CASTEL D'ARIO CENT'ANNI FA

 

PRIMA SCENA          In piazza. a Casteldario, nel 1884, davanti ad un'osteria, n tavolino, quattro giocatori un po' anziani, un oste

 

OSTE                              - Eco chi i "picolini"! Ci paga? Quei che perde?

 

GIGIO                             - Ah, mi no de sicuro! Va' che carta1 Togno dame n'altro cargo!

 

TOGNO                          - A ghe n'ho mia, vago liso par forsa!

 

BEPI                               - Strossa con la "pita"!

 

GIOACHIN                    - L'è ancora in del masso.

 

BEPI                               - Come, te glè mia, ma se te m'è fato così1 (gesto)

 

GIOACHIN                    - Ma sì, ho mandà un basin a la Formighina che la passava: (gesto) cara le!

 

BEPI                               - Ma lassa star la Formighina, che sema drio a perdar!

 

GIGIO                             - Varda che briscola! Ader che go l'angelin la partida l'è vinta!

 

TOGNO                          - Porta di altri picolini, tanto i paga lor!

 

GIOACHIN                    - Ah, no caro mio! Noialtri iema sa pagadi prima! Sarà mia 'na fola!

 

OSTE                              - Basta che pagheghi, par mi l'è l'istesso! Fora i schei! Chi se fa mia credito!

GIGIO                             - Se l'è par quel, gnanca i botegheri i fa più credito, ià ciapà trope "inciodade", ader iè tutti "pesini". Con la miseria che ghè!

 

TOGNO                          - Altro che miseria, chi se fa la fame, caro mio! Mi a l'è un mese che cato mia da lavorar!

 

BEPI                               - E mi du mesi; pensa che me fiola la se malada de pelagra e se la magna mia carne, pese, formai, late, i dis che la guarise mia! Ma mi come fago a comprar sta roba, la costa masa, l'è roba da siori!

OSTE                              - Siori o no siori, ades paghè i picolini, mi no oi piagnistei, stè a casa vostra senò!

 

TOGNO                          - Va ben, toh sti tri meneghini!

 

 

SECONDA SCENA        Sempre in piazza, lì vicino. Escono i giocatori, entra la Formighina, una signora povera, ma belloccia, entra il Maestro, con un foglio del Pellagroso in mano. La signora parla in "italiacano".

 

FORMIGHINA              - Riverisco, sior Maestro, comela cle za in giro così di buon ora? E sì che l'è Domenica!

 

MAESTRO                     - Buon giorno, Formighina, come va? Mi sono alzato presto perché oggi c'è il mercato e voglio distribuire questo giornale ai contadini che verranno.

 

FORMIGHINA              - Ai boaroti? Ma se non sono buoni da leggere! Ma che giornale elo? Il P..e..l..l..a..g..r..o..s..o? Ma che titolo! Mi el compraria gnanca… ma ci l'alo scrito? Cosa dislo?

 

MAESTRO                     - L’ho scritto io per far capire ai contadini che non è giusto vivere nella miseria, nell'ignoranza, nella malattia, come pellagrosi insomma!

 

FORMIGHINA              - Eh, caro al me maestro, al se scalda mia tropo, ghe n'è dle robe mia giuste! A l'è mei che i poareti i sapia gnente, che i parla mia…senò i padroni …. Al staga atento anca lù… se no co ‘ste idee al fa 'na bruta fine!

 

MAESTRO                     - No, cara  la me dona, la gente deve sapere, discutere, ribellarsi, ottenere più giustizia! Il PELLAGROSO! Leggete il PELLAGROSO…!!

 

FORMIGHINA              - Par mi l'è mato! ‘Na brava persona come lu al doaria mia far 'sti discorsi da rivolusion, mah, al ga anca razon, ma mi scapo, vago via de corsa. Oria mia che me vedese un qualdun….

 

MAESTRO                     - Leggete. Diffondete il Pellagroso! Venite gente, non abbiate paura!

 


TERZA SCENA              Stesso ambiente. Tre bambine poveramente vestite, parlano in "Italiacano"

 

MENICA                        - Buon giorno, signor maestro.

 

MAESTRO                     - Ciao, Menica, perché non sei venuta a scuola ieri?

 

MENICA                        -Mia madre non ha voluto, è andata a lavorare in campagna, ed io ho dovuto fare tutti i mestieri, stare dietro ai miei fratelli più piccoli, andare a sbattere i panni al fosso…

 

MAESTRO                     - Non è giusto, sei una bambina così piccola, dovresti andare a scuola, non lavorare! E tu, Luigina, perché non vieni a scuola?

 

LUIGINA                        - Ma…non so…non ne avevo voglia… e poi… non avevo le scarpe! La mià fregade mia sorella più grande per andare in piassa.

 

MAESTRO                     - Questa poi è bella! Potevi venire anche con gli zoccoli o le “sgalmare”, non c’è niente di male, non devi vergognarti!

 

LUIGINA                        - Dice istruito lei, signor maestro, ma io con le sgalmare mi vergogno…fanno un bordello! Tutti si voltano.!

 

MAESTRO                     - E tu, Marietta, che scusa hai? Cosa ti mancava?

 

MARIETTA                   - Niente, ma in casa mia ci sono i “cavalieri”, scusi, i bachi da seta, che stanno facendo il bozzolo, mangiano molto, ed io ho dovuto andare a pelare i morari per dargli da mangiare!

 

MESTRO                        - I gelsi! I morari sono i gelsi! Ma sì, se non venite a scuola d’inverno, figurarsi in primavera! Povera Italia! Ma voi non avete colpa!

 

MARIETTA                   - Quando mio padre venderà le galete..scusi…i bozzoli, allora tornerò a scuola. A me mi piacciono quelle bele fole che leggo!

 

MAESTRO                     - Vedremo, vedremo se tornerete tutte. Dovete imparare tutte a leggere, a scrivere e far di conto, a parlare bene! Mah!

 

                                                              


QUARTA SCENA                     Entrano due vecchiette sferruzzando, poi due uomini ciabattini, infine un disoccupato. Parlano dialetto casteldariese.

 

CISA                               - Slè par questo, clè putlete lì, le parla e le risponde anca tropo! A ghe più rispeto par i veci!

 

CESIRA                          - Cara mia, quando s’è veci e sensa denti, a s’è più boni da far gnente. Con sti oci, sol dle “scapinele” par i calseti son bona da far!

 

CISA                               - Parla par ti, parché mi fago ancora la tela sul telar, al sfoi tute le matine, la polenta a la sera!

 

CESIRA                          - Beata ti che che te ghé ancora bombason da filar, farina par le taiadele. A casa mia, no se magna altro che polenta e, quando la va ben, con un po’ de “scopeton”!

 

BATISTIN                      - A mi me piase al scopeton, però qualche olta me piasaria magnar del pan con l’oio, un po’ de polastro, almen la domenica…

 

RICO                              - (tagliando uno zoccolo) Me moier la ten le galine, ma guai a magnarle!La ga da vendar i oi al marcantìn par far la dota a me fiola. La ne copa una quando ghè un putin malà e ghe vol al brodo bon!

 

BATISTIN                      - A te disi ben, se se mala un qualdun, iè disastri, adeso po’ ghè anca la pelagra in giro! Al sete che prima se distaca tuta la pel e po’ la ciapa al sarvel e se more…? E sì, bastaria magnar mei, ma come se fa? Bisogna averghe i schei! Par fortuna mi lavoro tuto l'ano con 'sti "savatini"!

 

RICO                              - Anca mi, sperema che la dura 'sta industria, parchè in campagna lavoro ghe n'è poco. Guarda chi salariati come i gira con le man in man!

 

LUIGI                             - E sì, girema, girema, ma che gusto! Con la pansa vuda! Ghè un qualdun

                                        che serca un lavorante?

 

BATISTIN                      - No, che mi sapia. L'è na bruta vita. El ga reson el maestro. Senti cosa el dis el so giornal "Al vilan l'è un gran povret e n'al magna che polenta"!

 

CISA                               - Lesi, lesi ti che te se bon!

 

BATISTIN                      - Ela na poesia?

 

LUIGI                             - No purtropo, l'è la verità! (legge ancora) Varda chi riva…Gioani e Antonio, altri du disgrasiadi. Beh, mi vago a casa! (esce col giornale in mano)


QUINTA SCENA           DIALOGO TRATTO DAL "PELLAGROSO"

- Dialogo tra due contadini tratto da "Il Pellagroso" -

(Antonio che si trovava da due ore in mezzo alla piazza e Giovanni che viene dai portici)

 

ANTONIO                      In do vete Gioan?

 

GIOVANNI                     - E ti cosa fete lì impiantà? A me par da vedar la cucagna di ultimi giorni de Carneval!

 

ANTONIO                      - Tasi, caro ti che l'è do ore che stago chi a spetar al sior Carlo Giachetina, par vedar s'el me dese da lavorar par sta stimana.

 

GIOVANNI                     - Caro al me fiol, a trovar da lavorar in ste stimane de genar, a l'è n'afare serio.

 

ANTONIO                      - Che cosa ote che faga, mi al ladro al fago no, par dio! A ghe sta al municipio che l'ha distribuì dla polenta ai poareti ma ghe 'nda dla gente che ghe n'avea manco bisogno de mi, con tuti i piagnistei del mondo. Mi no vago a cavarme al capel par da magnar ai me fioi, mi saria bon da mantegnarli!

 

GIOVANNI                     - Te ghè rason. Oh, a proposito, con chi tegnete i cavaleri in sosedà st'ano chi?

 

ANTONIO                      - Con nissuni!

 

GIOVANNI                     - Parchè?

 

ANTONIO                      - Parchè le galete a iè sempre a bon marcà e mi o fato i me bravi conti. Chi si e tegna i giaponesi, che lori i fa sempre vestidi de seda e mi sempre de fustagno! Che quando a vago a lavorar a la matina bonora ghè l'aria che me pasa le viscere e bato tanti quindesini che non te conto al pressi!…

 

GIOVANNI                     - Non lè na rason che paga, parchè se te savesi quante richese porta quele bestioline, no te parlaresi così…!

 

ANTONIO                      - A l'è ben par questo che no i tegno mia, parchè no oi miga inrichirme, parchè se te vol che diga la verità de le bestioline a ghe n'ho anca massa.

 

GIOVANNI                     - Mi no capiso niente quel che t'intendi da dir!

 

ANTONIO                      - A m'intendo da parlar de pulsi, de simesi, de beghe pelose che le casca zo dal tecio, e le te dà de chi spisigoni da far resuscitar i morti,e po: rati che core par le arele del tecio, e i gira su par al leto e insima la cassa e po', ote altro?

                                        La stimata pasada me moier la sa dismentegà al lumin de l'oio insima a la casa, e i rati par magnar al stopin, i ma rebaltà l'oio e ia roto al lumin! Credo che de ste bestie te ghe n'avrè anca ti!

                                        Ma ascolta, a proposito, che guadagno sentete con i cavaleri?

 

GIOVANNI                     - Miga massa, ma cosa ote, come al dis al proverbi: chi no s'ingegna, no s’impregna!

ANTONIO                      -  Mi ghe ne oi più saver, po' adeso voi dirte el risultato di cavaleri de l'an pasà, sensa parlartene de quei di altri ani!

 

GIOVANNI                     - Come t'ela andada

 

ANTONIO                      - L'an pasà, come te digo, o tegnù in sosseda do onse de cavaleri che iè vegnudi na belessa che un parea l'altro, e no fato ventiquatro arele. Na matina andema a vedar i cavaleri e …no me vegnù un colpo parchè Dio non l'ha volù: i era tuti andadi de mal! Ghe nera de quei con la gosa al naso, de quei col cagoto, ghe n'era de neri marsi, el resto in calsina!

 

GIOVANNI                     - Poareto! Cosa ete fato alora?!

 

ANTONIO                      - Me moier la taca a piansar, mi comincio a tirar dle gruste, in casa un odor spuzolento e mi, prima che se vegna al colera, ciapa al manarin e … patatin patatunf! Ciapa arele, fasine, cavaleri, o portà tuto sul ludamar e o ciapà un fulminante e ho dato fogo a la baraca!

 

GIOVANNI                     - A te fato ben, poareto!

 

ANTONIO                      - Po è vegnù al padron in colera ma quando al ma visto che gavea i oci fora da la testa, l'ha tolto su al trentun e l'è scapà via!!

                                        E po ho fato un croson che no tegnarò mai più cavaleri!!

 

GIOVANNI                     - Mia sempre la va ben, purtropo

 

ANTONIO                      - Par colpa di cavaleri gho perso da lavorar, ho inciodà tuti i botegheri coi debiti!

 

GIOVANNI                     - Di debiti, ghe n'ho anca mi!!

 

ANTONIO                      - In fin me son ridoto che quando o butà via i cavaleri, o ciamà al straser e o dato i me pagni che no iera boni gnanca da vestir un de chi paiasi chi mete in mezo al campo par spaventir le passare.

 

GIOVANNI                     - Ben, ben, lasa andar se cominsio mi a contarte i me piagnisteri! Ghe ol pasiensa! Andema a casa! Guarda chi ariva, cle do betoneghe de la Luigia e de la Giuseppa!

 

ANTONIO                      - Andema, andema, cle brute lengue iè pegio di cavaleri… 

 


SESTA SCENA          DIALOGO FRA DUE VECCHIE AMICHE - da "Il Pellagroso" -

 

Luigia, di mezza età, e Giuseppa della stessa età.

Luigia, mentre esce da una bottega, esclama con gioia:

 

LUIGIA                           - Caro al me dio, ma varda ci vedo! Ma ciao Bepa cara! Come stete?

 

GIUSEPPA                      - O Dio te benedisa, la mia Bigia! Ma ela na cera che te ghè!

 

LUIGIA                           - A digo ti, mi! Altro che! Ma com'ela che sema catà dopo tanto tempo, cara la me madona, ma a proposito, in do stete?

 

GIUSEPPA                      - A stago in fondo ai Pioponi, al sete in do ie?

 

LUIGIA                           - Mi no.

 

GIUSEPPA                      - Senti, sete in do sta Bepe Scarselin?

 

LUIGIA                           - Fiola d'un can! Dimene tante, nol sta de drio de le ca vece?

 

GIUSEPPA                      - E ben quando te se in fondo a la ciapela, te vedi i pioponi.

 

LUIGIA                           - Ades o bele magnà la foia! E quando te foli, a voi vegnar a catarte che oi tormene na spansada de vin novo, de sugol e de patona.

 

GIUSEPPA                      - Starema a vedar se te sarè de parola.

 

LUIGIA                           - te garantiso che vegno mi e me fiola.

 

GIUSEPPA                      - A proposito de to fiola, te me conti gnente che la se marida!

 

LUIGIA                           - Tasi Bepa cara, che se stese a contar quel che me capità, l’èe tanto grosa, che no la sta né in ciel né in tera ..

 

GIUSEPPA                      - Cara ti, conteme che senta anca mi!

 

LUIGIA                           - Tel conosi al fiol de Spaciughin, e vera?

 

GIUSEPPA                      - Altro che conosarlo! A l'ho tegnù a bateso, immaginete sel conoso mia!

 

LUIGIA                           - Ben, indovineghe mo!Che dopo che l'è vegnù tri ani a morose da me fiola, al la piantada lì sensa dirghe nè aseno nè porco e des al va da la fiola de la Beatrice Rissolina!

 

GIUSEPPA                      - Cosa te me conti!!

 

LUIGIA                           - Ma sì, cara la me Bepa, eco cosa capita a esar mame!

 

GIUSEPPA                      - Eh, cara la mia Bigia, la te capitada a ti parché, parché…ma oria che 'l moroso de me fiola al me fesse na sortida compagna, a te garantiso che'l fago stramuciar da me marì a forsa de legnade!!

 

LUIGIA                           - Ci elo al moroso de to fiola?

 

GIUSEPPA                      - A l'è el fiol de Marco Salgaron, quel che el fa al careter soto al sior Gioanin de la Pitona!

 

LUIGIA                           - O capì, va là, cara la me Bepa, che anca a casa tua a ven un bon tomo! Se te se contenta, a oria dirtene dele bele par conto suo!

 

GIUSEPPA                      - Parla pura.

 

LUIGIA                           - Varda, lu al ga vu tante morose che l'è fin na stomeghisia! Lu, ogni festa al barufa in piasa e a l'ostaria! Lu, al volea vegnar anca da me fiola, ma mi go dito un bel de no! Quando l'è de Carneval, insieme a sti savatini al spende Roma e Toma e in casa sua iè tuti nudi e crudi come i beghi, ete capì?

 

GIUSEPPA                      - Cara la me Bigia, se oresene dar da mente a tuti i ciacolosi! L'è parché mi m'ha sempre piasù tendar i me interesi e mai parlar de gnissun.

 

LUIGIA                           - Ma ca, se te ghé qualcosa sul stomego, piutosto che te faga star mal, spuda fora!

 

GIUSEPPA                      - Eh, caro al me Dio, a me par che te n'abi vu par mal! 

 

LUIGIA                           - A m'immagino quel che te vol dirme, ma parla pura.

 

GIUSEPPA                      - Insoma, to fiola poarina, sensa averghene gnissuna colpa a l'è sgolosada da tuti e se te ol che tel diga….e po' l'è mei che tasa, e che vaga a casa che go da resensar un bugadin!

 

LUIGIA                           - No, fame un piaser, t'el domando par le sinque piaghe che te me conti tuto!!

 

GIUSEPPA                      - Cosa ote, mi no son de chele ciacarone che discore sempre de chialtri, mi fago i me interesi.

 

LUIGIA                           (tra sé) Fiola d'un can de na slenguasona! Se ogni volta che te parli de chialtri a t'esse da crodar un cavel te saresi tuta pelada (forte) - Voi che te m'el conti!

 

GIUSEPPA                      - Insoma, al moroso de to fiola, al sete parché l'è sta via? Parché i dis che basiga da to fiola el fiol del padron! Ma mi che son dona de testa a ne credo né tanto né poco né brisa.

 

LUIGIA                           ( tra ) Go paura che te sii stada ti ca meso fora ste ciacole!

                                        (forte) - Cosa ote andar in ciacole, l'è un momento! I ma contà che anca ti te ghei al moroso ma mi no credo, però i dis ch'el sia al sior Bepo Mansarina! (fra sé) To', ciapa su! Za che te olù dir mal de me fiola.

 

GIUSEPPA                      - O mia cara de la madona, par sta roba chi no devento né smorta né rossa e poso portar i me cavei fora di oci.

LUIGIA                           - Ben, va là, tasema, parché da na parola taca l'altra e podaresene criar par gnente. E se o dito qualcosa a l'è sta parché t'è comincià ti a parlar mal de me fiola; del resto ghema miga d'essar in colera parchè se volema vedar ben, tasema che ghema un bel tasar!

 

GIUSEPPA                      - Ben, alora te saludo e no staghe a dir gnente a to fiola de quel che t'ho dito.

 

LUIGIA                           - Mi?! Ma par chi mete tolto? Par na sensa testa forse?!

 

GIUSEPPA                      - Mi no ve! Ansi, tasi anca ti par via de Bepo Mansarina!

 

LUIGIA                           - Mi! Cara, iè afari che g'ho fora de casa, e pitosto che parlar ch’l Signor me faga perdar i oci mi e i me fioi! (fra sé) Se posso essar a casa ghel digo subito a la moier del guardian in tra chi è sempre stade corni e crose. Ohh, te la voi far pagar salada porca de na desprudenta! Altro che dir mal de me fiola!

 

GIUSEPPA                      - Ben, ciao donca!

 

LUIGIA                           - Ciao, ciao veme a catar!

 

GIUSEPPA                      (fra sé) Gnanca se te mori d'un colpo. (forte) Sì, te garantiso che vegnarò.

 

LUIGIA                           (fra sé) Dio faga che in del pasar al pedagno che te posi stramenciar zo!

 

GIUSEPPA                      (allontanandosi) Piutosto d'averte incontrà ti, a saria sta mei che esse incontrà on serpente…!!! (si salutano e imprecano a voce bassa)

 

TUTTI GLI ATTORI IN SCENA!