Vivere la memoria
Il giorno della Memoria ha preso a ripetersi con cadenza regolare, uscendo da
quel tratto di eccezionalità che lo caratterizzava nei primissimi anni. E ora
siamo tenuti a confrontarci con alcuni problemi: i testimoni diretti, per
ragioni anagrafiche, ci lasceranno ben presto e questo comporterà un incremento
dell’aspetto celebrativo e la celebrazione cela sempre un’insidia, quella di
trasformarsi nel ricettacolo della falsa coscienza. Per il Giorno della
Liberazione, festa del 25 aprile, una parte della classe politica italiana,
all’ombra di quella celebrazione rituale e stinta, si è data con furore
incontrastato alla demolizione della Resistenza Antifascista, alla
riabilitazione dell’infame e criminale regime fascista e ha persino tentato di
demolire la Costituzione Repubblicana. Il Giorno della Memoria non troverà mai
il suo senso compiuto in Italia se non verranno stigmatizzati i terribili
crimini del fascismo italiano, crimini compiuti in proprio: non solo le
fascistissime leggi razziali, ma anche i genocidi compiuti contro i popoli
africani e la pulizia etnica e i crimini, incluso l’uso dell’infoibamento
compiuti contro le popolazioni slave. Solo quando la natura criminale e genocida
del nostro fascismo verrà riconosciuta da tutta la classe politica italiana,
allora anche le vittime italiane delle foibe e i profughi istriani con il loro
calvario troveranno giustizia e pace. Un altro problema è l’enfasi che nel
giorno della memoria viene posta sulla Shoa intesa come sterminio degli Ebrei,
tenendo su un piano troppo defilato gli altri obiettivi di morte del
nazifascismo a partire del popolo dei Rom e dei Sinti, anch’essi destinati allo
sterminio per il solo fatto di esistere come gli Ebrei. Ora, lungi da me voler
mettere in ombra lo specifico antisemita del nazifascismo, l’antisemitismo in
associazione con l’antibolscevismo fu da sempre il primo punto nell’agenda del
progetto criminale dei nazisti, ma la domanda che ci dobbiamo porre è il perché
di tanta disponibilità nei confronti della memoria dello sterminio ebraico,
mentre quello dei Rom e dei Sinti non sembra ricevere attenzione. Per varie
ragioni strumentali e di facciata, oggi essere “carini” con gli Ebrei costa
poco. Quando si tratta però di zingari, omosessuali, oppositori politici,
Testimoni di Geova, disabili, slavi, la cosa cambia molto. In quest’epoca, l’alterità
ebraica è poco perturbante rispetto ad alterità più scomode. Se non ci si
concentra su questi temi, il “generoso” impegno di facciata verso la memoria
dello sterminio degli Ebrei, finirà per diventare una scorza vuota al cui
interno potranno prosperare revisionismi, negazionismi e atteggiamenti
discriminatori abilmente contrabbandati, pronti a trasformarsi anche in brodo di
cultura per il futuro antisemitismo.
L’altro tema cruciale, è la necessità urgente di collegare quella memoria con i
genocidi, gli orrori dei nostri tempi e le guerre criminali odierne. Ma non
basta. È mia ferma opinione che nulla apparenti il contesto israelo-palestinese
con la Shoa e che proporre paragoni in tal senso sia sconcio e deteriore in
particolare per la causa palestinese. Tuttavia, le immagini di migliaia di
profughi di quel popolo che fanno brecce in uno dei muri voluti dagli israeliani
per potere provvedere alla propria sopravvivenza, non possono non riverberarsi,
piaccia o non piaccia, sia giusto o sia sbagliato, sul Giorno della Memoria
visto che accadono mentre in tutto il mondo cresce il ritmo delle celebrazioni e
degli eventi legati al 27 Gennaio.
Lo so e lo capisco, gli israeliani continuano a ricevere lo stillicidio dei
missili quassam su Sderot, sui villaggi e le cittadine del confine con Gaza, ma
quarant’anni di occupazione, di colonizzazione, lustri di repressione, di
omicidi mirati, di ignobili punizioni collettive, non sono riusciti a impedire
l’opzione armata di Hamas. È davvero venuta ora di cambiare strada e non posso
pensare che un Paese avanzato, ricco di intelligenze come Israele, non possa
trovare una via alternativa a quella che produce intollerabili vessazioni contro
un altro popolo, solo e abbandonato. L’attuale prassi politico-militare, quali
che ne siano le ragioni, corrompe progressivamente i migliori valori e sgretola
i più temprati statuti etici.