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Riproduciamo
fedelmente in traduzione la testimonianza di Howard Murphet,
tratta dal libro Sai Baba, Man Of Miracles (pp.132-134),
che narra della resurrezione del cadavere di Radhakrishna.
«Una sera Radakrishna, padre di Vijaya, entrò in coma
e fu chiaro da subito che il suo respiro era quello di
un uomo prossimo alla morte. Allarmatissima, sua moglie
si mosse per contattare direttamente lo Swami. Il quale
giunse nella stanza di Radhakrishna, contemplò il morente
e disse alla donna: "Non ti preoccupare. Andrà tutto bene",
e lasciò la stanza.
Il
giorno seguente il paziente era ancora privo di coscienza.
Il figliastro di Radhakrishna chiamò un dottore del distretto
ospedaliero, il quale, dopo avere tastato il polso al
paziente ed effettuato ulteriori esami, espresse l'opinione
che Radhakrishna era così prossimo alla dipartita che
nulla si poteva fare per salvarlo. Un'ora dopo il parere
del medico, il corpo divenne gelido. I parenti incominciarono
ad avvertire i rantoli e osservarono la lingua
del loro caro farsi livida e secca. Vijaya e sua madre
si recarono disperate da Sai Baba, che al momento si trovava
nella sala da pranzo. Quando gli dissero che Radhakrishna
sembrava ormai morto, lo Swami sorrise e se ne andò in
camera sua. Vijaya e la madre non poterono fare altro
che tornare da Radhakrishna e attendere. Dopo poco, lo
Swami fece il suo ingresso nella stanza, contemplò il
corpo e tornò nuovamente sui suoi passi senza dire nulla.
Questo accadeva la sera del secondo giorno di coma di
Radhakrishna. La notte trascorse con i tre parenti in
veglia accanto al corpo, speranzosi di cogliere anche
un minimo segnale di risveglio. Speranza vana: non ci
fu segno alcuno di ripresa. I tre ancora confidavano
che
Sai Baba avrebbe in qualche modo salvato Radhakrishna:
non aveva forse egli stesso affermato che tutto sarebbe
andato a posto? La mattina del terzo giorno il corpo dell'uomo
era cadavere: livido, freddo, rigido e iniziava a puzzare
di decomposizione. Molte persone giunsero a fare le condoglianze
alla moglie, consigliandole di portare il cadavere di
Radhakrishna fuori dall'ashram. Ma lei rispose che non
l'avrebbe fatto: "Non prima che sia lo Swami stesso a
ordinarlo". Alcuni giunsero perfino a contattare il Baba
suggerendogli, dal momento che l'uomo era morto e il corpo
emanava un insopportabile puzzo di putrefazione, che il
cadavere venisse rimandato a Kuppam o cremato direttamente
a Puttaparti. Lo Swami semplicemente rispose: "Si vedrà".
E quando fu la vedova a recarsi da lui, riportandogli
cosa la gente diceva e chiedendogli cosa lei dovesse fare,
Sai Baba rispose: "Non ascoltarli. Non avere paura. Io
sono qui". E disse che
presto sarebbe sceso nella stanza di suo marito per vederlo.
La vedova tornò nella stanza e si mise ad attendere, insieme
alla figlia e al figlio adottivo. I minuti trascorrevano,
passò più di un'ora, ma dello Swami non c'era traccia.
Poi, quando la speranza sembrava morta anch'essa, la porta
della stanza si aprì e apparve il Baba, vestito di rosso,
la capigliatura folta, un sorriso pacifico e smagliante.
Erano le due e mezza del terzo giorno. La vedova esplose
in pianto, e con lei Vijaya. Sembravano Marta e Maria,
le sorelle di Lazzaro, disperate perché pensavano che
il loro Signore fosse giunto troppo tardi. Con gentilezza
il Baba chiese ai tre parenti di lasciare la stanza. Lo
fecero e lui chiuse la porta. Nessuno può sapere cosa
accadde davvero in quella stanza in cui il Baba e il cadavere
erano rinchiusi, uno di fronte all'altro. Ma dopo pochi
minuti Sai Baba aprì la porta e fece entrare i parenti.
Radhakrishna era a letto, li guardava e sorrideva. Il
rigor era scomparso e il colorito naturale era riapparso.
Baba si sollevò il capo dell'uomo e gli disse: "Parla
loro: hanno paura". "Paura? - chiese Radhakrishna - E
di cosa? Sto bene. E il Baba è qui". Lo Swami si rivolse
alla moglie: "Ti ho restituito tuo marito. Ora dàgli da
bere qualcosa di caldo". Fu lo stesso Baba, quando la
moglie di Radakrishna portò una minestra calda, a imboccare
l'uomo che aveva richiamato dalla morte.»
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