Credere
all'esistenza di esseri soprannaturali come le Streghe
e i Vampiri è stata, nel passato, la cosa più
normale del mondo. L'Antropologia (la scienza che studia
l'uomo e la sua cultura) ci dice che molte leggende
sono nate attorno a fatti realmente accaduti. Quando
succede un fatto "strano", l'uomo ha bisogno
di spiegarlo in qualche modo. Ai giorni nostri sembra
ovvio che l'interpretazione debba essere scientifica
e razionale, ma
un tempo quello che ci circondava e ci accadeva era
molto più incomprensibile di quantoappaia oggi.
Nel
Settecento, passato alla storia come il secolo della
razionalità per eccellenza, furono più
volte segnalate delle "epidemie" di vampirismo
nella regione dei Balcani. Questi fatti, riportati dai
giornali dell'epoca, causarono clamore e preoccupazionein
tutta Europa: molti vi credevano ciecamente; pochi (per
esempio alcuni filosofi illuministi) si limitavano a
liquidare la faccenda come frutto di superstizione.
Secondo la tradizione, il vampiro a tutti noto in Occidente
è una persona apparentemente morta che si rianima
durante la notte e vaga alla ricerca di vittime da mordere
per succhiarne il sangue; in questo modo le vittime
si trasformano a loro volta in vampiri. Mentre riposa
nella tomba, il corpo del vampiro resta intatto e, se
scoperto, deve essere distrutto per impedire il suo
ritorno tra i vivi.
Prendendo
spunto da questa leggenda e dal folklore che circonda
la figura dei vampiri nell'Europa dell'est, il neurologo
spagnolo Juan Gómez-Alonso, dell'ospedale Xeral
di Vigo, ha analizzato il fenomeno alla luce delle conoscenze
mediche. Il risultato dell'indagine, pubblicata sulla
rivista internazionale Neurology, è che esistono
sorprendenti somiglianze tra i casi di rabbia e quelli
di presunto vampirismo. Proprio nel periodo in cui le
gazzette europee riportavano le "epidemie"
di vampirismo nei villaggi dei Balcani, in Ungheria
le cronache registravano anche una grande epidemia di
rabbia in cani, lupi e altri animali selvatici. Una
serie di errori di valutazione nel riconoscere i sintomi
della rabbia, insieme ad
associazioni completamente sbagliate, avrebbero portato
gli abitanti dei villaggi balcanici a credere di essere
vittime dei vampiri.
Nell'inverno
tra il 1731 e il 1732 nel villaggio di Medveja, vicino
a Belgrado, un soldato morì subito dopo essere
tornato dalla Grecia e aver dichiarato di essere stato
morso da un vampiro mentre si trovava in quel paese.
Poco dopo, molti abitanti del villaggio dichiararono
di averlo visto di notte e si lamentarono di strane
debolezze. Venne quindi riesumato il corpo del soldato,
sul quale furono trovati i "segni del vampirismo"
sotto forma di sangue alla bocca. Come rimedio, gli
fu conficcato un paletto nel cuore. Nonostante questa
"precauzione", alcuni anni dopo fu segnalata
nel villaggio un'"epidemia" di vampirismo,
in seguito alla quale furono riesumati numerosi corpi:
14 di questi, dopo essere stati trovati "senza
ombra di dubbio nella condizione di vampiro", furono
ridotti in cenere. L'errore fondamentale è stato
non riconoscere che i corpi potevano trovarsi in quelle
condizioni per cause naturali.
Già
poco dopo questi eventi l'abate francese Augustin Calmet,
che in un trattato esaminava il caso, non aveva mancato
di distinguere tra il "vampiro giacente" nella
tomba e il cosiddetto "vampiro vagante" che
i contadini dicevano di aver visto o sognato. Tra le
ragioni naturali per la conservazione dei corpi potrebbe
semplicemente esserci la bassa temperatura, oppure un
processo chiamato "saponificazione" che può
avvenire nei luoghi umidi. In questo caso, i tessuti
sottocutanei si trasformano in una sostanza simile alla
cera che permette la conservazione del corpo per anni.
Le ragioni per cui alcuni cadaveri furono trovati pieni
di liquido e con schiuma e sangue alla bocca diventano
più comprensibili se lasciamo perdere il vampirismo
e prendiamo in considerazione il decorso della rabbia.
La rabbia è una malattia virale trasmessa dagli
animali che, in otto casi su dieci, evolve nell'uomo
in una encefalite che colpisce il sistema limbico, la
zona più "primitiva" del cervello che
gioca un ruolo fondamentale nel controllo delle emozioni
e del comportamento. Questo tipo di rabbia, detta furiosa,
non è facilmente osservabile ai nostri giorni
grazie alle vaccinazioni e perché l'aggressività
con cui si presenta è direttamente proporzionale
al livello culturale di chi ne è colpito.
Nel
Settecento, la povertà delle zone rurali dei
Balcani potrebbe aver contribuito ad accentuare questo
aspetto della malattia. Secondo Gómez-Alonso,
in questa particolare situazione, anche se difficile
da immaginare per noi contemporanei, si potrebbero anche
immaginare casi di trasmissione della rabbia da uomo
a uomo. L'esito finale della malattia, senza i vaccini
e la prevenzione moderna, è fatale. Dopo un'incubazione
che può andare dalle due settimane ai due mesi,
i sintomi si accentuano con segni di inquietudine, tendenza
a vagare in stato confusionale, ipersensibilità,
terrore, insonnia e spasimi. Da ultimo subentra una
paralisi che si conclude con il coma e la morte per
soffocamento. Ed è proprio questa condizione
finale che potrebbe giustificare la presenza di liquidi
nel corpo dei
presunti vampiri. E' stato infatti osservato che, nei
casi di morte per shock, collasso e asfissia, il sangue
si conserva nei cadaveri più a lungo. Queste
circostanze avrebbero potuto indurre nell'errore di
identificare i sintomi della fase acuta della rabbia
con i "segni caratteristici" del vampirismo.
Molte altre manifestazioni della rabbia furiosa coincidono
sorprendentemente con il vampirismo. I vampiri sono
generalmente maschi, e questo tipo di rabbia colpisce
sette volte più gli uomini delle donne. Anche
le contrazioni facciali, l'avversione per la luce e
gli specchi e una sessualità iperattiva fanno
coincidere le credenze popolari sui vampiri con la descrizione
di certi casi clinici di rabbia nella letteratura medica.
Il fatto che la malattia sia una "zoonosi isosintomatica",
cioè presenti gli stessi sintomi e le stesse
manifestazioni negli uomini e in certi animali, potrebbe
avere incoraggiato la leggenda sulle trasformazioni
dei vampiri in animali come lupi, cani e pipistrelli.
Gli animali domestici, che se contagiati sviluppano
un tipo di rabbia non aggressiva che porta direttamente
alla paralisi, sono invece indicati nel folklore come
vittime dei vampiri e mai come loro personificazioni.
Nel
1700, durante l'accesa discussione sul vampirismo, anche
alcuni dei difensori della razionalità vacillarono.
Il filosofo francese Jean-Jacques Rosseau dichiarava:
"Se c'è al mondo una storia ben documentata
è quella dei vampiri. Non manca niente: testimonianze
orali, testimonianze di persone degne di fede, di chirurghi,
preti e magistrati. Dopo tutto, chi vorrebbe credere
nei vampiri?". Alla luce delle ultime ipotesi non
si mostrarono più saggi nemmeno coloro che liquidarono
il fenomeno come pura superstizione. Questi episodi
dovrebbero renderci cauti prima di
generalizzare e concludere che le cause delle credenze
sui vampiri nascono solo da casi di rabbia fraintesi.
Non dimentichiamo che i dati che gli antropologi hanno
raccolto sul vampirismo variano in base al tempo e alla
collocazione geografica. In molte leggende dell'Est
europeo, per esempio, il vampiro contagia o fa morire
le sue vittime senza ricorrere ai morsi ma con il semplice
tocco o lo sguardo. Quello che sembra certo è
che nel 1770, in corrispondenza di un'epidemia di rabbia
che imperversava nella loro regione, le popolazioni
dei Balcani avrebbero incorporato i sintomi della rabbia
con il più antico folklore che circondava le
leggende sui vampiri. Senza questo infausto evento,
la figura del vampiro vestito di nero che assale le
sue vittime per morderle sul collo, succhiarne il sangue
e trasformarle in altrettanti vampiri non avrebbe probabilmente
intrattenuto e spaventato generazioni di appassionati
di cinema fino ai giorni nostri...