Via alla chiesa dei poveri
Fra i non
molti, ormai, che ricordano il concilio Vaticano II spiccano i preti operai. Lo
ricordano e cercano di farlo vivere. Non sono molti, in Italia e altrove, ma
portano avanti una posizione chiara, coraggiosamente polemica nei confronti
della chiesa di maggioranza. Lo dimostra ancora una volta la bella rivista
«Preti operai» (edizioni Qualevita, tel. e fax 0864.460006; cell. 349.5843946)
il cui ultimo numero (settembre 2006) è proprio dedicato al loro convegno
dell'aprile scorso. Titolo ben preciso: "A 40 anni dal Concilio: dov'è la chiesa
dei poveri?"
Due, dunque, le tesi che i preti operai sostengono.
La prima: la centralità della chiesa dei poveri nel concilio. La seconda: la
scomparsa di questa tesi nel corso degli anni postconciliari.
Due tesi sulle quali vale la pena di riflettere.
Della prima sono pieni i testi conciliari . La fondamentale Gaudium et spes: «Le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro che soffrono...». E il papa Giovanni XXIII: «In
faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è , e vuole essere,
Chiesa di tutti, particolarmente la Chiesa dei poveri». Le citazioni si
potrebbero facilmente moltiplicare.
E oggi, la chiesa dei poveri? Non la si trova se non
in qualche angolo più o meno nascosto e marginale. Nel complesso sembra
scomparsa. In genere la chiesa appare piuttosto abitata dai ricchi e dai
potenti, dai sostenitori dell'ordine stabilito. Religione più o meno «civile»,
come si dice negli Sati uniti d'America e non solo. Esemplare a questo proposito
la condanna, sistematica e decisa, della teologia della liberazione, il
tentativo postconciliare più interessante di realizzare la chiesa dei poveri.
Tentativo bloccato soprattutto per paura del comunismo.
Oggi questa paura si può dire finita. La chiesa «dei
poveri» potrà finalmente affermarsi? Ne vedremo qualche segno nel prossimo
convegno nazionale della chiesa italiana a Verona?
Filippo Gentiloni il manifesto 08/10/2006