Il vuoto della politica

Vale anche per i fatti di Rosarno l'affermazione di Luigi Pintor richiamata domenica da Valentino
Parlato: la sinistra «non deve vincere domani, ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo
scopo è reinventare la vita in un'era che ce ne sta privando in forme mai viste
». Non bastano le
denunce e i fiumi di lacrime versate da politici, media, chiese e associazioni. Bisogna «reinventare
la vita».

I fatti di Rosarno sono il sintomo di un malessere profondo che soffoca la società ormai a livello
mondiale, sono quasi l'ecografia del cancro che divora la vita di tutti noi nell'intimo.

La moderna schiavitù senza regole, lo sfruttamento bestiale degli immigrati e le condizioni inumane
di vita che sono loro riservate, il dominio sempre più invadente delle mafie, il nuovo squadrismo in
salsa leghista, la politica dominate che fomenta le paure e le xenofobie degli autoctoni, sono realtà
da denunciare e contrastare con tutte le poche forze che ci restano in questo sfascio della sinistra di
rappresentanza. Ma non basta. Il tema che deve emergere con forza è la reinvenzione della vita,
della politica, della economia, della cultura e perché no della religione.

Dall'inferno di Rosarno alla palingenesi? È un sogno impossibile che ci distoglie dalle cose
possibili? E quali sono le cose possibili? Non avvertite tutta l'impotenza di denunce, manifestazioni
e lacrime? E il vuoto della politica? Non c'è che ripartire dal quotidiano, dall'operare ogni giorno,
dall'invasione di campo.

Ormai siamo tutti stranieri a noi stessi. Nella società fondata sul dominio assoluto del danaro siamo
tutti neri. È il danaro, nuova divinità, che si è impossessato delle nostre anime e dei nostri corpi e ci
ha privato della nostra vita e della stessa terra.

La società del benessere è ridotta a una fortezza assediata. Ma è una illusione alzar mura, installare
body scanner, e rovesciar barconi. Il nemico che ci assedia non è l'immigrazione. Siamo noi nemici
a noi stessi. La crisi è dentro la struttura stessa della città.

Un nuovo umanesimo s'impone. Ma il suo centro non è più la città. Anzi presuppone il crollo delle mura e lo prepara.

È la vendetta del sangue di Remo. Il fondamento di un nuovo patto non può che
trovarsi nell'essere umano in quanto tale, indipendentemente dal luogo di nascita e dal colore della
pelle.
Il risveglio di una tale consapevolezza non è né facile né indolore.
Ed è qui che si apre uno spazio significativo e caratterizzante non solo per la politica ma per il
volontariato e più in generale per l'associazionismo. Purtroppo la strada più facile è quella
dell'assistenzialismo. Ma è una strada scivolosa. L'assistenzialismo, comunque rivestito, non crea
parità di diritti.

Chi ha a cuore l'obbiettivo dell'affermazione dei diritti di cittadinanza per tutti, come diritto pieno,
comprensivo dei diritti sociali, e come diritto inalienabile della persona, non può fare a meno di
impegnarsi sia sui tempi brevi della mediazione politica, per raggiungere il raggiungibile, qui e ora,
sia sui tempi lunghi della trasformazione culturale, in mezzo alla gente, facendo cose concrete.

E direi che l'associazionismo più che tappar buchi e metter toppe, dovrebbe imboccare più
decisamente proprio la strada della trasformazione culturale.
Tendere a smontare i paradigmi
culturali, ideologici e anche religiosi, che sono all'origine della discriminazione.
Con pazienza
infinita e con umiltà, senza tirare la pianticella per lo stelo. Ma anche con tanta coerenza e
fermezza. Senza vendere mai tutto sul mercato dell'emergenza e senza sacrificare mai tutto
sull'altare della mediazione politica.
Ha ragione ancora una volta il nostro Pintor: l'utopia della palingenesi è l'unica realtà possibile e la
stella polare di un cammino che abbia senso e che dia senso ad ogni più piccolo passo.

 

don Enzo Mazzi    il manifesto  15 gennaio 2010