RIFLESSIONI
SU TEMPO, PENSIERO, SOCIETA' E SCIENZA
di Gianni Maria Tessari
In un indefinibile “Prima”, il Pensiero non sapeva di esistere.
Fermo in se stesso non era nè luce nè buio. Qualcosa o Qualcuno come
Dio si intenerì nel percepirlo così caoticamente immobile e, per eccesso
d’amore, gli regalò il Tempo, lo legò al Tempo, gli donò la consapevolezza
del Tempo.
In un indefinibile “Dopo”, il Pensiero si mosse come un’onda, una
energia che irrorò di sè tutto l’Universo. Il Pensiero da allora si sposta
su vettori che hanno infinite direzioni, formando una
sfera concettuale che può espandersi all’infinito.
Quando l’uomo si accorse dell’esistenza del Pensiero, usò la forza
delle sue mani per afferrarne più che potè. Subito si considerò padrone del
Pensiero, unico a possederlo, e della parte che gli era sfuggita diede
definizioni basse quali “istinto” e, più giù ancora, “materia
inanimata”.
Il Pensiero divenne per l’uomo ciò che l’uomo pensava.
Uomopensieroautoreferenziale.
Per comodità e non per convinzione chiamerò il Pensiero umano più
semplicemente pensiero.
Il pensiero cerca, il pensiero studia. Il pensiero osserva se stesso
diviso e incarnato. Ogni parte del pensiero diviso diventa un Io. Ogni Io vive
sommerso da percezioni, emozioni, sentimenti e reazioni chimiche che dividono
ulteriormente le singole unità di pensiero in una non commensurabile quantità
di frazioni delle quali determinano le direzioni vettoriali.
Noi Io.
Noi Io a malapena tolleriamo la costrizione del nostro corpo e la fatica
di sostenerlo. Per questo motivo ci consumiamo nella ricerca e nella invenzione
di utensili e macchine che ci rendano più lieve la fatica di essere materia.
La ruota rotea sempre più veloce. Da millenni ci estendiamo più o meno
artificialmente.
Fatica di essere materia e paura di non esserlo più. Ci identifichiamo
con le nostre estensioni in una illusione di onnipotenza e di consistenza del
Tempo, che ci preserva dalla consapevolezza della nostra nudità sperduta
nell’Universo. Possedere più materia adesso ci pare sopperisca alla mancanza
di eternità. Siamo drogati di materia e, perenni bambini, la modelliamo come in
un gioco di fango, con mani frementi di futuro la forgiamo a nostra somiglianza.
Desideriamo un controllo totale su forma e sostanza, alla trasformazione
incerta, imposta e trascinata dal Tempo, opponiamo la memoria registrata da
occhi rigidi.
La macchina fotografica è un occhio impressionato che incolla il Tempo,
vero o falso che sia.
La telecamera, il Tempo lo può mascherare e ripetere in diretta o in
differita, in un gioco di incastri e avvitamenti che compiace il nostro senso di
onnipotenza.
Qualcosa che succede vicino-lontano da noi viene registrato da una
estensione dei nostri occhi e, attraverso uno schermo televisivo, ritorna a noi
amplificato e rafforzato da una visione collettiva.
Circuito chiuso. Inglobiamo gli occhi degli altri, li fagocitiamo. Ne
veniamo fagocitati. Diventiamo un corpo unico.
La televisione ci pone di fronte, nello stesso tempo, ad una doppia
retroazione rappresentativa del Mondo.
La voce, fatta di telefono o di radio o di televisione, canta parole che
volano.
Cervello computer, cervello internet. Hard e soft si e ci abbracciano
appassionatamente in una immersione totale che ci fa percepire il diametro del
Mondo sempre più piccolo e sempre più intenso e veloce il girare del Mondo
stesso sui vari assi intorno ai quali si sposta nel suo viaggio attraverso lo
Spazio.
E’
una percezione amplificata che può procurarci nausea da Mondo ristretto e/o
donarci un gioco, una avventura spaziale su una astronave-palla fantastica.
Noi potremo, noi potremmo, noi possiamo, noi non possiamo, noi avremmo
potuto. Il Potere come il Pensiero, scorre su vettori che hanno molteplici
direzioni.
Il pensiero isola, settorializza e irrigidisce le parti di sè per
ottenere un confortevole controllo sulla realtà. Diveniamo un lavoro
specializzato inserito in un Universo parcellizzato e specializzato. Diventiamo
un disequilibrio retto da un controllo rigido.
Viviamo con un baricentro affaticato
sostenuto
da: macchine, computers, circuiti stampati, robots, satelliti artificiali ...
appesantito
da: macchine, computers, circuiti stampati, robots, satelliti artificiali ...
in
un accumulo di “cose” che ci può provocare un black out dell’anima,
qualunque cosa essa sia.
L’anima, forse, è un pensiero più profondo, un pensiero più integro.
Forse è l’unità di pensiero del nostro essere. Un luogo e un tempo, in cui
fantasia e realtà si compenetrano, si abbracciano, non hanno paura l’una
dell’altra.
Siamo così presi da tutte le nostre estensioni più pesanti che spesso
ci dimentichiamo dell’estensione che più ci appartiene, la più importante e
leggera: la nostra ombra. L’ombra di giorno può indicarci il sole, la forza,
l’energia; di notte, al buio, può rispondere alle nostre domande, ai nostri
dubbi, attraverso i sogni.
Le domande, i dubbi e le possibili risposte, come il Potere e come tutto
il Pensiero, si muovono su vettori che si irradiano all’infinito in ogni
direzione.
Noi umani, per semplificare la nostra interazione con il Mondo, ci siamo
collocati nella dualità, raggruppando i singoli pensieri, azioni ed emozioni in
due gruppi, uno positivo e uno negativo, uno buono e uno cattivo, immaginando
che tutto si muova su due vettori che scorrono in direzioni opposte a partire da
un punto, per così dire, centrale di una retta. Da una parte i segni +
dall’altra i segni - , la somma tra questi segni determinerà notevolmente il
nostro futuro e il futuro del Mondo.
Le macchine, gli oggetti, materia nella materia
dell’Universo vibrano senza porsi domande, almeno così sembra. accettano il
divenire così come è, forse perchè non hanno peccati da scontare. Rispondono
alle nostre richieste, costruiscono o distruggono, guariscono o uccidono, in
risposta alle nostre richieste. L’intelligenza artificiale non ha un senso di
appartenenza, diventando una nostra estensione si riempie della nostra
appartenenza, della nostra intelligenza e del nostro potere.
Forse.