Cambogia, l'assalto alle foreste.

da "il manifesto" del 29 Ottobre 2003

La denuncia è di Global Witness, organizzazione non governativa con sede a Londra che si dedica a indagare come le risorse naturali alimentano corruzione e conflitti. Si tratta dell'industria forestale in Cambogia: dice Global Witness che la Banca Mondiale si sta preparando ad approvare i piani di gestione forestale di due aziende ben note per aver tagliato legname abusivamente e in modo massiccio. Grezzo o lavorato, il legname è diventato negli anni `90 la prima voce delle esportazioni cambogiane, anche se è un'industria in gran parte illegale: nel '96 infatti il governo di Phnom Penh ha vietato taglio e export di legno pregiato. Fin dai primi anni `90 inoltre il governo aveva istituito diverse aree protette, in particolare lungo le cordigliere montagnose. Ma tutto questo resta sulla carta. Dal `94 il governo cambogiano ha dato decine di concessioni forestali; quasi 7 milioni di ettari di foresta erano stati assegnati, per periodi di quindici - vent'anni, a ditte sia cambogiane sia di Malaysia, Taiwan e Cina. Le concessionarie sarebbero tenute a rispettare delle regole sul taglio degli alberi: quote annuali, rotazioni, riforestazione. Così non è stato. Le concessionarie hanno tagliato indiscriminatamente, nelle loro zone e spesso fuori.. Il commercio illegale è stato praticato su larga scala. Così la Cambogia, 14 milioni di abitanti e 270 dollari procapite di reddito annuo, si sta giocando le sue ultime foreste. Ma il commercio di buon legno tropicale è affare troppo redditizio...

L'ultima denuncia la dice lunga su come funziona il traffico illegale, con protezioni ad altissimo livello. Le due aziende sono Colexim Enterprise e Everbright Cig Wood. Entrambe hanno una storia di attività illegali che Global Witness conosce bene perché per tre anni, tra il 1999 e il maggio scorso, ha avuto l'incarico dal governo cambogiano di partecipare a un monitoraggio indipendente del disboscamento illegale. Colexim è la joint venture tra una ditta giapponese e il governo cambogiano (che possiede il 51 percento). Ha in concessione quasi 150mila ettari di foresta tra cui parte della regione di Prey Long, la foresta più preziosa della Cambogia (sia in termini commerciali che ecologici). Fin dal 1995 taglia ben oltre le sue concessioni, sostiene l'organizzazione londinese. Nel 2001 gli ispettori l'avevano denunciata perché tagliava, fuori dalla sua zona di concessione, alberi da cui la popolazione locale raccoglieva resina. Doppia infrazione, anzi tripla: perché ha disboscato dove non doveva, perché ha sottratto alle casse dello stato 60mila dollari (a tanto ammontavano le royalities, se quel volume di legname fosse stato tagliato legalmente), e perché la legge vieta in modo esplicito di tagliare i boschi che forniscono sostentamento alla popolazione locale (e raccogliere resina, attività del tutto sostenibile, è una fonte di reddito: la resina dei dipterocarpi ha un valore commerciale sia in Cambogia che nei paesi vicini).

Anche Everbright, di proprieta dello stato della Repubblica popolare cinese, era stata denunciata dagli ispettori per aver tagliato illegalmente, nel 2000 e nel 2001, dentro e fuori dai 136mila ettari di foresta in concessione: secondo Global Witness ha sottratto così alle casse dello stato circa 250mila dollari in royalties mancate. Nei suoi stabilimenti per la produzione di compensato gli ispettori avevano constatato che il 20 percento dei tronchi lavorati non avevano la stampigliatura del governo, ovvero erano di provenienza illegale.

Le prove a carico di queste due aziende sono schiaccianti. Secondo Global Witness, se le denunce non hanno avuto conseguenze è perché entrambe hanno ottime connessioni politiche: il Dipartimento alle foreste del governo cambogiano ha una partecipazione in Colexim, mentre uno dei concessionari di Everbright è imparentato con membri del governo... Il caso è grottesco: la Banca Mondiale commissiona una «revisione tecnica» (costata tra l'altro ben 5 milioni di dollari), e i revisori sorvolano sull'operato di queste aziende, ignorando «ogni considerazione sociale ed ecologica».

 MARINA FORTI

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