Vent’anni dopo piccoli muri crescono


Mancano pochi giorni all´anniversario della caduta del muro di Berlino. Ma, vent´anni dopo, l´entusiasmo non è più lo stesso.
Anche se il 1989 ha segnato il nostro tempo. Perché quel muro marcava una divisione al tempo stesso geopolitica, economica, ideologica. Fra sistemi democratici e regimi comunisti, liberismo e dirigismo. Fra mercato e statalismo. La sua caduta ha prodotto effetti violenti. Anche da noi. In Italia. Il regime più socialista dell´Occidente. Visto l´intreccio fra economia, politica e stato. Il muro, in Italia, è crollato qualche anno dopo. Nel 1992. Ha seppellito la prima Repubblica. Il partito comunista più importante dell´Occidente costretto a cambiar nome, pelle e identità. I partiti di governo, spazzati via da Tangentopoli, ma anche dalla fine della rendita di posizione garantita dall´anticomunismo.
Vent´anni dopo la caduta del muro di Berlino, quindici anni dopo il crollo della prima Repubblica, l´emozione si è un po´ raffreddata. Non solo per effetto del tempo, della routine. È l´impressione che altri muri siano sorti al loro posto. Alcuni, negli stessi luoghi del passato. Anzitutto, il comunismo. In Italia non se n´è mai sentito parlare così tanto come da quando non c´è più. Comunisti. Tutti coloro che stanno a sinistra. Di Berlusconi. Anzi: tutti quelli che sono contro di lui. D´altronde, il suo successo politico si deve anche – e in buona misura – a questo. Aver tenuto vivo l´anticomunismo senza – e dopo – il comunismo. Al posto del muro di Berlino: il muro di Arcore. Per costringere l´elettorato di centrosinistra dentro gli stessi confini del Fronte Popolare nel 1948. Anche se da allora è cambiato tutto, nella politica e nella società. Proprio per questo, però, le passioni si scatenano – talora – più violente di prima. Perché non sono in gioco diverse idee della storia e del futuro. Ma stili di vita, opinioni, valori che riguardano la vita quotidiana. E al posto dei partiti ci sono le persone. I leader. Pubblico e privato: senza soluzione di continuità. Sotto gli occhi di tutti. Comunicati sui media. Per cui le differenze vengono ribadite, gridate. Scavano solchi profondi. Mentre ieri erano (auto) evidenti e riconosciute.

Il muro di Berlino. È crollato insieme allo statalismo e al trionfo del mercato e del privato. Ma oggi, dopo il disastro della finanza globale, in Occidente si assiste al ritorno dello Stato. Invocato dovunque e soprattutto in Italia. Per proteggere i settori sociali colpiti dalla crisi. Sempre più ampi. Ma reclamato anche dagli attori del mercato stesso. Gli imprenditori. Perfino le banche. Cosa farebbero senza il soccorso dello Stato?
E poi gli Stati nazionali. La fine del muro di Berlino ne annunciava la crisi. Insieme ai confini. Parallelamente al rafforzarsi di altre – e nuove – entità sovranazionali. Sono sempre lì. Evocati e invocati. Attenti a rivendicare la loro autorità. All´interno dei loro confini. Per quanto cambiati profondamente, rispetto a vent´anni fa. Si veda la "grande" Germania ri-unita. Così pronta a tutelare il proprio interesse nazionale.
Certo, il crollo del muro ha allargato ad Est le frontiere d´Europa. Ci ha avvicinati all´Oriente. E ha favorito il flusso di milioni di cittadini. Attraverso confini sempre più aperti. E noi, impauriti dal numero crescente degli immigrati: ci fingiamo "padroni a casa nostra". Invochiamo altri muri. Nuovi muri. Per terra e per mare. Ma, soprattutto, erigiamo nuovi confini davanti e intorno a noi. Preferiamo non vedere. Non confonderci. Con gli stranieri: che restino tali.
La caduta del muro di Berlino, vent´anni fa. Ha allungato la nostra storia recente. Ci ha ributtato indietro, ben oltre gli anni Ottanta. Fin dentro agli anni Settanta. Con cui non abbiamo mai saputo fare i conti. Così, quarant´anni dopo, abbiamo abbattuto anche il muro del Sessantotto. Liquidato senza rimpianto da molti critici. Talora, gli stessi protagonisti di quella stagione. Non ce n´era bisogno, in realtà. Il Sessantotto era già finito da tempo. Ma al suo posto è emerso l´antisessantottismo. Di chi invoca il ritorno dell´autorità perduta. Dei padri e dei professori. Delle istituzioni e dei valori della tradizione.
Nuovi muri. Che, paradossalmente, ridimensionano trasformazioni sociali e conquiste civili importanti, che parevano irreversibili. Basta pensare alla divisione di genere. Tante lotte e tante contestazioni. Nel privato e nel pubblico. Il femminismo. Le pari opportunità. Contro la segregazione femminile nelle carriere. Nel lavoro, nelle professioni. Contro l´immagine della donna-oggetto. Per ritrovarci, oggi, in un paese di veline. Dove le misure che contano, per le donne, non riguardano certo il quoziente intellettivo. Dove la sessualità è esibita come segno di potere. Usata come merce sui media. Dove si ironizza su Rosy Bindi, «più bella che intelligente». Neanche cinquant´anni fa…
Fra tanti nuovi muri che sorgono intorno a noi, solo uno pare definitivamente crollato. Quello fra le generazioni. Padri e figli. Professori e studenti. Anziani e giovani. Duro da scalare, per i ragazzi. Marcava il cambiamento. L´innovazione sociale. Oggi non c´è più. Perché i ventenni, nati nel 1989 (come il mio figlio maggiore), sono impegnati ad affrontare il loro eterno presente. Precari per definizione. In bilico. Senza passato e senza futuro. E senza territorio, vista la loro confidenza con le tecnologie della comunicazione ("Info-nauti", li hanno definiti nei giorni scorsi Luigi Ceccarini e Martina Di Pierdomenico su Repubblica.it). Mentre gli adulti latitano e i vecchi sono scomparsi. Vista l´ostinazione con cui insistiamo a dirci tutti – eternamente – giovani.
Così, vent´anni dopo, è difficile non cogliere un po´ di nostalgia. Del Muro. Quand´era uno solo. Visibile. A modo suo, rassicurante. Capace di separare il giusto dall´ingiusto e il bene dal male. Mentre oggi che è crollato – e il mondo è più largo e più aperto – incontriamo muri ovunque. Piccoli e invisibili. Siamo noi stessi a costruirli. Per bisogno di riconoscerci. Per paura di perderci. Per paura.

Ilvo Diamanti     Repubblica 1.11.09