"Ma prima di trovare un rifugio,
una voce chiamò in sordina
e così comprese di dover affrontare il suo ospite.
Con occhi che avevano l'impronta di visioni sconosciute,
curioso e gentile,
pieno della magia di insondabili vuoti, di spazio e di tempo…"
(H.P. Lovecraft)

"...entrate, e lasciate un pò della Felicità che recate..."
(Bram Stoker, Dracula)

"Scruto i tuoi tratti, calmi e bianchi alla luce del cero:
le tue palpebre dalle scure ciglia,
dietro il cui riparo
ci sono occhi che non vedono domìni terreni."
(H.P. Lovecraft)

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Il gatto nero è sempre stato considerato portatore di sfortuna, in quanto anticamente si credeva che incarnasse il male. Ancora oggi esiste questa leggenda, tant’è che ogni anno ne vengono sterminati circa sessanta mila esemplari.
La credenza che li vede portatori di sventure risale al Medioevo, una leggenda antica ma ben radicata nelle menti di molti popoli. Erano considerati compagni diabolici delle streghe sia per il colore (il manto nero del gatto faceva si che fosse associato al lutto ed al male in generale), che per la loro consuetudine nell'uscire di notte; chi ne possedeva uno era condannato al rogo.

Un’altra causa di queste cattive dicerie sui gatti neri è da ricercarsi nell’antica pirateria: sulle navi vi era la necessità di proteggere il cibo dai roditori e le navi pirata spesso imbarcavano anche alcuni gatti. Sembrerebbe che i gatti neri fossero i preferiti dai pirati, forse perchè considerati più abili nella caccia. Quando i vascelli si accostavano alle coste per compiere i loro atti criminali, i gatti fuggivano sulla terraferma ed è lecito pensare che l’associazione gatto nero e pirateria abbia contribuito notevolmente alla cattiva fama del felino: quando arrivavano i gatti neri, arrivavano i pirati.

L’idea del gatto nero portatore di sfortuna se attraversa la strada al malcapitato di turno, è da cercarsi nel periodo in cui il cavallo era quasi l’unico mezzo di trasporto esistente: se un gatto attraversava la strada all’improvviso, il cavallo poteva imbizzarrirsi e disarcionare il cavaliere. Probabilmente di notte ogni gatto veniva visto come una veloce ombra sulla strada e qualsiasi fosse il colore del suo manto veniva considerato nero. A quei tempi sarebbe anche stato lecito pensare che l’attraversamento improvviso della strada da parte di un gatto potesse portare gravi conseguenze.

Il gatto nero aveva valenze religiose, infatti, era associato al culto di Iside, la dea che aveva il proprio regno nella notte. Nero, silenzioso e furtivo, il gatto si muove nell’oscurità, caccia abilmente, ha occhi che brillano e, come la dea notturna, veglia mentre altri dormono. E’ sacro, ed è il prediletto di un culto che è sempre più diffuso soprattutto nelle zone rurali, dove le leggi della natura, l’alternanza di veglia e sonno e il ciclo delle stagioni hanno tanta importanza per la vita dell’uomo.
I culti pagani sono cancellati o assimilati con l’affermazione del Cristianesimo. Molti antichi dèi divengono demoni, creature maligne da combattere, Iside per prima; e il gatto nero, suo alleato, segue lo stesso destino: non più sacro ma diabolico, maligno, pericoloso..
La notte è il tempo del riposo, della vita animale che si sveglia e agisce di nascosto, dei boschi che vivono di mille movimenti furtivi e silenziosi. Di notte gli uomini sognano e i boschi respirano, le donne raccontano storie ai loro bambini per farli addormentare, la luna sorge e le stelle brillano rendendo il cielo denso di magiche luci. E’ un mondo misterioso e segreto, legato al femminile e alle divinità madri. E’ il mondo di Iside, come lo sarà poi di Artemide, Diana cacciatrice, per i Greci e i Romani: miti talmente simili da confluire l’uno nell’altro, perché in fondo si tratta di storie senza tempo...

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