Il Vaticano, le leggi
italiane e l’autonomia dello Stato
Lo Stato della Città del Vaticano ha voluto ridefinire le proprie regole sulle
fonti del diritto, dunque sulle norme che costituiscono il suo ordinamento
giuridico, e la relativa legge è entrata in vigore all´inizio di quest´anno.
L´operazione è di grande importanza, come sempre accade quando uno Stato sovrano
stabilisce il perimetro della legalità, e anche perché si tratta di una materia
particolarmente rilevante dal punto di vista politico e culturale (al tema delle
fonti ha recentemente dedicato una riunione l´Associazione italiana dei
costituzionalisti). Ma la mossa vaticana ha suscitato attenzione e polemiche
perché contiene una rilevantissima novità nei rapporti tra Stato e Chiesa, tra
la legislazione della Repubblica Italiana e quella della Città del Vaticano.
Fino a ieri questi rapporti erano fondati sul principio della recezione
automatica, che portava con sé l´applicabilità delle norme italiane
nell´ordinamento vaticano, recezione «solo eccezionalmente rifiutata per motivi
di radicale incompatibilità con leggi fondamentali dell´ordinamento canonico»,
com´è accaduto per leggi come quelle sul divorzio e l´aborto. Ora, invece, «si
introduce la necessità di un previo recepimento da parte della competente
autorità vaticana», come sottolinea esplicitamente sull´Osservatore Romano il
presidente della Commissione che ha preparato la nuova legge, José Maria Serrano
Ruiz. Non più automatismi, dunque, ma un filtro, una valutazione preliminare
della compatibilità con l´ordinamento canonico di ogni singola legge italiana.
Questa è una innovazione che non può essere adeguatamente valutata ricorrendo al
tradizionale criterio dell´"indebita ingerenza vaticana" o guardando solo alla
spicciola attualità politica, e quindi interpretandola solo come una reazione a
qualche specifica vicenda italiana, come un avviso a questo o a quel partito.
Siamo di fronte ad una strategia impegnativa, che si proietta al di là di questa
o quella occasione, e che va compresa e valutata proprio in questo suo orizzonte
più largo.
Non
risultano convincenti, quindi, i tentativi di ridurre la portata della nuova
legge che qualcuno, anche da parte vaticana, ha voluto fare, dicendo che la
novità è di poco conto, visto che già prima il filtro vaticano aveva operato nei
casi di evidente incompatibilità tra principi della Chiesa e norme italiane. Si
passa, infatti, da un regime eccezionale ad uno ordinario, da una valutazione
selettiva ad una generalizzata. Prima poteva valere il silenzio, ora bisogna
attendere la parola. Peraltro, questi tentativi riduzionisti sono contraddetti
da quanto scrive lo stesso Serrano Ruiz, indicando con chiarezza l´obiettivo
della legge: la Chiesa non può «rinunciare al suo ruolo di testimonianza unica
nel concerto del diritto comparato e nella riflessione sul fenomeno giuridico
universale».
Non solo l´Italia, dunque. L´ambizione è planetaria: fare dei principi
della Chiesa l´unico criterio di legittimazione di qualsiasi norma, di qualsiasi
forma di regolazione giuridica, in ogni luogo del mondo. Un
orientamento, questo, che già era ben visibile nelle ripetute prese di posizione
dello stesso Pontefice aspramente critiche nei confronti delle Nazioni Unite e
di molti documenti giuridici da queste approvati o promossi.
All´Italia, però, sono riservate una attenzione ed una motivazione particolari,
anche perché solo per le sue leggi valeva fino a ieri il criterio della
recezione automatica. Tre sono le ragioni esplicitamente indicate per
giustificare il rovesciamento di quella impostazione: «il numero davvero
esorbitante delle leggi italiane»; «l´instabilità della legislazione civile»;
«un contrasto, con troppa frequenza evidente, di tali leggi con principi non
rinunziabili da parte della Chiesa». Quest´ultimo è l´argomento che,
giustamente, ha più colpito e ha suscitato le maggiori polemiche, ma pure gli
altri due meritano qualche riflessione.
Si è detto che il riferimento all´inflazione legislativa è pretestuoso, visto
che questa esiste ed è ben nota da molti anni. Perché accorgersene oggi, ha
protestato il ministro Calderoli, proprio nel momento in cui è stata imboccata
la via della semplificazione cancellando 36.100 leggi? Si potrebbe osservare che
all´eccesso di legislazione non si risponde soltanto con qualche potatura,
ricordando ad esempio la ben diversa esperienza francese in materia. E, d´altra
parte, la riforma vaticana prende il posto di una legge del 1929, sì che doveva
tener conto di quanto è accaduto tra allora e oggi.
Più significativo, e insidioso, è il secondo argomento. L´instabilità della
legislazione civile è giudicata «poco compatibile con l´auspicabile ideale
tomista di una lex rationis ordinatio, che, come tutte le operazioni
dell´intelletto, cerca di per sé l´immutabilità dei concetti e dei valori».
Questa radicale affermazione arriva in un tempo in cui il sistema delle fonti,
sotto tutti i cieli, conosce un mutamento profondo, proprio per poter dare
risposte adeguate ad una realtà incessantemente mutevole, non solo sotto la
spinta delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, ma di profonde
trasformazioni sociali e culturali. Si scambia per instabilità la
necessaria flessibilità delle regole, la capacità di assumere il nuovo e di
incorporare il futuro, che implica anche la necessità di sottoporre a critica
concetti e categorie del passato, anche per far sì che valori ritenuti
fondamentali, affidati soltanto ad una logica conservatrice, non vengano
travolti.
L´argomento dell´instabilità si congiunge così con quello del contrasto con
«principi non rinunziabili da parte della Chiesa». Nel modo in cui è formulata
quest´ultima critica si coglie una esplicita polemica con la più recente
legislazione italiana, visto che si afferma che questo contrasto si sarebbe già
verificato «con troppa frequenza». Ma a quale legislazione si allude, poiché
proprio le norme più recenti sono piuttosto fitte di compiacenze, per non dire
di cedimenti, verso le richieste o le pretese vaticane? Qui siamo in presenza di
un ammonimento, e non di una constatazione; di un perentorio invito a non fare
più che ad una critica del già fatto.
Un alt così netto alla libertà di determinazione del Parlamento italiano
non era stato mai pronunciato, neppure in quegli Anni 70 quando v´erano più
fondati motivi di risentimento, non solo per le leggi su divorzio e aborto, ma
pure per la riforma del diritto di famiglia, invisa a molti ambienti cattolici
perché finalmente realizzava la parità voluta dalla Costituzione tra i coniugi e
tra i figli nati dentro o fuori del matrimonio. Si ripeterà, com´è ormai d´uso,
che le parole della Chiesa sono legittime. Ma è legittimo, anzi è doveroso,
valutarne gli effetti. Si fa così tutte le volte che non si vuole sottostare ad
un diktat.
L´annuncio è chiaro. Il mondo è grande, ma l´Italia è vicina. La sua
legislazione, da oggi in poi, sarà sottoposta ad un continuo "monitoraggio
etico", accompagnato da una sanzione: non entrerà a far parte dell´ordinamento
canonico tutte le volte che il legislatore italiano sarà colto in flagrante
peccato di violazione dei «principi non rinunciabili da parte della Chiesa».
Formalmente tutto può essere ritenuto in regola: uno Stato sovrano deve poter
sottrarsi alle logiche altrui. Ma quali possono essere le conseguenze politiche
e culturali di questo atteggiamento?
La politica italiana è debole, stremata. Qui la nuova linea vaticana può entrare
in maniera devastante, aprendo conflitti di lealtà per i cattolici, stretti tra
il loro dovere di legislatori civili e l´annuncio preventivo che leggi
ragionevoli e miti, poniamo quelle sul testamento biologico o sulle unioni di
fatto, non supereranno il test di compatibilità introdotto dalla nuova normativa
vaticana. Per poter reagire dignitosamente, come si conviene ai parlamentari
di un paese non confessionale, servirebbe un senso dello Stato che sembra
perduto, qui dovrebbe fare le sue prove una laicità che non può ritenersi
consegnata al passato. Servirebbe soprattutto la consapevolezza, smarrita, che
l´unico filtro ammissibile è quello della conformità alla Costituzione, vero
"principio non rinunciabile" in democrazia.
Ma il conflitto di lealtà può andare oltre le mura del Parlamento, devastare una
società già divisa, dove già si manifestano impietose obiezioni di coscienza,
dove davvero "pietà l´è morta" pure di fronte a casi, come quello di Eluana
Englaro, che esigerebbero rispetto e silenzio. E che esigono rispetto perché
espressivi di un quadro di diritti che si vuole radicalmente revocare in dubbio.
Di questo dobbiamo discutere. Dell´autonomia e della laicità dello Stato, del
destino delle libertà.
Stefano Rodotà Repubblica 5.1.09