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LA MIA
"RAGAZZA AUTISTICA"
OVVERO: QUANTI ALLAGAMENTI EMOTIVI!
Le parole che possono meglio
definire questi miei tre anni vissuti per 18 ore
settimanali accanto a Sara sono proprio queste due:
allagamenti emotivi, sia da parte sua che da parte mia. E sempre stata una relazione fatta
così, di emozioni così intense che avvolgevano prima luna
poi laltra e che non ci permettevano di parlare o
lavorare per parecchi minuti. Ancora
oggi succede ma con minor frequenza e minore intensità,
sia perché tutte e due abbiamo imparato a gestire meglio
le nostre emozioni sia perché cè una conoscenza
reciproca maggiore sia perché con il tempo ho imparato a
prendere la giusta distanza da questa persona così
complessa, così controversa così inaccessibile ma
attraente. E
stato difficile, perché inizialmente, mi facevo
investire dai suoi problemi e, nella mia impazienza,
avrei voluto risolverglieli io. Anche se al Centro per lautismo
di Verona mi avevano spiegato che Sara doveva essere
abituata allautonomia, spesso mi sostitutivo a lei.
Ho lentamente imparato invece a mettere in pratica il
vero senso di questa parola, gradualmente ed in base a
comportamenti ,che ancora oggi mi
risulterebbero spontanei, ma che devo riprogettare
con unaltra ottica. Sara
non parla , o meglio, non parla mai in modo contestuale e
non scrive autonomamente, ma solo facilitata o da me o
dallassistente che è presente quando io non ci
sono. Anche
quando faticosamente si appresta a scrivere non riesce a
farlo in modo preciso e dettagliato perché la sua è una
disorganizzazione nella scelta delle parole e ha bisogno
di essere continuamente richiamata al mantenimento del
compito e alla coerenza fra pensiero e parola. A volte,
quando è in un periodo particolarmente favorevole,
riesce a scrivere parole e frasi con scioltezza, mentre
in altri momenti devi sottoporle domande con risposte
scritte a scelta multipla (come facciamo per le verifiche
che svolge uguali alla classe). E in questo modo
che avviene la comunicazione fra me e Sara e non posso
nemmeno fare affidamento sulla mimica facciale e gestuale
perché anche quelle sono compromesse dallautismo. Lavoriamo
molto per farle acquisire movimenti nuovi e parole
pronunciate perché le immetta nel suo repertorio di
comportamenti usuali e le possa andare a ripescare quando
le servono: è un lavoro lungo e incessante. Quando
riesce a scrivere, al di là dei contenuti scolastici che
secondo noi hanno un valore puramente dimostrativo per
gli altri, per ciò che è in grado di apprendere, è
soprattutto di se stessa, dei suoi sentimenti, frasi
spesso contorte, ricche di aggettivi, molto profonde che
ci lasciano senza fiato e che danno un senso ed una
conferma al modo di lavorare intrapreso e così
controverso. Penso
che sarebbe utile, allinizio di ogni nostro
incontro, proporle, come nellattività chiamata
bollettino, un elenco di emozioni e stati danimo
tra cui può scegliere per farmi capire con meno fatica
come si sente quel giorno. La stessa cosa naturalmente
deve avvenire da parte mia, perché se lei si rivela a
me, è giusto che anchio mi metta in gioco. In
passato ho frainteso il significato di questo concetto o
non ero pronta per farlo: per mettersi in gioco una
persona deve conoscersi ed accettarsi e stabilire
naturalmente quella congruenza necessaria ad
una corretta relazione. Penso che occorra anche un
notevole equilibrio per evitare quel coinvolgimento
emotivo che arriva a confondere i problemi delluno
e dellaltro. Già da molto tempo, con una certa
frequenza, ma non sistematicamente, ci confidiamo i
nostri stati danimo, per unesigenza di
condivisione empatica che deve contraddistinguere la
relazione con una persona autistica facilitata. Anche
empatia è un concetto che da pochi anni è
entrato nel mio vocabolario usuale: lempatia è una
cosa che si prova, non è una cosa che possa essere
insegnata; arriva quando due persone lavorano assieme, si
conoscono, uniscono i loro sforzi per raggiungere un
obiettivo comune, si impegnano con una forte volontà
emotiva, condividono le difficoltà e le paure. Non è
sempre realizzabile. Volevo parlare di Sara, ma mi
accorgo che sto raccontando la nostra relazione, la
nostra esperienza insieme: probabilmente è predominante
lesigenza di esprimere ciò che questa esperienza
ha scatenato e scatena in me e mi ha fatto cambiare come
persona. Lavorare con Sara non è facile ed è per questo
che diventa stimolante, sei messa alla prova
continuamente, perché continuamente si presentano nuovi
problemi, si cercano delle strade per risolverli, anche
se spesso vince lautismo. Mi
sono chiesta come posso trasferire nel lavoro con Sara lascolto
attivo o la relazione daiuto: ciò è possibile ma
in modo scritto. Per ora che Sara è in una fase
problematica e assalita da mille stereotipie, dobbiamo
soltanto cercare, con laiuto del Centro di Vr, di
trovare delle strategie per tornare ai livelli
comunicativi consueti. Probabilmente ciò dipende dalla
mia relazione con lei che ultimamente ha avuto dei
periodi di stanchezza e quindi di scarsa energia ed
empatia.
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