I.VI
IL MONDO IN UNA GOCCIA DI RUGIADA
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E' stupefacente vedere come la cultura, quella dell'intelletto intendo dire, s'affanni a cercare risposte che la pratica interiore già da millenni ha trovato.
Ed è altrettanto straordinario notare come la cultura, quella dell'intelletto, intendo ancora dire, dopo essersi ubriacata di una moda letteraria, di un pensiero filosofico, di una corrente artistica, con la stessa velocità impiegata a metterci il naso, divori la testa e il cuore della sua creatura e subito se ne allontani in cerca di qualcosa di nuovo, senza mai trovare requie.
L'intelletto è inquieto perché sa e vede che ogni suo tentativo di cogliere e definire "il vero" si risolve in certezze provvisorie di nessun valore sostanziale. E l'arte che ne porta l'impronta non può che essere un'arte della diaspora e dell'evidenziazione di una perifericità esistenziale. Per contro, l'arte che scaturisce dalle profondità dell'essere viaggia per universali e non ha bisogno di uccidere la vita per affermarsi.
La cultura dell'intelletto e la sua arte rappresentano la "corrente interrotta che canta" , la pratica interiore e l'arte dell'essere sono il primigenio caos vitale che si esprime incessantemente nelle sue proteiformi attività, la corrente che canta l'eterno nel proprio fluire.
Non a caso l'autore dello splendido "Cantico delle Creature" diffidava i suoi frati dal dedicarsi alla speculazione intellettuale e Socrate invitava a compiere il cammino verso le nostre profondità.
Se il sonno della ragione genera mostri nella Storia, il sonno dell'ascesi genera buio esistenziale e disperazione nell'umanità.
Simili ad assetati che vagano alla ricerca di acqua pur essendo immersi in essa fino al collo, ci affidiamo ad una facoltà che non tollera il principio della contraddizione e che per definizione e per attività è deputata a discriminare e distinguere. Ottima sul piano pratico, questa facoltà è nefasta per la comprensione dell'essere, per la quale è essenziale una esperienza che scaturisca dalla conciliazione degli opposti. Così, mentre l'intelletto separa il vero dall'illusione e l'eterno dall'impermanente, la sfera immobile di Parmenide dal tutto scorre di Eraclito, l'interiore trova l'Immobile nel movimento stesso e realizza che la natura dell'illusione è la natura stessa del vero.
Per questo in arte è possibile ciò che nei sistemi di pensiero logici sarebbe puro veleno:
Così la poesia entrò nel deserto
a raccogliere il dolore e l'amore del mondo
in una goccia di rugiada.
Del resto l'uso degli ossimori in poesia (Sulle sue rive placida / ruggisce la gioia) e lo sviluppo lirico delle immagini ha da sempre sondato e teso ad esprimere ciò che sta oltre, o dietro, o sotto, o dentro l'intelletto.
Tuttavia, l'abitudine al pensiero discorsivo, alla costruzione mentale ed alla rappresentazione del reale tramite filtri e categorie "socialmente condizionati" e culturalmente definiti in un universo greco-aristotelico, fanno spesso da barriera ad emozioni estetiche ed esperienze del reale per le quali filtri e categorie non abbiano il referente delle parole e dei moduli espressivi adatti:
Tada oreba
Oru tote yuki no
furi ni keri
C'ero soltanto.
C'ero. Intorno
mi cadeva la neve.
Issa
(da Il muschio e la rugiada, Fabbri, 1997)
Per un giapponese l'intensità emotiva di un haiku è sabi ("quieta, intensa solitudine"), wabi (serena semplicità), mono no aware (senso della caducità delle cose, eppure...eppure) e yugen (mistero, insondabilità), ma per noi è già sforzo solo trovare espressioni che corrispondano vagamente a questi sottili stati d'animo e a tutte le loro sfumature.
Si veda ancora:
Kono michi ya
Yuku hito nashi ni
Aki no kure
Su questa strada
dove nessuno passa.
Sera d'autunno
Basho
Chi si voglia cimentare all'ascolto, però, con pazienza e tenacia, con vigilanza interiore e attenzione, allontanandosi per qualche attimo dalle luci rutilanti dei neon e dal frastuono dei miti quotidiani, è destinato a giungere alle soglie della propria mente e poi a rientrare in quella danza cosmica dalla quale solo la disattenzione e la dispersione quotidiana lo avevano apparentemente esiliato.
Allora anche la brevità sfuggente di un haiku, sarà un poema completo, in taluni casi perfino ridondante, e il suo minimalismo apparirà essere un profondo e vasto oceano.
Il pianto sarà pianto e il riso sarà riso, la disperazione cadrà da cavallo ed un inaspettato spirito umoristico manderà in pensione ogni velleità di grandeur.
Il nome "haiku" deriva da hai: "gioco, trastullo", ma anche "viaggio, pellegrinaggio" e ku: " segno, frase, poesia" . Quindi "poesia del pellegrinaggio", "poesia di viaggio", "poesia viandante" e insieme "poesia-gioco" , "poesia libera".
Ma dopo la libertà che cosa viene? Niente, assolutamente niente, o forse:
Non c'è più niente
che un gorgoglio
di grilli che mi raggiunge.
E questo non è Basho o un altro lontano esponente di chissà quali eredità spirituali e culturali, ma il nostro
Giuseppe Ungaretti.