IL CONTESTO E LA SUA IMPORTANZA

 

E’ strano, ma anche piacevole, rendersi conto di come si allargano le proprie conoscenze quando si riesce a cogliere nelle parole dei significati più ampi rispetto a ciò che si pensava prima: il contesto rappresentava per me una situazione ambientale, fisica, uno sfondo sul quale compaiono degli eventi, dei fatti che si svolgono secondo una loro legge interna.
Oggi io attribuisco a questo termine un significato ricco di relazioni, di stimoli, di influenze, di spazi, di tempi, di oggetti e di persone che in esso interagiscono e che insieme danno vita allo svolgersi delle azioni. Il contesto influisce sulla dinamica degli eventi e viceversa e non è da considerarsi distinto da ciò che avviene nelle persone e tra le persone.
Ho incominciato a prendere in considerazione con attenzione ogni contesto da quando sono con Sara, per le sue caratteristiche percettive che sono in continua interazione con il contesto: ogni luogo, ogni situazione relazionale, per essere accettati da Sara, devono essere conosciuti lentamente, e lentamente lei se ne deve “ appropriare” visivamente.
In ogni variazione di contesto lei deve sapere che cosa andrà a fare, deve sapere come gli altri interagiranno con lei e deve costruirsi come dei punti di riferimento che l’aiutino a strutturasi il contesto: ogni luogo o nuova situazione rappresentano una grossa conquista che va affrontata insieme con una persona sulla quale fare affidamento.
Non raramente i compagni hanno rappresentato un elemento “protettivo” intorno a Sara e, nel contempo, un elemento di unificazione con nuovi ambienti: una specie di barriera con la quale lei sa interagire, e che funge da “trade-union” con una cerchia più esterna di elementi.
La sua difficoltà a frequentare ambienti nuovi o troppo carichi di oggetti o di persone, o destrutturati rappresenta tuttora uno scoglio spesso insormontabile, un momento di panico incontenibile che si traduce, con mio grande rammarico e sconforto, in una fuga verso il conosciuto e il consueto.
Gradualmente Sara ha imparato, con i suoi compagni, a partecipare a conferenze pubbliche, a spettacoli teatrali, a manifestazioni sportive, mentre è completamente disorientata nei centri commerciali o al mercato o a gite domenicali con i genitori. Forse il problema è dato proprio dalla destrutturazione dell’ambiente e dal fatto che S. non abbia un ruolo ben preciso o da lei condiviso.
Nondimeno, e considerando con la stessa chiave di lettura alcuni interminabili minuti in classe, mi sono accorta quanto sia estenuante riuscire a mantenere una certa organizzazione del nostro microsistema, quando ci sono quei momenti in cui gli alunni non hanno nulla da fare e sono lasciati alla loro libera iniziativa!  Fortunatamente la classe è composta solo da quindici ragazzi e sono ben abituati a seguire determinate regole comportamentali.
La nostra è una scuola basata sull’apprendimento di contenuti, sulla lezione frontale, sulla disciplina, sull’autorità dell’insegnante e sul consueto concetto che chi studia e si impegna ed esegue con regolarità i compiti otterrà sicuramente dei risultati e sarà premiato con la promozione.
Tutto sommato, dal punto di vista della tranquillità dell’ambiente di lavoro e della sua struttura che si ripete nel succedersi delle discipline scolastiche, non è negativo per Sara, che ama l’abitudine, ma dal punto di vista delle relazioni interpersonali, dell’integrazione reale, gli spazi non sono stati molti. Visto che siamo in terza media mi risulta spontaneo fare una specie di bilancio di questa esperienza, molto positiva per certi aspetti ma problematica e difficoltosa per altri.  Non siamo ancora riusciti a far raggiungere a Sara quegli obiettivi di comunicazione che secondo me sono raggiungibili e questo pensiero mi ronza in testa continuamente, così come il supposto che Sara possa procedere più velocemente verso obiettivi di autonomia nella gestione dell’ambiente. Ciò le permetterebbe di salire di un gradino nella scala della accettazione sociale e anche dell’integrazione.
Incomprensibili e inaccettabili comportamenti hanno spesso condizionato il suo inserimento nella scuola, ancora oggi non tutti gli insegnanti e non tutti i compagni cercano la relazione con Sara e, ancora oggi, l’insegnante che la segue si ritrova a dover affrontare delle battaglie vere e proprie contro le stereotipie ed i rifiuti di questa persona che sembra voler mettere alla prova la tua forza d’animo e la tua tenacia.
Il “didattismo” che stabilisce le regole di vita in questa scuola, come in molte altre, non ha certo favorito le relazioni sociali che rappresentano così la marginalità dell’apprendimento, come naturalmente non ha favorito l’originalità e le diversità individuali.
Inesorabilmente siamo state (mi riferisco a tutte e tre, compresa l’educatrice) spesso sommerse da valanghe di parole che erano “fuori da noi”, mentre Sara avrebbe potuto esprimere se stessa e la sua ricchezza interiore, dimostrata in alcune felici occasioni.
Nonostante tutto, Sara , Nicoletta (educatrice veramente in gamba) ed io, ci siamo adattate a questo sistema scolastico prendendoci gli spazi e i tempi necessari e cercando le relazioni con tutti quelli che dimostravano apertura nei nostri confronti: durante i lavori di gruppo, nella pausa mensa, in palestra e nell’ora di matematica,materia prediletta da Sara durante la quale ha accettato anche di essere facilitata dall’insegnante curricolare. 
Ripensandoci, alla luce di questi ultimi apprendimenti, forse anch’io condizionata da nervosismi e stanchezza, da piccoli risentimenti, ho creato le mie barriere al confronto con i colleghi, richiudendomi nel rapporto privilegiato con Sara: ciò non ha giocato a favore di Sara , ma è stato inevitabile.