Il Vaticano crocifigge
Saramago
L’Osservatore Romano: “Mente uncinata dalla banalizzazione del sacro”
Storture e omissioni
Anatema sgangherato contro lo scrittore morto venerdì: “Populista
estremistico”
José Saramago ha lasciato l’isola di Lanzarote. La sua salma è stata trasferita
in Portogallo, dove dopo la camera ardente verrà cremata. Una parte delle ceneri
ritornerà nell’isola e sarà sepolta ai piedi di un ulivo. Mentre le agenzie
battevano queste notizie, ne aggiungevano un’altra: al grande scrittore
scomparso arrivava uno straordinario riconoscimento, l’attacco forsennato del
quotidiano della Santa Sede, l’Osservatore Romano, talmente
invasato nella pulsione dell’anatema da dare spurgo a una prosa sgangherata e
sbilenca. Ma la carità cristiana, si sa, messa in mano alla Chiesa gerarchica
può fare miracoli. Gli uncini di Benedetto Evidentemente i suoi
libri devono aver colto nel vivo, se il foglio del Papa sente il bisogno
di sproloquiare che “uncinata com’è stata sempre la sua mente da una
destabilizzante banalizzazione del sacro e da un materialismo libertario che
quanto più avanzava negli anni tanto più si radicalizzava, Saramago non si fece
mai mancare il sostegno di un semplicismo teologico sconfortante: se Dio è
all’origine di tutto, Lui è la causa di ogni effetto e l’effetto di ogni causa”.
Prescindendo dalla struttura sintattica di conio prepotentemente tedesco, colpisce quella “sua mente” descritta come “uncinata”, per l’assonanza hitleriana che il lapsus evoca con gioventù assai diverse da quella del grande scrittore, a parte che in italiano “una mente uncinata da una banalizzazione” o lo scrive un genio del “pulp” o te la segnano in blu in qualsiasi ginnasio. L’autore, o traduttore, del cristiano necrologio, vuole dire che il cervello di Saramago era destabilizzato dalla banalizzazione del sacro (vulgo: che era un pazzo o un coglione) o che con tale banalizzazione, coniugata col suo materialismo libertario, destabilizzava la fede dei lettori? Perché in quest’ultimo caso sarebbe un elogio.
La
teologia
Del resto “lo sconfortante semplicismo teologico” che gli viene imputato
riassume solo nella splendida forma narrativa del Vangelo secondo Gesù e del più
recente Caino le antinomie della teodicea delle quali, malgrado secoli di
sottigliezze teologiche e alpinismo sugli specchi, i dottori della Chiesa non
sono mai riusciti a venire a capo. L’“house organ” del presunto Vicario
di Cristo in terra fulmina lo scrittore per essersela presa con “un Dio in cui
non aveva mai creduto, per via della Sua onnipotenza, della Sua onniscienza,
della Sua onniveggenza” ma dimentica la infinita bontà e/o giustizia che è la
caratteristica di Dio incompatibile con l’onnipotenza, visti gli orrori di cui è
albergo il “Suo” creato, incompatibilità da cui non ci si libera con il solito
richiamo al passpartout del “mistero”, anzi delle “(di Dio) prerogative
per così dire, che ben avrebbero potuto nascondere un mistero”. Segue il puro
nonsense, razionalmente parlando, della conclusione: “Oltre che la divina
infinità delle risposte per l’umana totalità delle domande”.
Quanto al
Vangelo secondo Gesù quello che manda fuori dai gangheri L’Osservatore è
che sia costruito utilizzando tutti i dati che la critica storica delle origini
del cristianesimo considera da decenni acquisiti, da un Gesù che non si
considerò mai il Cristo (eventualmente, per alcuni, al momento della croce) a
una Maria di cui nulla sappiamo, se non che giudicava suo figlio “fuori di sé”
(Marco, 3,21). E valorizzando tutte le contraddizioni della favola teologica
realizzata nei secoli successivi, fino a Nicea e Calcedonia. Anti-logica
Ma la logica non è il forte del quotidiano vaticano e neppure il rispetto
dei fatti, visto che come botta finale rimprovera al grande scrittore
che “un populista estremistico come lui, che si era fatto carico del perchè del
male nel mondo, avrebbe dovuto anzitutto investire del problema tutte le storte
strutture umane, da storico-politiche a socio-economiche”: esattamente quello
che Saramago ha fatto, con il suo impegno inesauribile “dalla parte degli
ultimi”, dei poveri, degli emarginati, che a chi pretende di predicare il
Vangelo tutte le domeniche qualcosa dovrebbe pur ricordare.
Paolo Flores d’Arcais il Fatto 20.6.10
Addio Saramago, il mondo
è cieco senza il tuo sguardo
Fedele
alle idee: È sempre rimasto duro, combattivo e comunista
Fedele alla politica: Aveva conosciuto, in casa, la dittatura di Salazar
È morto a 87 anni il grande scrittore portoghese, autore di Memoriale del
convento e Cecità
Di recente teneva un blog per ritrovare nell’immaginazione compagni d’avventure
letterarie
Il manifesto Aveva un’antipatia mai dissimulata per Israele
La sua prosa Maestosa, avvolgente, sinuosa: ti prende per mano e ti accompagna
Lo scrittore portoghese e Premio Nobel per la Letteratura è morto all’età di
87 anni a causa di una leucemia cronica nella sua casa di Lanzarote, isola delle
Canarie, dove risiedeva dal 1991.
Saramago conobbe momenti di celebrità anche in Italia: quando apparvero i suoi
romanzi più belli, come Cecità, quando nel 1998 vinse il Nobel, quando
fece intendere che cosa pensava di Berlusconi. Scrivendo di Berlusconi divise il
suo pubblico vecchio e possibile, s’attirò accuse pesanti, si guadagnò
simpatie estreme. Ormai ottantasettenne. La sua polemica antiberlusconiana sta
in un libretto, Il Quaderno, che venne pubblicato da Bollati Boringhieri,
dopo che l’Einaudi mondadoriana l’aveva rifiutato. Censura, non si discute.
Troppo esplicito il verdetto di condanna nei confronti del nostro presidente del
consiglio e dell’italietta pecorona e volgare modellata a sua immagine.
Non tutta
l’Italia è così e Saramago lo sapeva, altrimenti non avrebbe accettato un
viaggio nella piovosissima Torino, per presentare il suo «diario». Che stupiva
già per una ragione intrinseca, per il modo con cui era nato, cioè dialogando
in un blog: che un vecchio intellettuale famoso, in marcia verso i novant’anni,
perdesse il suo tempo dietro un blog potrebbe apparire insolito...
Ho usato l’espressione «in marcia» non a caso, perché al nostro appuntamento me
lo vidi, alla lettera, marciare incontro, ritto, elegante in completo grigio,
camicia e cravatta (con la bella moglie, assai più giovane, al fianco). Era
magro, il viso scavato, calvo, mai stanco di parlare, anche se gli altri tutto
attorno trepidavano in ansia per la sua stanchezza. Mi spiegò che il blog era
un’invenzione di un cognato. Lui si era prestato volentieri a quel dialogo
quotidiano, che gli serviva per ritrovare nell’immaginazione vecchi compagni
d’avventure letterarie, per connettere tanti episodi della sua esistenza, per
introdurre temi di carattere universale, dalla fame nel mondo al potere delle
banche, per polemizzare non risparmiandosi avversari. Perché se, dicendo
dell’Italia, il suo bersaglio preferito era Berlusconi, ne aveva
pesantemente anche per la nostra sinistra, sbeffeggiata per la sua indolenza in
varie pagine, con un angolo riservato al nostro Veltroni, descritto, in modo
crudo, fragile di carattere e assai incerto nell’ideologia. A proposito
di Berlusconi ne scrisse di peggio. Citiamo: «Con la sua particolarissima
opinione sulla ragione d’essere e il significato dell’istituzione
democratica,Berlusconi ha trasformato in pochi anni l’Italia nell’ombra
grottesca di un Paese e una grande parte degli italiani in una moltitudine di
burattini...».
Francamente non mi sentirei di dissentire, ma ci sarà stato qualcuno che l’avrà
tacciato di settarismo e l’avrà accusato di non conoscere la realtà del bel
paese. Il dubbio venne anche a me e glielo esposi. Saramago teneva un’aria
seria, non sorrideva. Accettava le mie domande senza un attimo di impazienza,
rispondeva pacato e lento nella parola. Mi rispose che conosceva l’Italia grazie
ai suoi viaggi, agli amici che gli riferivano, ai giornali. Ineccepibile. Poi
c’era il blog... Ci sarebbe altro da raccontare, ad esempio l’antipatia mai
dissimulata per Israele, con qualche durezza di troppo, come nel manifesto che
firmò in nobile compagnia, con John Berger, Noam Chomsky, Harold Pinter, Gore
Vidal, l’ostilità nei confronti della chiesa portoghese e del «suo» Dio
«vendicativo, rancoroso, cattivo, indegno di fiducia», lo spregio per i
banchieri, considerati più o meno delle canaglie (s’era in piena crisi
finanziaria). Insomma Saramago, dal ritiro di Lanzarote, alle Canarie, dove ieri
è morto, non si risparmiava, duro, combattivo e comunista, come era rimasto,
fedele a un’idea più che alla sua dispersione materiale nel corso della storia.
Aveva conosciuto, in casa, la dittatura di Salazar (al partito comunista
portoghese, in clandestinità, s’era iscritto nel 1959), appena oltre confine
poteva apprezzare quella di Franco. Dopo la libertà, che arrivò con la
rivoluzione dei garofani, era rimasto un uomo all’antica, onesto, un
combattente, diventando un «grande scrittore», come lo riteneva il più grande
dei critici, Harold Bloom: un «titano» lo considerava. Certo rappresenta una
delle voci più maestose del secolo che è da poco passato. Maestosa è la sua
prosa, avvolgente, sinuosa: ti prende per mano e ti conduce tra i misteri della
vita e della storia, insegnando a guardare, moltiplicando gli sguardi lungo le
traiettorie dell’insolito, come nel suo romanzo forse più bello, Cecità,
dove la nebbia diventa la lente che costringe a seguire passaggi anomali e per
questo meglio aperti sulla verità. C’è anche ironia nelle sue pagine e c’è
soprattutto pena per una umanità fragile, destinata alla sconfitta.
osé de
Sousa Saramago era nato ad Azinhaga il 16 novembre 1922. Il padre era un
agricoltore, che, una volta a Lisbona dal 1924, aveva trovato lavoro come
poliziotto. Il fratello minore, Francisco, morì a due anni, pochi mesi dopo
l’arrivo nella capitale. Non c’erano soldi in famiglia e così il giovane
Saramago non frequentò l’università, ingegnandosi per mantenersi nei lavori
più diversi, fabbro, disegnatore, correttore di bozze, traduttore, giornalista,
fino a impiegarsi in campo editoriale, lavorando per dodici anni come direttore
letterario e di produzione. Il suo primo romanzo, Terra del peccato, del 1947,
non trovò gran fortuna. Sino alla Rivoluzione dei Garofani, nel ‘74, Saramago
visse una stagione di formazione. Pubblicò poesie (Le poesie possibili, 1966),
cronache (Di questo e d’altro mondo, 1971), testi teatrali, novelle. Il secondo
Saramago (vice direttore del quotidiano Diario de Noticias nel ‘75 e quindi
scrittore a tempo pieno), crollata la dittatura, si presentò nel 1977 con il
romanzo Manuale di pittura e calligrafia, seguito da Una terra
chiamata Alentejo, incentrato sulla rivolta della popolazione della regione
più ad Est del Portogallo. Ma è con Memoriale del convento (1982) che
ottenne il successo. In sei anni pubblicò tre opere di grande impatto (oltre al
Memoriale, L’anno della morte di Riccardo Reis e La zattera di pietra).
Gli anni novanta lo consacrarono con L’assedio di Lisbona, Il Vangelo
secondo Gesù e Cecità.
Nel 1998 il riconoscimento «ufficiale»: il Nobel. Non piacque al Vaticano
il premio ad un uomo che non s’era mai risparmiato nelle critiche alla Chiesa,
alla religione, ad un certo modo di usare persino Dio. Critiche che gli dettava
la vicenda del suo paese e della Spagna accanto.
Oreste Pivetta l’Unità 19.6.10