Zagrebelsky: "Se il potere nichilista si allea con la Chiesa del dogma"
intervista a Gustavo Zagrebelsky, a cura di Giuseppe D'Avanzo

L'Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, ha definito Beppino Englaro «un
boia». Credo che debba partire da qui, da un insulto atroce, il colloquio con Gustavo Zagrebelsky,
presidente emerito della Corte Costituzionale.
 

Beppino Englaro, «un boia»?
«In un caso controverso dove sono in gioco dati della vita così legati alla tragicità della condizione
umana è fuori luogo usare un linguaggio violento, così impietoso, così incontrollato, così ingiusto.
Non ho ascoltato, sul versante opposto, che vi sia chi ragiona dell'esistenza di un "partito della
crudeltà" opposto a "un partito della pietà". Credo che in vicende così dolorose debbano trovare
espressione parole più adeguate e controllate, più cristiane».

 

E tuttavia, presidente, i toni accusatori, le accuse così aggressive e definitive sembrano
indicare che cosa è in gioco o a contrasto nel caso di Eluana Englaro. I valori contro i principi,
la verità contro il dubbio. Questioni da sempre aperte nelle riflessioni dei dotti che avevano
trovato, per così dire, una sistemazione condivisa nella Costituzione italiana. Che cosa è
accaduto? Perché quell'equilibrio viene oggi messo di nuovo in discussione dopo appena
sessant'anni?
«Le posizioni in tema di etica possono essere prese in due modi. In nome della verità e del dogma,
con regole generali e astratte; oppure in nome della carità e della com-passione, con atteggiamenti e
comportamenti concreti. Nella Chiesa cattolica, ovviamente, ci sono entrambe queste posizioni.
Nelle piccole cerchie, prevale la carità; nelle grandi, la verità. Quando le prime comunità cristiane
erano costituite da esseri umani in rapporto gli uni con gli altri, la carità del Cristo informava i loro
rapporti. La "verità" cristiana non è una dottrina, una filosofia, una ideologia. Lo è diventata dopo.
Gesù di Nazareth dice: io sono la verità. La verità non è il dogma, è un atteggiamento vitale.
Quando la Chiesa è diventata una grande organizzazione, un'organizzazione "cattolica" che governa
esseri umani senza entrare in contatto con loro, con la loro particolare, individuale esperienza
umana, ha avuto la necessità di parlare in generale e in astratto. È diventata, - cosa in origine del
tutto impensabile - una istituzione giuridica che, per far valere la sua "verità", ha bisogno di autorità
e l'autorità si esercita in leggi: leggi che possono entrare in conflitto con quelle che si dà la società.
Chi pensa e crede diversamente, può solo piegarsi o opporsi. Un terreno d'incontro non esiste. ».

 

Che ne sarà allora dell'invito del capo dello Stato a una «riflessione comune» ora che il
parlamento affronterà la discussione sulle legge di «fine vita»?
«Una legge comune è possibile solo se si abbandonano i dogmi, se si affrontano i problemi non
brandendo quella verità che consente a qualcuno di parlare di "omicidio" e "boia", ma in una
prospettiva di carità. La carità è una virtù umana, che trascende di gran lunga le divisioni delle
ideologie e dei credi religiosi o filosofici. La carità non ha bisogno né di potere, né di dogmi, né di
condanne, ma si nutre di libertà e responsabilità. Dico la stessa cosa in altro modo: un approdo
comune sarà possibile soltanto se prevarrà l'amore cristiano contro la verità cattolica».

 

Lo ritiene possibile?
«Giovanni Botero nella sua Della Ragione di Stato del 1589 scriveva, a proposito dei Modi di
propagandar la religione: «Tra tutte le leggi, non ve n'è alcuna più favorevole a' Prencipi, che la
Christiana: perché questa sottomette loro, non solamente i corpi e le facoltà de'sudditi, dove
conviene, ma gli animi ancora; e lega non solamente le mani, ma gli affetti ancora e i pensieri».
Botero era uomo della controriforma. Purtroppo, c'è chi pensa ancora così, tra i nostri moderni
"prencipi". Essi potrebbero far loro il motto di un discepolo di Botero che scriveva: "questa è la
ragion di stato, fratel mio, obbedire alla Chiesa cattolica». Ora, se l'obbedienza alla Chiesa cattolica
è la ragion di stato, è chiaro che i laici non troveranno mai un approdo comune con costoro.»

 

Dobbiamo allora credere che il conflitto di oggi tra mondo laico e mondo cattolico, che ha
accompagnato il calvario di Eluana, segnali soprattutto la fine della riflessione del Concilio
Vaticano II e, per quel che ci riguarda, la crisi di quella «disposizione costituzionale» che è
consistita, per lo Stato, nel principio di laicità contenuto nella Costituzione, e per la Chiesa
nella distinzione tra religione e politica?
«Il Concilio Vaticano II ha rovesciato la tradizione della Chiesa come potere alleato dello Stato, ha
voluto liberarla da questo legame tutt'altro che evangelico. Non si propose di proteggere o
conservare i suoi privilegi, ancorché legittimamente ricevuti, e invitò i cattolici a un impegno
responsabile nella società, uomini con gli altri uomini, con la fiducia riposta nel libero esercizio
delle virtù cristiane e nell'incontro con gli "uomini di buona volontà", senza distinzione di fedi. Fu
"religione delle persone" e non surrogato di una religione civile. Il cattolicesimo-religione civile
sembra invece, oggi, essere assai gradito per i vantaggi immediati che possono derivare sia agli
uomini di Chiesa che a quelli di Stato».

 

Ieri mentre finiva l'esistenza di Eluana Englaro e il Paese era scosso dalle emozioni, dalla
pietà e, sì, anche da una rabbia cieca, dieci milioni di italiani hanno voluto vedere il Grande
Fratello. E' difficile non osservare che l'artefice della macchina spettacolare televisiva del
reality e di ogni altra fantasmagorica vacuità - capace di distruggere ogni identità reale,
alienare il linguaggio, espropriarci di ciò che ci è comune, di separare gli uomini da se stessi e
da ciò che li unisce - è lo stesso leader politico che pretende di dire e agire in nome
dell'Umanità, della Vita, addirittura della Verità e della Parola di Dio. Le appare più tragico o
grottesco, questo paradosso? Come spiegarsi la dissoluzione di ogni senso critico dinanzi a
questo falso indiscutibile?
«Non è questo il solo paradosso. Non è la sola contraddizione che si può cogliere in questa vicenda.
Il mondo cattolico enfatizza spesso il valore della dimensione comunitaria della vita, soprattutto
nella famiglia. E' la convinzione che induce la Chiesa a invocare a gran voce la cosiddetta
sussidiarietà: lo Stato intervenga soltanto quando non esistono strutture sociali che possono
svolgere beneficamente la loro funzione. Mi chiedo perché, quando la responsabilità, la presenza
calda e diretta della famiglia, nelle tragiche circostanze vissute dalla famiglia Englaro, dovrebbero
ricevere il più grande riconoscimento, la Chiesa - con una contraddizione patente - chiude alla
famiglia e invoca l'intervento dello Stato; alla com-passione di chi è direttamente coinvolto in
quella tragedia, preferisce i diktat della legge, dei tribunali, dei carabinieri. Sia chiaro: lo Stato deve
vigilare contro gli abusi - proprio per evitare il rischio espresso dal presidente del consiglio con
l'espressione, in concreto priva di compassione, "togliersi un fastidio" - ma osservo come la legge
che la Chiesa chiede assorbe nella dimensione statale tutte le decisioni etiche coinvolte: questo è il
contrario della sussidiarietà e assomiglia molto allo Stato etico, allo Stato totalitario».

 

Lei è il primo firmatario di un appello che ha per titolo Rompiamo il silenzio. Vi si legge che
«la democrazia è in bilico». Le chiedo: può una democrazia fragile, in bilico appunto, reggere
l'urto coordinato di un potere politico invasivo e senza contrappesi e di un potere religioso che
agita come una spada la verità?
«Oggi la politica è succuba della Chiesa, ma domani potrebbe accadere l'opposto. Se la politica è
diventata - come mi pare - mezzo al solo fine del potere, potere per il potere, attenzione per la
Chiesa! Essa, la Chiesa del dogma e della verità, può essere un alleato di un potere che oggi ha
bisogno, strumentalmente, di legittimazione morale. Il compromesso convince i due poteri a
cooperare. Ma domani? Il potere dell'uno, rafforzato e soddisfatto, potrebbe fare a meno dell'altra.»

 

Qual è l'obiettivo del suo appello?
«'Rompiamo il silenzio' è già stato sottoscritto da centosessantamila cittadini. È la dimostrazione
che, per fortuna, la nostra società non è un corpo informe, conserva capacità di reazione. L'appello
ha tre ragioni. E' uno sfogo liberatorio, innanzitutto: devo dire a qualcuno che non sono d'accordo.
E' poi un autorappresentarsi non come singoli, ma come comunità di persone. Il terzo obiettivo è
rendersi consapevoli, voler guardare le cose non in dettagli separati, è un volersi raffigurare un
quadro. A volte abbiamo la tendenza a evitare di guardare le cose nel loro insieme. E' quasi un
istinto di sopravvivenza distogliere lo sguardo dalla disgrazia che ci può capitare. L'appello prende
posizione. Si accontenta di questo. Se mi chiede come e dove diventerà concreta questa presa di
coscienza, le rispondo che ognuno ha i suoi spazi, il lavoro, la scuola, il partito, il voto. Faccia quel
che deve, quel che crede debba essere fatto per sconfiggere la rassegnazione».

la Repubblica  11 febbraio 2009