Eugen
Dollmann nacque a Ratisbona l’8 agosto del 1900. Dopo la scuola
superiore, si iscrisse all’università di Monaco, dove conseguì la laurea
in Filosofia. Intorno alla metà degli anni ’20 venne ad abitare a Roma,
dove intendeva approfondire la sua cultura in Storia ed Arte italiana.
Questa frequentazione della Capitale lo portò ad imparare molto bene la
nostra lingua, cosa che più tardi gli sarebbe tornato utile.
A Roma Dollmann abitava
presso Piazza di Spagna e conduceva una intensa vita mondana.
Saltuariamente ricopriva l’incarico di interprete per qualche amico e fu
proprio un uno di questi frangenti che venne notato da Heinrich Himmler,
il potente capo delle SS, il quale apprezzò le potenzialità di questo
raffinato giovanotto ben introdotto nei salotti romani che allora
facevano quasi a gara per ricevere nazisti importanti (es. il generale
Karl Wolff, comandante delle SS in Italia e responsabile per il “retrofronte”).
Dollmann a quel tempo
vantava autentiche amicizie personali tra la nobiltà romana e in
particolare con alti prelati in Vaticano, cosa che ne facevano un
personaggio molto utile per l'intelligence nazista.
Anche Hitler si servì di
Dollmann come interprete poiché (come si diceva in un pettegolezzo),
gliene aveva ben parlato Eva Braun che l'aveva conosciuto durante un suo
viaggio a Firenze e ne era rimasta affascinata. Fatto sta che Hitler nel
1938 lo nominò a titolo onorifico SS-Standartenführer (colonnello) delle
SS. Si tenga conto che Dollmann non era iscritto al Partito Nazista e
non aveva mai nemmeno fatto il militare.
Tra il 1938 e il 1944 sono
gli “anni d’oro” di Dollmann, il quale divenne un punto di riferimento
per i rapporti tra i tedeschi in Roma e i dirigenti fascisti. Egli era
di casa all'ambasciata di Eberhard von Mackensen prima e di Rudolf Rahn
poi; presso la sede del comando supremo di Albert Kesselring e nella
villa gardesana di Karl Wolff. Non vi fu incontro tra Hitler e Mussolini
nel quale non partecipasse in veste di interprete Dollmann, il quale
privatamente metteva ironicamente in risalto la supponenza del Duce di
conoscere bene il tedesco
Dei cenni sulla sua figura
sono presenti anche nei famosi Diari di Ciano (alla data del 19 maggio
1942) e difatti l'affascinante colonnello nella sua divisa nera era
amico di Galeazzo, come anche del capo della polizia Arturo Bocchini,
della principessa Isabella Colonna, di Guido Buffarini Guidi e con lui
si sfogava Donna Rachele sulle malefatte del genero.
All'arrivo degli americani a
Roma (giugno 1944) seguì il trasferimento a nord, nella Repubblica di
Salò.
Anche qui Dollmann mise in
atto le sue capacità di intessere accordi segreti usando la mediazione
del cardinale Schuster e, in seguito, nelle trattative con
l'intelligence alleata del marzo 1945 che portarono alla resa tedesca.
LE FOSSE ARDEATINE:
COINVOLTO O INNOCENTE?
L'inconveniente che gli
procurò grosse difficoltà nel dopoguerra fu la sua presenza nei momenti
successivi dell'attentato di Via Rasella, fatto per il quale fu accusato
dagli antifascisti di essere stato il principale autore dell'eccidio
delle Fosse Ardeatine.
Il colonnello delle SS
racconta che Hitler «Pareva impazzito, voleva che venisse distrutto
un intero quartiere di Roma con tutti i suoi abitanti e che per ogni
soldato tedesco morto si fucilassero trenta o cinquanta ostaggi italiani.»
Il generale Kurt Maeltzer,
Comandante della Piazza di Roma, anche lui intervenuto dopo l’attentato
a Via Rasella, urlava che «si sarebbero dovuti fucilare sul posto
individui arrestati nelle vicinanze e far saltare, con tutti i suoi
abitanti, il blocco di immobili davanti al quale era avvenuto
l’attentato».
I militari tedeschi erano
d'accordo che vi dovesse essere una dura punizione per l'attentato, ma
erano molto perplessi delle proporzioni di questa reazione che avrebbe
potuto innescare conseguenze negative per il Reich in generale e per le
truppe tedesche stesse di stanza a Roma in particolare.
Fu Dollmann che, seguendo
questa linea morbida, chiese nel pomeriggio del 23 marzo 1944
l'intervento di padre Pancrazio Pfeiffer, intermediario di papa Pio XII
con i tedeschi e compagno di scuola di Maeltzer.
Pio XII si mise in contatto
con l'ambasciata tedesca per capire quali fossero le reali intenzioni,
ma ricevette solo risposte molto evasive. Dollmann quindi non fu più in
grado di modificare gli eventi che si conclusero, nel giro di meno
ventiquattro ore, con l'eccidio.
La versione dei fatti di
Dollmann è contraddetta dallo storico Richard Breitman che, basandosi
sui documenti declassificati degli Archivi nazionali, accusa Dollmann di
essere stato complice sia della deportazione degli ebrei del ghetto
romano sia della strage delle Fosse Ardeatine.
Secondo il giornalista Paolo
Mieli invece, Dollmann non ebbe a che fare con gli episodi di cui lo si
accusa ma anzi egli si adoperò perché si evitassero il più possibile
atti di forza cruenti.
Fu lui, per esempio, ad
aiutare a fuggire Virginia Agnelli imprigionata nella villa di San
Gregorio al Celio e, proprio con la mediazione di questa, Dollmann nel
maggio del 1944 riuscì ad organizzare un incontro segreto tra il
generale delle SS Wolff e il papa Pio XII per trattare l'evacuazione
pacifica dei tedeschi dalla capitale.
SPIA INTERNAZIONALE?
Internato alla fine della
guerra fu protetto da una branca dei servizi segreti italiani e dal
cardinale di Milano Ildefonso Schuster, «che volevano rivendicare
tramite suo il merito della resa tedesca», che lo nascosero in un
manicomio.
Tornato a Roma nel 1946, fu
riconosciuto in un cinema ed arrestato, ma gli americani lo fecero
subito liberare e un loro agente, James Angleton, lo fece trasferire in
Svizzera.
Visse in Svizzera sotto
falsa identità come agente di spionaggio fino al 1952 quando ne fu
espulso per un presunto rapporto omosessuale con un funzionario di quel
Paese.
Passò quindi dall'Italia,
dove era tornato, in Spagna con l'aiuto di un certo padre Parini. Lì
visse protetto da Otto Skorzeny, il “liberatore" di Mussolini dal Gran
Sasso.
Secondo gli Archivi
americani, nel 1952 Eugen Dollmann ebbe dai servizi segreti italiani un
passaporto falso con cui poté ritornare in Germania per alterare i
processi di denazificazione che si stavano tenendo in quel periodo.
Scoperto nella sua vera
identità, Dollmann confessò che il falso documento gli era stato fornito
da un certo "Rocchi" identificato successivamente con Carlo Rocchi, capo
della CIA a Milano.
Fu arrestato in Germania e
imprigionato per un mese per falsificazione di documenti.
Uscito di prigione si ritirò
ad abitare nella pensione “Das Blaue Haus”, a Monaco, dove passò gli
ultimi trent'anni della sua vita.
Si manteneva con un lavoro
di traduttore dall'italiano in tedesco. Si deve a lui la traduzione in
tedesco della sceneggiatura del film “La dolce vita” di Federico Fellini.
Morì il 17 maggio del 1985.
L'unico documento che prova il suo decesso è un biglietto fatto
arrivare, tramite il suo esecutore testamentario, allo storico italiano
Gianfranco Bianchi, con la data di nascita e di morte e alcuni versi di
Petrarca:
“Di me non pianger tu;
chè i miei di fèrsi
Morendo eterni, e ne l' interno lume,
Quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi.”
(Sonetto XI) |