto tante spese e sostenuto tanti pericoli, che si intendessi che era ridotta in arbitrio di uno privato cittadino, ed a questo venuta non per volontà sua, ma parte suffocata dalla sua ricchezza, parte dalla forza de' suoi cagnotti e partigiani! Che vergogna era la nostra quando era publico a tutta Italia, a tutto il mondo che una città sì nobile, sì onorata, sì generosa come è stata questa, e che per tutto suole avere il titolo di sottilissimi ingegni, servissi contro a sua volontà e nondimeno fussi ridotta in tanta ignavia e dapocaggine, che non eserciti, non grosse guardie, ma venticinque staffieri la tenessino in servitù! Siena, con tutto che pazza, non serve sì dapocamente. Nè so che calamità possi avere una città, da quelle estreme in fuori di sacco, di ferro e di fuoco, che sia pari a questa: perdere l'onore, la riputazione e la gloria sua, e lasciarsi vilmente e dapocamente tórre quella degnità e quello splendore che è costato tanto tesoro, tante vite a acquistare. Dunche quando voi volendo provare quale era migliore in Firenze, o il Governo de' Medici o questo libero, discorrevi donde nascessino migliori effetti e da questo capitolavi quale fussi migliore, credo che si aveva anche a considerare questa ragione della degnità ed onore della città. E però io confesso che dove gli effetti dell'uno e l'altro Governo fussino molto sproporzionati, che si arebbe a fare il judicio secondo i fondamenti vostri; ma dove nelle altre cose non fussino molto diversi, mi pare che questa ragione pesi tanto, che sempre chiamerei il Governo libero migliore senza comparazione in Firenze, dove è amato e quello delli stati stretti odiato. Ma sarebbe pure ragionevole che Piero Guicciardini che insino a ora non ha fatto altro che dimandare, dicessi il parere suo, il che ancora che a me fussi gratissimo, credo non sarebbe manco a voi.

GUICCIARDINI.  Quando sarà finito tutto quello che nel principio del ragionamento nostro fu proposto, io per satisfarvi dirò volentieri quanto mi occorrerà; ma mi pare che ora sia meglio seguitare il cammino comminciato, che perdere tempo senza utilità, massime che io credo che sia detto tutto quello che si può dire di bene e di male de l'uno Governo e dell'altro, o almanco quello che importa più. E per quanto ho compreso, Bernardo confessa che nel Governo de' Medici erano molti difetti, ed ha considerato che molti ne saranno in questo altro, e credo che voi non ne neghiate una buona parte; e così credo non si disputi quale di questi dua governi sia migliore, ma quale sia il manco cattivo. Resta adunque ricercare, e così fu detto nel principio, quale sarebbe buono Governo per questa città, e dichiarato che sia questo, che tocca a Bernardo che allora ne fu pregato ed accettò la impresa e se gli conviene per ogni conto, sarà finito il nostro ragionamento con grandissima utilità, poi che non solo areno cognosciuto che questo e quello è male, ma ancora quale sarebbe bene. Però, Bernardo, noi aspettiamo tutti che voi mettiate mano a questo.

SODERINI.  E così è vero.

CAPPONI.  E tutti ve ne preghiamo.

BERNARDO.  Io perdei la vergogna quando io accettai di cominciare a ragionare, però non mi resta ora scusa che sia buona. Ed a dirvi il vero, se bene questo peso è troppo grave alle mie spalle, il piacere grande che io ho che voi abbiate cagione di stare meco più lungamente, me lo fa parere più leggiere. Come si disse nel principio, i filosofi vogliono, e la ragione naturale lo conferma, che il Governo di uno quando è buono, sia migliore di tutti, e lo chiamano buono quando voluntariamente è preposto a tutti quello che è più atto a governare, cosa che a' tempi nostri si può più facilmente desiderare che sperare; perchè communemente i principati e le grandezze moderne sono nate o per disordine o per arme o per favore di fazione, co' quali modi non si è atteso a eleggere chi è migliore o chi merita più, ma in chi è concorso più la fortuna o i mezzi; ed essendo eletto o per errore o per violenzia o per corruttela, non può numerarsi tra' governi che sono laudati, ma di necessità inclinano al tirannico; e se niente di buono è nel primo, nessuno può promettersi che continuino i successori, perchè le successioni non sono per elezione, ma per prossimità. Però lasciando per ora andare, perchè non è necessario al parlare nostro, quale Governo io laudassi più in una città che si creassi ora, ed in una città o provincia che fussi lunghissimo tempo e tale che non avessi memoria in contrario, stata sotto prìncipi, dico che in una città che naturalmente appetisca la libertà ed ami la equalità come la nostra, che se si parlassi in comparazione di qualche altro governo, potrebbe essere che fussi da preponere quello di uno come manco malo. Ma dove si parli in genere della natura de' governi, io non sarei mai di quelli che lo eleggessi, perchè poi che la città è così condizionata, non vi può stare il Governo di uno solo che non sia fondato più in su la forza che in su lo amore, ed ogni stato che ha del violento non può essere che di necessità non abbia seco di molti mali nelle cose sustanziali; e noi ragionevolmente dobbiano cercare di uno Governo che possa essere tutto buono o almanco nelle cose più importanti, e non di uno che bisogni che sia cattivo. Di poi la congregazione di tanti abitatori, dalla quale si constituiscono le città, fu trovata perchè avessino, oltre alla sicurtà, quella felicità che si può avere nella vita umana, e questa non può essere dove il Governo è alieno dalla volontà loro, anzi bisogna che in tale caso si trovino pieni di mala contentezza e di infelicità. Doppo il Governo di uno, è lodato in secondo luogo quello di pochi, quando sono i migliori, e però si chiamono ottimati; Governo che a judicio mio in ogni luogo ha molte difficultà a essere buono, ma a Firenze sopra tutti gli altri, perchè da l'una casa a l'altra non è tanto eccesso, nè ci sono qualità sì rilevate, che questa distinzione possi farsi se non per forza. La equalità ci è naturale e contrarissimo il vedere tanti capi; senza che, per infinite cagioni nascerebbono tra loro emulazioni e discordie, e sarebbe impossibile che non si riducessino presto con disordine o in una tirannide o in una licenzia populare; in modo che io reputo che questo degli ottimati sia il peggiore Governo che possa avere la nostra città, peggiore ancora che quello di uno, perchè arebbe come quello tutti i mali che procedano da essere il Governo violento, e di più quegli che nascono dalle dissensioni e discordie civili. E può facilmente accadere che il capo dello stato, quando è solo, sia di natura che non faccia altri mali che quegli a che lo induce la necessità; ma tra questi ottimati è impossibile non siano di quegli che alla necessità aggiunghino molti di quegli mali che gli uomini fanno per volontà, e massime circa la rapacità. Resta adunque pensare al Governo populare, il quale poi che è proprio e naturale, si può sperare che si ordini in modo che sia buono, massime che con tutte le tirannide e stati stretti che a' tempi passati ha avuti questa città, non è mai stato spento quello che suole essere il fondamento delle libertà, anzi è conservato non altrimenti che se la città fussi stata sempre libera; e questo è la equalità de' cittadini, che è il subietto proprio atto a ricevere la libertà. Ma come si avessi a ordinare e fondare bene uno Governo populare, non sarebbe forse difficile il trovare, perchè ne sono pieni i libri antichi di uomini eccellenti che si sono affaticati a scrivere de' governi, e ci è la notizia degli ordini e delle leggi che hanno avute molte republiche, tra le quali tutte o si potrebbe imitare il migliore, o di ciascuno quelle parte che fussino più notabili e più belle. E certo chi avessi a dare di nuovo forma a una città che nascessi ora, o ne avessi nelle mani una disposta a ricevere ogni ordine che se gli dessi, o se si parlassi per mostrare solo di avere notizia ed intelligenzia delle cose civili, io crederrei che la resoluzione vera di uno buono Governo si avessi a cavare de' luoghi sopra detti, e che troppo arrogassi a sè medesimo chi partissi da quegli. Ma io non so se a noi è a proposito il procedere così, perchè non parliamo per ostentazione e vanamente, ma con speranza che il parlare nostro possa ancora essere di qualche frutto, nè parliamo di ordinare una città che sia per ricevere gli ordini che gli fussino dati, ma che bisogna che si conduchi al bene suo con le persuasioni. E però non abbiamo a cercare di uno Governo immaginato e che sia più facile a apparire in su' libri che in pratica, come fu forse la republica di Platone; ma considerato la natura, la qualità, le condizioni, la inclinazione, e per strignere tutte queste cose in una parola, gli umori della città e de' cittadini, cercare di uno Governo che non siamo senza speranza che pure si potessi persuadere ed introducere, e che introdotto, si potessi secondo il gusto nostro comportare e conservare, seguitando in questo lo esemplo de' medici che, se bene sono più liberi che non siamo noi, perchè agli infermi possono dare tutte le medicine che pare loro, non gli danno però tutte quelle che in sè sono buone e lodate, ma quelle che lo infermo secondo la complessione sua ed altri accidenti è atto a sopportare. Molti ordini sarebbono buoni e forse necessari in uno Governo populare, che o a Firenze non si persuaderebbono, o persuasi non durerebbono molto; nè per questo, se bene non si può conseguire tutto quello che l'uomo cognosce che sarebbe bene, si debbe però o gettare via il tempo che si può spendere utilmente, in cercare uno Governo che non possi ottenersi, o lasciare di affaticarsi per introducerne uno che abbia parte di quello che è da desiderare poi che non si può avere tutto. Si ha in somma a considerare quello che verisimilmente può appiccarsi ed a quello attendere, nè pensare tanto a tutto il bene che sarebbe bene fare, quanto a quello che sia da sperare di potere fare. Io ho ragionato di sopra lungamente de' difetti che io temo in questo vostro governo, nè lo ho fatto tanto per dirne male e detestarlo, quanto per mostrare che, ancora che la libertà sia gratissima alla città, che non basta avere introdotto uno stato libero, perchè e sotto quello possono nascere molti errori e disordini, ma bisogna sia ordinato di sorte che si sentino i frutti della libertà, altrimenti il nome sarà buono e piacevole, ma gli effetti molto spesso simili a quegli del tiranno. Perchè ed uno popolo quando col suo Governo usurpa e soprafà altri, quando toglie a chi debbe dare, quando dà a chi debbe tórre, quando indebitamente travaglia e perseguita chi sarebbe ragionevole che potessi stare sicuro, quando si lascia conducere dal sospetto a passare i termini della giustizia, quando, dico, uno popolo fa queste cose e molte altre che si fanno ogni volta che si parte dal debito mezzo e cade in troppa licenzia, allora, dico, uno popolo non è nè si può più chiamare conservatore della patria, ma inimico e destruttore; non subietto e fondamento più di libertà, ma tiranno, e tiranno tanto più pestifero che quegli che fanno professione della tirannide, quanto gli uomini, per la dolcezza del suo nome e per il titolo che ha di libertà, che non vuole dire altro che giustizia ed equalità, si lasciono più facilmente ingannare da lui.

Però si ha a attendere non solo che il Governo sia populare, ma ancora che sia bene ordinato; e per questo ho io discorso i difetti di che io ho paura, per dare occasione di pensare a ricorreggergli. E' quali principalmente sono, che le cose importanti verranno in mano di chi non saprà deliberarle nè governarle, e però che la città sarà male consigliata e male governata; donde e quello che appartiene a conservare ed accrescere il Dominio andrà male, non vi essendo massime chi abbia cura delle faccende ed uno timone fermo che le indirizzi, e le cose della giustizia non andranno bene, parte per la insufficienzia di chi vi sarà proposto, parte perchè l'uno arà rispetto a l'altro non vedendo uno capo fermo che lo possa difendere, e le passioni ed affezioni de' suoi potranno assai, perchè la autorità e riverenzia di ognuno sarà piccola e del judicio del populo non si terrà molto conto, vedendolo di poca distinzione, di poco pensiero e di poca memoria. Questi sono i difetti principali, a' quali chi medicassi, arebbe medicato alla maggiore e più importante parte de' disordini che possono nascere; ma è difficile trovare la medicina appropriata, perchè bisogna sia in modo che medicando lo stomaco non si offenda il capo, cioè provedervi di sorte che non si alteri la sustanzialità del Governo populare che è la libertà, e che per levare le deliberazioni di momento di mano di chi non le intende, non si dia tanta autorità a alcuno particulare, che si caggia o si avii in una spezie di tirannide. E chi acconciassi bene le cose in su questi fini, arebbe fatta la maggiore parte di quello che bisogna; e se a ordinarle non si può pigliare perfettamente il mezzo, ma bisogni inclinare qualche poco in uno degli estremi, minore errore sarà lasciare le cose con qualche più imperfezione, che per volere farle troppo perfette, metterle in pericolo di tornare alla tirannide.

Il fondamento principale, adunque, e la anima del Governo populare è, come avete fatto voi, il consiglio grande, cioè uno consiglio universale di tutti quegli che secondo gli ordini nostri sono abili a avere gli officii della città, e che hanno la età legitima di intervenirvi che debbe essere da' #24@ anni in su; e questo consiglio ha a essere distributore di tutti gli uffici, onori e degnità, eccetti quegli pochi che, come si dirà, ne sarà per giusta cagione data autorità a altri, e di più tutte le legge di qualunche sorte hanno a avere la perfezione sua finale in questo consiglio grande, il quale in effetto ha a tenere nella città il luogo e la autorità del principe, e da lui arebbe a nascere la deliberazione di qualunche cosa, se avessi la capacità. Ma perchè, come voi vedete, vi ha a intervenire ognuno, oltre alla difficultà che si arebbe a convocarlo a ogni ora se avessi a deliberare ogni cosa, non possono le cose gravi essere consultate con questo, perchè non potrebbono essere segrete, non preste, non bene esaminate, non bene intese. Vedete che nelle republiche antiche di Roma e di Grecia, il portare le deliberazioni importanti a questo consiglio, che gli antichi chiamavano conzione, causava molti tumulti e causò spesso di grandissime ruine. Non bisogna mettere la salute dello infermo in mano di medico imperito, nè in mano del popolo, per la incapacità sua, consulta o deliberazione di sorte alcuna, eccetto quelle che se si levassino di mano sua, non sarebbe sicura la libertà. Però allo intento nostro basta che il consiglio grande, che non è altro che il popolo, abbia queste condizioni: che in uno medesimo modo vi intervenga ognuno abile agli uffici, cioè che è membro della città, perchè così areno la equalità che è il primo fondamento di conservare la libertà; che distribuisca le degnità ed uffici tutti o quasi tutti, perchè non resterà a alcuno privato o alcuna setta che si facessi, facultà di dare gli onori ed utili, così non potrà persona per questa via farsi grande, e nessuno arà causa di aderirsi a alcuno privato, poi che da lui potrà ricevere poco onore e poco utile; che non si possa fare legge nuove nè alterare le vecchie senza la approvazione di questo consiglio: non dico deliberazione ma approvazione, perchè il fare delle leggi nuove o correggere le vecchie ha a essere deliberato in consigli più stretti, nè ha a venire innanzi al popolo per via di consulta o di disputa, atteso, come più volte ho detto, la sua incapacità; ma non si ha già a potere fare queste cose se anche lui non vi consente, perchè così si raffrenano molte cupidità particulari, e non si potendo introducere in una città libera nuova forma di Governo se non o con le leggi o con le arme, resterà serrata la via di fare mutazione per mezzo delle leggi, ed a quella della forza si farà anche la sua provisione. Posto il consiglio grande che, come è detto, è fondamento della libertà e del vivere populare, resta pensare a tre cose: alla amministrazione della giustizia; alla guardia della libertà, benchè si può quasi dire che questa venga sotto quella, cioè che ci sia qualche modo vivo ed espedito di reprimere chi machinassi contra lo stato; ed al modo di deliberare le cose importanti così di fuora come di drento. E certo se le città si potessino reggere con la larghezza e col fare che ognuno participassi in uno modo medesimo delle faccende e degli onori, e che i magistrati ed autorità girassino di tempo in tempo parimente in ognuno, sarebbe forse Governo ingiusto, non vi si faccendo distinzione delle virtù e delle qualità degli uomini, pure sarebbe dilettevole alla maggiore parte, ed almanco leverebbe forse la ambizione. Ma perchè questo non si può fare, non essendo gli uomini tutti atti a governare, anzi avendo bisogno quasi tutti di essere governati, però è necessario pensare che le deliberazione importanti si ristringhino in minore numero, e perchè lo scambiare spesso i magistrati è cosa necessaria e sustanziale alla libertà, e da altro canto quando gli uomini sono proposti a una cura per poco tempo, la stracurano e non vi usano la diligenzia debita, in modo che le cose importanti (che si può dire che quelle che attengono al Governo di una città siano tutte importanti) che hanno bisogno di diligenzia e pensiero assiduo, così stracurate e neglette se ne vanno in ruina. Però a me pare che a questo punto abbino provisto meglio i Viniziani che facessi mai forse alcuna republica, con lo eleggere uno Doge perpetuo, il quale è legato dagli ordini loro in modo che non è pericoloso alla libertà, e nondimanco, per stare quivi fermo nè avere altra cura che questa, ha pensiero alle cose, è informato delle faccende, e se bene non ha autorità di deliberarle, perchè questo sarebbe pericoloso alla libertà, vi è pure uno capo a chi riferirle e che sempre a' tempi suoi le propone e le indirizza. Con questo esemplo eleggerei io uno Gonfaloniere a vita, legandolo come si dirà nel processo del ragionamento, acciò che non potessi occupare la libertà, o attribuirsi tanta autorità che ragionevolmente fussi molesta agli altri; e questo, insieme con gli altri ordini che si diranno, basterebbe a fuggire i disordini causati dalla spessa variazione degli altri magistrati, i quali si continuerebbe di scambiare come si fa ora, perchè, come ho detto, è il fondamento della libertà. Altrimenti se voi vi riducessi a fare signorie, dieci, otto o altri magistrati importanti di autorità perpetua o per tempo molto lungo, aprirresti la via alla tirannide, ed almanco la grandezza di quegli, se bene non levassino il consiglio, sarebbe tale che non potrebbe ragionevolmente piacere in una libertà; e se non faccendo Gonfaloniere a vita, si scambiassi spesso ogni cosa come si fa ora, che il Gonfaloniere e signori stanno solo dua mesi, gli otto quattro, ed i dieci sei, le cose grande andrebbono senza ordine ed a caso, in modo che presto si andrebbe in ruina, perchè ognuno che è in magistrato non pensa se non al tempo suo, anzi come si accosta alla fine, commincia a non vi pensare, e nel principio è qualche dì come uno ucello nuovo. E però ci bisogna uno padrone, non dico che sia signore e che domini, ma che per stare fermo abbia a avere alle cose della città quella cura e pensiero che hanno i padroni alle cose proprie, e per dire forse meglio, sia come uno fattore amorevole e fedele. E' Romani ed i lacedemòni pensorono a questo, ma a judicio mio non ci provederono bene come hanno fatto i viniziani; però i lacedemòni feciono i re che erano perpetui ed andavano per successione nella medesima famiglia, e ne creorono dua; i Romani eleggevano i consuli che erano dua e duravano uno anno, che è tempo troppo brieve allo effetto che io ho detto di sopra.

GUICCIARDINI.  Pensavo ancora io a' Lacedemonii ed a' Romani, e se l'ordine loro fu meglio considerato che quello de' Viniziani, e lasciata da canto la successione che in noi non ha a avere luogo e la quale anche gli Spartani non arebbono introdotta, se da principio la republica loro fussi stata libera, dico che forse è a proposito che questa potestà perpetua o più lunga che l'ordinario sia in più di uno solo come era in tutte dua quelle republiche, perchè uno solo sarebbe più sciolto a machinare contra la libertà, ma essendo dua, l'uno vegghierà l'altro e sarà la difesa contra l'altro. Ed appresso, o sia uno o siano più, questa potestà perpetua potrebbe essere molto pericolosa, e però, seguitando lo esemplo de' Romani, sarebbe forse meglio che questo Gonfaloniere non durassi più che uno anno, che pure è tempo notabile, ma non sì lungo che sia sì pericoloso; e non avendo a passare uno anno, si potrebbe più sicuramente contentarsi che questa autorità fussi in uno solo e non in dua. Di poi se pure la elezione cadessi in una persona non sufficiente, come può facilmente accadere, arebbe fine qualche volta; che se si avessi a aspettare la morte, potrebbe importare troppo lo stare sì lungamente con uno capo che non fussi a proposito. Ci si aggingne che i nostri cittadini principali sono pure usi a avere questo pasto di avere la degnità del Gonfaloniere di Giustizia, la quale faccendo ora a vita, si può dire che per loro sia spenta, e non gli resta grado alcuno notabile da satisfargli, dove faccendolo per uno anno verrà pure ancora a girare in qualche numero. E se bene i Viniziani l'hanno usata a vita ed è stato modo utile per la republica sua, sono tra noi e loro molte diversità, perchè il Governo loro non è Governo meramente populare, ma più presto di nobili o di ottimati, ed il sito di Vinegia, dove non possono correre i cavalli ed empiersi così facilmente di forestieri come noi, gli difende dalla ambizione de' Dogi e di tutti quegli che aspirassino alla tirannide.

BERNARDO.  Queste sono considerazioni belle e che importano e ricercano buone esamine, e però io ne dirò il parere mio forse più lungamente che il tempo non patisce; e perchè il modo di questo Gonfaloniere a vita io l'ho imparato da' viniziani, ragioneremo prima se il Governo loro può avere tale conformità con gli altri governi liberi e spezialmente col nostro, che l'uomo possa valersi di quelli esempli; di poi se il modo loro circa a questo capo sia migliore che quegli de' Romani e degli Spartani. A me pare che il Governo viniziano per una città disarmata sia così bello come forse mai avessi alcuna republica libera; ed oltre che lo mostra la esperienzia, perchè essendo durato già centinaia di anni florido ed unito come ognuno sa, non si può attribuire alla fortuna o al caso, lo mostrano ancora molte ragioni che appariranno meglio nel ragionare di tutta questa materia. E se bene ha nome diverso da quello che vogliamo fare noi, perchè si chiama Governo di gentiluomini ed il nostro si chiamerà di popolo, non per questo è di spezie diversa, perchè non è altro che uno Governo nel quale intervengono universalmente tutti quegli che sono abili agli uffici, ne vi si fa distinzione o per ricchezza o per stiatte, come si fa quando governano gli ottimati, ma sono ammessi equalmente tutti a ogni cosa, e di numero sono molti e forse più che siano i nostri; e se la plebe non vi participa, la non participa anche a noi, perchè infiniti artefici, abitatori nuovi ed altri simili, non entrano nel nostro consiglio. Ed ancora che a Vinegia gli inabili siano abilitati con più difficultà agli uffici che non si fa a noi, questo non nasce perchè la spezie del Governo sia diversa, ma perchè in una spezie medesima hanno ordini diversi; perchè sta molto bene insieme che il Governo sia medesimo e non siano sempre gli ordini medesimi, come si può considerare infiniti particulari loro. Hanno saputo tenere in questo in riputazione il suo reggimento, ed anche sono stati magnifici in porre nome a' suoi cittadini, in modo che se bene quegli che loro chiamono gentiluomini non siano altro che cittadini privati, il nome pure abbaglia chi ode e gli fa parere maggiore cosa che cittadini; e però se noi chiamassimo gentiluomini i nostri, e questo nome appresso a noi non si dessi se non a chi è abile agli uffici, troveresti che il Governo di Vinegia è populare come il nostro e che il nostro non è manco Governo di ottimati che sia il loro. Pagolantonio è stato dua volte imbasciadore a Vinegia, e credo dirà il medesimo che dico io.

SODERINI.  Tutto è verissimo; e se bene universalmente sono più ricchi che noi, pure vi sono ancora molti poveri, ed al Governo non sono ammessi più i ricchi che gli altri; nè nasce la ricchezza loro dalla diversità del governo, ma dalla grandezza del Dominio e dalla amplitudine ed opportunità della città.

BERNARDO.  Sèguita la altra abusione molto vulgata che la unione loro sia causata dal sito, il quale io confesso che è molto a proposito per conservare la città dalle guerre e da i prìncipi forestieri; però fu posta dove è, da quelli che vollono fuggire le inundazione de' barbari; ma a tenerla senza sedizione civile credo che importi poco o niente. Però si legge nelle istorie loro che ne' primi tempi della republica, innanzi che fussi fermo il governo, ebbono tra loro molte discordie e vennono spesso alle arme, e pure era il medesimo sito che ora; e ne' tempi sequenti non è mancato Dogi ed altri che abbino aspirato alla tirannide, ma per gli ordini buoni del Governo sono stati oppressi presto. Difficilmente può uno cittadino privato, anzi è quasi impossibile, riducere una città libera in servitù, se non ha seco parte de' cittadini medesimi; e questo con difficultà è potuto essere quivi, perchè il Governo è ordinariamente amato da quelli che ne participano, e gli ordini vi sono vivi e bene intesi da opprimere presto qualunche comminci a surgere a questa via. E queste sono le cagioni della concordia loro, non la difficultà di conducervi i cavalli, perchè a mutare gli stati sono così buoni i fanti come i cavalli, e questi si possono conducere a Vinegia come negli altri luoghi e forse con più commodità, perchè almanco a mettergli drento o di dì o di notte non bisognano le chiave delle porte.

Il Governo nostro populare è adunque della spezie medesima che quello di Vinegia, e lo essere noi in terra ci debbe fare più temere delle forze degli inimici forestieri, ma non già disperare di poterlo ordinare in modo che ci conserviamo senza sedizione civile. E però ritornando al proposito nostro, a me piace più uno Gonfaloniere a vita o per lungo tempo, che dua o che maggiore numero; perchè se mettiamo numero di molti in lunga autorità apriamo la via alla tirannide, e perchè il Governo nostro ha a essere ordinato e disposto in modo che non abbiamo a temere di uno Gonfaloniere, il quale se sarà solo sarà più sciolto a fare il bene per che si elegge; essendo dua, sarà facilmente contesa ed emulazione tra loro, di sorte che faranno più danno alla città con le dissensioni, che utile con la diligenzia. E se avessino occasione di volgere lo animo alla tirannide, farebbono forse peggio dua che uno, perchè essendo uniti arebbono più forze e più seguito.

A Roma i Dieci eletti per fare le leggi, ancora che fussino dieci, si unirono a occupare la libertà, cosa a che, insino che la republica non fu corrotta, non pensò mai uno dittatore. A' tempi degli avoli nostri, gli otto della guerra furono molto bene d'accordo a nutrire la guerra contro alla Chiesa per perpetuare il suo magistrato. Nè ci muova lo esemplo de' Romani e Spartani, perchè secondo che io credo, non il sospetto della tirannide, ma parte la necessità, parte la utilità gli mosse a farne dua. La necessità, perchè secondo gli ordini loro i re ed i consuli avevano autorità da sè soli di fare molte cose senza compagnia di altri magistrati o di Consigli, e per questo forse tale autorità si fidava meglio a dua che a uno; ma a' Viniziani il Doge, a noi il Gonfaloniere non ha da sè solo autorità alcuna, nè è altro che uno proposto o priore della signoria, e però non potendo fare niente senza gli altri, non bisogna dargli altra compagnia che quella che ha. La utilità credo che fussi perchè secondo gli ordini di quelle città toccava a loro andare nelle espedizioni e guidare gli eserciti; e non si potendo mai abbandonare il Governo di drento, pensorono che avendone dua, l'uno potrebbe andare alla guerra, l'altro restare nella città; però quando le espedizione non erano importantissime, o quando non avevano più che una guerra, l'uno restava drento, l'altro andava fuora; se avevano più guerre uscivano tutti dua a diverse imprese; e così questo numero duplicato serviva non a guardare o a vegghiare l'uno l'altro, ma a potere in uno tempo essere in più luoghi. E fu questo numero sempre utile quando stettono separati, spesso pernizioso quando stettono insieme o drento o fuora per i dispareri che nacquono tra loro, donde ne ruinorono qualche volta le sue imprese e se ne perderono spesso bellissime occasioni. A noi non accade farne dua poi che i nostri, oltre allo avere la autorità più limitata, hanno a stare fermi in Palazzo, dove uno solo farà bene assai, ma essendo dua faranno peggio l'uno per l'altro. Hassi ora a considerare che sia meglio, o farlo a vita o per uno anno, che è cosa che ha più difficultà per tre ragioni che ha tocco Piero Guicciardini: cioè per satisfare a più uomini di qualità, perchè essendo a tempo arà manco modo di opprimere la libertà quando pure gli venissi voglia di farlo, e perchè se sarà eletto uno insufficiente non terrà sì lungamente affogata la città. Nondimanco io mi risolverei più presto a farlo a vita, perchè faccendolo a tempo e massime non più che per uno anno, se ne trarrà poco frutto a comparazione di quello che si desidera, perchè è tempo molto brieve e prima finito che le cose siano condotte a porto. Non avete voi letto in Livio che quelli consuli e senatori Romani si lamentavono che per la brevità del consulato che durava uno anno, si perdevano molte occasioni? Non vedete voi che come sarà passato sei o otto mesi dello officio suo, egli medesimo pensando alla fine commincerà a stracurare le cose ed a lasciarle andare volentieri al successore? E se si manterrà pur vigilante e sollecito, non sarà dagli altri che aranno a concorrere alle espedizioni delle cose stimato quanto bisognerebbe. Però se io lo avessi a fare a tempo non lo eleggerei per manco di tre anni, ma più mi piace il perpetuo, perchè oltre che la lunghezza del tempo lo farà più pratico e più utile alla città, ed essendo prudente e cognosciuto amatore della libertà, diventerà come una maiestà ed uno oraculo (che è quella cosa che ne farà cavare frutto grandissimo), avete a pensare che avendo a stare a vita, fermerà lo animo, nè arà cagione di pensare a volersi perpetuare co' modi estraordinari, nè di temere il ritorno alla vita privata, e quello che io stimo più, sarà più gagliardo a opporsi a chi volessi alterare il governo, a chi soprafacessi troppo gli altri o fussi perturbatore della pace e concordia civile; il che non farebbe nessuno o pochi che sapessino il magistrato suo avere a finire, e finito il tempo suo, potere essere esposto al judicio o alle pazzie di chi avessi offeso. E poi che questa è una delle utilità importanti che si ha a cavare di uno Gonfaloniere, non vorrei tì³rmela; e per le ragioni medesime non mi piacerebbe anche che si creassi per tempo, con speranza di potere essere raffermo; senza che, dubiterei che per desiderio di ottenerlo, non si governassi più secondo le opinioni che danno favore, che secondo la ragione delle cose, ed in effetto vivessi più con modi ambiziosi che convenienti a chi si truova in tanto grado, quale debbe essere pieno di gravità e spogliato di ogni passione e pensiere particulare. Nè mi muove il pericolo che Piero teme dalla perpetuità, perchè fo fondamento negli ordini buoni e nello essere limitata la sua autorità ed accompagnata sempre. Anzi se fussi da temere di questo, temerei più di uno annuale o di tre anni, perchè la voglia di perpetuarsi nella grandezza lo potrebbe fare pensare alle cose estraordinarie alle quali non penserà il perpetuo se non arà lo stomaco bene guasto; non si potendo, chi lo considera bene, immaginare a mio judicio più bello, più sicuro e più degno grado nella sua patria, da anteporre, se io non mi inganno, di gran lunga alle tirannide ed a' principati. Spero ancora che ponendo buono modo alla elezione di questo Gonfaloniere, sarà sempre eletto se non il più sufficiente che sia nella città, ma almanco uno di dua o tre più sufficienti; e questo basterà assai, perchè non arà a deliberare o governare lui solo, ma la città si reggerà col consiglio de' più savi, in modo che la sua lunga vita non sarà mai causa della ruina nostra. E se pure la sorte cadrà in qualcuno che non sia a proposito, ci saranno delle vie a rimoverlo, come di sotto si dirà, e si ordineranno in modo che si potranno usare senza scandolo e senza aprire la porta a novità e sedizioni. Che si togga questo pasto a' cittadini principali, io ne fo poco conto, massime se con la elezione del Gonfaloniere si ordinerà bene il resto del governo; perchè quando questa dignità di dua mesi in dua mesi sarà levata via, non sarà carico o diminuzione alcuna a chi non la arà, e ci saranno altri modi ed altre dignità da onorare gli uomini, a' quali non dà tanto riputazione lo avere gli onori principali, quanto il portarsi in quegli eccellentemente e dimostrarsi buoni e d'assai. Però chi si porterà bene imbasciadore, commessario, ne' dieci e negli altri magistrati che saranno capi delle faccende principali; chi nelle ringhiere, nelle consulte darà buono conto di sè, questo onorerà sè e la casa sua ed arà molto più credito e riputazione che se fussi stato Gonfaloniere. Vedetene lo esemplo a Vinegia dove il Doge sta a vita, e pure i cittadini vi sono onorati e riputati. Però in effetto io non partirei dal farlo a vita, e mi ci conferma ancora, benchè senza questo sarei della medesima opinione, che io considero essere molto utile alla città che sia proposto uno grado eccelso dove gli uomini si abbino a sforzare di arrivare mediante le virtù ed i portamenti egregi e lo affaticarsi e mettersi, quando bisogni, in pericolo per la patria. Perchè oltre che a' simili non ci è altro più degno premio che questo, si fa beneficio singulare alla città a accendere ed infiammare gli uomini generosi e di spirito grande a farsi gloriosi con le operazioni degne e rare; al che nelle persone da bene fa assai la bontà della natura e lo amore della patria, pure la speranza di una tale esaltazione gli fa più caldi. Hanno le città libere a non avere per male che' cittadini sua siano desiderosi della gloria e dello onore, perchè questo appetito o volete dire ambizione, è utile perchè dà causa agli uomini di pensare e di fare cose generose ed eccelse. Non debbe già piacere che abbino ardore di grandezza, o per dire meglio di potenzia, perchè chi la piglia per idolo, la vuole avere e conservare in qualunche modo; però vediamo che i signori e simili che hanno questa per obietto, non hanno freno alcuno, e pure che così gli conforti questo rispetto, fanno uno piano della vita e roba degli altri. Nè mi dite che avendo per la lunghezza del tempo a toccare questo grado a pochissimi, che pochi sono quegli che si possono proporre questo fine ed accendersi da questa speranza, e però che la sarà di poco frutto operando in pochi, e più opererebbe quando si facessi uno Gonfaloniere per tempo lungo, che toccherebbe a più e non però a tanti, che i cittadini più virtuosi non avessino causa di accendersi. Perchè io replico quello che disse Pagolantonio ed è la verità, che le città benchè siano libere, se sono bene ordinate, sono sostentate dal consiglio e dalla virtù di pochi; e se pigliate dieci o quindici anni per volta insieme, troverete che in tale tempo non sono più che tre o quattro cittadini da chi depende la virtù ed il nervo delle consulte ed azioni più importanti. Nè troverete che appresso a' Romani e greci ed ogni nazione sia mai stato altrimenti, perchè le pietre preziose sono rare, gli uomini estraordinari sono rarissimi, e dove sono, bisogna che ordinariamente siano quegli che danno il moto alle cose. Però io non fo tanto conto di riscaldare mediocremente molti, quanto di accendere più che si possa quegli che sono rari, ed in su le spalle di chi si regge la republica: bastino agli altri le degnità ordinarie della città. A questi sia proposta la speranza di uno grado estraordinario dove pensino di arrivare, non con sètte, non con corruttele, non con violenzia, ma col fare opere egregie, col consumare tutta la sua virtù e vita per beneficio della patria, la quale, poi che ha a ricevere più utile da questi tali che dagli altri, debbe anche allettargli più che gli altri. Ordinato il Gonfaloniere a vita, cioè il capo, bisogna ordinare gli altri membri ed avere principalmente avertenzia che siano disposti in modo che lui non possa pigliare troppa autorità; e però se la materia fussi tale che vi si potessi introducere la forma a suo modo, seguiterei lo esemplo de' viniziani, di fare che la signoria non risedessi in Palazzo, ma vorrei bene che ancora che la non avessi quella autorità suprema che hanno secondo gli ordini nostri le sei fave, le quali in effetto possono quello che le vogliono, vorrei però che ne avessino tanta, che il pondo del Governo consistessi principalmente in loro, come sarebbe conveniente, essendo loro insieme col Gonfaloniere il capo della città. La ragione che mi moverebbe a levare loro la residenzia del Palazzo è che questo grado essendo posto così in excelsis, accompagnato con tante pompe e con tanto splendore, è riguardato troppo da ognuno, ed ognuno vi ha la mira, in modo che bisogna che gli ordini nostri siano tali che abbia per necessità a girare quasi in ognuno, perchè a Firenze non pare quasi essere uomo a chi non è stato una volta de' signori. Però vedete che è stato ordinato che il tempo loro non sia più che dua mesi, che non è sì breve in nessuno altro magistrato, e che i divieti siano infiniti: tre anni la persona propria, uno anno la casa; da' collegi sei mesi; non può concorrere con quasi alcuno altro ufficio: tutte cose trovate perchè ognuno ne participi. Donde nascerebbe che la potestà del Gonfaloniere a vita potrebbe essere maggiore assai che il bisogno, perchè essendo uomo di ingegno e con la riputazione che gli dà lo ufficio, e trovandosi capo di uno magistrato che avessi somma o almeno grande autorità e nel quale la più parte siano uomini deboli e di poca qualità, gli riuscirà sempre quello che lui vorrà; e quando in una signoria arà qualche difficultà, che sarebbe rarissime volte, gli succederà l'altra, in modo che potrà sempre conducere quasi tutte le cose a suo proposito. E questo non interverrebbe se de' signori gli sedessi sempre allato de' principali e de' più savi della città, perchè questo è il maggiore freno che possa avere uno Gonfaloniere a vita, che seco si abbino a trovare a deliberare le cose uomini di cervello e di riputazione; e volendo fare questo, bisognerebbe che la signoria non solo si facessi con le più fave, ma che ancora si levassino tanti divieti. Questo credo che riuscirebbe difficilmente, mentre la signoria si tiene in Palazzo con tanti onori e tanta maiestà, perchè stando quello grado della sorte che è, sarà mal volentieri acconsentito uno ordine che questa dignità giri in pochi; e però per farlo manco risplendere e levarlo così degli occhi degli uomini, se si potessi persuaderlo, conforterei a levare a' signori la residenzia del Palazzo e tanti ornamenti. Ma perchè io non credo che voi ci conducessi il popolo abituato a questo costume, e quando pure con qualche occasione lo persuadessi, dubito che questa memoria starebbe sempre nella testa a chi non è per aggiugnere a maggiore grado, e gli stimulerebbe sempre a attraversare le cose ed a desiderare di rimettere su questo onore; però piglierei questo altro modo, che a la signoria si lasciassi stare la residenzia del Palazzo, gli ornamenti e la pompa che ha di presente, nè priverei i minori di questo pasto, ma gli limiterei la autorità che ora ha suprema e la riducerei in grado che nè loro, nè il Gonfaloniere col mezzo loro, potessi essere formidabile a persona, altrimenti aresti sempre pericolo che uno Gonfaloniere non si facessi troppo grande. La autorità e prerogative che io vorrei che avessi la signoria sarebbe: intervenire come capo in tutti i consigli, cioè nel consiglio grande e ne' consigli di mezzo, che sono quegli che terranno il luogo che tenevano a tempo de' Medici i settanta, e che voi ora avete ordinato gli ottanta; avere nella creazione delle provisioni e leggi quello grado che si dirà nel luogo suo; trovarsi capo in tutte le cose che resteranno a' collegi, che si dirà di sotto; essere uno ricorso alle differenzie civili, non in quello modo smisurato che si usa oggi, che può fare mille ingiustizie, ma moderato, nelle differenzie delle communità, delle persone miserabili ed impotenti e ne' casi dove si cognosca la verità e la equità, ma per difetto di pruove o per rigore non si otterrebbe ne' giudìci ordinari. Non vorrei che in cose criminali avessi autorità alcuna, non che potessi comandare a' magistrati direttamente o indirettamente fuora di quello che appartenga a' casi detti di sopra, non fare sicurtà di sorte alcuna, non eleggere ufficio alcuno, non mandare imbasciadori nè commissari etiam per tempo brevissimo, non comandare i soldati o gente di arme, non si intromettere nè travagliare da sè sola in cose di stato di alcuna sorte. Di tutte queste cose vorrei fare una legge bene ordinata e bene distinta la quale comprendessi e legassi bene tutti i casi, e gli fussi posto tali guardie e tali pene che di necessità si avessi a osservare; ed acconciata bene questa, che sarebbe facilìssimo, aresti levato via il fondamento della più parte de' pericoli che si possino temere dalla grandezza di uno Gonfaloniere a vita; e forse che i cittadini, ridotta che fussi la signoria a minore autorità, sarebbono più facili a consentire poi che la si levassi di Palagio, perchè non ne terrebbono tanto conto, e così riuscirebbe in dua volte quello che sarebbe stato difficillimo a ottenere in una, che è il modo con che i savi governatori delle republiche conducono spesso le cose; pure di questo io tengo poco conto perchè questa diversità fa più presto varietà ne' modi che negli effetti. La autorità del Governo si ha a riducere in su le spalle di uno consiglio che i Romani chiamavano senato, i Viniziani pregati; voi avete fatto in luogo di questi gli ottanta; e qui nasce la prima considerazione se questo consiglio ha a essere a vita o a tempo. E' Romani ed i cartaginesi e molte altre republiche gli facevano a vita; i Viniziani gli fanno per uno anno, ma le cose loro girano in modo che quasi sempre sono i medesimi, ed uno cittadino bene qualificato, se non gli corre adosso qualche carico grande, non ne resta mai escluso; e se noi potessimo prometterci questo medesimo, io farei poca differenzia dal farlo a vita al farlo a tempo; anzi perchè gli uomini avessino più rispetto e più stimulo di portarsi bene, sarebbe forse meglio il fargli per uno anno. E' Viniziani non solo nel numero de' pregati che è grande, che non ha guadagno, non ha amministrazione, cioè non è magistrato ma uno consiglio, usano questa fermezza di non variare senza causa grande gli uomini e di dare le loro pallotte ordinate, ma si può dire in tutti gli altri magistrati. Però vedete che i savi grandi girano in poco numero e sono quasi tuttavia quelli medesimi, e che le elezioni degli uffici principali di fuora, cioè i rettori di Padova, di Verona e simili, vanno con tale ordine e regola che il più delle volte, innanzi si elegghino, gli uomini conietturano dove hanno a cadere. Ma questa misura ed ordine che ha partorito in loro la lunga continuazione del Governo e forse la natura de' loro cervelli più quieta, non si potrebbe sperare in noi di qui a molti anni; e se noi facessimo questo consiglio per sei mesi o per uno anno, se ne troverrebbono bene spesso esclusi tutti quelli che sarebbe necessario che vi fussino. Però a ogni modo farei questo consiglio a vita, ma di maggiore numero che non avete disegnato voi, perchè in una città grande come la nostra, ottanta, avendo a essere perpetui, sono pochi. Vorrei fussino centocinquanta, il quale numero non è sì stretto che non ci possino entrare tutte le persone qualificate della città, nè è sì largo che vi entri drento la ignoranzia e la mala qualità degli uomini; e le vacazioni vengono a essere sì spesse, che a molti resta sempre accesa la speranza di entrarci. In questo consiglio ha a intervenire la signoria come capo, e la autorità sua ha a essere: deliberare tutte le cose importanti che attengono allo stato, cioè le pace, le leghe, le confederazioni, le guerre e risolvere giornalmente i fini dove le cose si abbino a indirizzare; fare le condotte de' soldati o approvarle se saranno fatte da altri magistrati; vincere le leggi nuove e le provisioni, innanzi che vadino al consiglio grande; eleggere gli imbasciadori e commessari, ed in effetto disporre tutte le risoluzione importanti che occorrono fare in uno Governo di uno stato. Ma perchè questo consiglio non si può ragunare a ogni ora, e le faccende ricercano continua diligenzia ed opera, e molte cose innanzi che si deliberino si hanno a praticare e ricercano prestezza e segreto, è necessario uno magistrato più particulare, che sia proposto alla guerra, quando la guerra si facessi, e che in tempo di pace tratti i maneggi co' prìncipi e con gli imbasciadori e le cose che spettano alla conservazione ed augumento del Dominio. E questo qualche volta praticherà e maneggerà le cose per portarle di poi al consiglio di mezzo, per averne la conclusione; qualche volta servirà doppo le conclusione fatte ne' centocinquanta a indirizzarle e conducerle al fine già resoluto. Però si faccia sempre lo ufficio de' dieci, che siano eletti nel consiglio de' centocinquanta con la aggiunta che di sotto si dirà, nè possi esserne se non chi è de' centocinquanta; non abbino di già la balìa nè autorità di potere spendere senza gli stanziamenti ordinari e senza la commissione de' centocinquanta; non fare pace, leghe, guerre o alcuna deliberazione simile da loro medesimi, nè fare le condotte, o faccendole abbino a essere approvate da' centocinquanta; duri lo ufficio loro per sei mesi nè possino essere raffermati, ma non abbino di divieto più che sei mesi; e con questo magistrato si raguni il Gonfaloniere quando gli pare, perchè lui ha a essere il capo dello stato, e senza saputa sua non si hanno a deliberare le cose di momento. Questo magistrato, quando vorrà essere consigliato, o consulterà nel consiglio di mezzo, o se gli parrà che le non siano cose da portarle là, arà una pratica di dieci o quindici altri, che hanno a essere i più savi e meglio qualificati della città; i quali non voglio che sieno eletti da loro medesimi, perchè non errassino per la voglia di eleggere amici o parenti o per altre passione particulare, ma subito che sono eletti i dieci, sia da' dieci vecchi e nuovi, signori e collegi eletta loro la pratica di dieci, che siano de' centocinquanta, che duri per tutto il suo tempo; e se nel processo del tempo ne vacherà nessuno o de' dieci o di loro per morte o per assenzia, si elegga lo scambio ne' modi medesimi. E questa pratica sarà a imitazione di quello che i Viniziani chiamano consiglio de' dieci con la aggiunta, in chi si riduce il nervo del governo; perchè dodici o quindici o venti cittadini i più savi e più pratichi saranno sempre o de' dieci o della pratica, e non solo interverranno sempre in questo consiglio stretto, ma per essere di più prudenzia e di più autorità saranno quegli che nel consiglio di mezzo, indirizzeranno communemente le cose a buono cammino. Ed in effetto eletta e disposta questa bene, non potranno le cose dello stato andare se non bene, nè il Gonfaloniere potrà usurparsi più autorità che si convenga, perchè avendo a maneggiare le faccende importanti co' principali della città, non gli potrà aggirare nè conducere perchè non sappino o temino di lui, se non quanto comporterà la ragione. Io mi distendo volentieri nello ordinare bene questo consiglio e ciò che ha a nascere da lui, perchè produce tre buoni effetti che contengono la salute della città. Il primo, che le deliberazione importanti sono maneggiate da chi le intende, e non vanno nello arbitrio della moltitudine che è il primo pericolo di che si teme in uno Governo populare; il secondo, che, come ho detto, è uno freno a moderare la troppa autorità che potessi pigliare uno Gonfaloniere a vita, e così vedete che questo consiglio di mezzo, quale vorrei che si chiamassi senato, è uno temperamento tra la tirannide e licenzia populare; il terzo, che questo è uno modo da tenere contenti i cittadini di più virtù e meglio qualificati, perchè riducere il Governo in mano delle persone che vagliano, non serve solo perchè le cose siano governate da chi ne è capace, ma ancora a tenere bene satisfatti quegli che sarebbe male che fussino male contenti. La città è uno corpo composto di molti membri, ed ancora che in una città libera si pigli per fondamento la equaità, nondimanco non si può fare che i gradi de' cittadini non siano diversi e distinti secondo la diversità degli ingegni, virtù e qualità loro; altrimenti se uno cittadino di spirito e che meritassi, non si vedessi rilevare in qualche cosa da quegli che sono dapochi e che non meritano, arebbe causa di contentarsi male di quella forma di Governo e desiderare cose nuove; da che nascono discordie civili e la alterazione degli stati. E se bene io dissi jeri che i cittadini buoni non hanno voluntà di governare, e che al bene essere delle città basta che vi sia la sicurtà, nondimeno questo è uno fondamento che fu più facile a Platone a dirlo, che a chi si è maneggiato nelle republiche a vederlo, e più rigoroso che non è oggi il gusto degli uomini, i quali hanno tutti per natura desiderio di essere stimati ed onorati. Anzi, come io dissi poco fa, è forse più utile alle città, che i suoi cittadini abbino qualche instinto di ambizione moderata, perchè gli desta a pensieri ed azione onorevoli, che se la fussi al tutto morta. Ma non disputando ora questo, dico che poi che negli uomini è questo appetito, o laudabile o dannabile che sia, ed appiccato in modo che non si pute sperare di spegnerlo, a noi che ragioniamo di fare uno governo, non quale doverebbe essere, ma quale abbiamo a sperare che possi essere, bisogna affaticarsi che tutti i gradi de' cittadini abbino la satisfazione sua, pur che si facci con modo che non offenda la libertà. E questo che noi abbiamo detto è senza dubio grado che non gli nuoce, perchè se bene sono senatori a vita, pure sono molti, hanno la autorità limitata in modo che non diventano signori, e nondimeno il grado è tale che debbe bastare a uno cittadino che non ha lo stomaco corrotto di ambizione; perchè se ha virtù mediocre, si debbe contentare di essere senatore; se è più eccellente, verrà di grado in grado agli onori più alti: essere de' dieci, essere della pratica, essere uno de' disegnati per Gonfaloniere quando vacassi. E' quali gradi si possono più sperare e sono più onorevoli in uno vivere libero che sotto lo stato de' Medici, perchè nessuno ha a Firenze tanti fondamenti che, se non è della linea di Cosimo, possa sperare di diventare capo, e chi aspira a questo bisogna che ami la libertà e vivere populare, col mezzo del quale può solo diventare capo con autorità publica. E gli altri onori poi che si hanno con opinione della virtù e non del favore, e poi che gli uomini che gli conseguiscono gli esercitano secondo il parere loro e non a' cenni degli altri, quanto sono più belli e più onorevoli! Vi quanta satisfazione è il maneggiarsi onoratamente nelle bigonce, nelle consulte, ed avere occasione di mostrare ogni dì la virtù e lo ingegno suo! Questi gradi bastavano a quegli antichi Romani ed agli altri cittadini delle buone republiche, che doppo i consulati, doppo le legazione ed i governi degli eserciti, pareva loro pigliare degno frutto delle fatiche loro col venire nel senato, avere credito nelle consulte, e reverenzia appresso a quelli che sapevano manco. Uno cittadino a chi questi gradi paiono piccoli, ha lo animo male disposto, e come pernizioso si vorrebbe separarlo ed esterminarlo dalla patria; ma chi ha il cervello bene temperato, quanto è più savio, più vi cognosce drento il vero onore e la vera gloria, e gli pare grado più onorato e da satisfarsene più che delle tirannide e de' principati. Questo numero de' centocinquanta, de' dieci e della pratica vorrei che non si facessi per quartiere ma per tutta la città, perchè in simili cose la distribuzione per quartieri non ha ragione alcuna: si ha a cercare non che i quartieri siano equali, ma che siano eletti quegli che meritano più. Nè vorrei per la ragione medesima necessitarmi a dare a la Arte minore la rata sua, anzi potere tórre a ogni membro secondo le qualità degli uomini; e sarebbe molto meglio levare questa distinzione in tutti gli uffici, o non si potendo in tutti, farlo almanco in questi che importano troppo. Questo senato ha adunque insino a qui queste autorità: deliberare le cose importanti; di più vincere le provisione prima che vadino al consiglio grande, eleggere gli imbasciadori e commessari e lo ufficio de' dieci, oltre a qualche altra elezione di che io dirò di sotto. Quanto alle leggi, ne parleremo nel luogo suo, e se io non mi inganno sarà facile a mostrare che il modo che vegghia al presente è inutile e totalmente contrario alla libertà; ma quanto agli altri dua capi, dico che io non vorrei che alle consulte e deliberazioni intervenissi altro che i centocinquanta e la signoria, perchè le cose gravi non sono da vulgare in ognuno, e vi ammetto la signoria non come capace, ma perchè, poi che quello magistrato non si spegne, bisogna pure mantenerlo in grado onorevole, ed essendo pochi possono fare poco male. Ma alle elezioni vorrei che oltre a' centocinquanta e la signoria ed i collegi, vi intervenissino i capitani di parte, i conservadori delle legge, gli otto di balìa, i sei della mercatantia, ufficiali di monte, de' pupilli, della torre ed altri magistrati che facessino il numero di cento, overo uno consiglio di cento uomini eletti per uno anno dal consiglio grande, che non avessino altra cura che essere arroti a queste elezione; e questo mi piace più, perchè senza disordine darebbe pasto a più persone e sarebbe come una scala a' gradi più alti. Le ragione che mi muovono a fare questa aggiunta sono due: l'una, che io non vorrei che a alcuno per essere diventato senatore paressi avere acconcio in modo le cose sua che giudicassi non avere più bisogno degli altri che non sono del senato e tenessi manco conto della estimazione publica, come se mai più non avessi a capitare a' giudìci degli uomini; e però avendo ogni dì per la elezione de' dieci e le altre che si facessino in senato, a essere giudicato non solo da' senatori, ma da varie persone e molte, arà causa di stare sempre desto e portarsi in modo che si mantenga la benivolenzia e riputazione degli altri cittadini. L'altra, che io non vorrei che per essere i senatori sempre quegli medesimi, una parte di essi facessi qualche intelligenzia che facessi girare i partiti in loro, esclusi gli altri, overo che per il contrario lo appetito che ognuno del senato avessi di essere de' dieci o de' primi gradi, facessi che la più parte si intendessino insieme a fare andare le cose larghe, e quando uno fussi verbigrazia, stato de' dieci, che non volessino farlo più in capo di qualche anno per dare luogo agli altri, che sarebbe disordine di troppa importanzia. Questa aggiunta rimedia benissimo a tutt'a dua gli inconvenienti, perchè romperà le sètte, intervenendovi tanto più numero e di persone che si variano; e da altro canto non potendo questi aggiunti essere eletti loro, non aranno causa di favorire per ambizione sua la larghezza, ma si volteranno ragionevolmente con le fave a chi sarà giudicato che meriti più; e quando parte del senato malignassi, questi daranno sempre il tracollo alla bilancia. Resta parlare in che modo si abbino a fare le deliberazione nel senato, perchè da questo depende assai il trarne più o manco frutto. Noi abbiamo presuposto che il senato ha a essere consultore e deliberatore delle faccende importanti, e però le cose se gli hanno a mettere innanzi non come digestite perchè le approvi, ma integre perchè le consigli e deliberi. Però il magistrato che chiama la consulta propone semplicemente il caso e dimanda parere; ed allora secondo le usanze vecchie di questa città, si arebbono a ristrignere gli uomini per quartieri, cioè ogni quartiere separatamente e consultare da sè senza che l'uno udissi l'altro, e poi ciascuno quartiere fare da sè in presenzia di ognuno la relazione delle opinione che sono state nel suo quartiere; ed il magistrato che consulta suole qualche volta contentarsi di quella relazione in voce, qualche volta mettere i pareri alle fave e pigliare quello che ha più fave. Questo modo è molto asciutto e diminuto, e pare trovato o da persone che paia loro mill'anni espedirsi delle consulte ed andarsene a casa, o da chi venga giù con la deliberazione fatta più per approvarla che per consigliarla. Il modo vero è che proposto il caso, gli uomini di più autorità dichino il parere loro e dichinlo in presenzia di tutti, perchè accadrà qualche volta che in tutto il numero, uno o dua soli aranno buona opinione, e però è bene che sia udita da ognuno e non in uno quartiere solo; e se uno arà uno parere ed altro lo abbia contrario, che possi levarsi su e contradirlo, e questo farsi per una e più persone; ed accadendo che uno medesimo volessi parlare più di una volta, o per meglio dichiarare o per difendere o per mutare la opinione sua, lo possa fare. E perchè in questo principio gli uomini non sono assuefatti di andare così liberamente in su le ringhiere, e vi andranno con rispetto per non parere prosuntuosi, sarà necessario che il Gonfaloniere vi faccia andare particularmente questo e quello, e che in genere sia invitato ognuno a dire la opinione sua, ed usato diligenzia per assuefargli a questo modo di parlare e di disputare. E poi che aranno parlato tanti che sia a sufficienzia, e che non vi sarà altri che voglia parlare, allora proporre i pareri e tórre quello che sarà approvato da' più; o quando la cosa non resti bene risoluta e gli uomini ancora sospesi, rimetterla a un altro dì e non si straccare di maturare ed esaminare bene le cose che aspettano tempo. E' pareri si pigliano o a voce scoperta o con le fave; gli antichi facevano a voce, le republiche moderne hanno osservato le fave o voti coperti. Ognuno di questi modi ha ragione diverse, ma per non mi allungare tanto in ogni cosa, io lodo più le fave. Ma bene ricordo che il modo che si piglia sia fermo, e non stia a uno Gonfaloniere o a uno magistrato che propone, usare ora le voce, ora le fave, perchè in molti casi è differenzia grande da adoperare l'uno a adoperare l'altro, ed io non voglio che sia in potestà del Gonfaloniere o di altri aggirare le cose e cercare di conducere con le vie indirette le deliberazioni a modo suo; e però quello che una volta si resolve si usi sempre ed in ogni caso. Con questo modo di consultare e deliberare si esamineranno ed intenderanno meglio, e meglio si risolveranno, e si farà più paragone degli uomini; e chi sarà d'assai arà facilità di farsi cognoscere, avendo occasione di potere disputare le cose e discorrerle; il che in uno senato ed in contradittorio iudicio non ardirà di fare se non le persone di autorità o chi si sentirà bene ferrato; e sarà questo modo vero di esercitare gli uomini, e così chi parlerà come chi starà a udire imparerà più in una consulta che non si fa ora in venti. Ed i valenti uomini verranno con questo mezzo facilmente in riputazione, perchè si faranno presto cognoscere, e sarà una scala di fargli grandi ed onorati più che non è il Gonfaloniere per dua mesi, perchè la riputazione che arà nella città chi comparirà bene in questi luoghi, gli darà grado molto più degno che non darebbe qualunche dignità o ufficio; donde gli spiriti buoni si aguzzeranno e penseranno la notte con che modo abbino a comparire il dì nelle consulte, ed ognuno che sia di valore farà a gara per farsi autore di cose onorevole ed utili alla città. Così la riputazione sarà di chi la meriterà e non, come insino a oggi è stato molte volte, di quegli che non sapendo fare lo acquistano col sapere tacere. Nè ci può in effetto essere vaglio più bello a distinguere le valute degli uomini ed a fare cognoscere le monete, ed è con utile publico. Nascono nel Dominio molte cose che hanno necessario essere ventilate a Firenze, come sono verbigrazia, discordie civili o altri dispareri in qualcuna delle terre vostre; differenzie di confini e iurisdizione tra communità e communità; dimande de' sudditi ed espedizione de' loro imbasciadori, che a tempo de' Medici si maneggiavano negli otto della pratica, ora cominciano a andare alla signoria. A me non piace che la signoria sola tratti cose importanti, per le ragioni dette di essere uomini troppo deboli e perchè il Gonfaloniere ne sarebbe padrone; a chi bisogna conservare la riputazione che si truovi in tutte le cose gravi, ma che per moderare la sua grandezza le abbia a maneggiare con uomini di qualità. Però eleggerei uno magistrato particulare sopra questo, cavato pure de' centocinquanta ed eletto nel modo medesimo che i dieci, i quali vorrei che le trattassino insieme con la signoria per conservarla in qualche riputazione; e parte darei pasto a altri del senato, perchè a questo non sarebbe necessario eleggere così i principali come a' dieci, anzi sarebbe una scala a' primi gradi, e quello che non potessino deliberare da loro lo porterebbono al senato, e dove avessino bisogno di consulta, consulterebbono col senato o co' dieci e la pratica loro, secondo che meglio gli paressi, e così arebbono buono riscontro tutte le deliberazione importanti nelle cose dello stato e del Dominio. Resta parlare del modo del fare le legge, o come diciamo noi, provisioni, perchè i modi nostri antichi che anche vegghiano di presente, sono in uno vivere libero perniziosi e pestiferi al possibile, e trovati, come credo io, da quegli che sono stati principali negli stati stretti; i quali avendo dubitato che uno dì con una provisione non fussi tolta loro la sua autorità, ordinorono che avessino a andare per molti vagli stretti, innanzi che si conducessino a' consigli larghi, per essere sempre a tempo a potere con le sue sètte interrompere che le non si vincessino; e così erono sicuri che a Firenze non si poteva fare una provisione nuova contro a sua voluntà. Il medesimo interverrebbe ora, massime con uno Gonfaloniere a vita, il quale ogni volta che si facessi una provisione per moderare la sua autorità, o che per qualche altro rispetto non gli piacessi, la potrebbe impedire; e sarebbe questo mancamento grande alla libertà, che fussi in potestà di uno o di pochi impedire una provisione utile, o che piacessi alla migliore parte. Però vi dico che levati tanti vagli di signori, di collegi e di conservatori, ordinerei che di primo colpo una provisione venissi in senato, dove potessi essere proposta non solo dalla signoria tutta, ma da qualunche de' signori soli, ed etiam de' collegi, e quivi non venissi per approvazione, ma per principale discussione e si avessi a disputare ed esaminare come ho detto nelle altre deliberazioni. Vorrei bene che per tórre la occasione di mandarle, come si dice, in capperuccia, si avessino a publicare in senato almanco l'uno dì per l'altro, e così farle almeno uno dì innanzi note a' collegi; i quali voglio che vi intervenghino e per altri rispetti e perchè questa possi essere una via a' giovani ed alle persone non note di farsi cognoscere, o col farsi autori di una provisione nuova, o col salire in campo a confutarla o disputarla. Chè in fatto il vivere di questa città è stato insino a oggi di sorte, che chi non è nato con la riputazione de' padri o della casa, non ha avuto facultà facile di farsi cognoscere; donde o la virtù di qualcuno non è mai venuta a luce, o è stata adormentata più lungamente che non si conveniva; e questo risulta danno grande alla città, e perchè perde la occasione di valersi degli instrumenti di che si potrebbe valere, e perchè non cognoscendo gli uomini, adopera molte volte di quegli che non riescono atti, e tutto a danno della bottega; ma con questi paragoni verrà su facilmente chi sarà da venire. E le provisione vorrei che avessino poi la perfezione finale in consiglio grande, con quelli modi medesimi che si fa ora, cioè per via di approvazione, non di discussione.

GUICCIARDINI.  Vorresti voi che questi senatori avessino salario.

BERNARDO.  Non io per conto nessuno, perchè susciteresti troppa invidia e troppa voglia in ognuno di esserne, e non è poco premio l'onore e la riputazione che avessi l'uomo di essere senatore a vita. senza che la si tira drieto molte utilità ed in molti modi megliora le condizioni degli uomini, però debbe bastare loro questo. Ordinata la città nelle deliberazione quotidiane e nel modo del fare le legge, succede la amministrazione della giustizia; dico nel criminale, perchè nel civile la terra è ordinata abastanza, ed a questo non muterei lo ufficio degli otto con la balìa, perchè senza questo terrore i delitti multiplicherebbono troppo, e vorrei si eleggessino nel consiglio grande per non tirare al senato troppa autorità, ma che si facessino per le più fave, acciò che fussino persone scelte, come in verità ricerca la importanzia di questo ufficio; e vi aggiugnerei quello che io intendo che questo frate propone ora, cioè che da ogni condennazione che i facessino a alcuno cittadino per conto di stato, e non per altra causa, vi fussi lo appello non al consiglio grande come propone lui, ma al senato, dove avessi a venire il magistrato che lo condannassi e difendere la sentenzia sua; e che di poi udito le ragioni di ognuno, e qualunche avessi voluto parlare, e la persona condennata se avessi voluto comparire personalmente, si mettessi alle fave, nè alla assoluzione bisognassino i dua terzi ma prevalessi quella sentenzia nella quale concorressi più che la metà, o di assoluzione o di condennazione nuova o di confirmazione della sentenzia data. E credo in verità che rare volte interverrà che la sentenzia sia ritrattata, perchè per la natura nostra e per i rispetti che abbiamo l'uno a l'altro, ogni magistrato sarà sempre più facile a assolvere che a condannare; pure potrebbe essere utile, perchè qualche volta senza causa si avia drieto a uno qualche grido populare, o nasce qualche sospetto vano, che essendo le cose dello stato tenere, potrebbe uno essere condennato furiosamente; a che questo appello medicherà abastanza. La importanzia maggiore e necessaria è provedere alle assoluzione, le quali per le cagioni che io ho dette ora e dissi più largamente jeri, sarebbono troppo spesse; o se pure negli otto fussino tre per volta che non volessino condannare, bisognerebbe o che gli altri assolvessino, o per accordarsi condannerebbono troppo leggiermente; donde multiplicherebbono i delitti e le baldanze de' populi con troppo danno della città. Nè si può sperare a Firenze in uno Governo populare che uno ufficio di otto o altro simile usi contra le persone di rispetto quella severità che bisognerebbe, perchè è difficultà grande maneggiare quegli che tu ami o di chi hai dubio che qualche volta possino rendere il cambio o a te o a' tuoi; però bisogna servirsi in questo caso del Gonfaloniere a vita il quale per stare perpetuo può mancare di molti rispetti, o pigliarci altro verso. Al Gonfaloniere si potrebbe dare autorità di intervenire in ogni magistrato che ha cognizione criminale, e potere proponere; e lui usandola in quelli casi che gli paressi che i magistrati procedessino freddi, gli moverebbe senza dubio assai e gli spignerebbe a fare conveniente giustizia. Nondimanco questo modo solo non mi satisfà, perchè io giudico essere necessario che nelle cose che portano pericolo allo stato ed alla libertà, il Gonfaloniere se ne scaldi e faccia capo vivamente, perchè lo può fare meglio che alcuno altro; e così in tutti i casi ne' quali la impunità potrebbe tirarsi drieto disordine universale. Ma non vorrei che fussi obligato ordinariamente a questo peso, il quale è sì grande, o che lui se ne tirerebbe adrieto e mancherebbe anche poi in quelli più importanti, o volendolo esercitare si farebbe troppo odioso e con troppi inimici, il che non è a proposito della città, che uno capo con chi si ha a maneggiare tuttodì e dal quale hanno a dependere infiniti beni sia male voluto da molti; e pigliando questa cura caldamente diventerebbe anche troppo formidoloso. Però poi che da uno magistrato di pochi non si può sperare questa severità, nè è bene che il Gonfaloniere pigli tanto fascio, bisogna pensare a maggiore numero ed a uno consiglio di molti che supplisca dove i pochi mancassino. E mi occorreva che ogni volta che uno magistrato ha una causa criminale e ne nascessi assoluzione, che se ha accusatore e querelatore certo, che potessi contro alla assoluzione appellare al senato in quello modo che ho detto dello appello contro alle condennazione; ma quando non la espedissi fra uno certo tempo, che la si intendessi da sè medesima senza alcuna altra dimanda o partito, devoluta a uno numero di quaranta che si traessi per sorte, tanti de' signori, tanti de' collegi, tanti del senato e tanti di quello secondo consiglio che si ha a trovare il senato nelle elezioni; e loro avessino autorità di esaminare, inquirire e procedere come paressi loro, ed in effetto quella medesima autorità che aveva il magistrato, e fussino obligati espedirla infra certo tempo; la quale espedizione si facessi con le fave ed avessi a essere approvata per più che la metà delle fave. E perchè nessuno vorrebbe pigliare carico di proporre le cose spiacevoli, vorrei che ognuno del numero scrivessi la opinione sua senza manifestare il nome, e tutte le polizze andassino a partito, restando per sentenzia quella che avessi più che la metà delle fave, e più fave di nessuna. Questa provisione si distinguerebbe più particularmente circa il modo dello accusare, dello esaminare, del difendere, del proporre, di assolvere e condannare, e circa i numeri che avessino a intervenire, cioè quanti de l'uno membro e quanti dello altro; e così se l'uomo volessi che tutti i casi criminali potessino venire a questo judicio o ristrignersi a certi delitti importanti. Ma basti ora avere mostrato in genere questo modo di giudicare, che sarebbe senza dubio di grandissimo terrore, ed uno freno grande a chi volessi male vivere, ed in spezie una guardia grande al Governo populare ed alla libertà della città. Bisogna ora parlare circa le gravezze ed altre cose del danaio, perchè questo è uno membro molto importante, e nel quale da uno canto ognuno ha a avere participazione, da altro se le provisione de' danari non si fanno a tempo, si gettano via, e quello che da principio si sarebbe fatto con uno grosso non si fa poi con uno ducato. Pure considerato tutto, cioè che dal popolo non sono sempre cognosciuti i bisogni come si conviene e che il senato è informato delle cose che occorrono e vi interviene cittadini di ogni sorte, cioè di quegli che vivono in su le possessioni, mercatanti, ricchi, poveri e di ogni qualità, in modo che non sarebbe da dubitare che si voltassino a modi che fussino ingiusti, e senza rispetti debiti e convenienti, farei il fondamento principale nel senato; non però che io non volessi che vinta che fussi quivi la provisione, la non andassi anche al consiglio, ma che in consiglio bastassi la metà delle fave ed una più. Le spese vorrei che andassino con gli stanziamenti de' signori e collegi come ora, e che anche il Gonfaloniere ne avessi qualche cura particulare, non però tale che i magistrati a chi tocca non potessino spendere senza la volontà sua, ma tale che fussi freno a chi andassi con la mano troppo larga. È vero che gli stati non si possono tenere senza spesa e che in molti casi è dannoso il risparmio, nondimanco perchè le entrate ordinarie non bastano e si ha a cavare delle borse de' cittadini, le spese superchie fanno a Firenze infiniti mali e possono essere causa di molte male contentezze e disunioni, e però è bene che in temperarle si usi diligenzia quanto si può. Io non vengo minutamente a' particulari, perchè non accade e se ne andrebbe in infinito il nostro ragionamento: basta toccare le cose in genere e quando l'uomo fussi in fatto, si esaminerebbono e distinguerebbono meglio. Ma io vorrei che voi dicessi quello che vi occorre, e se vi paia da aggiugnere o levare di cosa alcuna.

CAPPONI.  In verità io sono stato cheto e con grandissima attenzione, perchè mi pare che voi abbiate considerato ogni cosa molto bene; ed ancora che io vi abbia sempre cognosciuto savissimo, reputo per miracolo che non avendo voi veduto mai a' vostri dì in questa città libertà, anzi allevato e vivuto in uno vivere tirannico, che abbiate tanto bene pensato e disegnato uno Governo libero.

SODERINI.  Il medesimo dico io; e parmi ora molto più che sia vero quello che voi dicesti nel principio, che se i nostri cittadini non avessino nome diverso da quegli de' viniziani, che uno Governo come il vostro parrebbe il medesimo che quello di Vinegia, perchè non ci è una diversità sustanziale; e però se quello è ottimo come ognuno confessa, e lo pruova la ragione e lo mostra la esperienzia, questo sarebbe almanco buono. Così ci dessi Dio grazia di poterlo vedere e lasciare questa eredità a' nostri figliuoli, che sarebbe il maggiore tesoro, il più bello, il più sicuro, il più onorevole che noi gli potessimo lasciare.

GUICCIARDINI.  Quello che tra le altre cose mi ha fatto maravigliare oggi ne' discorsi vostri è stata la notizia che avete mostro delle cose de' Romani e de' greci, delle quali credevo prima che voi fussi digiuno; e mi vi aveva confermato al tutto il vedere che jeri voi ne facesti poca menzione.

BERNARDO.  Lettere non ho io e voi lo sapete tutti; ma ho avuto piacere di leggere i libri tradotti in volgare quanti ne ho potuti avere, donde ho imparato qualcuna di quelle cose che ho allegato oggi; ma perchè le sono poche nè le posseggo bene a mio modo, nè credo che questi libri tradotti abbino quello sugo che hanno i latini, ho sempre fuggito il mostrare di averne pure una minima notizia, giudicando che mi dia più riputazione lo essere tenuto al tutto ignaro di queste cose e che io parli senza alcuno aiuto di chi ha scritto, che volendo valermi di quello poco che io ho letto, dare causa o di essere tenuto ostentatore, o che si creda che io mi vaglia di queste cose più che in verità non fo. Ma ritorniamo al proposito principale. Io non ho detto ancora il modo con che si abbia a eleggere il Gonfaloniere. In che non seguiterei lo esemplo de' viniziani, i quali come sa qui Pagolantonio e dovete sapere ancora voi, avendo secondo che io credo confidato poco nel judicio del popolo (io chiamo popolo il suo consiglio grande) e da altro canto temendo delle passione de' pochi, la hanno rimessa a poco numero; ma elettolo parte con sorte, parte con tanti vagli, che hanno giudicato dovere essere incerto chi abbino a essere gli ultimi elettori e così avere a cessare le corruttele e le ambizioni. E da altro canto, non potendo questi elettori, che sono quarantuno, essere ragionevolmente altro che uomini qualificati, hanno confidato che abbino a sapere eleggere, e mancando le corruttele, che abbino a eleggere bene. Le ragione che gli hanno mossi io le giudico buone, ma non mi pare già che abbino trovato il mezzo sufficiente, perchè se noi presupognamo che questa elezione de' quarantuno abbia a cascare come in uomini a caso, ecco che si mettono in mano degli ignoranti che hanno voluto fuggire, perchè non per altra causa si sono discostati dal consiglio grande; ma se la casca ne' principali del senato come intendo che communemente interviene, ecco che si può immaginare a dipresso chi abbino a essere gli elettori ed in consequenzia precedere quelle ambizioni e corruttele di che loro hanno avuto paura. Ma pognamo che le non precedessino; chi proibisce che in sul fatto, quando sono serrati, come loro dicono, nel conclave, dove prima che siano d'acordo stanno qualche volta parecchi dì, non si faccino tra loro pratiche e prieghi, per sè o per gli amici? Le quali in poco numero bisogna che possino assai; anzi se voi parlerete co' Viniziani che vi voglino dire il vero, si fanno tra loro, poi che sono in conclave, infinite pratiche. Volete voi che io vi dia uno segno vivo di questo? Giovanni Lanfredini, il quale ognuno di voi cognobbe, e come ognuno di voi sa, ebbe grande amicizie e mezzi in Vinegia, subito che erano fatti i quarantuno, avisava Lorenzo: «E' sarà Doge il tale o il tale, perchè hanno più amicizie e mezzi ne' quarantuno che gli altri», e così arebbe saputo fare ognuno che cognoscessi le dependenzie di quegli gentiluomini. E questo vi dimostra che la elezione non va totalmente secondo i meriti, perchè se si dessi a chi merita più, si potrebbe fare il medesimo judicio vero prima che fussino fatti i quarantuno, perchè i meriti di chi ha a essere eletto sono sempre i medesimi; ma poi che il judicio si fa più certo doppo la elezione de' quarantuno, è segno manifesto che le passioni loro vi possono qualche volta più che il giusto. Credo bene che sempre sia fatto Doge uno de' principali, verbigrazia uno de' quattro o sei che meritano più, perchè non è verisimile che in una cosa di tanto momento si faccia maggiore estravaganzia; pure chi abbia a essere di questi quattro o sei, dà la sentenzia non i meriti maggiori, ma le inclinazioni di quegli pochi che eleggono; e però essendo conveniente che a tanto grado sia eletto chi lo merita più che gli altri, a discernere chi sia questo, sarebbe più integro, più incorrotto e manco errerebbe il judicio di maggiore numero che quello di sì pochi. Udite dunche quello che mi occorre in questo caso che è importantissimo. Io considero che nelle città libere tutti quegli che appetiscono grandezza con mezzi di ambizione hanno tra le altre, dua vie: l'una di pigliare la protezione del popolo e farsi grato alla moltitudine, la quale corre a esaltargli volentieri, perchè acquistano fede con lei, mostrando di tenere conto del bene della patria e particularmente de' commodi del popolo. E chi ha questo fine non pensa tanto che gli assunti che lui piglia siano giusti o ingiusti, utili o dannosi, quanto che siano tali che abbino a piacere alla moltitudine; e chi è andato per questo cammino è stato qualche volta autore di molto bene e qualche volta di grandissimi mali e di divisioni e scandoli grandi, avendo seminato negli animi del popolo carichi falsi ed opinioni perniziose, come sono piene le istorie di questi esempli; e da questi princìpi sono nate spesso le tirannide, perchè come hanno avuto il credito della moltitudine, l'hanno con varie arte ed astuzie condotta a fine contrario di quello che gli hanno mostro da principio. Ne è bene stato qualcuno che ha cercato di acquistare la riputazione per questavia ambiziosa, ma come la ha acquistata ed avuto in potestà gli animi populari, l'ha diritta a buono fine, come si dice di Pericle, i princìpi di chi furono ambiziosi, ma come ebbe preso piede, adoperò la sua autorità a benificio e grandezza della patria. Pure quasi sempre questi tali hanno fatto cattivi effetti, in che non accade ora insistere; basta che questo è uno modo da chi vuole crescere per vie indirette, insinuarsi al popolo più che non si conviene, donde molti sono esaltati spesso più che non meritano. L'altro modo che è opposito a questo, è pigliare la via del senato, e cercare di venire in opinione di essere fautore delle dignità e commodi suoi, perchè ancora che il senato e la moltitudine siano membro di una medesima republica, e che tutti doverebbono tendere a uno medesimo fine, pure accade spesso che tra loro sono emulazioni e diversità di opinioni; di che communemente è il fondamento che al senato pare conveniente che le cose si governino a arbitrio suo, alla moltitudine non pare giusto che il senato la domini. E queste contenzione, se bene qualche volta nascono da onesti princìpi, pure vanno poi più oltre, perchè la natura degli uomini è insaziabile, e chi si muove alle imprese per ritenere il grado suo e non essere oppresso, quando poi si è condotto a questo, non si ferma quivi ma cerca di amplificarlo più che lo onesto e per consequente di opprimere ed usurpare quello di altri. Quando la republica è ordinata in modo che il popolo vi può più che il senato, più sono quegli che pigliano la via del popolo e più sono ingiuste le imprese loro; perchè ordinariamente le ingiurie nascono da chi può più, ed allora chi piglia la difesa del senato non lo fa communemente tanto per acquistare grandezza, quanto per difendere il grado suo e quella parte a che ha più affezione; e per contrario quando il senato può più, le ingiurie ed i pensieri perniziosi nascono da lui, e più sono quegli che cercano insinuarsi a lui. Ma come si sia, chi toglie questi assunti non pensa tanto a quello che sia onesto o beneficio della città, quanto al satisfare a coloro a chi si è aderito o a chi si vuole fare grato; anzi quando non vi è discordia alcuna, questi instrumenti, per dare adito alla ambizione sua, cercano spesso di farla nascere col proporre nuove leggi e nuovi disegni; e però è da fare ogni opera che le republiche siano temperate in modo che questa via ambiziosa resti serrata o manco aperta che si può, ed e cosa questa che potrebbe importare tanto, che non sarà mai troppa cura alcuna che si metta. Io penso adunque che se la elezione del Gonfaloniere a vita l'avessi a fare il consiglio grande, dove il senato è la minore parte, che facilmente uno cittadino, o fussi senatore o no, potrebbe pensare di pervenire a questo grado con le arte populari delle quali è detto di sopra e col farsi autore delle cose grate alla moltitudine; e per contrario, se questa elezione l'avessi a fare il senato, chi aspirassi a questo grado si darebbe tutto al senato, preponendo le voglie di quello alla utilità della città e tenendo poco conto de' commodi del popolo, cosa che non è a proposito della città, perchè chi si truova in Governo debbe avere caro in uno modo medesimo tutti i membri della republica secondo il grado loro, e pensare a' commodi di tutti secondo quello che si conviene. Però mi parrebbe che a fare il Gonfaloniere si ragunassi il senato e tutti quegli che possono intervenire seco alle elezione, e messone a partito quaranta o cinquanta che fussino nominati da persone tratte per sorte, se ne pigliassino tre delle più fave, o vinto che avessino il partito o no, e quegli si mettessino di poi un altro dì in consiglio grande, e chi avessi più fave che gli altri e vincessi il partito per più che la metà delle fave, restassi Gonfaloniere. Ed in caso che nessuno si vincessi, se ne avessi a eleggere in senato altri tre e rimandargli a partito nel modo medesimo, e quello che vincessi ed avessi più fave restassi eletto; e non ne vincendo nessuno, si rimandassino quello dì o un altro, tutti sei in consiglio grande, e quello che di loro avessi più fave, se bene non vincessi il partito, restassi Gonfaloniere. Questo modo mi pare che fugga tutti i disordini che sono nel modo viniziano, perchè intervengono tanti alla elezione che non si può temere di passione o di corruttela, ed anche sono i più qualificati della città, in modo che saranno molto più atti a discernere che non sarebbe il consiglio grande; al quale andando la elezione già vagliata e ristretta a tre, potrà errare di poco, perchè se bene non togliessi il migliore di tutti tre, come credo che sempre torrà, è credibile che resterà eletto uno de' tre più atti di tutta la città, ed a judicio mio non accadrà forse mai che nel consiglio grande non resti uno de' primi tre. Questo modo ha qualche conformità con le elezione che facevano i Romani de' re, che prima si eleggeva in senato e poi aveva a essere approvato dal popolo, e fuggirà quelli inconvenienti di che io temevo, perchè non potendo essere fatto alcuno Gonfaloniere se non vi concorrerà la volontà del popolo e del senato, nessuno per questa ambizione arà causa di gittarsi con modi sediziosi e non ragionevoli più a l'uno che a l'altro; anzi sarà stimolo a ogni cittadino principale di vivere bene e portarsi in modo che possa avere riputazione e benivolenzia appresso a tutta la città ed essere tenuto uomo da bene ed amatore della patria. E se si dicessi che questa diligenzia è superflua, perchè il Governo è ordinato e legato in modo che quelle vie ambiziose di che io temo sono assai serrate, dico che è per esserne tanto più sicuro, e perchè anche in su certe occasione e gridi vani nasce qualche volta una opinione falsa nella moltitudine, che a torto si dà a uno una riputazione che non la merita (la quale quando per sorte concorressi in uno tempo che si avessi a eleggere il Gonfaloniere, potrebbe volgere il popolo a qualche stravaganzia), mi pare che con questo modo ci assicuriamo più da ogni errore; ed il caso importa tanto, che quando bene questa diligenzia non giovassi in cento anni più che una volta, non sarebbe stato altro che saluberrima ordinazione. Osserverei il medesimo ordine nella elezione de' senatori, quando alcuno ne vacassi, e lo farei per la medesima ragione che non restassi speranza a alcuno di acquistare grandezza se non per il cammino diritto; e certo questi ordini accenderebbono, se io non mi inganno, tanto gli animi degli uomini al portarsi bene, così nelle azioni private come ne' magistrati e nel senato, quando l'uomo vi fussi aggiunto, e successivamente di quegli che già fussino entrati ne' dieci e nella pratica, che io spero che per i più si farebbe a gara nel bene operare e nel giovare alla patria, in modo che ne seguiterebbono ottimi frutti. Questi e simili stimuli sono necessari in una republica a volere accendere gli uomini al bene fare, perchè se bene naturalmente tutti quegli che non cavano più frutto o più satisfazione del fare male che del fare bene, sono inclinati al bene, come io dissi jeri, e che questa inclinazione sia sì naturale, che chi ne manca e per satisfare alla natura sua fa più volentieri male che bene, si possi chiamare più presto bestia che uomo, perchè manca della inclinazione naturale a tutti gli uomini; nondimeno è tanta la nostra fragilità e tante le occasioni di corrompere o pervertire questo instinto, che gli uomini indotti da varie cause facilmente ne declinano. Però gli antichi savi che ordinorono le republiche, parendogli che fussi necessario aiutare di tenere in qualunche modo ferma questa inclinazione naturale, ordinorono il premio e la pena, dicendo saviamente che erano il fundamento delle città. Nè crediate che intendessino il premio, che ogni volta che uno cittadino facessi qualche bene avessi a essere pagato, perchè a questo, oltre che sarebbe uno modo mercennario non conveniente tra la patria ed i suoi cittadini, non basterebbono le entrate di alcuna republica; ma i premi sono, avere ordinato il Governo in modo che negli onori e nelle dignità chi si porta bene sia distinto e ricognoscinto dagli altri, che è quella cosa che accende gli animi nobili più che' danari o altra spezie di rimunerazione. E questo modo di premio porta anche la pena seco, perchè dando gli onori a' benemeriti della republica, restano esclusi e depressi gli altri; però chi ha gusto di uomo teme questa depressione e per fuggirla piglia quello vivere che conduce agli effetti contrari. Non dico già che questa pena possi tanto ne' cattivi quanto può quello premio ne' buoni, perchè sono certi animi sì male disposti che non cognoscono l'onore e la vergogna, ed a questi bisognano le pene criminali, nelle quali anche mi pare che si sia, massime nelle più importanti, provisto abastanza, ed alla giornata si provederebbe meglio, perchè come voi avessi messo in essere uno Governo di questa sorte, la amministrazione del quale sarebbe in fatto de' migliori e più savi, si andrebbono ogni dì limando le cose, e molti si sforzerebbono essere autori di belle legge, in modo che a' tristi si provederebbe alla giornata meglio. E perchè come disse Piero Guicciardini, potrebbe accadere che uno Gonfaloniere fussi sì insufficiente che la città patirebbe troppo di avere a aspettare la sua morte, ci resta trovare uno modo di provederci secondo le legge, senza aprire la via a novità ed a scandoli. Io credo che questo caso verrà difficilmente, perchè eleggendosi il Gonfaloniere nel modo detto di sopra, sarà quasi impossibile che la elezione non caggia in uno di quegli che sia tenuto de' più valenti uomini della città; il quale se non riuscirà alla opinione che si aveva di lui, sarà difficile se ne discosti tanto e riesca sì debole che la città per questo rovini, massime che voi vedete il Governo ordinato in modo che i cittadini principali aranno a fare paragone tuttodì di quello che vaglino, e però male si potrà coprire sotto il mantello di valent'uomo chi sia così dapoco. Pure se il caso succedessi o gli sopravenissi impedimento che lo facessi non atto, voglio sia in potestà di ognuno de' signori chiamare il senato e quegli che in senato intervengono alle elezione e proponere la deposizione sua, la quale si abbia a differire a un altro dì e vincere per i tre quarti delle fave di quegli che saranno ragunati in numero sufficiente. Se accadrà che per delitti, cioè per machinare contra lo stato o per altre cose criminali meriti essere punito o deposto, voglio che oltre alla via di sopra, abbino autorità di farlo i magistrati medesimi che possono punire gli altri cittadini, verbigrazia gli otto ed i conservadori secondo i casi, ma che abbia lo appello al senato medesimo ed agli arroti; ed essendo confermata per i dua terzi delle fave, la sentenzia data abbia effetto. È vero che quando fussi deposto per imputazione di avere machinato contra lo stato, voglio che etiam pendente lo appello si intenda sospeso dallo officio suo, non già che esca di Palazzo, ma che non eserciti autorità alcuna, perchè il caso contra lo stato, se fussi vero, potrebbe essere tale che troppo sarebbe periculoso il lasciargli fare lo ufficio; ma quando fussi per altra causa che di stato, non ha a diminuire niente delle autorità sua insino che la sentenzia data non fussi confermata; la quale confermata, in ogni caso si esequisca se bene fussi di pena capitale. Questa è la forma del Governo libero e populare che mi occorre, avendoci pensato più volte in questo ozio che ho doppo la cacciata di Piero; la quale confesso che chi avessi la materia disposta a ricevere quella forma che gli paressi, potrebbe in qualche particulare fare migliore; ma io ho pensato uno modo che io non sono fuora di speranza che col tempo e con qualche occasione si potessi introducere; ed anche introdotto che fussi, perchè nel maneggiare le cose le si cognoscono meglio che nel disegnarle, e quando paiano bene disegnate non riescono a punto sempre secondo i disegni, si andrebbe tuttavia limando, ed ora col levare, ora col porre, riducendo a' fini che l'uomo desidera. E mi pare che si accosti tanto al gusto ed a' fini che può avere il popolo, che se questo o uno simile a questo non ha a essere accettato, credo ci resti poca speranza che le cose s'abbino mai a riformare in modo che sia tollerabile. Parmi bene che in genere il Governo sia buono e che abbia quelle parte principali che si ricercano in una republica libera, ed ha grandissima similitudine col Governo viniziano, il quale, se io non mi inganno, è il più bello ed il migliore Governo non solo de' tempi nostri, ma ancora che forse avessi mai a' tempi antichi alcuna città, perchè participa di tutte le spezie de' governi, di uno, di pochi e di molti, ed è temperato di tutti in modo che ha raccolta la maggiore parte de' beni che ha in sè qualunche Governo e fuggiti la più parte de' mali. Il doge, i pregati, quegli magistrati principali scelti hanno seco quella cura, quella vigilanzia e quello essere ridotte le faccende in mano di chi le intende, che ha uno principe ed uno stato di ottimati; da altro canto sono legati di sorte che non possono diventare tirannide. Il consiglio grande ha seco quello bene che è principale nel Governo del popolo, cioè la conservazione della libertà, la autorità delle legge e la sicurtà di ognuno, ma è contrapesato in modo dal doge, da' pregati e magistrati che discendono da quegli, che le deliberazione importanti non vengono in arbitrio della moltitudine, e cessa il pericolo che le cose si resolvino in quella licenzia populare perniziosa. Però vedete che poi che quello Governo prese piede, si è mantenuto tante centinaia di anni in una medesima forma e senza mai cognoscere sedizione e discordie civili, e questo non procede perchè tra loro non sia degli odi e delle inimicizie come nelle altre città, che si vede quando hanno occasione di scoprirle giustificatamente, o perchè non vi sia degli animi ambiziosi e male regolati che se avessino facultà disordinerebbono; ma gli ordini del Governo sono tali che a loro dispetto gli tengono fermi. Considerate i governi delle republiche di Grecia ed in spezie quello de' Romani che fece tanti effetti: lo troverete pieno di sedizione, pieno di tumulti e mille disordini, i quali se non fussi stata la vivacità delle arme che avevano, con la quale sostenevano ogni errore, arebbono, se fussino vivuti così, precipitato mille volte quella republica. Sarebbe adunque il Governo vostro simile al Governo loro; ed essendo il suo ottimo, il vostro almanco sarebbe buono e sarebbe senza dubio quale non ha mai veduto la città nostra. Perchè o noi siamo stati sotto uno, come a tempo de' Medici, che è stato Governo tirannico, o pochi cittadini hanno potuto nella città, come fu dalla ruina di messer Giorgio Scali insino al 34, e prima in molti altri tempi, che in fatto hanno oppressi e tenuti in servitù gli altri con mille ingiurie ed insolenzie, e tra loro medesimi sono stati pieni di sedizioni in modo che si sono cacciati, decapitati, rovinati l'uno l'altro, e fatto peggio a questa povera patria che non feciono mai gli inimici; o la è stata in arbitrio licenzioso della moltitudine, come fu il tempo de' Ciompi e quello che sotto il braccio della plebe fu grande messer Giorgio Scali, ed altri tempi precedenti; ed allora è stata travagliata in modo, e fatto tanti mali e ruine che è miracolo che centomila volte non sia andata in servitù di forestieri; o è stato qualche vivere pazzo, dove in uno tempo medesimo ha avuto licenzia la plebe e potestà i pochi, come fu a tempo degli ammuniti, e sono allora andate le cose con tanto viluppo e confusione, che io non credo che a tempo del caos ne fussi mai tanta. Però vedete di quante divisione sia stata piena, e gli effetti miserabili che ne sono seguiti: mandati tanti cittadini in esilio, distrutte tante stiatte nobili, arse tante case, saccheggiate o in altro modo estirpate tante ricchezze, decapitati e morti tanti egregi cittadini, fatte tante mutazione sì spesse e sì notabili che io non so come mille volte non sia andata in ultimo precipizio. Però se la sorte o la benignità di Dio non ci dà grazia di riscontrare in una forma di Governo come questa o simile, abbiamo a temere de' medesimi mali che sono stati per il passato; ma dirizzandosi a uno Governo tale, potremo sperare ogni bene e goderemo la libertà vera, la quale, a non si ingannare, non ha mai veduta nè cognoscinta insino a oggi la città nostra.

SODERINI.  Voi dite il vero: così volessi Dio farci questa grazia! Ma in verità che ne credete voi? sperate voi che noi abbiamo a arrivare a tanto bene? Voi ne parlasti jeri, ma più presto disputando che affermando, però vi prego ne riparliate.

BERNARDO.  Pagolantonio, io non sono indovino, e quello judicio che posso fare io può fare molto meglio ciascuno di voi. Ma io cognosco bene che se in questo principio si ragionassi di volere fare uno Gonfaloniere a vita ed uno senato perpetuo, non sarebbe quasi uomo che non se ne facessi beffe, perchè ognuno ora si ha proposto o una certa equalità o una certa larghezza, che sarebbono tutti inimici a chi ragionassi di moderarla, ed insospettirebbono che questi ordini che tutti tendono a fare più fermo e più perpetuo il Governo populare ed alla conservazione della libertà, fussino proposti per introducere uno stato stretto o una tirannide. La città non è usa al vivere del popolo e non ha mai veduto libertà, però in questo principio è una confusione tale che nessuno si intende, ed essendo usciti sì frescamente dello stato de' Medici, sono pieni di sospetto e pigliono ombra di ogni cosa. E' governi buoni si introducono o con la forza o con la persuasione: la forza sarebbe quando uno che si trovassi principe volessi deponere il principato e constituire una forma di republica, perchè a lui starebbe il comandare ed ordinare; e questo sarebbe modo facilissimo, sì perchè come ho detto, dependerebbe tutto da lui, sì perchè il popolo che stava sotto la tirannide e non pensava alla libertà, vedendosi in uno tratto menare al vivere libero con amore e senza arme, benchè si introducessi ordinato e con moderata larghezza, gli parrebbe entrare in paradiso e piglierebbe tutto per guadagno; il che non può intervenire oggi a noi, perchè il popolo si è proposto una larghezza infinita e gli pare che già lo stato sia suo, ed averselo guadagnato col levarsi e cacciare i Medici. Ci si aggiugne che quando si vedessi uno deponere volontariamente il principato, gli sarebbe prestata fede smisurata, vedendosi manifestamente che solo lo movessi lo amore della patria, e però gli ordini suoi sarebbono accettati per la potestà che avessi di comandare, ed accettati volentieri per la autorità e fede che arebbe acquistato. E certo se gli uomini cognoscessino in che consista la laude e gloria vera, si troverrebbe de' prìncipi assai che lo farebbono, perchè io non so come uno uomo potessi lasciare memoria più onorata di sè, che fare uno atto sì egregio il quale dimostrerebbe la bontà sua e lo amore suo grandissimo alla patria, proponendosi manifestamente il bene di quella alla grandezza sua e della casa e progenie sua. Non si potrebbe di questa opera attribuire parte alcuna alla fortuna, ma tutto dependerebbe dalla sua virtù, ed il frutto che ne nascessi non sarebbe beneficio a pochi nè per breve tempo, ma in quanto a lui, a infiniti e per molte età. Ma gli uomini hanno il gusto corrotto, nè credono che l'onore vero consista in altro che nella potenzia, però non si truovano di questi tali; i quali se si volessino scusare, come disse Silla doppo la dittatura deposta, che le ingratitudine ed i mali trattamenti che fanno qualche volta le città libere contro a chi è uscito di principato, sono causa che gli uomini non ardiscono deponerlo, sappino che la non è scusa sufficiente, perchè chi considerassi quanto l'uomo è obligato a amare la patria e quanto gloriosa e perpetua memoria acquisterebbe di simile fatto, la quale nè la ingratitudine nè altro accidente gli potrebbe mai tórre, stimerebbe tanto questi rispetti per sè medesimi, che non arebbe alcuna considerazione se la patria gli avessi a essere grata o no. La quale ingratitudine gli potrebbe poco nuocere, se volessi vivere privatamente ed alieno dalle faccende; dico quando la fussi, che non è verisimile verso uno che voluntariamente avessi fatto tanto bene, massime se nel principato non si fussi insanguinato e fattosi con le sue crudelità inimici particulari, come aveva fatto Augusto e molti altri che spesso ragionorono di restituire la republica e n'ebbono sempre lo animo alienissimo. Ma torniamo al proposito nostro. Si introducerebbe anche il Governo per forza quando uno cittadino amatore della patria vedessi le cose essere disordinate, nè gli bastando il cuore poterle riformare voluntariamente e d'acordo, si ingegnassi con la forza pigliare tanta autorità che potessi constituire uno buono Governo etiam a dispetto degli altri, come fece Licurgo quando fece a Sparta quelle sante legge. Di questi quando si truova chi lo abbia fatto, è da laudargli ed onorargli ed avere loro quella obligazione che merita questo beneficio che è il maggiore che si possa fare a una città, ma non è già da desiderare che questa via si metta in uso, perchè è troppo pericolosa, e darebbe occasione agli uomini ambiziosi di cercare sotto specie di questo bene di occupare la tirannide; ed anche potrebbe accadere che uno da principio entrassi in questa impresa con buona mente, ma che di poi, gustata la potestà, mutassi pensiero convertendosi alla tirannide. E tanto è maggiore questo ultimo pericolo, quanto uno Governo ordinato a questo modo per forza, non si può abbandonare il medesimo dì che è ordinato, perchè insino che non sia consolidato o cognoscinto buono con la esperienzia da coloro a chi non piaceva da principio, cercherebbono di rovinarlo. Però bisogna che la forza duri tanto che abbia preso piede; e quanto più durassi, tanto più sarebbe pericoloso che non gli venissi voglia di continuarvi drento. Sapete come dice il proverbio: che lo indugio piglia vizio. Ci è adunque necessario fare fundamento in su la persuasione, e questa ora non sarebbe udita; ma io non dubito che le cose andranno in modo che innanzi che passi troppo tempo, si cognoscerà per molti la maggiore parte de' disordini, e combatterà in loro da uno canto la voglia di provedervi, da l'altro la paura di non ristrignere troppo il governo. Ed in questo bisognerà, a mio judicio, che giuochi la fortuna della città, perchè i disordini che aprirranno gli occhi alla moltitudine potrebbono essere tali che porterebbono seco sì grande ruina, che nessuna provisione sarebbe a tempo, massime che, come ho detto di sopra, i moti di Italia saranno per chi tiene gli stati, più furiosi e pericolosi che il solito. Potrebbe ancora essere che questi disordini fussino grandi, ma tali che più presto travagliassino la città che la ruinassino, ed allora il punto sarà che chi arà a fare questa riforma la pigli bene, perchè sempre farà difficultà grande il dubio che' cittadini principali non voglino riducere le cose a uno stato stretto; però potrà essere che gli uomini si voltino più presto a uno Gonfaloniere a vita o per lungo tempo che a altro, perchè darà loro manco ombra che uno senato perpetuo, e perchè per questo solo la città non resta bene ordinata. Quello che seguirà doppo la creazione di uno Gonfaloniere, in caso che si faccia, sarà secondo la sua qualità; perchè se sarà ambizioso o troppo sospettoso non cercherà di ristrignere altrimenti le cose, perchè la ambizione gli farà amare di avere a trattare più con gli ignoranti e co' deboli che co' savi e stimati, sperando potere maneggiargli più a suo modo; il sospetto gli metterà paura vana che crescendo la riputazione di simili, non siano desiderosi di altro stato o di ruinare lui, e se la piglierà così, nascerà mala contentezza ne' cittadini qualificati, in modo che andranno intraversando sempre le cose e volgendosi a nuovi pensieri; donde alla fine bisognerà o che lui si getti alla tirannide o che rovini, e la rovina sua non potrà essere senza pericolo della rovina della libertà. Ma se per la fortuna buona della città la elezione cadessi in uno uomo savio ed amatore di questa gloria di fondare uno buono governo, e che cognoscessi che questi ordini, se bene astringessino uno poco la sua autorità, tamen, come disse quello re lacedemonio alla madre che lo riprendeva di avere consentito a fare gli efori, farebbono il magistrato suo più lungo e più sicuro, lui sarebbe mezzo a fare questo resto e lo farebbe facilissimamente, perchè gli sarebbe prestato fede, perchè ognuno sarebbe capace che non lo moverebbe lo interesse proprio, poi che essendo sciolto cercherebbe di legarsi e proporre cose per le quali la autorità sua venissi più presto a diminuire che a crescere, e stando perpetuo nel magistrato, quello che non gli venissi fatto in una volta ed in una occasione, gli riuscirebbe in più. E questa è una di quelle ragione della quale voglio vi ricordiate, se mai verrà in disputa quale sia meglio o farlo a vita o per tempo; perchè essendo a tempo, se vorrà introducere gli altri ordini non gli sarà prestato fede come a uno a vita, potendosi dubitare che lui lo faccia pensando al particulare suo per quando arà finito il magistrato. Però concludendo vi dico che ho per molto dubio e mi pare che dipenda molto dalla potestà della fortuna, se questo Governo disordinato si riordinerà o no; la quale nelle cose del mondo può quanto molti credano; o almanco quegli che attribuendo tutto alla prudenzia e virtù si ingegnano di escludere la fortuna, non possono negare che la non vaglia assai in questo, che le cose naschino a tempo, che truovino compagnia ed occasione da potere condursi a effetto. Dunche io ne sto dubio, ed a ogni modo è mala cosa che non si abbia a sperare di riordinarlo, se dagli errori che si faranno non nasca prima qualche accidente che metta la città in pericolo, perchè è mala condizione di chi sa non potere avere bene se non ha prima il male. E come dissi jeri, io ne arei molto più speranza se la città fussi giovane, perchè oltre che con più facilità piglia ordini nuovi che non fa una città già invecchiata ne' governi cattivi, le cose ancora gli succedono tutte facilmente e felicemente mentre che la fortuna sua è fresca e non ha fatto il suo corso; dove per il contrario quando ha comminciato a dare la volta, pare che non si rilievi o resusciti di niente, o sia che già sono cominciati in lei i costumi cattivi e le corruzione che nascono dalle grandezze delle città, o pure proceda dallo ordine delle cose del mondo che hanno terminata la vita alle città ed agli imperi come a' corpi degli uomini, e però hanno nella vecchiaia sua manco valore e manco virtù vitale che nella giovanezza. Ed avvertite bene che se questo Governo che commincia disordinato non si riordina, bisogna che la fine sia o la ruina della città, la quale perda il Dominio e diventi sottoposta, o che si torni in una tirannide, dove communemente capitano tutti i governi populari licenziosi. Se sarà quella de' Medici arà le male condizioni dette di sopra; e qualunche altro fussi non potrà essere che non sia molto più strana che le passate; e la ragione è in pronto, perchè lo stato de' Medici non successe a una libertà ma a uno stato di pochi, in modo che allo universale che non aveva il Governo in mano non pareva perdere niente e facilmente comportava che lo stato andassi da l'uno a l'altro. Anzi le condizioni di que' tempi erano tale, che sempre i minori facevano bene di questi travagli e mutazione, perchè si spegnevano i principali, ed i bassi erano tirati su e si venivano sempre nobilitando e migliorando il grado suo, ed i capi del Governo non avevono causa se non di carezzargli perchè gli avevono per amici. E questo era vero in ogni novità, e fu molto più in quella del 34, perchè la casa de' Medici tra gli altri fondamenti che ebbe di crescere, fu il favore degli uomini bassi. Ma ora che il popolo arà gustato la dolcezza della libertà ed uno reggimento dove a ognuno pare avere parte, non si potrà più fare stato stretto che non sia in sommo odio dello universale, e chi ne sarà padrone bisognerà che viva pieno di sospetto e si fondi in su la forza; e che stati siano quegli ne' quali ha a regnare la violenzia ed il sospetto voi lo sapete senza che io lo dica. Voglio di questo inferire un'altra cosa alla quale a me non toccherà a pensare, perchè la vita mia non si allungherà tanto; ma voi che siate ancora di fresca età ed a' quali, se non si viene in una estrema confusione, non può mancare riputazione grande a Firenze, dovete, come vi dissi jeri, levati tutti gli altri fini, pensare di avere a vivere sotto a questo e governarvi di sorte che si abbia a credere che voi abbiate questa voluntà, stando con la disposizione e co' fondamenti vostri da potere aiutare ogni occasione che si presentassi di riordinarlo, non vi lasciando però traportare tanto da questo desiderio che vi mettiate a farne pruova innanzi al tempo. Perchè le medesime imprese che fatte fuora di tempo sono difficillime o impossibili, diventono facillime quando sono accompagnate dal tempo e dalla occasione, ed a chi le tenta fuora del tempo suo non solo non gli riescono ma è pericolo che lo averle tentate non le guasti per a quello tempo che facilmente sarebbono riuscite, e questa è una delle ragione che i pazienti sono tenuti savi. E nel riordinare le cose se la occasione verrà, ricordatevi che se non potrete condurle totalmente a quello segno che starebbe bene, che vi basti che almanco si conduchino in grado tollerabile e che si mantenga viva la città; e del resto più presto andate comportando e temporeggiatevi il meglio che potete, che desideriate novità, perchè non vi potrà venire cosa che non sia peggio. Ma oramai è tempo che io dia luogo a voi, perchè non mi occorre dire altro ed ho detto assai più che io non credetti da principio.

GUICCIARDINI.  Diteci ancora, vi prego, dua cose: che tempo vorresti voi che avessi a avere il Gonfaloniere a vita, e se voi volessi che gli uffici che si aranno a fare in consiglio grande si faccino tutti per le più fave.

BERNARDO.  E' Viniziani non credo mettino termine alla età del doge, e già ne fu uno chiamato messer Andrea Dandolo, di chi il Petrarca nostro fu molto familiare, che fu eletto di circa trenta anni o poco più. Il papa ancora lui può essere eletto giovane, e lo ultimo Bonifazio fu eletto di ventotto anni. E' Romani osservorono lungamente il medesimo nel consulato; di poi ordinorono che non potessi essere consule chi non avessi quarantadue anni. Furono in Roma molti giovani eccellenti, come gli Scipioni ed altri, i quali se per la età fussino stati esclusi da' magistrati, sarebbe stato danno grande della republica, in benificio di chi feciono giovani sì egregie opere; ed il medesimo può accadere in ogni città ed in ogni età. Nondimanco in uno grado supremo che abbia a stare a vita come questo, io lo vorrei di età matura, perchè oltre che la è ordinariamente più moderata e manco pericolosa, ed ha seco più maiestà, chi vi stessi anche tanto quanto potrebbe stare uno giovane, verrebbe troppo in fastidio agli altri. È fresco in Vinegia lo esemplo di messer Francesco Foscaro che fu sì eccellente Doge e sì savio quanto avessi forse mai quella città, ed a tempo di chi feciono tanti acquisti; e nondimanco perchè stette più di trenta anni, venne tanto a noia a quegli gentiluomini, che allegando che era rimbambito perchè altro non potevano dire, lo deposano. Gli uffici principali, oltre a quello che ho detto del Gonfaloniere e de' senatori, vorrei che a ogni modo si facessino per le più fave, come gli otto di balìa, gli arroti al senato, il capitano di Pisa, di Arezzo, di Pistoia, di Volterra e di Cortona; e perchè sono uffici importanti, e perchè vorrei che questi gradi fussino come scale da onorare i cittadini, chè in uno Governo libero dove si cerca di avezzare gli uomini alla estimazione degli onori e si pensa di dare pasto a molti di qualità, è molto a proposito che vi siano più gradi reputati che si può, che siano come scale l'uno a l'altro; e però fanno saviamente i Viniziani che non manderebbono fuora in uno officio minore chi già ne avessi avuto uno maggiore. Farei ancora le ròcche di più importanzia; e se il popolo non si contentassi a questo ordine, farei almanco che di quegli che andassino a partito si pigliassino tanti delle più fave e si mettessino alla sorte. In effetto il fine mio sarebbe che gli uffici che importano si facessino per le più fave; negli altri che importano meno si imborsassino tutti quegli che vincessino il partito per la metà delle fave ed una più. Pure farei più o manco secondo mi potessi fidare, ed in quegli che restassino per le più fave o a' partiti stretti, aggiugnerei a ogni modo che poi che ne fussi andato uno certo numero a partito, si togliessino quegli delle più fave ancora che non avessino vinto; e questo acciò che il consiglio non potessi col non vincere, sforzare a fare una provisione che allargassi questi modi più che non si fussi ordinato da principio.

GUICCIARDINI.  Io dirò pure ancora un'altra parola. Voi avete laudato le arme de' Romani come meritamente sono laudate da ognuno, e biasimato molto il Governo di drento che ancora è secondo la opinione di molti; pure io ho udito disputare qualcuno in contrario, e le ragione che loro allegano sono che ponendo quello fondamento che nessuno nega nè può negare, che la milizia sua fussi buona, bisogna confessare che la città avessi buoni ordini, altrimenti non sarebbe stato possibile che avessi buona disciplina militare. Dimostrasi ancora perchè non solo nella milizia ma in tutte le altre cose laudabili ebbe quella città infiniti esempli di grandissima virtù, i quali non sarebbono stati se la educazione non vi fussi stata buona, nè la educazione può essere buona dove le legge non sono buone e bene osservate, e dove sia questo, non si può dire che l'ordine del Governo sia cattivo. Dunche ne seguita che quegli tumulti tra i padri e la plebe, tra i consuli ed i tribuni, erano più spaventosi in dimostrazione che in effetti, e quella confusione che ne nasceva non disordinava le cose sustanziali della republica. Di poi essendo il numero del senato piccolo, quello del popolo grandissimo, bisognava che i Romani si disponessino o a non si servire del popolo nelle guerre, il che arebbe tolto loro la occasione di fare quello grande imperio, o volendo potere maneggiarlo, gli comportassino qualche cosa e lasciassingli sfogare gli umori suoi, che non tendevono a altro che a difendersi dalla oppressione de' più potenti ed a guardare la libertà commune. E se si discorre bene, dalla deposizione de' re insino a' Gracchi, ancora che facessino grandissimi romori, furono con danno di pochi cittadini, e senza mai venire tra loro alle arme. Nè negano che se si fussi potuto trovare uno mezzo che senza avere il popolo tumultuoso si fussino potuti valere di lui alla guerra, sarebbe stato meglio; ma perchè nelle cose umane è impossibile che una cosa sia al tutto buona senza portare seco qualche male, è da chiamare buono tutto quello che senza comparazione ha in sè più bene che male. E così fu del Governo di Roma, dove il male e disordine che ebbe nacque più dalla natura delle cose che non si possono avere in tutto nette, che da mancamento de' loro ordini; ed il magistrato de' tribuni che sopra tutto è dannato da chi biasima il Governo romano, oltre al difendere, come è detto, il popolo dalle oppressione de' grandi, fu una guardia della libertà commune, sì per la facultà di proporre al popolo nuove legge, come per la intercessione e molto più per le accusazione che sono utilissime in una città libera, perchè battono i cittadini perniziosi e dì nno terrore grande a ognuno di machinare contra la libertà e di vivere contra le legge. Perchè se si aspetta che i delitti siano puniti senza che vi sia chi gli metta in luce e chi gli cacci, si fa spesso tardi e sempre negligentemente; ed in questo manca forse il Governo disegnato da voi, perchè non avete pensato a' modi che invitino gli uomini o gli necessitino a fare questo effetto; senza che anche forse i tribuni o uno magistrato simile non sarebbe inutile per moderare il senato, che vorrà forse arrogarsi troppo e pensare al continuo di crescere la potenza sua, massime che come voi avete detto, è sempre tra lui e la moltitudine una certa diversità di opinione, e però bisogna che vi sia qualche mezzo a moderare quella parte che ha più facultà di opprimere l'altra. E questo tutto ho voluto dire per darvi occasione di discorrere tanto più nella materia de' governi ed imparare quale sia migliore parere.

BERNARDO.  Io non voglio replicare alla modestia tua per non consumare il tempo in cerimonie, e però venendo allo stretto, replico che come di' tu e come dice ognuno, la disciplina militare de' Romani fu ordinatissima, la quale fu fondamento della grandezza loro. Dico ancora che il Governo di drento fu tumultuoso e pieno di sedizione, che se non fussi stata sì vigorosa la virtù militare arebbono molte volte precipitata quella republica. E questo a judicio mio procedeva da essere male ordinato, e quelle ragioni medesime che tu alleghi per scusarlo ed attribuirlo a necessità causata da fine di maggiore bene, dimostrano, se io non mi inganno, essere vero quello che dico io. Le divisione de' Romani delle quali noi parliamo, ebbono principalmente una origine medesima, cioè da essere distinti gli ordini della città: una parte patrizi, l'altra plebei, ed il Governo ordinato in modo che i magistrati e gli onori toccavano solamente a' patrizi, ed i plebei ne erano esclusi per legge, donde si poteva dire che una parte della città fussi in Dominio, l'altra in servitù. Questo solo non sarebbe forse bastato a fare nascere le discordie che nacquono, perchè ancora che i plebei fussino senza comparazione più in numero, la minore parte era quella che aspirava al governare ed a questi gradi, ed essendo la minore parte non sarebbe stata sufficiente a venire in controversia co' patrizi; ma ci si aggiunse un altro stimolo che fu quello che sollevò la plebe bassa, e questo è che i patrizi non usorono moderatamente la sua autorità, anzi cominciorono a fare ingiuria a' plebei ed a stringergli nelle cose di ragione, come ne' pagamenti de' debiti ne' quali non si contentavono torgli le sustanzie, ma non bastando, bisognava che le persone andassino in mano de' creditori. Dalle quali asperità si dette occasione a' plebei principali di tirare in sentenzia sua la plebe bassa, e fatto a queste imprese uno corpo medesimo, cercare legge nuove di provedere a' debiti e di abilitare i plebei agli onori, che si proponeva in gran parte sotto colore che la plebe bassa non si assicurerebbe mai dalle ingiurie se i suoi non entravono nel governo. E ci si aggiunse in progresso di tempo, come sono gli animi degli uomini augumentatori de' commodi suoi e che non stanno mai contenti a' primi disegni, la cupidità del dividere le possessione che erano state a principio del publico. Ma questo fu l'ultimo stimulo, perchè più premeva il caso de' debiti per i quali le persone andavono in servitù, che non moveva la voglia di dividere i beni occupati dagli altri; e questo è secondo l'ordine naturale: pensare prima a conservare il suo e poi a occupare quello che tiene altri. Questi ordini non nacquono di nuovo al tempo della libertà, ma nacquono insieme con la città e stettono a tempo de' re, perchè da principio furono distinti i patrizi da' plebei, ed il senato innanzi a Tarquinio Superbo, che convertì più il regno a tirannide che non avevono fatto gli antecessori, interveniva, insieme co' re, alla cura della republica, perchè i re consultavano col senato tutte le cose di momento. Ma allora questa distinzione non poteva per molte cagione fare disordine; prima, perchè il re che era superiore a tutti non lasciava ingiuriare la plebe, anzi si ingegnava di tenerla bene contenta, e vi fu di quegli che passorono più presto il segno in tratenerla troppo ambiziosamente che altrimenti; ma almanco gli proibivano le ingiurie, e se per malignità della fortuna la vedevano in qualche calamità, cercavano di soccorrere a' commodi suoi. Leggesi di Servio che pagò i debiti de' poveri del suo proprio, divise le possessione publiche che erano usurpate da' potenti, ed ordinò che le gravezze che andavono prima così adosso al povero come al ricco, si distribuissino secondo le possibilità degli uomini, e fece molte altre legge equali. Però essendo i re defensori che la plebe non fussi ingiuriata, e soliti a soccorrerla nelle sue necessità, non avevano causa di desiderare di intervenire al governo, che è uno stimulo che muove solo quegli di più qualità. Vedete che doppo la cacciata de' re, quando fu in facultà del populo fare i tribuni con potestà consulare o patrizi o plebei, la plebe medesima eleggeva sempre i patrizi; ed in ultimo, quando quegli tribuni che continuorono tanti anni il magistrato, publicorono legge nuove de' debiti, delle possessione e del consulato, la plebe vinceva le prime e ributtava l'ultima se le avessino messe a partito separate; nè dette loro alla fine il cuore di potere conseguire gli onori, se la legge non stava in modo che di necessità avessi a essere sempre consule uno plebeo. A tempo adunque de' re, la plebe non fece mai romore di essere esclusa dagli onori, perchè era difesa dalle ingiurie, e tanto più che essendovi il re dal quale dependevano alla fine le deliberazione, lo intervenire nel Governo non era di tanta autorità nè tanto stimato, quanto fu poi a tempo della libertà. E ci si aggiugne che i re messono molte volte ne' patrizi molti plebei; in modo che quegli di più qualità speravano di potere diventare patrizi, e così lo universale della plebe, non sendo oppressato da persona ed essendo qualche volta sollevato da' re, stava contento, ed i principali plebei non erano fuora di speranza di essere ammessi agli onori. Queste ragione cessorono tutte per la cacciata de' re, perchè la autorità de' patrizi diventò grandissima, sendo transferita in loro la potestà e la maiestà regia, e la plebe restò esposta alle ingiurie ed insolenzie loro, non avendo più chi la difendessi e senza sollevamento alcuno del rigore della ragione, ed i principali plebei non solo senza dignità ma senza speranza di poterne mai avere in quella forma di governo, perchè i patrizi tenevono serrata la via degli onori e più presto gli arebbono communicati a qualche forestiero che a uno plebeo; tanto è naturale a chi tiene grado di nobile, avere in fastidio e reputare vili quelli che sono tenuti ignobili nella medesima patria. Questa alterazione non fu avvertita nella cacciata de' re; perchè gli uomini, quando una cosa gli molesta, sono tanto intenti communemente a liberarsene che non avvertiscono a' mali che sono per succedere per la liberazione di quella, e se pure gli cognoscono gli stimano manco, sperando avere tempo a provedervi; ed anche accade in una libertà nuova che gli uomini, per non essere assuefatti a quello modo di vivere, non intendono bene la natura del Governo libero, nè sanno nel principio ordinare bene una forma di republica. E certo se voi leggete le antiche istorie, io non credo che voi troviate mai o rarissime volte che una città in una ordinazione medesime sia stata ordinata perfettamente; ma ha avuto qualche principio non perfetto, e nel processo del tempo si è scoperto quando uno disordine quando un altro, che si è avuto a correggere. Però si può dire con verità che a ordinare una bella republica non basta mai la prudenzia degli uomini, ma bisogna sia accompagnata dalla buona fortuna di quella città, la quale consiste che i disordini che scuopre la giornata ed esperienzia si scuoprino in tempo ed in modo e con tale occasione che si corregghino. E questo mi fa avere qualche speranza che questo vostro Governo si possi ordinare, benchè, come ho detto più volte, maggiore la arei se la città fussi giovane, perchè sarebbe più facile a ricevere le impressione e non arebbe la fortuna sua ancora stracca. Ma ritornando a proposito, voi vedete quale fu la causa delle sedizione di Roma, perchè si trovò male condizionata quella parte che senza comparazione era maggiore e senza la quale la città, che aveva ogni fondamento suo nelle arme, non poteva fare la guerra. Nè si può negare che questo fussi grande disordine, ordinare uno Governo che si può dire che aveva bisogno di ognuno, e che quasi ognuno ne fussi ragionevolmente mal contento. Però il modo vero sarebbe stato che la città fussi tutta di uno medesimo corpo, e quanto al participare del Governo non fussi distinzione da' patrizi a' plebei; così sarebbono stati uniti, e cessavano le cagione delle ingiurie, nè alcuno arebbe avuto causa di suscitare il popolo a tumulti per aprirsi la via agli onori. E che sia vero lo mostra che poi che il consulato e gli altri magistrati furono communicati a' plebei, e moderata la severità de' creditori, la città stette tranquilla centinaia di anni insino alle sedizione dei Gracchi che ebbono altra origine; ed i tribuni della plebe che prima era stato magistrato tumultuoso stettono assai quieti, sì perchè i plebei principali, poi che erono abilitati al governo, non avevano causa di fare nascere sedizione, sì perchè quando bene avessino avuto questa intenzione, non trovavano disposta la plebe che non aveva necessità. E che il Governo romano dovessi essere così, lo pruova meglio che nulla la ragione che allegò Piero Guicciardini, che volendo adoperare la plebe alle arme, bisognava tenerla satisfatta; o volendo tenerla mal contenta bisognava abbandonare il traino della milizia. Ma perchè i patrizi, volendo tenere gli onori in sè, non vollono fare questo, e da altro canto non pensorono o non seppono trovare modo che la plebe vivessi sicura dalle ingiurie e che a' principali plebei fussi aperta la via di potere essere tirati qualche volta ne' patrizi, cominciorono le divisione; che furono di tale peso che, come io dissi da principio, se la città non avessi avuto la disciplina militare tanto viva, vivendo con quelle sedizione, senza dubio precipitava. Voi sapete quante volte essendo gli inimici per il paese e quasi in su le porte, la plebe recusò di pigliare le arme; quante volte gli eserciti per dispetto de' consuli e del senato recusorono combattere e qualche volta si messono in fuga. Sapete la andata della plebe nel Monte Sacro e poi nel Ianiculo; che essendo occupato il Capitolio da' servi e temendosi che in soccorso loro non venissino gli inimici vicini, non volle il popolo pigliare le arme, che fu con grandissimo pericolo della città. Sapete che per le medesime sedizione stettono tanto tempo senza magistrati curuli, con difficultà di ragunare il senato; gittoronsi a fare i dieci senza appello, donde ne nacque una tirannide che sarebbe continuata più ed afflitta la città, se lo avere il popolo armato non gli avessi liberato. Si conterebbono molti altri accidenti che non potevano essere più periculosi e più perniziosi; ma la riputazione delle arme loro era tale, che molte volte i vicini, ancora che gli vedessino disordinati, non ardivano di assaltargli, e quando pure gli assaltavano, benchè tardassino a uscire fuora, lo facevano poi con tanto vigore e con tanto nervo, che resarcivano presto tutto quello che per le divisione loro avevano perduto. Se avessino guerreggiato con le arme mercennarie ed in consequenzia avuto a valersi come fanno le città disarmate, della sollecitudine, della diligenzia, del vegghiare minutamente le cose, della industria e delle girandole, non dubitate che vivendo drento come facevano, pochi anni la arebbono rovinata. Ed anche così fu in grandissimi pericoli, ma la salute sua fu che i patrizi si andorono sempre ritirando, ed ancora che lo facessino con difficultà e combattessino quanto potevano, cedevano pure alla fine, perchè essendo in numero molto minore, non potevano venire alle mani; che se fussino stati più del pari, non arebbono voluto communicare il governo. E nonostante questo furono qualche volta in dubio di pigliare le arme e di amazzare i tribuni; ma la prudenzia de' vecchi sempre ritenne i giovani, non perchè io creda che avessino quello rispetto che scrive Livio, che i tribuni erano sacrosanti e che gli avevano accettati per legge, ma perchè considerorono che ogni principio di sangue civile era totalmente la rovina di tutti. Alla fine fu necessario per non rovinare la città cedere alla plebe e communicare il governo, ma doppo molte sedizione e pericoli; e perchè non si fece al tempo suo, restorono col magistrato de' tribuni, il quale io giudico che fussi di più danno che di utile, perchè la autorità che avevano di potere tutti e ciascuno di loro portare le legge al populo era perniziosa, atteso che il popolo non ha tanta capacità che basti, ed è la rovina delle città che le deliberazione importanti siano portate a lui, se prima non sono digestite in luogo più maturo. Il medesimo dico della facultà delle conzione: che vorrei al tutto escluderne il popolo, se non da quelle che si fanno da' magistrati o per ordine loro, per persuadere una cosa già deliberata in senato. Discorrete Livio e gli altri: quante volte le conzione de' tribuni e le legge portate da loro al popolo turborono la città; e negli ultimi tempi de' Gracchi, della grandezza di Mario, della tirannide di Silla e della troppa potenza di Pompeo, tutti quegli mali si feciono con lo instrumento di questo magistrato. E se bene i consuli avevano la medesima autorità delle conzione e del proponere le legge, tamen essendo membro del senato non gli pareva si convenissi a loro il farlo, come a' tribuni che erano pagati per questo, e però rarissime volte lo facevano, e quando lo facevano la plebe non gli prestava fede come a' tribuni, essendo magistrato suo e che aveva titolo di pensare a' commodi della plebe. Avevano la autorità di intercedere, tutti e ciascuni di loro, a tutte le deliberazione de' magistrati, del senato e del popolo, cosa che forse nel principio fu necessaria per difendere la libertà della plebe, ma come il Governo fu communicato, fu sì poco ragionevole e di tanto danno che io non saprei dirne la metà; che uno ometto senza riputazione, senza cervello, senza esperienzia potessi solo disturbare quello che consultava uno senato o voleva una città intera. Però doppo quello tempo le intercessione non si facevano mai, se non o per beneficio ed instanzia di privati che comperavano il no di uno tribuno, o se pure si movevano per iudicio suo erano opinioni erronee e di poco discorso. Dello accusare diremo di sotto che fu di utile, ma non da paragonare a' danni che io ho detto; i quali non sarebbono stati se dal principio della cacciata de' re fussi stato communicato il Governo alla plebe come si fece poi, perchè non si sarebbe pensato a fare tribuni. E perchè Piero disse che lo esservi la disciplina militare buona è segno che gli ordini vi erano buoni, io potrei rispondere che se io non mi inganno, le ragione che io ho allegato sono sì chiare, che dove gli effetti si toccono con mano, non accade cercare i segni. Ma andando più oltre, la disciplina militare fu ordinata da' re e si può dire che nascessi con la città, e senza dubio se si avessi avuta a ordinare in quelli tempi tumultuosi che furono qualche volta per rovinarla, non si ordinava mai; però essendovi la città abituata drento, nè avendo gli uomini altra bottega che la milizia, fu manco difficile il conservarla, e tanto più che non fu mai città nuova che surgessi tra vicini con maggiore odio e con maggiore invidia, che sempre si andò multiplicando; e però essendo tra vicini armati ed inimicissimi non ebbe mai luogo di allentare la milizia. Nè io ho biasimato il Governo romano in tutti gli ordini suoi, anzi oltre al laudare la disciplina militare, laudo i costumi loro che furono ammirabili e santi, lo appetito che ebbono della vera gloria, e lo amore ardentissimo della patria, e molte virtù che furono in quella città più che mai in alcuna altra. Le quali cose non si disordinorono per la mala disposizione del Governo nelle parti dette di sopra, perchè le sedizione non vennono a quegli estremi che disordinano tutti i beni delle città, ed il vivere di quelle età non era corrotto come sono stati i tempi sequenti, massime sendo la città povera e circundata di inimici che non gli lasciava scorrere alle delizie ed a' piaceri; in modo che io credo che non tanto le legge buone, quanto la natura degli uomini e la severità di quegli antichi tempi, massime in quella parte di Italia che ebbe questa prerogativa sopra le altre, producessino quelle virtù e quelli costumi tanto notabili e la conservassino lungamente sincera da ogni corruzione di vizi. Vedete che ne' tempi sequenti la città fu sempre meglio ordinata di legge ed era unita e concorde, e pure gli uomini andorono imbastardendo, e quelle virtù eccellente si convertirono in vizi enormi, i quali non nascono dalle discordie delle città, ma dalle ricchezze, dalle grandezze degli imperi e dalle sicurtà; oltre che quando bene non si vegga causa alcuna evidente, la conversione naturale delle cose del mondo che non possono durare perpetue, fa queste variazione e corruzione. Circa le accusazione, le quali quando sono bene regolate sono senza dubio utili in una città, non lodo che si possino fare al consiglio grande, perchè io non confido al judicio del popolo, nè loderò mai che per principale deliberazione si riduca a lui alcuno caso importante. Piacemi che nelle cose criminali i cittadini siano giudicati o da uno magistrato, dalle sentenzie di chi si possi appellare al senato, o da quell'altro consiglio detto di sopra. Ed i modi che noi abbiamo del mandare le querele in questi tamburi o altrimenti scritte senza mettere il nome, apre la via agli accusatori perchè così non ne mancano; e se bene non ci è poi la vivacità del ricercare le pruove e di mettere in luce il delitto, pure chi arà a giudicare lo farà in parte, ed essendo il Governo nostro ordinato e difeso come io ho detto, non è forse di molta importanzia questo articolo; e come il Governo cominciassi a essere amato ed a venire in riputazione, e che si vedessi che il dimostrare gli uomini ingegno ed amore alla libertà gli facessi crescere, forse che la natura farebbe per sè medesima che gli uomini in magistrato o privati piglierebbono di questi assunti contro a' cittadini perniziosi e pericolosi alla libertà. senza che io loderei che anche a questo si trovassi qualche ordine, e fussi moderato e conveniente, così dico in tutti gli altri capi ragionati, che molte cose si disegnono e propongono che paiono belle e buone, e nondimanco la esperienzia scuopre poi in loro qualche difetto che l'uomo non lo arebbe mai immaginato. Però credo che i fini a' quali io ho indirizzato le cose siano buoni, ma ne' modi potrebbe essere qualche fallacia, e questi si arebbono a moderare e correggere secondo che la esperienzia e gli accidenti insegnassino. Credo anche per la ragione medesima che forse questo Governo non partorirà tanti beni quanti l'uomo si propone, nè tanta sicurtà e concordia quanta si disegna, massime che nelle cose del mondo vi è sempre per natura qualche contrapeso; nondimanco computato tutto, mi pare essere certo che secondo i governi di che è capace questa città, questo sarebbe il migliore, e se gli effetti non sequissino tutti buoni, almeno i principali e tanti sarebbono tali, che i cervegli moderati e quieti arebbono da contentarsi; ed agli uomini che sono savi basta quando hanno la più parte delle cose a suo modo, perchè è impossibile averle tutte.

CAPPONI.  Questa è conclusione verissima ed ottima, così come è stato il ragionamento vostro in ogni sua parte, e senza dubio seguitando questi ordini non si può sperare altro che effetti utilissimi. Ma io desiderrei intendere al parere vostro, se voi giudicassi che fussi bene che in questi travagli di Italia che si apparecchiano, come voi avete detto, grandissimi, oltre al cercare la recuperazione di Pisa, se riavuta che la fussi, si offerissi occasione di ampliare il Dominio per via di questi Oltramontani o con danari o con altri mezzi, si debbe pigliarla, o pure lasciarla, per non ci tirare in tempi tanto strani umori nuovi adosso.

BERNARDO.  Se tu mi dimandassi che sarebbe meglio a una città, o vivere contenta della libertà sua quando potessi averla sicura senza volere dominio, come sono oggi di molte terre nella Magna, o voltare lo animo al fare imperio, io saprei che rispondere; ma il tuo quesito è diverso, perchè noi siamo di quegli che abbiamo dominio, e poi che abbiamo avuto forze siamo vivuti sempre in su questa via, dalla quale non ci possendo più ritirare, io non posso per l'ordinario biasimare che venendo occasione netta, cioè senza implicarci in guerra ed in travagli, la non si pigli. E se io fussi certo che Italia avessi a restare presto in mano degli Italiani, io direi non ci essere da pensare punto, perchè così sarebbe da lodare ora lo acquistare Lucca o Siena, come fu a tempo de' passati nostri lo acquistare Pisa ed Arezzo; perchè non essendo in Italia altro che Potentati italiani, non aresti da dubitare di conservare quello che voi acquistassi; e ancora che vi si tirassi invidia adosso, vi potrebbe poco offendere, perchè dagli equali vostri vi difenderesti facilmente, e nessuno ci è tanto superiore che con qualche aderenzia di altri, che avendo a fare con italiani non vi mancherebbe mai, non potessi mostrargli il viso.

È vero che se questi Oltramontani grandi domineranno in Italia, io giudico che più facilmente si conserverà una grandezza simile alla vostra che una maggiore, perchè non essendo voi sì grandi che abbino da temervi, vi coprirete meglio che se fussi maggiori, e potrà bastare loro valersi di voi col cavarne danari. Ma le grandezze più eminenti aranno a pensare di abbassarle per levare via chi gli può offendere in Italia, e però cercheranno di distruggerle totalmente o moderarle, di sorte che patiranno molto più che quegli di chi non aranno fatto altro pensiero che di valersene. Però se si vedrà costoro fare piede in Italia come io credo, non so se vi consigliassi di pensare a fare augumento, atteso che non può essere tale che vi renda sicuri da potenzie sì grosse, massime che voi non potete acquistare cose notabile che non abbiate molta difficultà a conservarle, perchè la città è situata in luogo molto incommodo alla ampliazione del Dominio. Avete la vicinità della Chiesa, che è troppo grande a comparazione vostra, e la reverenzia ed autorità di chi non muore mai; e se talvolta qualcuna delle sue ragione è sì invecchiata che è quasi in oblivione, tornano poi i tempi, e risurge più fresco il suo diritto e più potente che mai. Da altro canto non è sì piccolo luogo in Toscana che non sia stato libero e che quasi ora non aspiri alla libertà; lasciamo andare Arezzo che per la antichità sua e Pisa che per la potenza moderna, pare che abbino qualche causa di tenere ancora la memoria del dominare; insino a Prato, a San Gimignano non sono alieni da questo pensiero, e dove sono queste radice non si può signoreggiare se non per forza, ed in ogni travaglio se ne ha infinite difficultà. Però hanno avuto i passati nostri grandissima fatica a fare e conservare questo Dominio, ed a noi è grandissimo impedimento; che se avessimo per vicini popoli soliti a stare sotto altri, o republica o principe, avendo in ogni modo a servire, non arebbono disposizione ostinata di non stare sotto di noi, nè uno principe o republica o a chi noi avessimo tolto qualche cosa, arebbe quella facilità a ripigliarlo che ha la Chiesa, ed almanco le ragione sue col tempo si invecchierebbono ed anichilerebbono.

Queste difficultà non hanno avuto i Viniziani, lo Stato de' quali in Terraferma non ebbe mai a sbarbare libertà, nè hanno avuto la Chiesa per vicina; però è più mirabile quello poco Dominio che voi avete acquistato in Toscana, che quello grande che loro hanno fatto in Lombardia. E per questa ragione insieme con le altre, se Oltramontani staranno in Italia come io credo che staranno, vi conforterei, recuperato che avessi Pisa, a conservare il vostro. Pure lo acquistare è cosa dolce, e gli accidenti del mondo vanno in modo che anche i più savi si ingannano quasi sempre nel fare judicio de' successi de' casi particulari, e l'uomo molte volte si immagina che una cosa abbia a andare per uno verso, che poi riesce tutto il contrario. Però quando il male di che l'uomo teme non è molto propinquo o molto certo, ed a comparazione sua il bene di che si ha occasione non è minimo, chi lo lascia resta senza esso, e di poi spesso non viene quello di che si temeva, tanto che per uno timore vano si perde la occasione di uno certo bene. Per questo, durando i frangenti in che al presente si truovi Italia, non ardirei dare regola certa se non in uno caso solo: che vi assegnate da quelle imprese di acquistare che non sono molto nette e che allora vi possono mettere in pericoli e travagli, e negli altri casi vi governiate secondo la qualità de' tempi ed accidenti che allora correranno.

SODERINI.  Per ora ci bisogna pensare a altro, perchè abbiamo dua ferite mortali: la perdita di Pisa ed i Medici forusciti, i quali per gli amici che hanno in Firenze e nel Dominio e per la riputazione grande della casa, ci daranno che fare. E perchè di Pisa abbiamo inteso il parere vostro, vorrei ci dessi qualche ricordo in che modo ci potessimo governare circa le cose de' Medici.

BERNARDO.  L'una e l'altra ferita è grande, e maggiore è quella de' Medici, perchè molti accidenti possono venire che le cose di Pisa terminerebbono presto, ma pochissimi che faccino che il pericolo de' Medici non duri molti anni; di poi questo è uno male che è drento e tocca le parte vitali. E di Pisa mi rimetto a quello che dissi di sopra, aggingnendo che questo male che è difficile a sanare, arebbe bisogno di medicine forti, e per parlare in vulgare, di crudeltà; la quale userebbe forse uno principe o uno stato di uno, ma uno Governo di popolo ne sarà alienissimo. Dico che i pisani ci sono inimici ostinatissimi, nè abbiamo da sperare di avergli mai, se non per forza; però bisognerebbe ammazzare sempre tutti i pisani che si piglieranno nella guerra, per diminuirvi il numero degli inimici e fare gli altri più timidi; e se facessino a voi il medesimo de' vostri sarebbe poca perdita, perchè con danari ne aresti degli altri; almanco mettergli in prigione tale che non avessino a sperare di uscirne insino che voi non ricuperassi Pisa. Che se voi cominciate a trattarla a uso delle guerre di Italia, con le taglie e collo scambiare prigioni, nutrirete una guerra più lunga che voi non vorresti, e chi governassi bene questa parte con lo ammazzargli o imprigionargli tutti, o di ammazzarne parte ed imprigionarne parte secondo che il progresso delle cose consigliassi, ma non mai lasciarne nessuno, gli invilirebbe tanto che vi faciliterebbe assai questa impresa.

L'ultima rotta, che i Genovesi dettono a' Pisani alla Meloria, gli afflisse in modo, che mai più Pisa recuperò il suo vigore; e la causa fu, perchè mai lasciorono i prigioni, che fu grandissimo numero; di che nacque che Pisa, non solo non si potè più valere di quegli che furono presi, che morirono in prigione, ma ancora ne perdè la progenie che ne sarebbe nata se fussino stati a Pisa. E se si dicessi che procedendo così si acquisterebbe nome di crudeltà ed anche di poca conscienza, io vi confesserei l'uno e l'altro; ma vi direi più oltre che chi vuole tenere oggidì i dominii e gli stati debbe, dove si può, usare la pietà e la bontà, e dove non si può fare altrimenti, è necessario che usi la crudeltà e la poca conscienza. E però scrisse Gino tuo bisavolo in quegli ultimi suoi, che bisognava fare de' dieci della guerra persone che amassino più la patria che la anima, perchè è impossibile regolare i governi e gli stati, volendo tenerli nel modo si tengono oggi, secondo i precetti della legge cristiana.

In che modo si potrà secondo la conscienza fare una guerra per cupidità di ampliare il Dominio, nella quale si commette tante occisione, tanti sacchi, tante violazione di donne, tanti incendi di case e di chiese ed infiniti altri mali? E nondimanco chi in uno senato per questa ragione e non per altro dissuadessi il pigliare una impresa riuscibile ed utile, sarebbe rifiutato da tutti. Ma diciamo più oltre: in che modo potresti voi secondo la conscienza ricevere una guerra per diffesa ancora delle terre che voi possedete? Anzi se bene non vi è fatto guerra e che nessuno non ve le dimandi, come potete voi tenere il vostro Dominio, nel quale, se voi considerate bene, non è forse niente che sia vostro, avendo voi occupato tutto o almanco la maggiore parte con arme o con comperarlo da chi non vi aveva drento alcuna ragione? Ed il medesimo interviene a tutti gli altri, perchè tutti gli stati, chi bene considera la loro origine, sono violenti, e dalle republiche in fuora, nella loro patria e non più oltre, non ci è potestà alcuna che sia legitima, e meno quella dello imperatore che è in tanta autorità che dà ragione agli altri; nè da questa regola eccettuo i preti, la violenzia de' quali è doppia, perchè a tenerci sotto usono le arme spirituali e le temporali.

Vedete chi volessi dirizzare gli Stati alla strettezza della conscienza, dove gli ridurebbe. Però quando io ho detto di ammazzare o tenere prigionieri i pisani, non ho forse parlato cristianamente, ma ho parlato secondo la ragione ed uso degli stati, nè parlerà più cristianamente di me chi, rifiutata questa crudeltà, consiglierà che si faccia ogni sforzo di pigliare Pisa, che non vuole dire altro che essere causa di infiniti mali per occupare una cosa che secondo la conscienza non è vostra. E chi non cognosce questo non ha scusa appresso a Dio, perchè come sogliono dire i frati, è una ignoranzia crassa; chi lo cognosce non può allegare ragione perchè ne l'uno caso si abbia a osservare la conscienza, nello altro non si abbia a tenerne conto. Il che ho voluto dire non per dare sentenzia in queste difficultà che sono grandissime, poi che chi vuole vivere totalmente secondo Dio, può mal fare di non si allontanare totalmente dal vivere del mondo, e male si può vivere secondo il mondo senza offendere Dio, ma per parlare secondo che ricerca la natura delle cose in verità, poi che la occasione ci ha tirati in questo ragionamento, il quale si può comportare tra noi, ma non sarebbe però da usarlo con altri, nè dove fussino più persone. Ma ritorniamo a quello che resta, cioè circa i casi de' Medici; a che i rimedi di assicurarvene totalmente ed in modo che per uno tempo almanco, briga da loro avere non possiate, sono pochi e scarsi; i quali per potere meglio cognoscere, bisogna considerare donde naschino i pericoli. La casa de' Medici è stata padrona di questo stato già sessanta anni, e la fama della grandezza sua è stata chiarissima non solo per tutta Italia ma ancora di là da' monti. Da che nascono più effetti: prima, non può essere che nella città e nel dominio non abbino di molti amici, avendo in tanto tempo intratenuto e beneficato molti in vari modi, e di questi si ha a dubitare che volentieri si maneggerebbono in ogni occasione che credessino potere giovare loro a ritornare in Firenze; nel quale grado medesimo e più ardenti ancora sono tutti quegli, i quali si truovano avere peggiorato o nello utile o nell'onore le condizioni sue per la cacciata loro. Secundario, per la riputazione grande che ha avuta tanti anni questa casa, è oppenione appresso a tutti i prìncipi che loro abbino più amici e più partigiani in Firenze e nel Dominio nostro che in verità non hanno; però ognuno che desideri travagliare la nostra città e che arà guerra con noi, gli userà per instrumenti e, come si dice, per civetta, e dimostrerrà volergli mettere in casa, sperando per mezzo loro avere a fare nascere discordia in Firenze ed avere a suscitare novità e rebellione nel Dominio. Anzi saranno di quegli che veramente piglieranno la impresa di mettervegli, mossi o da disegno di potere con questa occasione smembrare parte del nostro stato o di valersi altrimenti di noi; e tale che per l'ordinario non penserebbe a farci guerra, non confidando poterci offendere, ora vedendo questa piaga aperta, o stimolato da loro o per sua inclinazione, ci volterà lo animo. Terzo, e questo importa assai più, ancora che in una città tutti gli uomini dovessino amare la libertà ed essere inimici de' tiranni, nondimanco oltre a' benificati ed interessati con loro, non mancano in qualunche città amici delle tirannide, e ne sono molti nella gioventù che desiderano vivere sciolti, nè si riducono volentieri sotto la equalità delle legge. Vedete che in Roma doppo la cacciata de' Tarquini congiurorono molti giovani contro alla libertà, insino a' figliuoli di Bruto che gli aveva cacciati; molti che vogliono mal vivere hanno la medesima affezione, perchè con la potenza loro sono difesi spesso dalla autorità della giustizia. Chi vive in sulle arme è nel grado medesimo, perchè ha il ridotto del tiranno, e spesso qualche ricapito o almanco favore. La plebe ancora molte volte vi inclina, perchè quando il tiranno ha del savio, ha sempre cura della abbondanzia e la diletta spesso con feste e giostre e giuochi publici; e gli piace la magnificenzia della casa e corte sua, che sono le cose che pigliano le gente basse. Ma quello che importa più di tutto e gli fa amici di più momento, è che tutti coloro che o per ambizione o per essere ingiuriati diventano male contenti dello stato che regge, non avendo altro refugio, se lo stato presente è libero, si voltano al pensiero di una tirannide, ed essendo molto difficile fabricarne una in persone nuove, perchè non hanno la riputazione ed i fondamenti vecchi, e gli uomini mal volentieri si inclinano a chi non è uso a avere sopra di loro superiorità, si gettano al tiranno vecchio, e se lui è morto, a' figliuoli e discendenti ed a chi resta di quella stiatta, la quale ha preso uno grado tale che pare in uno certo modo che di ragione se gli appartenga. E gli uomini non si vergognano di servire a chi altra volta o egli o' maggiori suoi gli hanno comandati; e tutti quegli che hanno avuto dependenzia o beneficio da lui o da' passati suoi sperono ritrovarvi le medesime condizione; però si vede spesso che non solo sono raccolti da questi tali, quando si offeriscono, quegli che sono del medesimo sangue che era il tiranno vecchio, ma ancora da chi desidera di avere una tirannide sono cercati a tempo che non vi hanno nè pensiero nè speranza alcuna. Nel 78, sendo stato ammazzato Giuliano e Lorenzo ferito ed in pericolo di morte, noi che desideravamo uno stato simile, pensamo, in caso che Lorenzo morissi, voltarci a Lorenzo di Pierfrancesco, perchè era il più prossimo, ancora che lui per la età non aspirassi a queste cose. In Bologna, morto Annibale Bentivogli, i principale di quella parte cavorono di Firenze dall'arte della lana, Santi, che era giovanetto e riputato da ognuno figliuolo di uno da Poppi, per farlo capo dello stato, dandosi loro a intendere che fussi figliuolo bastardo di Hercules de' Bentivogli; e lui non solo non ci pensava, ma non lo sapeva, in modo che per averlo bisognò che adoperassino per mezzo e con grandissimi prieghi Neri di Gino tuo avolo. Voltansi dunche tutti i mal contenti dello stato che regge al tiranno vecchio, e se è mancato lui, alle sue reliquie; così se tra' cittadini nasce divisione, sempre alla fine una parte o soprafatta dall'altra o desiderosa di soprafare, si volta alla via medesima. E questi umori sono sì potenti, che insino a di quegli che sono stati inimici manifesti ed adoperatisi in cacciare i tiranni, si riconciliano con loro e cercano di ritornargli, come se ne sono veduti infiniti esempli. E questo è ordinario in ogni divisione delle città o libere o suddite, che sempre una delle parte fa professione di amare lo stato presente, l'altra cerca di aderirsi a chi altra volta vi è stato grande, mossa da quella ragione che io ho detto, perchè si spera più facilmente potere riducere una tirannide o uno Dominio vecchio che farne uno di nuovo. Adunque il tiranno e chi è disceso di lui, per l'una o per l'altra di queste cagione, ha sempre qualche amico nella città o nel Dominio e spesso fuora chi gli dà fomento. A ovviare a questo pericolo il rimedio vero ed unico sarebbe lo spegnergli e sbarbargli in modo che di loro non restassi reliquia, ed adoperare a questo, ferro e veleno, secondo che venissi più commodo, altrimenti ogni scintilla che ne resta ti affatica sempre e ti travaglia; anzi spento il principale e restando gli altri, sei spesso in peggiore condizione che se fussi vivo il principale: lo esemplo voglio porre in Piero de' Medici, che è impetuoso e mentre viverà, in qualunche occasione, non fermerà mai; nondimanco se egli morissi, io crederrei fussi da temere più de' fratelli, che insino a ora nelle cose dello stato non sono stati in conto, perchè chi ha offeso Piero si confiderà più facilmente di loro che di lui, e lo universale che non gli ha provati, spererà insino che non gli pruova, migliore natura in loro, che forse per i segni che apparivano è la verità. Ma ordinariamente ognuno è facile a sperare bene delle cose di che non ha notizia; però a assicurarvi non basta la morte solo di Piero, ma bisognerebbe si spegnessi tutta la linea: fuori di questo tutti gli altri rimedi sono scarsi a liberarvi totalmente dal pericolo; e questo si può più dire che sperare in una republica, la quale non ha quella diligenzia e segreto nè quella prontitudine di ministri che è necessaria a conducere simili cose, le quali sanno e possono fare meglio i tiranni che gli altri. Voi avete bene messo loro le taglie drieto, ma questa è una persecuzione morta che rarissime volte fa effetto; e pure chi allegassi la conscienza, se è contro a conscienza il curare con diligenzie particulari e strette che siano amazzati, è anche illecito il darne occasione ed invitare gli uomini con le taglie. In fine questo rimedio, a judicio mio, non riuscirà per la natura del Governo ed anche forse perchè la giustizia di Dio non permetterà che siano offesi per quella via nella quale non hanno mai peccato. Sapete che Cosimo e nessuno altro di loro non usò mai questa crudeltà contro a' forusciti ed altri inimici, benchè in diversi tempi ne avessino molti e di importanzia. Il secondo rimedio è tórre loro la roba e fare tutte quelle persecuzione che gli abbino a impoverire, perchè con la diminuzione della roba diminuisce la riputazione e la facultà di potere offendere; nondimeno questo rimedio non assicura totalmente, perchè communemente coloro che favoriscono i tiranni o di drento o di fuora, non si muovono per le ricchezze loro ma per i fini che io ho ragionato di sopra, i quali non dependono dalla ricchezza o povertà sua. È vero che il tiranno ricco è più reputato ed inoltre può con danari intratenere gli amici, avere adito con quegli che sono grandi apresso a prìncipi, mandare messi innanzi ed indrieto, avere delle spie e fare delle spese che sono necessarie a chi tiene pratiche di stati; le quali chi non può fare manca di molte commodità e perde di molte opportunità, e vengono talvolta certi accidenti ed occasione che egli, potendo spendere qualche migliaio di ducati in mettere gente insieme, ha la impresa facile, dove se è povero bisogna sempre che aspetti le voluntà di altri. In somma lo impoverirlo gli nuoce ma fa più effetto in progresso di tempo, perchè nel principio ha sempre qualche riservo di danari, ha più credito da essere servito, ha amici antichi che lo aiutano; la riputazione fresca della grandezza sua e la opinione che molti hanno che abbia a tornare presto in casa, gli dà molti ricetti e commodità. Ma come il tempo va allungando, si truova consumato il capitale che aveva, perduto il credito, stanchi gli amici, in modo che allora si scuopre il male che tu gli hai fatto col torgli la roba; e questo serve ancora più allo esemplo degli altri, perchè se si facessi come a Genova, dove a' cittadini ribelli dello stato si toglie la patria ma non la roba, molti più cercherebbono novità e machinerebbono contra lo stato che se ne astengono per paura di non diventare poveri. Credo bene che vivente il cardinale non potrete riducere i Medici in questa estremità, perchè le entrate sue e la riputazione del cardinalato sarà loro sempre mezzo a intratenersi onorevolmente, e tanto manco potrete fare fondamento in questo. Il terzo rimedio, che da sè non basta ma unito con gli altri fa qualche frutto, è levare loro i commerzi della nazione, cioè che nessuno fiorentino o suddito nostro ardisca non solo di stare con loro, ma eziandio di conversare, parlargli, scrivergli, nè in modo alcuno intromettersi seco, ponendo pene gravissime alle persone proprie, a' padri, frategli e più prossimi parenti. E questo rimedio serve a diminuirgli la riputazione di fuora, perchè chi gli vede tuttodì visitare ed intratenere da quegli della nazione, lo piglia per segno che abbino amici e parte assai nella città, e per il contrario, vedendogli abbandonati e fuggiti da ognuno, pensa che le cose loro stiano male. Serve ancora questo a levare i mali ed i disordini che fa il commerzio, perchè per mezzo di quello pigliano ogni dì amicizie e si intrinsicano co' nostri, donde spesso nascono pratiche e machinazione contra lo stato e donde hanno commodità di imbasciate e di avisi, tutte cose perniziose alla republica; e però levandogli questa occasione o commodità si nuoce ancora loro per questa via. Il quarto rimedio è, e questo è quello che doppo il primo è il migliore e che depende solo da noi medesimi, introducere in questa città uno Governo buono e bene ordinato con che si taglierebbe la radice di tutte le loro speranze. Non arete da dubitare sotto uno Governo simile che i cittadini bene qualificati diventino amici loro, perchè la città non si dividerà, nè loro vi aranno sì cattivo grado che abbino a gittarsi a rendere la grandezza a uno del quale o siano stati inimici o non abbino avuto da lui dependenzia. Anzi avete da sperare, sotto uno Governo bene composto, che la più parte di quegli che sono amici de' Medici gli dimenticheranno e si contenteranno molto bene in uno vivere civile, essendo massime, come voi sapete, persone benestanti e quasi il fiore della città, come il più delle volte sono quegli che sono stati amici di uno Governo stretto durato lungamente, che col favore che hanno avuto si sono aricchiti, si sono nobilitati, e per essersi esercitati alle faccende hanno preso riputazione, hanno preso pratica, in modo che in ogni tempo compariscano tra gli altri non solo con le ricchezze e col credito, ma ancora con la sufficienzia e col cervello. Fermerà ancora uno Governo buono gli animi de' sudditi, a' quali suole dare ardire o la poca reputazione o il poco ordine de' suoi signori; ed uno Governo che acquisti reputazione appresso a' prìncipi di essere unito e di reggersi saviamente, gli farà andare più sospesi a favorire i Medici, perchè non si confiderà di potere con facilità battere uno stato che si governi prudentemente. E se pure sarà nella città alcuno che sia inclinato a loro, oltre che è da credere che saranno di poca qualità, o non ardiranno mostrarsi, o mostrandosi saranno raffrenati facilmente, perchè vi saranno gli ordini buoni da provedere a questi inconvenienti; i quali se si medicano da principio, oltre che non sono pericolosi, si fa con manco alterazione della città perchè non si viene al sangue ed agli esìli, cose molto perniziose alle republiche ed agli stati. Perchè se tu tagli uno capo, ancora che spenga lui, fai in luogo suo male contenti molti, nè solo si fa inimici i suoi, ma ancora dispiace poi alla fine a tutti gli uomini di mezzo; se mandi uno in esilio, accresci il numero di quegli che sempre cercono muovere umori contro alla città, e con l'una e con l'altra cosa togli riputazione al governo, perchè va fuora la fama che siate disuniti, che fa favore al tiranno. Donde tra gli altri danni che gli fa il buono Governo è questo, che vi è modo di reprimere chi ha mala voluntà senza venire a medicine forti, le quali chi ha gli stati in mano non debbe usare se non per ultima necessità. Il quinto rimedio, ma che non si può fare senza il Governo buono, è in progresso di tempo restituire loro la roba, tutta o parte, con condizione che stiano a certi confini e che non travaglino contro alla città; che è simile a quello che convenisti voi col re di Francia: che Piero godessi i beni con questo che non si accostassi a Firenze a cento miglia sotto pena di perdergli. Ma non durò quella convenzione, perchè dal canto vostro fu fatta per necessità non per elezione, e dal canto di Piero fu fuora della sua stagione. Quando il tiranno è cacciato, sta per qualche tempo fuora di necessità per le ragione dette di sopra ed ha la speranza accesa di tornare, però allora per il desiderio solo di godere la roba, non fermerebbe uno passo de' movimenti suoi, nè sarebbe anche a proposito restituirgliene, perchè bisogna attendere a impoverirlo e farlo venire in necessità. Ma quando si è sbattuto uno pezzo, ha consumato quello che gli era avanzato, ha straccato gli amici, vede che le imprese non gli sono riuscite, che i prìncipi non hanno tenuto conto o n'hanno fatto mercatantia, che gli uomini gli sono mancati sotto, e si riduce senza consiglio e senza speranza, in modo che comincia a pensare più al vivere quotidiano che al ritornare in casa. Allora se il Governo fussi fondato e bene ordinato, io non sarei forse alieno da offerirgli il partito di lasciare loro godere le sue possessioni, con questo che gli avessino a essere tolte ogni volta che si accostassi alla città fuora del termine che voi gli avessi assegnato, o che si vedessi che altrimenti machinassi. Questa paura di perdere la roba non basterebbe già a ritenerlo quando vedessi uno partito che avessi grande speranza, perchè la roba importa poco a comparazione della patria e dello stato, ma sarebbe causa che in ogni altro tempo si starebbe, nè sarebbe tuttodì agli orecchi de' prìncipi a stimulargli a fare impresa per lui, nè si lascerebbe sollevare da loro, se non dove i vedessi il fondamento molto verisimile; in modo che con questa via non vi assicureresti totalmente, ma vi libereresti da molte spese e travagli, le quali, essendo disperato, vi darà; senza che, lo astenersi lui dalle imprese è sempre bene, perchè le si cominciono tale volta con poca speranza, e vengono de' successi e de' casi che le favoriscono ed augumentono. E doppo questo espediente si potrebbe andare più oltre, ma con tempo e quando il Governo vostro avessi preso bene piede e riputazione e che le cose loro fussino diminuite e declinate assai, cioè restituirgli nella città come cittadini privati, alla quale se non ardissimo ritornare, perderebbono interamente il credito di fuora. Ritornandovi, non è dubio che se vi fussi uno Governo buono apparirebbono privati cittadini negli occhi di ognuno, e bisognerebbe che per la autorità del Governo vivessino privatamente e quietamente; in modo che o resterebbono drento e fuora senza riputazione, nè più tiranni ma cittadini, ed ognuno sarebbe chiaro che non vi avessino parte; o non potendo sopportare la vita privata, ritornerebbono fuora da loro medesimi, ma tanto diminuiti di credito che si potrebbero dire annichilati; e questo se riuscissi, sarebbe uno modo bellissimo da spegnergli. Nondimanco è modo nuovo, ed essendo cosa importantissima, io non lo affermo ma lo propongo, ricordando che innanzi che si pigliassi una tale deliberazione, si esaminassi bene la natura de' tempi, la condizione della città e tutte le altre cose che sono considerabili in materia sì grave. Ma oramai comincia a essere tardi, però io lodo che andiamo a desinare, se vi pare, e potremo poi, se accadrà altro, seguitare il parlare.

CAPPONI.  Io credo che sia bene fatto, perchè vorremo andarcene verso Firenze, dove per grazia vostra ritornereno sì instrutti, che areno causa di avere sempre memoria di questa venuta.

GUICCIARDINI.  Questa obligazione arete in parte a me che proposi il ragionamento.

SODERINI.  Ed a te, se tu vuoi, ma a Bernardo la abbiamo tutti infinita, che ci ha letto jeri ed oggi una lezione sì bene ordinata, sì savia, che ci farà lume in queste cose importantissime tutto il tempo della vita nostra. Così dessi Dio grazia ed a lui ed a noi che le potessimo fare capace a tutti i nostri cittadini, acciò che innanzi alla nostra morte vedessimo introdotto nella patria nostra tanto ornamento e tanto bene.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Opere inedite di Francesco Guicciardini", Illustrate da Giuseppe Canestrini e pubblicate per cura dei conti Piero e Luigi Guicciardini, Barbèra, Bianchi e Comp, Tipografi-Editori, Via Faenza, 4765, Firenze, 1858 ( Vedi )







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