Carlo Goldoni - Opera Omnia >>  L'avaro




 

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Rappresentata in Bologna da una nobilissima compagnia di Cavalieri e Dame nel 1756.


L'AUTORE A CHI LEGGE

Una Commedia di un atto solo sembrerà forse a taluno poca cosa per l'integrità del Tomo e cosa facile per un autore. Io, con buona grazia di chi ciò crede, non accordo nè l'una, nè l'altra delle sue conghietture. Rispetto all'integrità, quando una Commedia d'un atto solo ha tutte le parti che si richiedono in un simile componimento, è tanto Commedia intiera, quanto lo è Calisto e Melibea, che è composta in quindici atti. I Francesi hanno moltissimo in uso le petites pièces, che vuol dire in italiano le picciole Commedie; picciole per la mole, non già per l'argomento, per l'intreccio e lo scioglimento. Sono utili tali Commedie per le conversazioni e per li Teatri, allora quando si rappresentino delle Tragedie, le quali per ordinario sono brevi e melanconiche, e la Commedia di un atto allunga il divertimento, e rallegra il popolo contristato. Questa fu da me scritta per comando di S. E. il Sig. Marchese Francesco Albergati Senator di Bologna, ad uso di Cavalieri e Dame di quella Città, ed ebbe la fortuna di essere recitata perfettamente, e di piacere non dirò per se stessa, ma per il merito degli Attori, e mi lusingo che recitata da bravi Comici, dopo di una Tragedia, non farebbe cattivo effetto in qualunque Teatro; anzi io credo necessarissimo, che al Teatro Italiano non manchi anche questa specie di divertimento, di cui abbonda il Francese, e che possa il pubblico compiacersene, siccome ne abbiamo veduto l'anno scorso in Venezia un favorevole esempio, avendo il dottissimo Conte Gasparo Gozzi tradotta dal Francese, e data al pubblico con fortuna, una simile rappresentazione.
Se poi alcuno cosa facile la credesse, e di minore studio di una Commedia di tre o di cinque atti, s'ingannerebbe moltissimo. Il ritrovato dell'argomento è lo stesso, i caratteri servono egualmente alla brevità e alla lunghezza, l'intreccio, la peripezia, la catastrofe sono parti integrali e indispensabili tanto della Commedia più breve, quanto della più lunga. Ella è bensì cosa malagevole e difficoltosa consumare l'intiera azione in sì corto tempo, e vincolare la fantasia in così limitati confini. In una regolare Commedia, divisa in atti, abbiamo la libertà di estenderci a ventiquattr'ore di tempo. La divisione degli atti è comodissima per l'Autore, figurando fra un atto e l'altro delle cose che non si vedono, ma vengono poi artificiosamente accennate. Per lo contrario, nella Commedia di un atto solo, l'azione che si rappresenta dee consumarsi in iscena in quel ristretto tempo in cui un fatto vero potrebbe ragionevolmente accadere. Se ciò è facile a meditarsi e ad eseguirsi, lo lascio giudicare a chi intende.
Se alcuno si lagnerà di questa breve Commedia, sarà perchè, bramoso di leggere più lungamente, gl'increscerà di aver troppo presto finito il divertimento, ma se penserà poi alla fatica ch'essa mi costa, ed all'onesto fine per cui l'ho stampata, spero mi sarà grato, o per lo meno indulgente. Non creda però ch'io voglia abusarmi della sua compiacenza. Tre o quattro di queste brevi Commedie in una lunga serie di Tomi, mi sembrano compatibili anche da' più avidi di leggere e di divertirsi; e ve ne sono, e ve ne saranno di così lunghe che pesandole tutte insieme, credo vi sarà per tutti il giusto peso e la giusta misura.



PERSONAGGI

DON AMBROGIO, vecchio avaro.
DONNA EUGENIA, vedova, nuora di Don Ambrogio.
IL CONTE FILIBERTO dell'Isola.
IL CAVALIERO COSTANZO degli Alberi.
DON FERDINANDO, giovane Mantovano.
CECCHINO, servitore.
Un Procuratore, che non parla.



La Scena si rappresenta in Pavia, in una galleria in casa di don Ambrogio.
 
 


ATTO SOLO

SCENA I

Don Ambrogio solo.


Oh quanto vale al mondo un poco di buona regola! Ecco qui, in un anno, dopo la morte di mio figliuolo, ho avanzato due mila scudi. Sa il cielo, quanto mi è dispiaciuto il perdere l'unico figlio ch'io aveva al mondo, ma s'ei viveva un paio d'anni ancora, l'entrate non bastavano, e si sarebbono intaccati i capitali. È grande l'amor di padre, ma il danaro è pure la bella cosa! Spendo ancora più del dovere, per cagione della nuora ch'io tengo in casa. Vorrei liberarmene, ma quando penso che ho da restituire la dote, mi vengono le vertigini. Sono fra l'incudine ed il martello. Se sta meco, mi mangia le ossa; se se ne va, mi porta via il cuore. Se trovar si potesse... Ecco qui quest'altro tàccolo, che mi tocca soffrire in casa. Un altro regalo di mio figliuolo; ma ora dovrebbe andarsene.



SCENA II

Don Fernando e detto.


Don Fernando - Buon giorno, signor Don Ambrogio.

Don Ambrogio - Per me non vi è più nè il buon giorno, nè la buona notte.

Don Fernando - Compatisco l'amor di padre. Voi perdeste nel povero Don Fabrizio il miglior cavaliere del mondo.

Don Ambrogio - Don Fabrizio era un cavaliere che avrebbe dato fondo alle miniere dell'Indie. Dacchè si è maritato, ha speso in due anni quello ch'io non avrei speso in dieci. Son rovinato, signor mio caro, e per rimettermi un poco, mi converrà vivere da qui in avanti con del risparmio, e misurare il pane col passetto.

Don Fernando - Perdonatemi. Non mi so persuadere che la vostra casa sia in questo stato.

Don Ambrogio - I fatti miei voi non li sapete.

Don Fernando - Mi disse pure vostro figliuolo...

Don Ambrogio - Mio figliuolo era un pazzo, pieno di vanità, di grandezze. La moglie lo dominava, e gli amici gli mangiavano il cuore.

Don Fernando - Signore, se voi lo dite per me, in un anno che ho l'onore di essere in casa vostra, a solo motivo di addottorarmi in questa università, credo che mio padre abbia bastantemente supplito.

Don Ambrogio - Io non parlo per voi. Mio figliuolo vi voleva bene, e vi ho tenuto in casa per amore di lui; ma ora che avete presa la laurea dottorale, perchè state qui a perdere il vostro tempo?

Don Fernando - Oggi aspetto lettere di mio padre; e spero che quanto prima potrò levarvi l'incomodo.

Don Ambrogio - Stupisco che non abbiate desiderio di andare alla vostra patria a farvi dire il signor dottore. Vostra madre non vedrà l'ora di abbracciare il suo figliuolo dottore.

Don Fernando - Signore, la mia casa non si fonda su questo titolo. Credo vi sarà noto essere la mia famiglia...

Don Ambrogio - Lo so che siete nobile al par d'ogni altro; ma ehi! la nobiltà senza i quattrini non è il vestito senza la fodera, ma la fodera senza il vestito.

Don Fernando - Non credo essere dei più sprovveduti.

Don Ambrogio - Oh, bene, dunque, andate a godere della vostra nobiltà, delle vostre ricchezze. Voi non istate bene nella casa di un pover'uomo.

Don Fernando - Signor Don Ambrogio, voi mi fareste ridere.

Don Ambrogio - Se sapeste le mie miserie, vi verrebbe da piangere. Non ho tanto che mi basti per vivere, e quel capo sventato della mia illustrissima signora nuora vuole la conversazione, la carrozza, gli staffieri, la cioccolata, il caffè... Oh povero me! sono disperato.

Don Fernando - Non è necessario che la tenghiate in casa con voi.

Don Ambrogio - Non ha nè padre, nè madre, nè parenti prossimi. Volete voi ch'io la lasci sola? In quell'età una vedova sola? Oh! non mi fate dire.

Don Fernando - Procurate ch'ella si rimariti.

Don Ambrogio - Se capitasse una buona occasione.

Don Fernando - La cosa non mi par difficile. Donna Eugenia ha del merito, e poi ha una ricca dote...

Don Ambrogio - Che dote? che andate voi dicendo di ricca dote? Ha portato in casa pochissimo, e intorno di lei abbiamo speso un tesoro. Ecco qui la nota delle spese che si son fatte per l'illustrissima signora sposa; eccole qui; le tengo sempre di giorno in tasca, e la notte sotto il guanciale. Tutte le disgrazie che mi succedono, mi pajono meno pesanti di queste polizze. Maledetti pizzi! maledettissime stoffe! oh moda, moda, che tu sia maledetta! Ci gioco io, che se ora si rimarita, queste corbellerie, in conto di restituzione, non me le valutano la metà.

Don Fernando - Dite nemmeno il terzo.

Don Ambrogio - Obbligato al signor dottore. (mostra di soler partire, poi torna indietro) Mi scordava di dirvi una cosa.

Don Fernando - Mi comandi.

Don Ambrogio - Così, per mia regola, avrei piacer di sapere quando avete stabilito di andarvene.

Don Fernando - Torno a ripetere che oggi aspetto le lettere di mio padre.

Don Ambrogio - E se non vengono?

Don Fernando - Se non vengono... Mi sarà forza di trattenermi.

Don Ambrogio - Fate a modo mio, figliuolo: fategli una sorpresa; andate a Mantova, e comparitegli all'improvviso. Oh, con quanta allegrezza abbracceranno il signor dottore!

Don Fernando - Da qui a Mantova ci sono parecchie miglia.

Don Ambrogio - Non avete denari?

Don Fernando - Sono un poco scarso, per dire il vero.

Don Ambrogio - V'insegnerò io, come si fa. Si va al Ticino, si prende imbarco, e con pochi paoli vi conducono fino all'imboccatura del Mincio.



SCENA III

Don Fernando solo.

Ecco a che conduce gli uomini l'avarizia. Don Ambrogio nobile e ricco, reputa sè medesimo per il più vile, il più miserabile. E si può dire ch'egli sia tale, giacchè la nobiltà si fa risplendere colle azioni, e le ricchezze non vagliono, se non si fa di esse buon uso. Doveva andarmene di questa casa tosto che cessò di vivere l'amico mio Don Fabrizio, ma appunto la di lui morte è la cagione per cui mi arresto. Ah sì, il rispetto ch'io ebbi per donna Eugenia, vivente il di lei marito, si è cambiato in amore da che ella è vedova; e alimentandosi la mia speranza... Ma quale speranza posso aver io di rimanere contento, se ovunque mi volgo, trovo degli ostacoli all'amor mio? Ella non sa ch'io l'ami, e, sapendolo, può dispregiarmi. Ho due rivali possenti, che la circondano. Mio padre non vorrà per ora ch'io mi mariti; sarebbe per me la migliore risoluzione il partire. Sì, partirò; ma non voglio avermi un giorno a rimproverare d'aver tradito me stesso per una soverchia viltà. Sappia ella ch'io l'amo, e quando l'amor mio non gradisca... Eccola a questa volta. Vorrei pur dirle... ma non ho coraggio di farlo. Prenderò tempo... mediterò le parole... Oh cuor pusillanimo! ho rossore di me medesimo. (parte)



SCENA IV

Donna Eugenia, poi Cecchino


Donna Eugenia - E fino a quando dovrò menar questa vita? Chi può soffrire le indiscretezze di Don Ambrogio? Le passioni d'animo hanno per sua cagione condotto a morte il povero mio marito, ed ora codesto vecchio vorrebbe farmi diventar tisica per la rabbia, per la disperazione. Sì, voglio rimaritarmi. Ma non basta che io lo voglia, conviene attendere l'occasione, e se non son certa di migliorare il mio stato, non vo' arrischiarmi di ricadere dalla padella alle brace.

Cecchino - Signora, il signor Conte dell'Isola brama di riverirla.

Donna Eugenia - È padrone. (Cecchino parte) Questi non sarebbe per me un cattivo partito. È un cavaliere di merito, ma la di lui serietà mi riesce qualche volta stucchevole; al contrario del Cavaliere, che ha dello spirito un poco troppo vivace. E pure ad uno di questi due vorrei ristringere la mia scelta. So che mi amano entrambi, e so che una impegnata rivalità... Ma ecco il Conte.



SCENA V

Il Conte dell'Isola e detta.


Conte Filiberto - Servitore umilissimo di donna Eugenia.

Donna Eugenia - Serva, Conte. Favorite di accomodarvi

Conte Filiberto - Per obbedirvi. (siedono)

Donna Eugenia - Siete appunto venuto in tempo ch'io aveva bisogno di compagnia.

Conte Filiberto - Mi chiamerei fortunato, s'io potessi contribuire a qualche vostra soddisfazione.

Donna Eugenia - Le vostre espressioni sono effetti della vostra bontà.

Conte Filiberto - Non mai al merito vostro adeguate.

Donna Eugenia - Sempre gentile il Conte dell'Isola.

Conte Filiberto - Vorrei esserlo, per aver l'onor di piacervi.

Donna Eugenia - La vostra conversazione mi è sempre cara.

Conte Filiberto - Lo voglio credere, perchè lo dite. Ma per il vostro spirito la mia conversazione è assai poca.

Donna Eugenia - Voi mi mortificate senza ragione.

Conte Filiberto - Prendetela per una sciocchezza. Io non so divertirvi diversamente.

Donna Eugenia - Fate torto a voi stesso. Buon per voi che favellate con chi vi conosce.

Conte Filiberto - No, donna Eugenia, io sono un uomo sincero e non ho altro di buono, oltre la conoscenza di me medesimo. A fronte del Cavaliere, so che io ci perdo, ma non importa: non confido soltanto nel vostro spirito, ma nel vostro cuore; e mi lusingo che in mezzo ai disavvantaggi del mio costume, conoscerete il fondo della mia schiettezza.

Donna Eugenia - Non è scarso merito la sincerità.

Conte Filiberto - Ma è poco fortunata per altro.

Donna Eugenia - Potete voi dolervi di me?

Conte Filiberto - Non sarei sì ardito di dirlo.

Donna Eugenia - Ancorchè nol diciate, si conosce che siete poco contento.

Conte Filiberto - Sarà un effetto di quella sincerità che lodaste.

Donna Eugenia - Dunque la stessa sincerità non me ne dee tacere i motivi.

Conte Filiberto - Voi m'invitate a nozze, qualora mi provocate a parlare.

Donna Eugenia - L'eccitamento vien dal mio cuore.

Conte Filiberto - E al vostro cuore rispondo che sarei felicissimo se non mi tormentasse un rivale.

Donna Eugenia - Questa è la prima volta che lo diceste.

Conte Filiberto - L'ho detto a tempo, signora?

Donna Eugenia - Potrebbe darsi.

Conte Filiberto - Le cose possibili sono infinite. Fra queste si confondono le mie speranze ed i miei timori. Quel che ora vi chiedo, è qualche cosa di certo.

Donna Eugenia - Esaminatelo bene, e confessate che quello che mi chiedete, non è sì poco.

Conte Filiberto - Se mal non mi appongo, parmi di aver domandato pochissimo. Sarei temerario, se vi chiedessi l'intero possedimento della grazia vostra: chiedovi solo, se siete a tempo ancor di disporne.

Donna Eugenia - Ma se questo è un segreto, che con gelosia custodisco, non sarà eccedente la vostra interrogazione?

Conte Filiberto - Voi avete il dono di farvi intendere senza parlare. Capisco essere il vostro cuore occupato.

Donna Eugenia - E se ciò fosse, capireste con eguale facilità qual sia l'oggetto che l'occupi?

Conte Filiberto - No, signora, codesto è il segreto.

Donna Eugenia - Dunque non potete voi giudicare di essere escluso.

Conte Filiberto - Ma nè tampoco assicurarmi di essere il favorito.

Donna Eugenia - Gli animi discreti si contentano, se hanno una ragione di sperare,

Conte Filiberto - Sì, quando una ragion più forte non li faccia temere.

Donna Eugenia - Qual è il gran fondamento di questo vostro timore?

Conte Filiberto - Il mio demerito.

Donna Eugenia - No, Conte, pensate male.

Conte Filiberto - Aggiungete: lo spirito audace del mio rivale.

Donna Eugenia - Una novella ragione, che più mi offende.

Conte Filiberto - Vi supplico di compatirmi.

Donna Eugenia - Vi compatisco.

Conte Filiberto - È il cuore acceso che mi tramanda alle labbra...

Donna Eugenia - Conte, basta così.

Conte Filiberto - (Che dura pena è il moderare i trasporti!) (da sè)

Donna Eugenia - (Non vo' precipitar le risoluzioni). (da sè)



SCENA VI

Cecchino e detti, poi il Cavaliere degli Alberi


Cecchino - (da sè) (Questa è un'imbasciata che non piacerà al signor Conte). Signora, è qui il signor Cavaliere per riverirla.

Donna Eugenia - Venga pure. Una sedia. (Cecchino va a prendere la sedia)

Conte Filiberto - (s'alza) Signora, vi levo l'incomodo.

Donna Eugenia - No, Conte, non fate che la vostra apprensione si manifesti.

Conte Filiberto - Il mio rispetto...

Donna Eugenia - Sedete.

Conte Filiberto - (sedendo con agitazione) (Sono in cimento).

Cecchino - (da sè) (L'ho detto io. Due galli in un pollaio non istan bene). (parte)

Donna Eugenia - (da sè) (Spiacemi vederli uniti, ma sarebbe peggio s'ei si partisse).

Cavalier Costanzo - M'inchino a questa dama. (le bacia la mano)

Conte Filiberto - (vedendole baciar la mano, freme alquanto)

Donna Eugenia - Serva, cavalierino. Sedete.

Cavalier Costanzo - Conte, vi riverisco.

Conte Filiberto - (al Cavaliere) Servitore. Con licenza del Cavaliere. (piano ad Eugenia, accostandosi all'orecchio) (Signora, io non ho ardito di baciarvi la mano).

Donna Eugenia - (piano al Conte) (Chi vi ha impedito di farlo?)

Conte Filiberto - (da sè) (Pazienza; merito peggio).

Donna Eugenia - (al Cavaliere) Compatite.

Cavalier Costanzo - (allegro) Servitevi, se avete degli interessi.

Donna Eugenia - (al Cavaliere) Niente, niente, era un non so che; si era scordato di dirmi una cosa.

Cavalier Costanzo - Appunto; anch'io ho una cosa da comunicarvi. Con licenza, Conte. (piano a donna Eugenia) (Lo vogliamo far disperare).

Conte Filiberto - (da sè) (Se resisto, è un prodigio).

Donna Eugenia - Orsù, che si parli che tutti sentano. Che fate voi Cavaliere?

Cavalier Costanzo - Sto benissimo, quand'abbia l'onore della grazia vostra.

Donna Eugenia - La grazia mia è troppo scarsa.

Cavalier Costanzo - Anzi è sufficientissima quando anche fosse divisa in due.

Donna Eugenia - Siete voi di quelli che si contentano della metà?

Cavalier Costanzo - Sì certo, quando non si possa avere di più.

Conte Filiberto - Donna Eugenia non sa dividere il cuore.

Cavalier Costanzo - (con serietà) Nè voi, nè io lo sappiamo.

Donna Eugenia - (al Cavaliere) Mi tenete voi nel numero delle lusinghiere?

Cavalier Costanzo - (allegro) Guardimi il cielo. So che siete la più saggia dama del mondo; ma io tengo per fermo, che non sia limitata la grazia delle belle donne, e che salvo l'onesto vivere, possano a più di uno distribuire i favori, a chi più, a chi meno, con una distribuzione economica la quale poscia produca diversi effetti secondo la disposizione dell'animo di chi ne riceve la sua porzione, ond'è che ad uno la metà non basta, e si contenta un altro di meno.

Conte Filiberto - Questo non è pensare da uomo.

Cavalier Costanzo - (con serietà al Conte) Non ho parlato con voi.

Donna Eugenia - (al Cavaliere) Sarebbe vano adunque, che una donna desse a voi solo tutto il possesso del di lei cuore.

Cavalier Costanzo - (allegro) Non sarei sì pazzo di ricusarlo, e ne terrei quel conto che merita un simil dono; ma la difficoltà di aver tutto, mi fa contentare del poco.

Donna Eugenia - Questa difficoltà non mi par ragionevole.

Cavalier Costanzo - (allegro) La fondo sull'esperienza. Mi sono lusingato assai volte di possedere il trono della bellezza. Ma le monarchie in amore non durano, e mi contento di essere repubblichista.

Conte Filiberto - Il cuore di donna Eugenia non si misura cogli altri.

Cavalier Costanzo - (con serietà al Conte) La conosco al pari di voi.

Conte Filiberto - Se meglio la conosceste, non parlereste così.

Cavalier Costanzo - Sì, la conosco. (con serietà, poi si cambia voltandosi a Eugenia) Non vorrei, donna Eugenia, che interpretando voi pure i miei sentimenti in sinistro modo, come si compiace di fare il conte, mi privaste di quella porzione della grazia vostra, che mi lusingo di possedere. Però permettetemi ch'io mi spieghi. Separiamo prima di tutto dalla grazia, di cui le donne sogliono essere liberali a molti, quell'amore che si conviene ad un solo. Il marito non deve essere in concorrenza cogli altri; il futuro sposo di una fanciulla ha da pretendere di esser solo; quel della vedova parimenti; ma quella grazia distributiva di cui favello, sta in una parte del cuore non occupata da tali affetti. Mi sovviene ora un esempio. Il padre ama teneramente il figliuolo, e ama nel tempo medesimo gli amici suoi; l'uno e l'altro di questi amori hanno la loro sede nel cuore, ma situata in diverse parti, o se vogliamo che in una parte sola tutto l'amor risieda, diciamo adunque che, se non istà sul luogo, starà la differenza nel modo. Sia pur la donna saggia, onorata, al marito fedele, all'amante sincera. D'intorno a quest'amore costante s'aggirano alcuni piccioli affetti di gratitudine, di stima, di compiacenza onesta, che grazie, che favori si chiamano, che possono in più parti distribuirsi, che di una picciola parte possono contentare un uomo discreto; che per metà concessi, possono rendere un cavaliere superbo, e che pretesi tutti da un solo, si rende ardito, mostrando egli o di non conoscerne il prezzo, o di volerli confondere con quegli ardori che sono ad un oggetto più nobile destinati. Signora, eccovi il modo mio di pensare. Conte, se vi dà l'animo, rispondete.

Donna Eugenia - Via, conte, ora è tempo di farvi onore.

Conte Filiberto - Signora, io son nemico delle dicerie. Ammiro lo spirito del Cavaliere, ma non sono persuaso della distinzione sua metafisica. Fra le cose inutili o false una ne ha egli detto di buona, ed a quest'unica gli rispondo. Donna Eugenia è una dama vedova, e prima di disporre di quella grazia di cui vuol supporre le donne liberali a più d'uno, è in grado di concepir quell'amore che conviene ad un solo.

Cavalier Costanzo - (seriamente al Conte) Ella può farlo liberamente, e il fortunato posseditore della sua mano sarà sicuro della più virtuosa dama del mondo. (allegro) Signora, parmi vedere il conte a parte degli arcani del vostro cuore. Io non farò che lodare le vostre risoluzioni; ma non credo di meritarmi di essere escluso da una simile confidenza.

Donna Eugenia - Il conte non sa di certo niente più di quello che voi sapete.

Cavalier Costanzo - (al Conte) È vano dunque che voi facciate l'astrologo per ributtare i miei sentimenti.

Conte Filiberto - Pensate voi, che una vedova, giovane, ricca e nobile, che non può esser contenta del trattamento che in questa casa riceve, passar non voglia alle seconde nozze?

Cavalier Costanzo - (come sopra) Ella è padrona di sè medesima. Signora, io non ardisco d'indovinare, ma confesso che bramerei di saperlo.

Donna Eugenia - A due cavalieri ch'io stimo, non vo' celare la verità. La mia situazione mi sollecita a rimaritarmi.

Conte Filiberto - (al Cavaliere) Vedete ora, se l'astrologia è mal fondata.

Cavalier Costanzo - Via dunque, voi che alzate l'oroscopo de' cuori umani, vi dà l'animo d'indovinare chi sarà il fortunato?

Conte Filiberto - A ciò non voglio avanzarmi. Son però certo ch'ella non vorrà concedere il cuore a chi si contenta della metà.

Cavalier Costanzo - (alzandosi da sedere) Alto, alto, signore; siamo in un'altra tesi, e mi dichiaro diversamente. So ch'io non merito sì gran fortuna, ma quando ella volesse meco profondere le sue grazie sino al punto di dichiararmi suo sposo, più della gioventù, e della ricchezza, e della nobiltà che di lei vantaste, farei capitale della virtù, sarei geloso della sua fede, senza esserlo de' sguardi suoi, e separando le convenienze di una moglie saggia da quelle di una dama di spirito, sarei un marito felice, senza essere un cavaliere indiscreto.

Donna Eugenia - (da sè) (Con uno sposo di tal carattere non potrei essere che contenta).

Conte Filiberto - Cavaliere, altro è l'immaginare in distanza, altro è il ritrovarsi nel caso. Capisco che voi cercate la via più facile per accreditarvi nel cuore di chi vi ascolta; ma la facilità che le proponete, non può far breccia nell'animo di donna Eugenia, amante assai più di un amor virtuoso, che della moderna galanteria. Se le espressioni vostre sono sincere, voi non l'amate, e se l'amate, ella non può fidarsi della libertà che le promettete.

Donna Eugenia - (da sè) (Il dubbio non è fuor di ragione).

Cavalier Costanzo - Io non son qui venuto per sollecitare il cuore di Donna Eugenia. S'ella è per voi prevenuta, non ha che a dirmelo: so il mio dovere.

Donna Eugenia - No, Cavaliere, torno a ripetere, sono in libertà di disporre di me medesima.

Cavalier Costanzo - Disponete adunque.

Conte Filiberto - Ella è a tempo di farlo.

Cavalier Costanzo - Il tempo passa. I giorni della gioventù si piangono inutilmente perduti.

Conte Filiberto - La virtù è sempre bella.

Cavalier Costanzo - Ma nella gioventù è più brillante.

Conte Filiberto - Una moglie non ha bisogno di tanto brio.

Cavalier Costanzo - Ne ha di bisogno una dama.

Conte Filiberto - Una dama dev'esser saggia.

Cavalier Costanzo - Ma non per questo intrattabile.

Conte Filiberto - Dee dipendere dalla volontà del marito.

Cavalier Costanzo - La liberi il cielo dalla indiscretezza che voi vantate.

Conte Filiberto - Non la sagrifichi amore a chi non conosce il pregio della virtù.

Cavalier Costanzo - Se vi avanzate meco a tal segno...

Donna Eugenia - Cavalieri, se veniste per favorirmi, non vi riscaldate per mia cagione. Venero ciascheduno di voi, trovo in entrambi della ragione e del merito, ma non ho ancora di me disposto, nè ardisco dire che ad uno di voi mi crediate inclinata. Sono di me padrona, egli è vero; ma esige la convenienza che, nell'escire di questa casa, consigli, prima d'ogni altro, il padre del mio defunto marito. Se le di lui stravaganze non mi proporranno un partito indegno di me, preferirò ad ogni altra passione il dovere che ad un suocero mi assoggetta, e se l'uno o l'altro di voi mi verrà proposto, sarò egualmente contenta.

Conte Filiberto - Ah, donna Eugenia, ciò non basta per consolarmi.

Cavalier Costanzo - Ed io ne son contentissimo, e in questo punto da voi mi parto per avanzar le mie suppliche a Don Ambrogio; e ve lo dico in faccia del Conte, perch'ei lo sappia, e sia sicuro da tutto questo, che saprò correre la mia lancia, senza che mi spaventi il merito di un tal rivale. Signora, all'onore di riverirvi. (le bacia la mano, e parte)



SCENA VII

Donna Eugenia e il Conte


Conte Filiberto - (da sè) (S'ella divien mia sposa, tu non le bacierai più la mano).

Donna Eugenia - Conte, sarete voi meno sollecito del Cavaliere?

Conte Filiberto - Vada pur egli altrove a rintracciar Don Ambrogio; io l'attenderò qui, se mel concedete.

Donna Eugenia - Siete padron di restare. Ma dovete permettere, che per un mio picciolo affare passi nella mia camera.

Conte Filiberto - Lo vedo; voi state meco mal volentieri.

Donna Eugenia - No, v'ingannate. Ritornerò fra poco. Addio, Conte. (in atto di partire)

Conte Filiberto - Son vostro servo.

Donna Eugenia - (da sè, fermandosi) (Non curasi di baciarmi la mano!)

Conte Filiberto - Avete qualche cosa da dirmi?

Donna Eugenia - Avete voi qualche cosa da domandarmi?

Conte Filiberto - Non altro, se non che abbiate compassione di me.

Donna Eugenia - (gli offre la mano) Povero Conte! tenete.

Conte Filiberto - No, donna Eugenia, non è questo quel ch'io desidero. La mano che ora mi offrite, è ancor bagnata dalle labbra del Cavaliere. Son delicato in questo.

Donna Eugenia - Non mi dispiace la vostra delicatezza. Alcuno la chiamerebbe un difetto, ma i difetti che provengono dall'amore sono compatibili in un cuor sincero. (parte)



SCENA VIII

Il Conte, poi Don Ambrogio


Conte Filiberto - Queste picciole grazie, che son dall'uso concesse ai rispettosi serventi, non servono a chi si lusinga di divenire lo sposo. Impari ella per tempo il modo mio di pensare, e uniformandosi al mio sistema... Ecco qui Don Ambrogio. Il Cavaliere non dovrebbe averlo veduto, e se la sorte mi fa essere il primo, posso maggiormente sperare.

Don Ambrogio - Oh signor Conte, aspettate me forse?

Conte Filiberto - Per l'appunto, signore.

Don Ambrogio - Che cosa avete da comandarmi?

Conte Filiberto - L'affare che a voi mi guida è di tale importanza, che mi sollecita estremamente.

Don Ambrogio - Se mai a sorte (nol dico per offendervi), se mai voleste domandarmi danaro in prestito, vi prevengo che non ne ho.

Conte Filiberto - Grazie al cielo, non sono in grado d'incomodare gli amici per così bassa cagione.

Don Ambrogio - Vi torno a dir: compatitemi. Al giorno d'oggi le spese che si fanno, riducono i più facoltosi in istato d'aver bisogno, e non è più vergogna il domandare. Io non ne ho, ma se si trattasse di far piacere ad un galantuomo ho qualche amico da cui con un'onesta ricognizione potrei compromettermi di qualche centinajo di scudi.

Conte Filiberto - Ma io non ne ho di bisogno.

Don Ambrogio - Mi consolo, che non ne abbiate bisogno; se mai o per voi, o per altri, venisse il caso, sapete dove avete a ricorrere. Io non ho un soldo, ma si ritroverà all'occorrenza.

Conte Filiberto - Signore, voi avete una nuora.

Don Ambrogio - Così non l'avessi.

Conte Filiberto - Perchè dite questo?

Don Ambrogio - Vi par poca spesa per un pover'uomo una donna in casa?

Conte Filiberto - Quanto più vi riesce di aggravio, tanto meglio penserete a rimaritarla.

Don Ambrogio - Venisse oggi l'occasione di farlo.

Conte Filiberto - L'occasione non può essere più sollecita. Io la bramo in isposa, e vi supplico dell'assenso vostro.

Don Ambrogio - S'ella si contenta, siate pur certo che io ne sarò contentissimo.

Conte Filiberto - Spero di lei non compromettermi in vano.

Don Ambrogio - Dunque l'affare è fatto. Parlerò a donna Eugenia e se questa sera volete darle la mano, io non ho niente in contrario.

Conte Filiberto - Quando ella il consenta, noi stenderemo il contratto.

Don Ambrogio - Che bisogno c'è di contratto? Perchè volete spendere del danaro superfluamente? Quello che volete dare al notaio, non è meglio che ce lo mangiamo qui fra di noi?

Conte Filiberto - Ma della scritta non se ne può fare a meno. Se non altro per ragion della dote.

Don Ambrogio - Della dote? Oltre la sposa, pretendete ancora la dote?

Conte Filiberto - Donna Eugenia, nel maritarsi con vostro figlio, non ha portato in casa la dote?

Don Ambrogio - Quel poco che ha portato, si è consumato, ed io non ho niente più nè del suo, nè del mio.

Conte Filiberto - Sedicimila scudi si sono consumati in due anni?

Don Ambrogio - Si è consumato altro che sedicimila scudi! Principiate a vedere le liste delle spese che si son fatte. (tira fuori le carte)

Conte Filiberto - Non voglio esaminare quello che abbiate speso per lei; ma so bene che ad una vedova senza figliuoli si conviene la restituzion della dote.

Don Ambrogio - Voi siete venuto per assassinarmi.

Conte Filiberto - Son venuto per l'amore di donna Eugenia.

Don Ambrogio - Se amaste la donna, non ricerchereste la roba.

Conte Filiberto - Non la cerco per me, ma per lei, nè posso, colla speranza di essere suo marito, tradir le ragioni che a lei competono.

Don Ambrogio - Senza che venghiate a fare il procuratore per donna Eugenia, so anch'io da me medesimo quello che può pretendere e quello che a me si spetta. La dote c'è e non c'è, la voglio dare, e non la voglio dare; ma se ci sarà, e se dovrò darla, la darò in modo che sia sicura, e che non abbia un giorno la povera donna a restar miserabile.

Conte Filiberto - La casa mia non ha fondi bastanti per assicurarla?

Don Ambrogio - Vi parlo chiaro, come l'intendo. Se cercaste di maritarvi per l'amore della persona, non cerchereste con tanta ansietà la sua dote.

Conte Filiberto - Io ne ho parlato per accidente.

Don Ambrogio - Ed io vi rispondo sostanzialmente: donna Eugenia è stata moglie di mio figliuolo; le sono in luogo di padre; e quando abbia volontà di rimaritarsi, ci penso io.

Conte Filiberto - E s'ella presentemente avesse un tal desiderio?

Don Ambrogio - Me lo faccia sapere.

Conte Filiberto - Fate conto ch'io ve lo dica per essa.

Don Ambrogio - Fate voi il conto di essere donna Eugenia, e sentite la mia risposta: il conte dell'Isola non è per voi.

Conte Filiberto - E perchè, signore?

Don Ambrogio - Perchè è un avaro.

Conte Filiberto - Lasciamo gli scherzi, che io ne sono nemico. Don Ambrogio, spiegatevi seriamente.

Don Ambrogio - Sì, parliamo sul sodo. Conte, mia nuora non fa per voi.

Conte Filiberto - La cagione vorrei sapere.

Don Ambrogio - Ho qualche impegno, compatitemi, non siete il primo che me la domandi.

Conte Filiberto - Mi ha prevenuto forse il Cavaliere degli Alberi?

Don Ambrogio - Potrebbe darsi. (da sè) (Non l'ho nemmeno veduto).

Conte Filiberto - Quando vi ha egli parlato?

Don Ambrogio - Quando io l'ho sentito.

Conte Filiberto - Non è codesto il modo di rispondere a un cavaliere.

Don Ambrogio - Servitore umilissimo.

Conte Filiberto - Voi trattate villanamente.

Don Ambrogio - Padrone mio riverito.

Conte Filiberto - Conosco le mire indegne del vostro animo. Voi negate di dar la nuora a chi vi chiede la dote, ma ciò non vi verrà fatto. Donna Eugenia sarà illuminata, e dovrete a forza restituire ciò che tentate di barbaramente usurpare. (parte)



SCENA IX

Don Ambrogio, poi il Cavaliere


Don Ambrogio - La riverisco divotamente. Restituire? Me ne rido. Ho il mio procuratore, che è fatto apposta per tirar innanzi. Egli s'impegna di mantenere la lite in piedi, se occorre, dieci anni almeno, e in dieci anni posso morir io, e può morire la nuora. Per altro non ho piacere che si sparga per il paese, che io procuro che non si mariti per non restituire la dote. Da qui avanti mi regolerò un po' meglio, troverò degli altri pretesti, e cercherò di sottrarmi con pulizia, con destrezza.

Cavalier Costanzo - (ilare sempre) Servitore del mio carissimo Don Ambrogio.

Don Ambrogio - Padrone mio, signor Cavaliere garbato.

Cavalier Costanzo - Venite sempre più giovane. Mi consolo, quando vi vedo.

Don Ambrogio - Oh, quanto anch'io mi rallegro in vedervi! gioventù benedetta!

Cavalier Costanzo - Perchè non venite a favorirmi, a bevere la cioccolata da me?

Don Ambrogio - Vi voglio venire.

Cavalier Costanzo - E a pranzo ancora.

Don Ambrogio - E a pranzo ancora.

Cavalier Costanzo - (da sè) (Lo conosco, conviene allettarlo).

Don Ambrogio - (da sè) (So quel che vuole. Non mi corbella).

Cavalier Costanzo - Oh, quanto mi è rincresciuta la morte di vostro figlio!

Don Ambrogio - Obbligato; non parliamo di melanconie.

Cavalier Costanzo - Parliamo di cose allegre. Quando vi rimaritate?

Don Ambrogio - Non sono fuori del caso.

Cavalier Costanzo - Animo, da bravo: ho un'occasione per voi la più bella del mondo. Eh! ci sono de' quattrini non pochi.

Don Ambrogio - Oh, io poi, se mi maritassi, la vorrei senza dote.

Cavalier Costanzo - Bravissimo: sono anch'io della stessa opinione. Se mi marito, non voglio niente. Le mogli che portano del danaro, pretendono comandare. No, no; soddisfare il genio, e non altro; una donna che piaccia, e non si cerchi di più.

Don Ambrogio - (da sè) (Se dicesse da vero? ma non me ne fido).

Cavalier Costanzo - Quel che volete fare, fatelo presto. Liberatevi dall'impiccio di vostra nuora, e conducetevi a casa un pezzo di giovinotta, che vi rimetta il figliuolo che avete perduto, e che vi faccia essere contento nella vecchiaia.

Don Ambrogio - Oh, se lo voglio fare! Lasciate che mi liberi della nuora.

Cavalier Costanzo - Perchè non fate che si mariti?

Don Ambrogio - Se capitasse un'occasione a proposito.

Cavalier Costanzo - Per esempio, chi credereste voi che le convenisse?

Don Ambrogio - Io so com'è fatta quella povera donna; ha il più bel cuore di questo mondo. Ella avrebbe bisogno di uno, che se ne innamorasse, e che veramente le volesse bene di cuore. Al giorno d'oggi non si trovano i partiti che di due sorte: o discoli, o interessati; e tutti principiano dalla dote; è una miseria per una giovine che ha qualche merito, sentirsi chiedere per la dote.

Cavalier Costanzo - Questo è quello ch'io vi diceva poc'anzi. Se mi marito, non voglio dote.

Don Ambrogio - Voi siete un cavaliere veramente cavaliere, che sa la vera cavalleria. Ditemi un poco: lo conoscete voi il merito di mia nuora?

Cavalier Costanzo - Se lo conosco? lo sa il mio cuore, se lo conosco.

Don Ambrogio - E che sì, che siete venuto per domandarmela?

Cavalier Costanzo - Gran Don Ambrogio! gran Don Ambrogio! volpe vecchia! Come diamine l'avete voi penetrato?

Don Ambrogio - Mi pareva che le carezze che mi avete fatte, tendessero a qualche fine.

Cavalier Costanzo - Oh, qui poi v'ingannate. Vi ho sempre voluto bene, e ve ne vorrò; e voglio vedervi con una sposa al fianco, bella, giovine, e senza dote.

Don Ambrogio - Su questo particolare si parlerà. Se avrò da maritarmi, la prenderò senza dote. Farò che il vostro esempio mi sia di regola in questo.

Cavalier Costanzo - Lo sapete: io non sono interessato.

Don Ambrogio - (da sè) (Batte sodo finora). Volete che io ne parli a donna Eugenia?

Cavalier Costanzo - Lo potrete fare con comodo; bastami per ora che voi mi diciate, se dal canto vostro sarete di ciò contento.

Don Ambrogio - Contentissimo. Sarei un pazzo, sarei nemico di donna Eugenia, se mi opponessi alla sua fortuna. Un Cavalier che l'ama, e che per segno d'amore non domanda un soldo di dote! cospetto di bacco! a questa sì nobile condizione vi darei una mia figliuola.

Cavalier Costanzo - Viva il signor Don Ambrogio!

Don Ambrogio - Viva il signor Cavaliere degli Alberi!

Cavalier Costanzo - Siete lo specchio de' galantuomini.

Don Ambrogio - Siete la vera immagine del cavaliere.

Cavalier Costanzo - Caro, carissimo. (gli dà un bacio)

Don Ambrogio - (da sè) (Che tu sia benedetto!)

Cavalier Costanzo - Donna Eugenia quanto ha dato di dote a vostro figliuolo?

Don Ambrogio - (Rimane un poco confuso) Non mi parlate di melanconie. Il poveretto è morto, e non ho piacer che se ne discorra.

Cavalier Costanzo - Non parliamo di lui, parliamo di Donna Eugenia.

Don Ambrogio - Sì, di lei parliamo quanto volete.

Cavalier Costanzo - Donna Eugenia quanto vi ha dato di dote?

Don Ambrogio - A me?

Cavalier Costanzo - Alla vostra casa.

Don Ambrogio - A voi che importa saperlo? Non la volete già senza dote?

Cavalier Costanzo - Sì, ci s'intende. Domando così, per curiosità.

Don Ambrogio - In un cavaliere di garbo, come voi siete, sta male la curiosità. Se donna Eugenia lo sa che mi facciate tale domanda, crederà che il vostro amore sia interessato, ed io, se me lo posso immaginare soltanto, vi dico un no, come ho detto al Conte dell'Isola.

Cavalier Costanzo - Vi ha parlato il Conte?

Don Ambrogio - Sì, mi ha parlato quell'avarone. Appena appena mi disse non so che della vedova, subito mi ricercò della dote.

Cavalier Costanzo - Io poi la metto nell'ultimo luogo.

Don Ambrogio - Nell'ultimo luogo? Tardi o presto dunque ci volete pensare.

Cavalier Costanzo - Questi sono discorsi inutili. Mi preme la sposa, ve la domando per quell'autorità che sopra di essa vi concede la parentela e non avete a dirmi di no.

Don Ambrogio - Ho detto di sì, mi pare; e torno a dirvi di sì un'altra volta; e se non vi sono altre difficoltà che questa, contate pure sopra il mio pienissimo consentimento.

Cavalier Costanzo - Voi mi consolate, voi mi mettete in giubilo: caro il mio Don Ambrogio, permettetemi, in segno di vero amore… (gli dà un bacio)

Don Ambrogio - Volete che facciamo fra voi e me (prima di parlare con donna Eugenia), volete che facciamo quattro righe di scritturetta?

Cavalier Costanzo - Per la dote forse?

Don Ambrogio - Sì, sul proposito della dote. Poniamo in carta l'eroismo del vostro amore.

Cavalier Costanzo - Subito. In qual maniera?

Don Ambrogio - Una picciola protesta, che v'intendete di volere la sposa senza pretension della dote.

Cavalier Costanzo - Se ne offenderà donna Eugenia.

Don Ambrogio - Lasciate accomodare a me la faccenda.

Cavalier Costanzo - Ella può pretenderla senza di me.

Don Ambrogio - Andiamo dal mio procuratore: troverà egli un mezzo termine per ridurre la cosa legale.

Cavalier Costanzo - Si parlerà poi di questo. Andiamo subito da donna Eugenia.

Don Ambrogio - No, un passo alla volta.

Cavalier Costanzo - Un passo alla volta. Prima quel della sposa.

Don Ambrogio - Prima quello della rinunzia.

Cavalier Costanzo - Bravo, Don Ambrogio; voi siete il più spiritoso talento di tutto il mondo.

Don Ambrogio - Cavaliere garbato, andiamo; ci spicciamo in meno di un'ora.

Cavalier Costanzo - Oh, mi sovviene ora di un picciolo impegno. Sono aspettato in Piazza. Sarò da voi quanto prima.

Don Ambrogio - Verrò con voi, se volete.

Cavalier Costanzo - Non vi vo' dar quest'incomodo. Ci rivedremo.

Don Ambrogio - Sono sempre ai vostri comandi.

Cavalier Costanzo - Addio, il mio amatissimo Don Ambrogio. (lo abbraccia)

Don Ambrogio - Sì, con tutto il cuore. (lo abbraccia)

Cavalier Costanzo - (da sè) (La sa lunga il vecchio, ma non ha da fare con ciechi).

Don Ambrogio - (da sè) (Eh! Ci vedo del torbido, ma sono all'erta).

Cavalier Costanzo - (da sè) (Avviserò donna Eugenia).

Don Ambrogio - (da sè) (Che cosa fa che non parte?) Signore, avete qualche cos'altro da dirmi?

Cavalier Costanzo - Sì, una cosa sola; e vi lascio subito. Sentite in confidenza, che nessuno ci ascolti. (all'orecchio) Siete un volpone di prima riga. Servitore divoto. (con un poco di caricatura)

Don Ambrogio - (facendo lo stesso) Padrone mio riverito.

Cavalier Costanzo - (come sopra) La riverisco divotamente. (parte)



SCENA X

Don Ambrogio, poi Don Fernando


Don Ambrogio - Vada pure, ch'io l'ho nel cuore. A me volpe? Per quel ch'io vedo, fra lui e me siamo da galeotto a marinaro. Che ti venga la rabbia: come ha preso la volta lunga per attrapparmi! Pareva, a principio, ch'ei fosse l'uomo più generoso del mondo, e si è scoperto alla fine un avaro peggio degli altri. Io non son tale; l'avaro non è quegli che cerca di mantenersi quel che possiede, ma colui che vorrebbe avere quel che non ha.

Don Fernando - Signor Don Ambrogio...

Don Ambrogio - È venuta la posta?

Don Fernando - Sì, signore. Ho avuto lettera da mio padre...

Don Ambrogio - E quattrini?

Don Fernando - E quattrini ancora.

Don Ambrogio - Dunque principio fin da ora ad augurarvi il buon viaggio.

Don Fernando - Ed io a ringraziarvi...

Don Ambrogio - Non vi è bisogno di cerimonie. Tenete un bacio e andate, che il cielo vi benedica.

Don Fernando - Ah! mi converrà poi partire.

Don Ambrogio - Che avete, che sospirate?

Don Fernando - Sono addolorato all'estremo. Mi si stacca il cuore dal petto; non posso trattenere le lagrime.

Don Ambrogio - Ehi, ragazzo, siete voi innamorato?

Don Fernando - Compatitemi per carità.

Don Ambrogio - Tanto peggio. Via di qua subito.

Don Fernando - Voi mi vedrete cadere sulle soglie della vostra casa.

Don Ambrogio - Corpo di bacco baccone. Sareste voi innamorato di mia nuora?

Don Fernando - (si volta da un'altra parte sospirando)

Don Ambrogio - Via di qua subito.

Don Fernando - Finalmente non credo di farvi veruna ingiuria. Sono anch'io cavaliere nel mio paese. Son figlio solo, e vuol mio padre ch'io mi mariti.

Don Ambrogio - Aspirereste a sposarla dunque?

Don Fernando - Sarei felice, ma non lo merito.

Don Ambrogio - Ditemi un poco. Parliamo sul sodo. Siete voi innamorato di lei, o della sua dote?

Don Fernando - Che dote? che mi parlate di dote: rinunzierei per averla a tutti i beni di questo mondo.

Don Ambrogio - Lo sa ella, che le volete bene?

Don Fernando - Non ho avuto coraggio di dirlo.

Don Ambrogio - Caro il mio Don Fernando, vi amo, come se foste un mio figlio. Mi spiace nell'anima vedervi andar sconsolato. Venite qui, discorriamola.

Don Fernando - Voi mi rallegrate a tal segno...

Don Ambrogio - Spicciamoci in poche parole. La volete voi per isposa?

Don Fernando - Volesse il cielo! Sarei il più contento giovine di questo mondo.

Don Ambrogio - Ma che dirà vostro padre?

Don Fernando - Egli mi ama teneramente. Son certo che non ricuserà di accordarmi una sì giusta soddisfazione.

Don Ambrogio - Quanti anni avete?

Don Fernando - Vent'anni in circa.

Don Ambrogio - Non siete pupillo, la legge vi mette in grado di contrattare. Avreste difficoltà di fare a me una rinunzia della sua dote?

Don Fernando - Sono prontissimo.

Don Ambrogio - Ed obbligarvi verso di lei, s'ella un giorno la pretendesse?

Don Fernando - Sì, volentieri; con qualunque titolo: di donazione propter nuptias, di sopraddote, di contraddote, come vi aggrada.

Don Ambrogio - Subito, immantinente. Vado a trovar il procuratore, che è notaio ancora. Voi intanto presentatevi a donna Eugenia; ditele qualche cosa.

Don Fernando - Non avrò coraggio, signore.

Don Ambrogio - Un giovine di vent'anni non saprà dir due parole ad una donna? Fatevi animo, se volete che si concluda. Principiate voi a disporla colle buone grazie. Verrò io in aiuto.

Don Fernando - So ch'ella è pretesa da qualcun altro.

Don Ambrogio - Non temete nessuno. I due che la pretendono son due spilorci. Voi siete il più generoso e il più meritevole. Ha da esser vostra, se casca il mondo. Via, non perdete tempo.

Don Fernando - Vado subito. Sento l'usato timore; ma voi mi fate coraggio. (parte)



SCENA XI

Don Ambrogio, poi Donna Eugenia


Don Ambrogio - Finalmente l'ho poi trovato il galantuomo. Oh, non me lo lascio scappare. Quando è fatta, è fatta. Suo padre ci dovrà stare per forza... Oh, ecco donna Eugenia. Egli la cerca per di là, ed ella vien per di qua.

Donna Eugenia - Signor suocero, vi riverisco.

Don Ambrogio - Servo, signora sposa.

Donna Eugenia - Io sposa?

Don Ambrogio - Sì, consolatevi; spero che ne sarete contenta.

Donna Eugenia - E chi pensate voi che debba essere il mio sposo?

Don Ambrogio - Una persona che conoscete, che trattate, e che mi lusingo non vi dispiaccia.

Donna Eugenia - (da sè) (O il Conte o il Cavaliere, m'immagino). Ma ditemi via chiaramente...

Don Ambrogio - Or ora lo mando qui a parlarvi da lui medesimo. Voglio lasciarvi in un poco di curiosità. Vo' farvi astrologare un pochino. È un galantuomo; ve lo assicuro. Prendetelo ad occhi chiusi.

Donna Eugenia - Via, ditemi almeno…

Don Ambrogio - Signora no; or ora lo vedrete. (parte)



SCENA XII

Donna Eugenia, poi il Conte


Donna Eugenia - Uno dei due senz'altro. Per verità, mi appiglierei più volentieri al partito del Cavaliere. Ma sono in parola di dipendere dalla scelta di Don Ambrogio. Ecco il Conte: senz'altro è questi che mandami Don Ambrogio, questi è lo sposo che mi destina.

Conte Filiberto - Perdonate, se sono ad incomodarvi.

Donna Eugenia - Conte, ho motivo di consolarmi con me medesima.

Conte Filiberto - Di che, signora?

Donna Eugenia - Don Ambrogio mi ha detto...

Conte Filiberto - Don Ambrogio è un villano, e del trattamento indegno che fece alla mia persona, e che medita di voler fare alla vostra, farò che, a suo malgrado, ne renda conto.

Donna Eugenia - Non accorda egli le nostre nozze?

Conte Filiberto - All'incontrario: l'avidità di possedere la vostra dote, fa ch'ei procuri di attraversarvi ogni partito, e giunse a perdere a me il rispetto.

Donna Eugenia - Resto maravigliata; mi ha pure egli detto... (da sè) (Veggo il Cavaliere che viene. Sicuramente sarà codesto il prescelto).

Conte Filiberto - Che vi ha egli detto, signora?

Donna Eugenia - Conte, voi sapete la mia indifferenza...



SCENA XIII

Il Cavaliere e detti.


Cavalier Costanzo - Vengo innanzi senza imbasciata, sull'esempio del Conte. M'inchino alla dama. Amico, vi riverisco. (lo risalutano)

Donna Eugenia - Avete qualche novità, Cavaliere?

Cavalier Costanzo - Sì, certo; novità importantissime. Sono impaziente che le sappiate voi pure.

Donna Eugenia - Spiacemi che alla presenza del Conte...

Conte Filiberto - Partirò, mia signora...

Cavalier Costanzo - Restate pure. Ho piacere che si sappia da tutto il mondo.

Donna Eugenia - Voi siete dunque da Don Ambrogio...

Cavalier Costanzo - Sì, sonoramente burlato. Mi ha dato delle buone speranze di essere favorito, ma pretendeva da me una rinunzia ingiustissima della vostra dote. Non è che io non preferisca la vostra mano a tutto l'oro del mondo; ma non mi è lecito arbitrare di quel ch'è vostro. Vedete dunque a che tendono le sue mire vili, indegnissime, e risolvete disporre di voi medesima.

Donna Eugenia - (da sè) (Ma chi può essere la persona da lui prescelta, che io conosco e ch'io tratto?)

Conte Filiberto - Ormai la vostra dipendenza dal suocero diviene ingiusta, e la sua indiscretezza vi esime da ogni onesto riguardo.

Cavalier Costanzo - Siete in faccia del mondo bastantemente giustificata.

Donna Eugenia - (da sè) (Sempre si rende maggiore la mia curiosità).

Conte Filiberto - Il Cavaliere aspetta le vostre risoluzioni.

Cavalier Costanzo - Le aspetta il Conte non meno. Siamo in due che vi bramiamo; voi dovete decidere. E in questo caso non ha luogo il ripiego della division per metà.



SCENA XIV

Cecchino e detti.


Cecchino - (ad Eugenia) Il signor Don Fernando brama di riverirla.

Donna Eugenia - Se non ha cosa di gran premura, digli che a pranzo noi ci vedremo.

Cecchino - Ha avuto lettere di casa sua. Credo che debba andarsene.

Donna Eugenia - Così subito? Venga pure. Sentiamo. (Cecchino parte)

Conte Filiberto - Cavaliere, la decisione che si aspetta da Donna Eugenia, non solo esclude la division per metà,ma ogni speranza di quelle picciole grazie che a voi rassembrano indifferenti.

Cavalier Costanzo - Ogni uno pensi a suo modo. In quanto a me, non farò mai un'ingiustizia alla virtù della sposa col dubitare di lei. S'ella sarà servita, tanto più sarò io contento d'aver per compagna una dama di merito; e riderò di coloro che pazzamente si lusingassero di usurparmi una scintilla di quell'ardore, che per me solo sarà nel di lei cuor custodito.

Donna Eugenia - (da sè) (Che nobili sentimenti!)



SCENA XV

Don Fernando e detti.


Don Fernando - (standosi lontano) È permesso?

Donna Eugenia - Avanzatevi, Don Fernando.

Don Fernando - (da sè) (Ah! questi due mi tormentano).

Donna Eugenia - È egli vero, che voi partite?

Don Fernando - (come sopra) Signora...

Donna Eugenia - Fatevi innanzi, che timidezza è la vostra?

Don Fernando - Tornerò, signora... Ho qualche cosa da dirvi.

Donna Eugenia - Potete parlare liberamente. Questi cavalieri li conoscete. Avete soggezione di loro?

Don Fernando - La cosa ch'io deggio dirvi... (da sè) (Non è possibile che io lo dica).

Cavalier Costanzo - (ritirandosi un poco per dar luogo a Don Fernando) Parlatele pure come vi aggrada. Io non ascolterò quel che dite.

Conte Filiberto - (ritirandosi un poco) Servitevi; so il mio dovere.

Donna Eugenia - Dite quel che vi occorre. (a Don Fernando)

Don Fernando - Compatitemi, se una violenta necessità... (Non so da dove principiare a spiegarmi. Don Ambrogio mi ha imbarazzato).

Donna Eugenia - (da sè) (Fosse mai Don Fernando?) Ditemi, avete voi veduto mio suocero?

Don Fernando - Signora... Egli è appunto che a voi mi manda.

Donna Eugenia - (da sè) (Sarebbe bellissima la novità). Che cosa vi ha egli detto di dirmi?

Don Fernando - Vuole che io vi sveli... che se finora ho taciuto... (da sè) (Mi mancano le parole).

Donna Eugenia - (da sè) (È così senz'altro. Mio suocero sempre più impazzisce! Un giovane soggetto al padre, nel mezzo degli studj suoi, sarebbe un precipitarlo).

Don Fernando - (da sè) (Pare che mi abbia inteso. E mi lusingo dagli occhi suoi che non mi disprezzi).

Cavalier Costanzo - Questi segreti non sono ancor terminati?

Don Fernando - (al Cavaliere) Non ancora, signore.

Donna Eugenia - Venite, Cavalieri, venite. Don Fernando non ha che un complimento da farmi. Suo padre lo richiama in Mantova, ed egli ch'è un figliuolo saggio e prudente, conosce i doveri suoi, vuol partir subito, ed è venuto per congedarsi. So che in Pavia ha un amoretto che lo trattiene, e inclinerebbe ad unirsi colla persona che egli ama; però riflette da sè medesimo, che nell'età in cui si trova, dee pensare a terminar i suoi studj, e non a perdersi col matrimonio. Vede egli benissimo, che il padre suo ne sarebbe scontento, ed un figlio unico non dee rendere così trista mercede al genitore che l'ama. Ha risolto dunque di partire. Io lo stimolo a farlo, e voi lodatelo per così onesta risoluzione.

Don Fernando - (da sè) (Senza ch'io parli, ho avuto la mia risposta).

Cavalier Costanzo - Bravissimo, Don Fernando, mi consolo di vedervi in una età ancor tenera così prudente.

Don Fernando - (al Cavaliere) Obbligatissimo alle grazie vostre.

Conte Filiberto - Fuggite, Don Fernando, fuggite subito. Voi non sapete a che conduca l'amore.

Don Fernando - (al Conte) Grazie del buon consiglio.

Donna Eugenia - (a Fernando) Fatelo di buon animo, e consolatevi. Tanto più ch'io posso assicurarvi, che la donna che voi amate vi stima, ma non vi ama.

Don Fernando - Questa che voi mi date, è una bella consolazione. Pazienza... Compatitemi...

Cavalier Costanzo - (ad Eugenia) Pare che sia innamorato di voi.

Conte Filiberto - Non sarebbe fuor di proposito.

Donna Eugenia - Non è possibile. Egli era troppo amico di mio marito.

Cavalier Costanzo - Anzi per questo; può credere un effetto di buona amicizia il consolar la vedova dell'amico.

Don Fernando - (adirato) Mi maraviglio di voi.

Cavalier Costanzo - Non andate in collera.

Don Fernando - Servo di lor signori. (vuol partire)



SCENA ULTIMA

Don Ambrogio, un Procuratore e detti.


Don Ambrogio - (incontrandolo) Dove si va, Don Fernando?

Don Fernando - A Mantova.

Don Ambrogio - Senza la sposa?

Donna Eugenia - (a Don Ambrogio) Lodereste voi che si maritasse?

Don Ambrogio - Sì certo; ed è quegli che per vostro bene vi conviene accettare in isposo.

Don Fernando - Non mi vuole, signore.

Don Ambrogio - Non vi vuole? Nuora mia, voi non lo conoscete. Altro merito ha egli, che non hanno questi due signori garbati. Lascio da parte la nobiltà e la ricchezza, chè non vo' svegliare puntigli; ma egli vi ama da vero, ed una prova grande dell'amor suo, a differenza degli altri, è che egli domanda voi, e non ha ancora parlato di dote.

Donna Eugenia - Ora conosco il merito, che in lui vi pare merito trascendente. Io della roba mia son padrona, e quel rispetto che ho usato finora al padre del mio defunto consorte, non lo merita la vostra ingiustizia, non lo speri più la vostra avarizia.

Don Ambrogio - (al Procuratore) Signor Dottore, la scritta che doveva farsi non si fa più; ma ponete in ordine quel che occorre per difendere le povere mie sostanze. Donna Eugenia, dopo aver consumata la dote in nastri e cuffie, vuole spogliarmi di quel poco che mi è restato.

Donna Eugenia - (a Don Ambrogio) Mi maraviglio di voi, signore.

Don Ambrogio - Ed io di voi.

Cavalier Costanzo - Zitto, signori miei. Lasciatemi dir due parole, e vediamo se mi dà l'animo di accomodar la faccenda con soddisfazione di tutti.

Don Ambrogio - (verso Don Fernando) Questo povero giovane mi fa compassione.

Don Fernando - Per me non c'è caso. Ha detto che non mi vuole.

Conte Filiberto - Si farà una lite per donna Eugenia, ed io m'impegno di sostenerla.

Cavalier Costanzo - No, senza liti. Ascoltatemi. Il povero Don Ambrogio, che ha tanto speso, non è dovere che si rovini colla restituzion di una dote. Questa dama non ha da restare nè vedova, nè indotata, e nè tampoco impegnar si deve una lite lunga, tediosa e pericolosa. Facciamo così: ch'ella si sposi con un galantuomo, che oggi non abbia bisogno della sua dote; che questa dote rimanga nelle mani di Don Ambrogio fino ch'ei vive; che corra a peso di Don Ambrogio il frutto dotale al quattro per cento; ma questo frutto ancora resti nelle di lui mani, durante la di lui vita. Alla sua morte la dote e il frutto, e il frutto de' frutti, passi alla dama, o agli eredi suoi, e per non impicciare in conti difficili l'eredità di Don Ambrogio, in una parola, goda egli tutto fin a che vive, e dopo la di lui morte, non avendo egli nè figliuoli, nè nipoti, instituisca donna Eugenia erede sua universale. (a Don Ambrogio) Siete di ciò contento?

Don Ambrogio - Non mi toccate niente, son contentissimo.

Cavalier Costanzo - Voi, donna Eugenia, che dite?

Donna Eugenia - Mi riporto ad un cavaliere avveduto, come voi siete.

Cavalier Costanzo - Quando troviate oneste le mie proposizioni, eccovi in me il galantuomo, pronto a sposarvi senza bisogno per ora della vostra dote.

Conte Filiberto - Una simile esibizione la posso fare ancor io. La sicurezza d'aver la dote un giorno aumentata per benefizio de' figliuoli, vale lo stesso che conseguirla, nè il ritrovato del Cavaliere ha nulla di sì stravagante, ch'io non potessi quanto lui immaginarlo.

Cavalier Costanzo - (al Conte) Il Colombo trovò l'America. Molti dopo di lui dissero ch'era facile il ritrovarla; col paragone dell'uovo in piedi, svergognò egli i suoi emuli, ed io dico a voi, che il merito della scoperta per ora è mio.

Don Ambrogio - Accomodatevi fra di voi, salvo sempre la roba mia, fin ch'io vivo.

Conte Filiberto - Donna Eugenia è in libertà di decidere.

Donna Eugenia - Conte, finora fui indifferente. Ma farei un'ingiustizia al Cavaliere, se mi valessi de' suoi consigli, per rendere altrui contento. Egli ha trovato il filo per trarmi dal labirinto. Sua deve essere la conquista.

Cavalier Costanzo - Oh saggia, oh compitissima dama!

Conte Filiberto - Sia vero o falso il pretesto, non deggio oppormi alle vostre risoluzioni, e siccome, se io vi avessi sposata, non avrei sofferto l'amicizia del Cavaliere, così, sposandovi a lui, non mi vedrete mai più.

Cavalier Costanzo - Io non sono melanconico, come voi siete. Alla conversazion di mia moglie tutti gli uomini onesti potran venire: protestandomi che di lei mi fido, e che il vostro merito non mi fa paura.

Don Ambrogio - Andiamo, signor Dottore, a far un'altra scrittura, chiara e forte, sicchè, fin ch'io viva, non possa temer di niente. Voi, signor Don Fernando, andate a Mantova, e seguitate a studiare. Signor Cavaliere, fatto il contratto, darete la mano a mia nuora, e voi, signor Conte, se perdeste una tal fortuna, vi sta bene, perchè siete un Avaro.


Fine della Commedia.


EDIZIONE DI RIFERIMENTO: "Carlo Goldoni - Commedie scelte", Volume Terzo, 4a edizione, Edoardo Sonzogno Editore, Milano, 1890







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