Il veleno
nichilista che anima il regime
Viviamo un momento politico-costituzionale certamente particolare. Questo non è
in discussione,
sia presso i fautori, sia presso i detrattori del regime attuale. Non sarà fuori
luogo precisare che, in
questo contesto, la parola regime vale semplicemente a dire - secondo il
significato neutro per cui si
parla di regime liberale, democratico, autoritario, parlamentare, presidenziale,
eccetera - "modo di
reggimento politico" e non ha alcun significato valutativo, come ha invece
quando ci si chiede, con
intenti denigratori espliciti o impliciti, se in Italia c´è "il regime". Ma
che tipo di regime? Questa è
la domanda davvero interessante.
Alla certezza - viviamo in "un" regime che ha suoi caratteri particolari - non
si accompagna però
una definizione che dia risposta a quella domanda. Sfugge il carattere
fondamentale, il "principio" o
(secondo l´immagine di Montesquieu) il ressort, molla o energia spirituale che
lo fa vivere secondo
la sua essenza. Un concetto semplice, una definizione illuminante, una parola
penetrante, sarebbero
invece importanti per afferrarne l´intima natura e per prendere posizione.
Le definizioni, per la verità, non mancano, spesso fantasiose e suggestive. Anzi
sovrabbondano, a
dimostrazione che, forse, nessuna arriva al nocciolo, ma tutte gli girano
intorno: autocrazia; signoria
moderna; egoarchia; governo padronale o aziendale; dominio mediatico; grande
seduzione; regime
dell´unto del Signore; populismo o unzione del popolo; videocrazia; plutocrazia,
governo
demoscopico. Si potrebbe andare avanti. Si noterà che queste espressioni, a
parte genericità ed
esagerazioni, colgono (se li colgono) aspetti parziali e, soprattutto, sono
legate a caratteri e proprietà
personali di chi il regime attuale ha incarnato e tuttora incarna. Ed è una
visione riduttiva, come se
si trattasse soltanto di un affare di persone; come se, cambiando le persone,
potesse cambiare d´un
tratto e del tutto la trama della politica. Invece, prassi, mentalità e costumi
nuovi si sono introdotti
partendo da lontano; sistemi di potere e metodi di governo sono stati istituiti.
Un regime non nasce
di colpo, va consolidandosi e forse andrà lontano. È un´illusione pensare
che ciò che è stato ed è
possa poi passare senza lasciare l´orma del suo piede. La questione che
ci interroga è quella di
cogliere con un concetto essenziale, comprensivo ed esplicativo di ciò che di
oggettivo è venuto a
stabilizzarsi e a sedimentare nella vita pubblica e che opera e opererà in noi,
attorno a noi e, forse,
contro di noi. Se, parlando di regime oggi, è inevitabile che il pensiero corra
a ciò che si denomina
genericamente "berlusconismo", dobbiamo tenere presente che qui non si tratta di
vizi o virtù
personali ma di una concezione generale del potere che si irraggia più in là.
Colpisce che tutti i tentativi per arrivare a cogliere un´essenza – giusti o
sbagliati che siano – si
fermino comunque ai mezzi: denaro, televisione, blandizie e minacce, corruzione,
seduzione,
confusione del pubblico nel privato e viceversa, impunità, sondaggi, eccetera.
Ma tutto ciò in vista
di quale fine? Proprio il fine dovrebbe essere ciò che qualifica l´essenza di un
regime politico, ciò
che gli dà senso e ne rende comprensibile la natura. Se non c´è un fine, è puro
potere, potere per il
potere, tautologia. Ma qui il fine, distinto dai mezzi, è introvabile.
A meno di credere a parole d´ordine tanto generiche da non
significare nulla o da poter significare
qualunque cosa – libertà, identità nazionale, difesa dell´Occidente,
innovazione, sviluppo, o altre
cose di questo genere – il fine non si vede affatto, forse perché non c´è. O,
più precisamente, il fine
c´è ma coincide con i mezzi: è proteggere e potenziare i mezzi. Una
constatazione davvero
sbalorditiva: un´aberrazione contro-natura, una volta che la politica sia intesa
come rapporto tra
mezzi e fini, rapporto necessario affinché il governo delle società sia dotato
di senso e il potere e la
sua pretesa d´essere riconosciuto come legittimo possano giustificarsi su
qualcosa di diverso dallo
stesso puro potere.
A parte forse l´autore della massima "il potere logora chi non ce l´ha",
nessuno, nemmeno il
Principe machiavelliano, ha mai attribuito al potere un valore in sé e per sé
stesso. «Il fine giustifica
i mezzi» è uno dei motti del machiavellismo politico; ma che succede se «i mezzi
giustificano i
mezzi»? È la crisi della ragion politica, o della politica tout court. È
il trionfo della "ragione
strumentale" nella politica. Siamo di fronte a qualcosa di incomprensibile,
inafferrabile,
incontrollabile, qualcosa all´occorrenza capace di tutto, come in effetti
vediamo accadere sotto i
nostri occhi: un giorno dialogo, un altro scomuniche; un giorno benevolenza, un
altro minacce; un
giorno legalità, un altro illegalità; ciò che è detto un giorno è contraddetto
il giorno dopo. La
coerenza non riguarda i fini ma i mezzi, cioè i mezzi come fini: si tratta di
operare, non importa
come e con quale coerenza, allo scopo di incrementare risorse, influenza,
consenso.
Il politico adatto a questa corruzione della vita pubblica è l´uomo senza
passato e senza radici, che
sa spiegare le vele al vento del momento; oppure l´uomo che crede di avere un
passato da
dimenticare, anzi da rinnegare, per presentarsi anch´egli come uomo nuovo. È
colui che proclama la
fine delle distinzioni che obbligherebbero a stare o di qua o di là. Così, si
può fingere di essere
contemporaneamente di destra e di sinistra o di stare in un "centro" senza
contorni; si può avere un
´idea, ma anche un´altra contraria; ci si può presentare come imprenditori e
operai; si può essere
atei o agnostici ma dire che, comunque, "si è alla ricerca"; si può dare esempio
pubblico della più
ampia libertà nei rapporti sessuali e farsi paladini della famiglia fondata sul
santo matrimonio; si
può essere amico del nemico del proprio amico, eccetera, eccetera. Insomma: il
"politico" di
successo, in questo regime, è il profittatore, è l´uomo "di circostanza" in ogni
senso dell
´espressione, è colui che "crede" in tutto e nel suo contrario.
Questo tipo di politico conosce un solo criterio di legittimità del suo
potere, lo stare a galla ed
espandere la sua influenza. Il suo fallimento non sta nella mancata
realizzazione di un qualche
progetto politico. Se egli vive di potere che cresce, anche una piccola battuta
d´arresto può essere l
´inizio della sua fine. Non sarà più creduto. Per questo ogni indecisione,
obbiettivo mancato o
fallimento deve essere nascosto o mascherato e propagandato come un successo. La
corruzione e la
mistificazione della dura realtà dei fatti e della loro verità è nell´essenza di
questo regime. Il
rapporto col mondo esterno corre il rischio di essere "disturbato". L´uomo di
potere, di questo tipo
di potere, non vede di fronte a sé alcuna natura esterna, poiché diventa ai suoi
occhi egli stesso
natura (naturalmente, lo si sarà compreso, si sta parlando di "tipo ideale",
cioè di un modello che,
nella sua perfezione, esiste solo in teoria).
Abbiamo iniziato queste considerazioni col proposito di cercare una definizione
che, in una parola,
condensi tutto questo. L´abbiamo trovata? Forse sì. Non ci voleva tanto:
nichilismo, inteso come
trasformazione dei fatti e delle idee in nulla, scetticismo circa tutto ciò che
supera l´ambito (sia esso
pure un ambito smisurato) del proprio interesse. Chi conosce la storia di
questo concetto sa di quale
veleno, potenzialmente totalitario, esso abbia mostrato d´essere intriso. Ciò
che, invece, si fa fatica
a comprendere è come chi tuona tutti i giorni contro il famigerato "relativismo"
non abbia nessun
ritegno, addirittura, a tendergli la mano.
Gustavo Zagrebelski la Repubblica 9 febbraio 2009