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I RICICLANTI

DELLA LINEA GOTICA

Recupero, riciclo, riuso sono termini oggi divenuti comuni, sempre più dimoda quasi una tendenza virtuosa.

 

   

Recupero, riciclo, riuso sono termini oggi divenuti comuni, sempre più dimoda quasi una tendenza virtuosa. La società post industriale in occidente sta imparando lentamente a non sprecare a conservare e riciclare (recycling and reuse). Ma la nascita di questi atteggiamenti in Italia può ricondursi al secondo dopoguerra del 900 quando di necessità si fece virtù, quando si era così poveri che l'ingegno doveva supplire le infinite carenze. Contadini, artigiani, massaie e ragazzini si misero di impegno a riciclare ciò che la guerra aveva abbandonato sui campi di battaglia e questo libro lo testimonia.
La romagnolità del faentino, ora lughese Bruno ZAMA e l'emilianita' del bolognese Jean Pascal Marcacci insieme, danno vita al libro nel giugno 2012:
" I riciclanti della linea gotica".
Racconti e foto illustrano questo dizionario-atlante dei riciclanti della Linea Gotica, senza dimenticare i recuperanti della prima guerra mondiale che in qualche modo anticiparono il fenomeno.
Il libro documenta oltre 350 manufatti di riciclo dalla loro origine bellica alla loro trasformazione in oggetti di pace e lavoro.
Per info

347 4287517

zamabruno@libero.it
Costo libro E 20 Editore & Imprint:

GRB-ANER Pagine: 88, 380 foto a colori

 

 

 

 

 

 

 

 

Certamente è un atto pacifico trasformare un elmetto, magari di una "camincia nera” in un imbuto per rifornire il trattore di benzina, elmo riutilizzato in campagna nella zona della Gotica fino agli anni ottanta.
Oppure realizzare da un elmo delle tristemente note SS una pentola!  Oppure un mestolo per svuotare i pozzi neri. Lo è realizzare dall’ottone di un bossolo, una borsa dell’acqua calda, o una lampada a petrolio, una pompa, un fornello,un’anfora, un vaso per i fiori. Come pure se da una bomba a mano inertizzata realizzar un fermacarte, un accendino, un lume ad olio, o trasformar un porta maschera antigas tedesca in un fornellino per scaldare il catrame per gli innesti arborei in agricoltura,
oppure una paletta per le granaglie.
E’ atto di pace se le razioni k, o i kit di medicinali degli eserciti, riusarli per sfamare e curare l’esausta popolazione civile.
Ogni pezzo esposto ha la sua storia, prima purtroppo bellica, poi civile e magari gioiosa della vita quotidiana.
Non dimentichiamoci che gli italiani subirono prima le distruzioni, la fame e le morti di 3 anni di I guerra mondiale, poi dal 39 al maggio 1945 la II guerra mondiale e, Castel del Rio difatti fu liberata ormai a guerra finita.
La sua popolazione, assieme alla popolazione residente sulla Linea Gotica, subirono prima la crisi economica successiva alla Prima Guerra Mondiale, poi l’avvento del Fascismo, le sanzioni della Società delle Nazioni (future Nazioni Unite) e l’embargo conseguenti l’occupazione dell’Etiopia del ’35-36.
L’inevitabile “autarchia”, causata dalla cronica assenza italiana di materie prime, l’obbligo di consegna alla Patria di ogni tipo di metallo, delle cancellate, degli attrezzi, delle suppellettili e persino delle fedi d’oro, per finanziare l’industria bellica! Tante idee nacquero dall'italico ingegno, l'auto a metano, a gasogeno, elettrica, le scarpe con suola in sughero (Salvatore Ferragamo), surrogati di caffè dalla cicoria o dall'orzo e tante altre invenzioni “risparmiose” di materie prime Tali popolazioni poi subirono tutte le miserie, le malattie, i bombardamenti, le stragi, il mercato nero, le privazioni della II Guerra Mondiale dal 10 giugno 1940 a guerra finita poco dopo il 25/4/1945.
Vi eran enormi distruzioni, anche ad Alfonsine come testimoniano le esposte toccanti foto originali all'interno del Museo.
Ironia della sorte, i materiali che la guerra tolse, la guerra restituì… basti guardare molte cancellate della Romagna fatte con le griglie antifango della pista alleata di aviazione di Porto Corsini, ce n'è una in mostra che fu di un deposito ferroviario lughese demolito nel 2010. Alte cancellate furono fatte con casse di munizioni alleate in ferro, addirittura i pali di sostegno spesso erano le travi dei ponti Bailey, basti guardare all'ingresso dell'Ospedale di Alfonsine stesso. Spesso ancora oggi le recinzioni delle proprietà agricole sono fatte con filo spinato e pali di sostegno a coda di porcellino proprio della II WW.
Le poderose armate alleate erano fornite di innumerevoli scorte, mezzi e materiali. Spesso quelli semidistrutti o guasti, venivano abbandonati. Furono poi recuperati, trasformati e riutilizzati da agricoltori,artigiani, commercianti, per i loro mestieri.
Eran le cosiddette “carioche”, da carro armato o jeep a trattore, da camion militare a corriera etc.
Pure gli invasori tedeschi ed i soldati della R.S.I., abbandonarono (in fuga verso nord), una miriade di mezzi sulla riva destra del Po’. Anche i piccoli oggetti bellici furon trasformati e riusati  dalla popolazione, ad esempio, si notano esposte in mostra le piccole cassette portamunizioni americane riusate, una negli anni ’50 fu dipinta di bianco e con una croce rossa al centro, divenne la cassetta dei medicinali per la Società Ciclistica forlivese U.S. Forti e Liberi, l’altra, dipinta di nero, nei primi anni ’90, fu utilizzata come valigetta per trasportare i primi telefoni portatili per auto.
Inoltre molti alunni dei primi anni ’50 le utilizzarono come cartelle (verdi originali), oppure gli operai per portare al lavoro il loro pasto. In mostra si può ammirare l’ormai rara cioccolata del rancio della truppa, che gli alleati donavano agli affamati bimbi italiani dopo la liberazione; con la scatola in latta, le brave massaie realizzavano contenitori per bottoni, per riporre semi o cibo all’asciutto. Dai preziosi paracadute in seta per lancio di uomini o materiali, o dai più piccoli paracadute per “bengala”, raccolti da temerari giovani sotto i bombardamenti alleati, venivano prodotte camicie, lenzuola, abiti da sposa, tovaglie e tovaglioli. Le funi stesse dei paracadute erano utilissime in campagna. In mostra si ammira un paracadute di un “bengala”, ricamato a scuola in classe a fine anni ’40, dalle ragazze delle scuole medie faentine (avviamento) per essere usato come copri lampada (dono sig.ra Renata Rondelli). Anche  le matasse di fili del telefono venivano riusate per la vita di tutti i giorni.

Per fare ciabatte, per “impagliare” le sedie, i fiaschi, le damigiane, vi ne sono esposti alcuni pezzi. I copertoni dei mezzi militari come suole delle scarpe e come scarpe la tela militare; le divise militari, senza mostrine, furono riutilizzate come abiti dai civili. Sicuramente i piu' noti ed utili furono sono i cappotti. 
Poi con l'usura, furon declassati ad abiti per ricoprire gli spaventapasseri! I lunghi manici in legno delle bombe a mano tedesche venivano riusati come manici per le padelle, o addirittura come legno per accendere il fuoco, spesso aiutati dagli  “spaghetti” di innesco delle numerosissime e pericolosissime bombe inesplose sparse nel territorio.
Quante storie di vita per tanti oggetti, quante di sofferenza per altri.
Vorrei raccontarle tutte; mi piace ricordare del soldato tedesco il cui elmetto è visibile in mostra. Era un parà, un temibile “diavolo verde”, scampato a Cassino,  risalita la penisola combattè sulla “Linea Gotica”, poi dopo il 25/4/1945, la sua compagnia venne catturata principalmente dai Partigiani (zona di Codevigo), alcuni non tornarono a casa vivi, ma lui ed altri, spogliati di tutto, tornarono in Germania sani e salvi. Il suo elmetto, forse per sfregio, ma sicuramente per necessità e povertà,
appianando la calotta, servì ad una “azdora” come pentola per cucinare i cibi per la famiglia! Simbolo della mostra, un calice Cristiano prodotto riutilizzando l’ottone ed il ferro dei bossoli italiani, tedeschi e russi. Era stato realizzato artigianalmente, direttamente al fronte, da un soldato italiano, miracolosamente sopravvissuto alla ritirata di Russia.
Oltre 80 i pezzi in mostra, potrete vedere dalla lattina di birra inglese del '44 trasformata in lume a petrolio; dal bottiglione in vetro dell’VIII Armata inglese che la scomparsa anziana Elsa Cornacchia, dopo averlo tagliato, utilizzava come barattolo per il sale, dal fiasco ricoperto non di paglia, ma di fili del telefono americano; dalle piccole bottiglie di birra americane tagliate o meccanicamente, o con liquidi caldi, son stati realizzati i bicchieri posizionati a fianco del fiasco. In mostra due rocchetti per filo delle mine trappola tedesche, sia colore beige Afrikakorps, che verde del fronte italiano, filo genericamente riutilizzato per tanti anni negli usi agricoli.

Poi sono esposti i moltissimi elmetti della II Guerra Mondiale tutti modificati, trasformati e riutilizzati, di ogni nazione in guerra: italiani, tedeschi, ungheresi, inglesi, americani, francesi russi, di ogni loro arma: aviazione, fanteria, marina, o reparto come carristi, paracadutisti, telegrafisti. Tutti trasformati artigianalmente da elmetti bellici di prima qualità a riutilizzi indispensabili per la vita di tutti i giorni. Ad esempio come secchi per raccogliere la frutta, per le prime gare motociclistiche del dopoguerra, speleologia, imbuti, imbuti enologici con 3 gambe, scaldini per stanze e per il letto, pentole, mestoli, scolapasta, crogiuoli, mestoli per svuotare i pozzi neri, badili, per cuocere le castagne, in cima ai comignoli come coperchio su alcuni mattoni, abbeverare gli animali da cortile, come “zambèl”, cioè per coprire il palo del pagliaio, affinchè l'acqua non lo bagnasse inumidendo poi la paglia.
Oppure servivano per seminare, come secchi, vasi da notte, lavabi, coprifari per trattori o auto, scudi per lampade a carburo, elmi da minatore, insomma di acciaio vi era una esigenza disperata pe ripartire, ovunque c'era una miseria nera, stava nella fantasia e nella necessità dell'artigiano o dell'agricoltore, magari anche un lavandino rotto dagli eventi bellici poteva essere sostituito da un elmetto, un bell'incasso in un angolo della casa, un tubo di scarico saldato e via, il lavandino è fatto!
Spesso gli elmi erano già essi stessi riutilizzi, non era affatto difficile trovare fanti tedeschi sulla Gotica, magari nelle seconde lineee, indossare elmi tedeschi o austriaci della prima Guerra Mondiale, riusati per la ormai endemica  carsità di acciaio e di nuove forniture militari. Gli appassionati con il metal detector, i ricercatori o i “recuperanti” ne hanno trovato persino recentemente sulla Gotica!
Anche due pezzi esposti, rinvenimenti dalla riconversione industriale delle industrie belliche, uno scolapasta prodotto in Germania Ovest dal 1946 al ‘50, riutilizzando gli Stampi dell’elmetto M42! Ed un “flit ammazza-insetti”, prodotto in Austria nel dopoguerra che ha come serbatoio per il veleno un coprispoletta tedesco in bachelite, uno dei tanti che era rimasto nei magazzini non utilizzato, si nota il marchio di fabbrica originale sul pezzo con un adesivo riportante proprio il disegno del copri spoletta! Anche le casse di munizioni meritano una menzione particolare.
Sulle colline della Gotica (mi sovviene ad es. zona di Fontana Moneta) alcune porcilaie, o anche fienili, sono realizzate interamente con casse militari in ferro, principalmente alleate (i tedeschi sulla Gotica erano “alla frutta” e del ferro ormai non ne avevan affatto), utilizzate come “mattoncini di Lego”, una sopra all'altra a formare la costruzione.Oppure le casse militari erano aperte sventare e venivano utilizzate
per superare piccoli fossi, stese sull'aia di casa per non infangarsi i piedi, oppure sempre aperte e stese come coperture di manufatti agricoli ed a volte pure al posto dei coppi sulle case.
Casse militari ad es. trasformate in “cassaforte per le polveri da sparo”, una da una cassa di munizioni come gabbia di legno per la faina (il proprietario della faina catturata la esponeva e questuando per le case dei contadini chiedeva una ricompensa per la cattura della nota “ladra di polli” del secondo dopoguerra; casse fatte a stufa, anche realizzato con valide rifiniture ed all'interno pietre refrattarie.
Due casse in ferro alleate unite assieme e con a lato assi di legno grosse, con maniglie originali di altre casse belliche, in modo da fare una cassapanca!
Le casse eran riusate anche in guerra, una verde era per le munizioni, poi era utilizzata come cartello pericolo “MINES” , poi finita la guerra, da un sarto per riporre le stoffe.
Quelle in ferro furon riutilizzati come scalini, sventrate poi come lamiere, come lastre x realizzare cancelli, come ferro da fondere. Quelle in legno come assi per far mobilio in casa, per accendere il fuoco, come casse per la biancheria.
In ogni casa della Romagna ancora oggi vi è una cassa militare del secondo conflitto usato, riutilizzata per soddisfare qualche bisogno della famiglia. Spesso venivano riusate come casse per gli attrezzi agricoli sui trattori, magari con aggiunto un grosso lucchetto, le casse piu' piccole per i piu' disperati utilizzi: cartella per andare a scuola, borsa per il pasto per gli operai, porta cartucce per i cacciatori, cassette di pronto
soccorso, portabatterie per automobili.
Nelle case dei romagnoli non manca nemmeno la borsa dell'acqua calda fatta all'interno di bossoli in ottone stagnati e sigillati e riempiti di acqua calda.
La stessa si avvolgeva in un panno ed infilata sotto le coperte per scaldare il letto prima di coricarsi, il tutto al posto del riscaldamento. In mostra ve ne sono alcuni, di varie misure, uno addirittura in ottone, ma nero. Una cultura del recupero, del riuso, riciclo e del risparmio, che anche oggi fa riflettere.
Credo sia giusto visitare, e far visitare ai nostri figli la mostra ed i “pezzi di storia esposti”, testimoni della memoria del tempo che fu.
Vedendoli e comprendendoli, potranno meglio capire come l’ingegno umano supera le privazioni, la miseria e le difficoltà, le crisi. Se ci siamo risollevati da tante distruzioni, certamente supereremo anche questa crisi pluriennale; ma solo rimboccandoci ancora le maniche, con onestà e rispettando i valori della nostra terra, trovando e sperimentando nuove iniziative ed idee.
Ma anche facciamola visitare fino al 25 dicvembre 2012 ai nostri conoscenti e familiari, ai nostri padri e nonni, insieme ripercorreranno un passato che non dovrà mai più ritornare.

 

 

 

 

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