Vocazione
Che cosa attendersi oggi dalle religioni? Sono fattori di divisioni e di
violenze? O partecipano
realmente, come affermano, alla coesione sociale? Questa domanda, ricorrente per
i credenti, è
servita da filo conduttore alle Semaines Sociales, a cui Réforme si è associata
nello scorso fine
settimana. Un incontro molto interessante che ha riunito più di 4000 persone per
tre intense
giornate. Perché la questione della presenza delle religioni nelle nostre
società si presenta oggi con
implicazioni nuove. Nel momento in cui l'autorità morale degli stati è in
declino, in cui la politica si
limita alla gestione – o addirittura alla sola violenza delle ambizioni – ma
sempre senza una visione
reale. Il risultato è che, qua e là, viene espressa, sempre meno timidamente,
un'attesa di senso e di
valori rivolta alle religioni.
Così sembra aprirsi il tempo di un nuovo dialogo tra religioni e società
secolarizzate. Da un lato, le
società si affrancano dai vecchi cliché che mantengono le religioni ai margini,
dall'altro, le religioni
– e in Francia particolarmente il cattolicesimo – sapendosi minoritarie, non
pretendono più di
esercitare sulla vita pubblica un qualsiasi potere. Ed è una fortuna. I
cristiani hanno definitivamente
lasciato lo spazio della cristianità. Hanno rinunciato ai loro diritti e
privilegi che costituivano un
vero ostacolo all'annuncio del “puro Vangelo”.
Ma nel momento in cui i poteri politici si rivolgono alle religioni, una
nuova tentazione minaccia il
cristianesimo, ci ha avvertiti Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose in
Italia, quella di
trasformarlo in religione civile, servo utile di una società povera di
riferimenti e di supplemento
d'anima. La fede cristiana non può infatti ridursi ad alcun progetto sociale,
culturale e politico, fosse
anche quello delle democrazie occidentali. Essa deve restare, come diceva
Jacques Ellui, sempre
sovversiva rispetto a tutti i progetti umani. Rimanere libera di rispondere solo
al Vangelo.
La vocazione della comunità cristiana sarebbe quindi, nel pieno
dell'opacità della storia, vivere una
differenza, quella della qualità delle sue relazioni, forti, fedeli, durature e
caratterizzate dal perdono
e dall'accettazione senza condizioni dell'altro.
Jean-Luc Mouton in “Réforme” n°
3297 del 27 novembre 2008 (rivista protestante francese)