"Ha mai provato quell'amore talmente puro da perdere se stessi?
Io si, per questo l'ho ucciso…
Rimasi lì ad ascoltare il mio cuore morire e la mia anima sanguinare...
poi pensai che fosse meglio così,
così non sarebbe mai invecchiato,
non mi avrebbe mai tradito,
così sarebbe rimasto perfetto…"

(
Tratto dal Film "The Hole")

"...e ci fu di nuovo un firmamento
e un vento ed un bagliore di luce purpurea
negli occhi del sognatore che precipitava,
c'erano dèi e presenze e volontà.
Bellezza e cattiveria e l'urlo della notte
malvagia privata della sua preda."

(H.P. Lovecraft, Fungi From Yuggoth, XXXII)

"Io non sono più che l'ombra di un'ombra
che si contorce in mani che non sono mani
che rotea cieca oltre le spettrali notti
di questo putrescente cimitero dell'Universo..."
(H.P. Lovecraft, Nyarlathotep)

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Palermo 1743. In una città sporca, povera e sovrappopolata, il quartiere dell’Albergarìa è uno dei posti più malfamati: prostitute, ladri, indovini, trafficanti ne fanno una specie di “casbah” sporca e insicura. E’ in questo contesto che il 2 giugno 1743 nasce Giuseppe Balsamo: la sua casa natale si trova in quello che allora si chiamava il vicolo della Perciata e che oggi ha preso il nome di vicolo Conte di Cagliostro.

Il padre del bambino, Pietro Balsamo, è un mercante di bigiotteria che ha alle spalle vari fallimenti e che morirà molto presto; la madre,Felicita Bracconieri, sopravviverà al figlio insieme alla sorella più piccola di Giuseppe: Giovanna Giuseppa Maria.

L’atto di morte redatto dall’arciprete di San Leo contiene parole durissime su Giuseppe Balsamo: «eretico, scomunicato, peccatore impenitente…». Di lui si dirà che era «nato infelice, era vissuto ancora più infelice e che infelicissimo era morto». Eppure la vita di Giuseppe era iniziata, come per tutti, con un bel battesimo nella cappella dell’incoronazione.

Morto il padre, Giuseppe viene affidato agli zii materni e comincia a manifestarsi un’inquietudine interiore che non si fermerà mai e un’ansia di movimento, tipica degli avventurieri dell’epoca, che verrà fermata solo dalle mura dei vari carceri in cui verrà rinchiuso: a Londra, a Castel Sant’Angelo di Roma, alla Bastiglia di Parigi, a San Leo ma anche Palermo…

Proprio a Palermo, a Palazzo Marchesi, Cagliostro verrà rinchiuso quando è già famoso. Ma la sua lotta contro il potere costituito e la giustizia era iniziata già durante l’adolescenza. Gli anni della sua gioventù a Palermo sono caratterizzate da un fiume di marachelle, piccole truffe, risse, fughe e punizioni corporali. Si mostra da subito irriverente, portato al comando, appassionato alla chimica, esperto falsario, spregiudicato. Ma su questa base presto si innesterà quella che sembra essere una vera e propria iniziazione esoterica...

Nel 1764, in fuga da Palermo a causa di una truffa un po’ più grave delle altre, Cagliostro arriva a Messina, dopo cinque giorni di navigazione. Affitta una stanza in una locanda del porto e la sera stessa conosce un uomo che gli cambierà la vita: si chiama Altotas, sembra che sia mezzo greco e mezzo spagnolo, ha una lunga barba, parla un misto di arabo, italiano e francese ma soprattutto si vanta di possedere il segreto della pietra filosofale e di altri unguenti miracolosi. Sarà lo stesso Cagliostro a raccontare, in seguito, che Altotas lo introdurrà ai misteri e agli insegnamenti dei sacerdoti egiziani e di essere stato condotto da lui in lunghi viaggi in Grecia, in Asia minore e in Egitto. Da quei viaggi e da quella esperienza Giuseppe Balsamo torna completamente trasformato.

Negli anni del successo, la natia Palermo resterà un lontano ricordo per il Conte Cagliostro, divenuto, grazie ai suoi poteri e alle sue guarigioni, una vera personalità a livello europeo. Una fama, a tratti decisamente sinistra, che lo accompagnerà anche dopo la morte. Per dare un’idea dell’impatto della figura di Cagliostro sull’opinione pubblica dell’epoca, basta ricordare un episodio, legato ad uno dei personaggi più importanti della cultura tra Settecento e Ottocento: Goethe. Giunto a Palermo nel corso del suo celebre «Viaggio in Italia», il grande scrittore tedesco volle subito andare a vedere la casa dove era nato Cagliostro e a parlare con la madre e la sorella, all'epoca ancora in vita.

Ufficialmente Giuseppe Balsamo diventa il Conte di Cagliostro il 12 aprile 1777. E’ quello il giorno in cui l’avventuriero siciliano viene iniziato alla massoneria a Londra. Sua moglie Serafina, in realtà Lorenza Feliciani, sposata a Roma il 20 aprile 1768, lo aveva preceduto, facendosi iniziare a sua volta qualche tempo prima. E’ un uomo molto diverso dal Giuseppe Balsamo della giovinezza, al punto di rinnegare egli stesso le proprie origini. Adesso è il Conte di Cagliostro, gran maestro della sua Loggia londinese e ben presto anche Gran Cofto di un rito tutto suo: quello della Massoneria Egiziana. Mischiando rituali massonici ad antichi riti egizi e orientali, Cagliostro dà vita a un’organizzazione iniziatica che si propone la rinascita dell’uomo attraverso lunghi e duri esercizi spirituali e all’osservanza di sei comandamenti e tre imperativi: si va dall’amore di Dio al rispetto del sovrano, dall’amore per il prossimo al rispetto per la natura, dal culto per la meditazione fino al rigido rispetto delle regole dell’Ordine. Per alcuni la Massoneria egiziana garantirà a Cagliostro onori e ricchezze, ma alla fine si rivelerà la sua principale fonte di rovina, visto che gli porterà l’accusa di eresia.

Con il 1785 l’astro di Cagliostro declina. L’inizio della fine coincide con l’esplodere del maggior scandalo del Settecento, scandalo passato alla storia come “L’affare della Collana”. In quegli anni Cagliostro è in Francia, dove tra le altre cose, ha assunto il ruolo di consigliere dell’influente cardinale Louis Rohan. Il cardinale, insieme ad una avventuriera, la contessa Jeanne Valois de La Motte, viene contattato da due gioiellieri sull’orlo del fallimento: avevano preparato una collana per la favorita di Re Luigi XV. Ma Luigi XV era morto prima di poter concludere l’acquisto e il suo successore, Luigi XVI non sembrava interessato alla cosa. Da qui le pressioni perché la regina Maria Antonietta chiedesse al marito di acquistare la fantastica collana composta da ben 575 gemme. Benché Maria Antonietta non volesse concludere l’affare, lo scandalo scoppiò ugualmente e travolse la corona ma anche la De La Motte, Rohan e Cagliostro che pure aveva avuto un ruolo secondario nella vicenda, ma la cui fama lo imponeva all’attenzione di tutti. Cagliostro, denunciato dalla de La Motte finì alla Bastiglia da dove poté uscire, assolto, solo dopo qualche tempo. Ma Luigi XVI gli ordinò di lasciare comunque subito la Francia. Cagliostro prese quindi la strada di Londra e da qui, pochi mesi dopo, spinto dal desiderio della moglie di rivedere i suoi parenti, mosse verso Roma. Decisione che si rivelerà fatale.

Da Roma Cagliostro viene trasferito ”senza speranza di grazia, e sotto stretta custodia ”nella fortezza di San Leo, nel cuore del Montefeltro, il 20 aprile del 1791. Ci rimarrà fino alla morte, avvenuta la notte tra il 26 e il 27 agosto del 1795.

In realtà, già la partenza da Roma era stata tutt’altro che leggera per Cagliostro, costretto a una pubblica e umiliante abiura di tutto quello che aveva professato per lunghi anni: infatti l’esecuzione della sentenza avviene nella pubblica cerimonia detta sermo generalis o autodafé. Davanti ad una folla acclamante vengono distrutti i libri e gli oggetti del rito egiziano. Avvilito, stanco dei maltrattamenti e delle torture, Cagliostro confessa e, in ginocchio e col capo coperto, ascolta la sentenza emessa alla presenza dello stesso Pio VI. La condanna a morte viene commutata nel carcere a vita, ma lo scotto che deve pagare per questa concessione è umiliante: viene costretto infatti a percorrere un tratto di strada, in cui, con indosso un saio di tela grezza e in mano un cero, chiede pubblicamente perdono, alla mercé di un popolo sadico che lo deride e lo mortifica, mentre i suoi scritti e le insegne massoniche vengono gettate nel fuoco.

A San Leo, Cagliostro vive, a ben vedere, tre clamorose contraddizioni:
Si preoccupa per la moglie che è la causa della sua rovina; si ritrova in una situazione che – lui noto esperto di arti divinatorie – non aveva previsto; si ritrova condannato e perseguitato da quella Chiesa da cui aveva cercato in tutti i modi di essere riconosciuto e alla quale aveva chiesto il placet per il suo rito massonico-egiziano.

La fine di Giuseppe Balsamo o, se preferite, di Alessandro Conte di Cagliostro, arriva a Mezzogiorno del 26 agosto 1795: un colpo apoplettico gli fa perdere per sempre conoscenza. Una guardia lo trova privo di sensi e dà l’allarme, ma i medici non riescono a farlo riprendere. Anche il parroco e altri sacerdoti cercano di farlo ravvedere in punto di morte, ma Cagliostro ormai non sente più nulla. Muore alle quattro di notte, senza estrema unzione. La moglie era già morta da un anno, nel convento di Sant’Apollonia.

Secondo una descrizione del rito funebre, giunta fino a noi:
«Il cadavere, tutto vestito, posto sopra una mezza porta di legno, venne portato a spalla da quattro uomini, i quali, usciti dal castello, scesero verso la spianata. Essi erano affaticati e sudavano (era di agosto) e, per riposarsi, ad un certo punto deposero il cadavere sopra il parapetto di un pozzetto, che ancora esiste, e andarono a bere un bicchiere di vino. Poi tornarono, ripresero il tragitto e giunsero al luogo del seppellimento. Io -che ero tenuto per mano da un mio parente- seguii il triste e misero convoglio che, non assistito da nessun sacerdote, assumeva un sinistro carattere di diabolica desolazione. A quella vista i rari passanti si allontanavano frettolosi facendosi il segno della Croce. Scavata la fossa, vi calarono il morto: sotto il capo misero un grosso sasso e sul viso un vecchio fazzoletto, quindi lo ricopersero di terra».

Tuttavia, l’episodio più inquietante accadde nel 1797, quando San Leo si arrese all’Armata della Repubblica Cisalpina, guidata dal generale polacco Dombrowski, che la occupò in suo nome. Per celebrare l’impresa, il generale concesse la libertà ai reclusi presenti nella fortezza e sembra che essi, unitisi ad alcuni soldati, cominciarono a scavare nel luogo in cui Cagliostro era stato sepolto. Rinvenuti i poveri resti, soldati ed ex detenuti, si servirono del teschio per brindare alla riconquistata libertà...

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