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Aspettando  i  Venti  

 

 

 

 

 

 

Da un testo di   Tanny Giser   e frammenti da   Yourcenar, Tagore, Beckett

con   Tanny Giser & Giacomo Maria Forte 

assistente luci-audio   Marco Marino 

costumi e oggetti in collaborazione con  Soledad Agresti

musiche   Andhìra, Mishmash, Eno, Karaindrou, Ricci, Carinthia

aiuto regia   Roberta Costantini

adattamento, drammaturgia e regia   Enrico Forte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aspettando i Venti è un attendere… Non solo lo stare in attesa di qualcuno o qualcosa. Ma sperare, desiderare, prendersi tempo… Per chi, per cosa…?

Con sapore delicato e una storia disarmante nella sua semplicità, una donna (la Nonna) e un bambino (Giacomo), s’incontrano alle radici di un albero. Un albero bianco, spoglio, che sembra l’albero di Vladimiro ed Estragone in Aspettando Godot di Beckett: soltanto da quell’albero sembra venire l’unico mutamento esistenziale attraverso la metamorfosi naturale della fioritura. Un augurio aurorale che espande una serenità cosmica e originaria, sottratta alla limpida indifferenza dei cicli delle stagioni e degli  anni. Scrutando quel muto albero -che ora sfiorisce e abbandona le sue ultime due foglie- sembra esprimersi quella condizione cosmica legata al ciclo naturale della rinascita.

Aspettando i Venti ha una sua forza nella semplicità della lingua, nelle parole innocenti dell’ uomo-bambino: una vitalità che illumina e che interviene in forma di luce e musica... Per ritrovare il tempo delle storie piene, quel tempo al cui confronto le storie di oggi sono solo deboli esercizi della voce per animare una falsa attesa. Cosa stiamo cercando? Chi stiamo aspettando? Forse nulla… Forse nessuno.

Questo ‘teatro del mondo’, rivela il significato vero dell’esistenza umana: l’unico germoglio è dell’albero e della ‘musica’ dell’universo. In questa landa desertica, in un mondo preoccupato solamente del denaro e del successo a qualunque costo, desideroso soltanto di essere confermato nelle proprie volgari ed egoistiche certezze, noi -aspettando i venti- riassaporiamo la quiete… E qualcosa in più: una pace cosmica, una forma della semplicità. <<La velocità massima è uno stato di quiete>>. Per ripartire da zero e ripensare al senso o meglio, all’assenza di senso di questo nostro mondo.

Trovare la quiete, ri-assaporare la quiete o ri-trovare le forme semplici, significa allora entrare nella massima velocità planetaria, penetrare le radici dell’albero e della metamorfosi, ovvero: accedere alla vita dell’albero bianco di Vladimiro ed Estragone o dell’albero della Nonna e di Giacomo. Significa compiere eternamente il cerchio della vita. La ripetizione e la circolarità della vita che qui, si fa dialogo giocoso, a volte assurdo, storia teatrale, scrittura scenica, memoria dolorosa di un clown…  (enrico forte)

 

 

Aspettando i Venti  è l’iniziazione alla vita. In una scena scarna (un organetto, una valigia, un tappeto di foglie secche) un bambino (Giacomo, piccolo attore e suonatore di organetto di 12 anni) e una nonna (Tanny Giser, attrice argentina, 82 anni) ripercorrono sogni, visioni, desideri ai piedi di un albero al quale sono rimaste attaccate solo due foglie: Ole e Trula. Che “…sono una parte di tutto il cielo…”, ma non sono solo foglie! “Sono desideri…! E’ il vento che li porta!”.

E così, nel dipanarsi di un dialogo senza storia, avanzano memorie di parole arricciate… “Siamo noi questo prato di foglie sotto il cielo! Noi siamo come le foglie…”.

Aspettando i Venti  è anche un viaggio…  Il viaggio fantastico di Giacomo, in un  Universo ch’è il luogo delle storie di Lupo grigio: …ognuno ha il proprio albero quando nasce… e si cresce insieme! Come su Globus, dove ognuno ha il proprio albero e cresce insieme a lui per tutta la vita… Crescono sereni perchè è la nota Sol che da armonia e serenità! Ma questo -sulla Terra- è un segreto che conoscono solo i vecchi e i bambini e che gli adulti… dimenticano!

“Anche la Terra aveva una nota…il suo Sol…! Ma era sola e così… si è spenta! Ecco perchè, non avendo più la nota Sol, dimentichiamo il nostro albero, non lo cerchiamo più e il nostro canto… è muto!”.

Dimentico sempre dimentico / che non ho ali per volare / e ogni notte sfioro nei miei sogni / i gradini della scala della vita / che importa se non ho ali per volare… (Tagore)

“C’è un altro tempo che passa come un vento in mezzo al tempo normale, un tempo fatto di giorni speciali, giorni di erba che stanno nascosti in mezzo ai giorni fatti di stoppa. Non lasciarlo scappare!! Il vento si riprende tutto…”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

recensioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno spettacolo lieve e coinvolgente in cui una nonna e suo nipote sono protagonisti di una storia senza spazio e tempo.

La freschezza e la vivacità scanzonata di un bambino si contrappongono alla saggezza composta di una donna, che nonostante l’età non riesce a nascondere lo stupore di un’animo ancora innocente e traboccante di desideri. Un confronto pacato tra due mondi che si raccontano, svelandosi i dubbi, le curiosità e le speranze di ogni età; un incontro in cui i due personaggi “attendono” tra l’esuberanza della giovinezza e la consapevolezza di chi ha già vissuto.

La vicenda si sviluppa in un non-luogo che potrebbe essere ovunque e da nessuna parte e in un tempo sospeso, in cui l’albero diventa il simbolo della trasformazione e l’esteriorizzazione di una rigenerazione ed il vento foriero di messaggi e fantasie.

Parole semplici, immagini essenziali ed atmosfere oniriche celano la concretezza della profondità della condizione umana, in cui l’attesa si trasforma in una pausa per ascoltare ed ascoltarsi.

La ricostruzione scenica surreale, fatta di sabbia e foglie secche, cieli stellati ed arbusti stilizzati, offre allo spettatore uno sguardo indefinito, una visione.

Interessanti le suggestioni create dall’utilizzo di luci e musiche che accompagnano e mettono in risalto un testo convincente ed un’interpretazione altrettanto efficace, contribuendo a dare forza espressiva al percorso emotivo intrapreso durante la narrazione, in cui gli interpreti si incamminano in una ricerca, priva di inizio e di fine, di qualcosa che non c’è… o forse sì.

Sara Ferrari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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