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DOLLMANN, L'EMINENZA GRIGIA DI ROMA

Studiando il periodo della permanenza tedesca a Roma, non si può non rimanere incuriositi da una figura del tutto particolare che in quei nove mesi dal settembre 1943 al giugno 1944 spiccò quasi su tutte le altre.

 

 

 

Dollmann nel dopoguerra, durante un'intervista concessa a Sergio Zavoli nell'ambito del documentario "Dal Gran Consiglio al Gran Sasso"

 

Con l'uniforme da Colonnello delle SS insieme ad Adolf Hitler

 

Dietro ad Heinrich Himmler, che lo volle a tutti i costi a Roma.

Con Vetinghof (comandante della X Armata tedesca in Italia e Karl Wolff (Plenipotenziario delle SS nel nostro Paese)

 

Dollmann saluta il Capo della Polizia italiana Bocchini a Roma

 

L'edizione originale del libro di Dollmann, "Roma Nazista", in cui egli descrive i fatti, la vita e gli intrighi nella Capitale italiana nel periodo della sua permanenza.

Eugen Dollmann nacque a Ratisbona l’8 agosto del 1900. Dopo la scuola superiore, si iscrisse all’università di Monaco, dove conseguì la laurea in Filosofia. Intorno alla metà degli anni ’20 venne ad abitare a Roma, dove intendeva approfondire la sua cultura in Storia ed Arte italiana. Questa frequentazione della Capitale lo portò ad imparare molto bene la nostra lingua, cosa che più tardi gli sarebbe tornato utile.

A Roma Dollmann abitava presso Piazza di Spagna e conduceva una intensa vita mondana. Saltuariamente ricopriva l’incarico di interprete per qualche amico e fu proprio un uno di questi frangenti che venne notato da Heinrich Himmler, il potente capo delle SS, il quale apprezzò le potenzialità di questo raffinato giovanotto ben introdotto nei salotti romani che allora facevano quasi a gara per ricevere nazisti importanti (es. il generale Karl Wolff, comandante delle SS in Italia e responsabile per il “retrofronte”).

Dollmann a quel tempo vantava autentiche amicizie personali tra la nobiltà romana e in particolare con alti prelati in Vaticano, cosa che ne facevano un personaggio molto utile per l'intelligence nazista.

Anche Hitler si servì di Dollmann come interprete poiché (come si diceva in un pettegolezzo), gliene aveva ben parlato Eva Braun che l'aveva conosciuto durante un suo viaggio a Firenze e ne era rimasta affascinata. Fatto sta che Hitler nel 1938 lo nominò a titolo onorifico SS-Standartenführer (colonnello) delle SS. Si tenga conto che Dollmann non era iscritto al Partito Nazista e non aveva mai nemmeno fatto il militare.

Tra il 1938 e il 1944 sono gli “anni d’oro” di Dollmann, il quale divenne un punto di riferimento per i rapporti tra i tedeschi in Roma e i dirigenti fascisti. Egli era di casa all'ambasciata di Eberhard von Mackensen prima e di Rudolf Rahn poi; presso la sede del comando supremo di Albert Kesselring e nella villa gardesana di Karl Wolff. Non vi fu incontro tra Hitler e Mussolini nel quale non partecipasse in veste di interprete Dollmann, il quale privatamente metteva ironicamente in risalto la supponenza del Duce di conoscere bene il tedesco

Dei cenni sulla sua figura sono presenti anche nei famosi Diari di Ciano (alla data del 19 maggio 1942) e difatti l'affascinante colonnello nella sua divisa nera era amico di Galeazzo, come anche del capo della polizia Arturo Bocchini, della principessa Isabella Colonna, di Guido Buffarini Guidi e con lui si sfogava Donna Rachele sulle malefatte del genero.

All'arrivo degli americani a Roma (giugno 1944) seguì il trasferimento a nord, nella Repubblica di Salò.

Anche qui Dollmann mise in atto le sue capacità di intessere accordi segreti usando la mediazione del cardinale Schuster e, in seguito, nelle trattative con l'intelligence alleata del marzo 1945 che portarono alla resa tedesca.

 

LE FOSSE ARDEATINE: COINVOLTO O INNOCENTE?

L'inconveniente che gli procurò grosse difficoltà nel dopoguerra fu la sua presenza nei momenti successivi dell'attentato di Via Rasella, fatto per il quale fu accusato dagli antifascisti di essere stato il principale autore dell'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Il colonnello delle SS racconta che Hitler «Pareva impazzito, voleva che venisse distrutto un intero quartiere di Roma con tutti i suoi abitanti e che per ogni soldato tedesco morto si fucilassero trenta o cinquanta ostaggi italiani

Il generale Kurt Maeltzer, Comandante della Piazza di Roma, anche lui intervenuto dopo l’attentato a Via Rasella, urlava che «si sarebbero dovuti fucilare sul posto individui arrestati nelle vicinanze e far saltare, con tutti i suoi abitanti, il blocco di immobili davanti al quale era avvenuto l’attentato».

I militari tedeschi erano d'accordo che vi dovesse essere una dura punizione per l'attentato, ma erano molto perplessi delle proporzioni di questa reazione che avrebbe potuto innescare conseguenze negative per il Reich in generale e per le truppe tedesche stesse di stanza a Roma in particolare.

Fu Dollmann che, seguendo questa linea morbida, chiese nel pomeriggio del 23 marzo 1944 l'intervento di padre Pancrazio Pfeiffer, intermediario di papa Pio XII con i tedeschi e compagno di scuola di Maeltzer.

Pio XII si mise in contatto con l'ambasciata tedesca per capire quali fossero le reali intenzioni, ma ricevette solo risposte molto evasive. Dollmann quindi non fu più in grado di modificare gli eventi che si conclusero, nel giro di meno ventiquattro ore, con l'eccidio.

La versione dei fatti di Dollmann è contraddetta dallo storico Richard Breitman che, basandosi sui documenti declassificati degli Archivi nazionali, accusa Dollmann di essere stato complice sia della deportazione degli ebrei del ghetto romano sia della strage delle Fosse Ardeatine.

Secondo il giornalista Paolo Mieli invece, Dollmann non ebbe a che fare con gli episodi di cui lo si accusa ma anzi egli si adoperò perché si evitassero il più possibile atti di forza cruenti.

Fu lui, per esempio, ad aiutare a fuggire Virginia Agnelli imprigionata nella villa di San Gregorio al Celio e, proprio con la mediazione di questa, Dollmann nel maggio del 1944 riuscì ad organizzare un incontro segreto tra il generale delle SS Wolff e il papa Pio XII per trattare l'evacuazione pacifica dei tedeschi dalla capitale.

 

SPIA INTERNAZIONALE?

Internato alla fine della guerra fu protetto da una branca dei servizi segreti italiani e dal cardinale di Milano Ildefonso Schuster, «che volevano rivendicare tramite suo il merito della resa tedesca», che lo nascosero in un manicomio.

Tornato a Roma nel 1946, fu riconosciuto in un cinema ed arrestato, ma gli americani lo fecero subito liberare e un loro agente, James Angleton, lo fece trasferire in Svizzera.

Visse in Svizzera sotto falsa identità come agente di spionaggio fino al 1952 quando ne fu espulso per un presunto rapporto omosessuale con un funzionario di quel Paese.

Passò quindi dall'Italia, dove era tornato, in Spagna con l'aiuto di un certo padre Parini. Lì visse protetto da Otto Skorzeny, il “liberatore" di Mussolini dal Gran Sasso.

Secondo gli Archivi americani, nel 1952  Eugen Dollmann ebbe dai servizi segreti italiani un passaporto falso con cui poté ritornare in Germania per alterare i processi di denazificazione che si stavano tenendo in quel periodo.

Scoperto nella sua vera identità, Dollmann confessò che il falso documento gli era stato fornito da un certo "Rocchi" identificato successivamente con Carlo Rocchi, capo della CIA a Milano.

Fu arrestato in Germania e imprigionato per un mese per falsificazione di documenti.

Uscito di prigione si ritirò ad abitare nella pensione “Das Blaue Haus”, a Monaco, dove passò gli ultimi trent'anni della sua vita.

Si manteneva con un lavoro di traduttore dall'italiano in tedesco. Si deve a lui la traduzione in tedesco della sceneggiatura del film “La dolce vita” di Federico Fellini.

Morì il 17 maggio del 1985. L'unico documento che prova il suo decesso è un biglietto fatto arrivare, tramite il suo esecutore testamentario, allo storico italiano Gianfranco Bianchi, con la data di nascita e di morte e alcuni versi di Petrarca:

 

Di me non pianger tu; chè i miei di fèrsi
Morendo eterni, e ne l' interno lume,
Quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi.

(Sonetto XI)

 

 

 

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