Zapatero e i poliziotti della fede

 

Dice Isabel Burdiel, cattedratrica di storia contemporanea all'università di Valencia, che «il

consolidamento della democrazia in Spagna è stato reso possibile dal ritiro dalla scena politica

attiva di due istituzioni, la monarchia e l'esercito. Un'altra istituzione, la chiesa cattolica, resiste

invece con tutte le sue forze e continua a essere militante». Iper-militante e scatenata. Politicamente

così presente e invasiva nei suoi uomini di punta - il cardinale Antonio María Rouco Varela,

arcivescovo di Madrid, l'arcivescovo di Toledo Antonio Cañizares, primate di Spagna e chiamato

affettuosamente «il piccolo Ratzinger» che infatti l'ha subito nominato cardinale, il cardinale

Augustín García-Gasco, arcivescovo di Valencia -, da far concorrenza e invidia ai «poliziotti della

fede» di casa nostra, i Bagnasco, i Bertone, i Ruini. Come fossimo ancora ai tempi felici (per loro)

del «nazional-cattolicismo» franchista, quando i preti invocavano nella messa «il caudillo per grazia

di Dio». Il 9 marzo si vota qui in Spagna. E il match fra destra e «sinistra», fra i cattolici-nazionali

del Partido Popular e i social-liberali del Partido socialista, che sembrava senza storia si è

improvvisamente acceso. Ed è al calor bianco. Gli ultimi sondaggi danno il vantaggio del Psoe

ridotto a un punto e mezzo.

I giochi forse sono riaperti e la chiesa, che in questi 4 anni è stato il vero partito d'opposizione,

carica a testa bassa rivedendo la possibilità di disfarsi dell'odiatissimo Zapatero e del «furore

laicista» del governo. Il 30 gennaio, la Commissione permanente della Cee, l'avanguardia dei 78

vescovi della Conferenza episcopale spagnola, si è riunita e ha deciso di «offrire» ai cattolici ma

non solo «alcuni consigli per l'esercizio responsabile del voto». Più che consigli, ordini agli elettori

e mazzate per il governo socialista. Attenti a non votare per quelle «opzioni politiche» che, «come

segnala il Papa», contraddicono «valori fondamentali e principi antropologici radicati nella natura

dell'essere umano» quali, ovviamente, «la difesa della vita umana in tutte le sue tappe, dal

concepimento fino alla morte naturale», ovvero «la promozione della famiglia fondata sul

matrimonio evitando di introdurre nell'ordinamento pubblico altre forme di unione che

contribuirebbero a destabilizzarla oscurando il suo carattere peculiare e la sua insostituibile

funzione sociale», e attenti anche a non votare per chi pone delle «difficoltà crescenti a incorporare

lo studio libero della religione cattolica nei programmi della scuola pubblica».

Perché il messaggio fosse ancor più chiaro, le loro eminenze hanno anche voluto dedicare un punto

specifico al nodo del «terrorismo», in riferimento esplicito al tentativo di Zapatero - fallito - di

risolvere il nodo basco nell'unico modo possibile e ragionevole: il negoziato con l'Eta. «Una società

che voglia essere libera e giusta non può riconoscere esplicitamente o implicitamente una

organizzazione terrorista né può considerarla come un interlocutore politico».

«Quando sento alcuni vescovi, mi torna alla memoria il '36», dice il vecchio (ex) comunista

Santiago Carrillo. Forse i vescovi spagnoli, sulle cui chiese sovente campeggiano ancora vistose

placche dedicate ai «caduti por Dios y por España», non saranno più esattamente come i loro

predecessori del '36, anche se non hanno mai ritenuto di dover chiedere perdono per aver

appoggiato l'orrendo massacro golpista. Di certo sono a dir poco pre-conciliari e ultra-conservatori.

Anzi, secondo Juan José Tamayo, teologo «dissidente», scrittore e professore all'Università Carlos

III di Madrid, la peculiarità della Spagna è di «avere la chiesa più conservatrice e la società più

secolarizzata d'Europa». Un paese in cui «l'embrione umano riceve una tutela legale minore di

quella che si dà agli embrioni di certe specie animali», parole del vescovo gesuita Juan Antonio

Martínez Camino, portavoce della Cee, dopo l'approvazione della legge sulla riproduzione assistita.

Per la chiesa spagnola e per il Vaticano Zapatero è il diavolo, «un estremista radicale senza paragoni

nel mondo». Cominciò Wojtyla ad attaccarlo, quando nel gennaio del 2005 ricevette in Vaticano la

visita ad limina dei 78 vescovi spagnoli, incurante o forse compiaciuto di provocare un incidente

diplomatico (il nunzio apostolico a Madrid, il portoghese Manuel Monteiro de Castro, fu convocato


      
«per spiegazioni» dal governo). Ha continuato e aumentato la dose Ratzinger, che per bocca del suo

prefetto del Pontificio consiglio per la famiglia, l'oltranzista cardinale colombiano Alfonso López

Trujillo, si riferisce alla Spagna zapaterista come a «uno stato totalitario».

La nuova crociata dei vescovi spagnoli e delle loro appendici politiche popolari e tardo-franchiste

va contro tutto quello che Zapatero ha fatto in questi 4 anni: l'ampliamento delle leggi sul divorzio e

dell'aborto (in vigore dall'81 e dall'85), il matrimonio gay, le sperimentazioni sugli embrioni, gli

accenni (non divenuti legge) alla morte dolce per i malati terminali, l'abolizione dell'ora di religione

dalle materie obbligatorie. Perfino l'uso del preservativo, nonostante un fuggevole placet come

«estremo rimedio contro l'Aids» di monsignor Martínez Camino subito costretto a rimangiarselo.

Una chiesa senza preservativi e senza giovani: se l'80% degli spagnoli si definisce cattolico, il

numero dei giovani fra i 15 e i 29 anni che vanno a messa è passato dal 28% del 2000 al 14% del

2004.

Se qui in Spagna, da quando nell'81 il tenente-colonnello Tejero prese d'assalto le Cortes, non si

sente più il «tintinnare delle sciabole», si sente invece, e forte, il «frusciare della sottane». Le

sottane dei preti. Che nonostante i lamenti contro il «furore laicista» del governo e la «società

edonista e moribonda», godono ancora di un peso e un potere enormi. I rapporti stato-chiesa sono

retti dal concordato stretto nel '53 fra Franco e Pio XII, integrato dagli accordi del '79 e poi dai

ritocchi concessi nell'87 dal governo socialista di Felipe, grazie ai quali lo stato ha lautamente

finanziato la chiesa, fino al 2007, con lo 0.52% dell'Irpef e con una «donazione» a fondo perduto

che dal '91 qualcuno ha calcolato in almeno 500 milioni di euro. Il che, in soldoni, significa

finanziamenti diretti per 150 milioni di euro l'anno e altri finanziamenti statali o regionali indiretti

stimati fra i 3 e i 5 miliardi di euro l'anno. Nel 2007 il diavolo Zapatero ha accordato un trattamento

ancor più vantaggioso alla chiesa, e solo alla chiesa cattolica, che porta la quota dell'Irpef dallo 0.52

al 7%, anche se i vescovi chiedevano lo 0.8% all'italiana.

Ma Zapatero, anche se il 9 marzo vincerà, non deve illudersi di avere calmato i bollenti spiriti dei

vescovi. Hanno già detto che continueranno a guidare oceaniche manifestazioni di piazza, a incitare

i «padri di famiglia» e i medici al diritto «all'obiezione di coscienza» e «alla ribellione civica», a

promettere «autunni caldi». La «Spagna si rompe», gridano, pensando alle rotture sociali e al

(moderato) federalismo regionale. Ma, come dicevano i golpisti del '36 sollevandosi contro la

Repubblica, mejor rota que roja. Anche se rossa non è.

 

Maurizio Matteuzzi        il manifesto  21/02/08