Le nostalgie della Chiesa. Un Sinodo preconciliare
Quattro “no”. Questo il prodotto del Sinodo dei vescovi, primo dell’èra
Ratzinger, che si è riunito in Vaticano per venti giorni. No
all’intercomunione con i cristiani di altre confessioni. No alla
comunione per i divorziati risposati (che però possono, anzi devono,
partecipare alla messa). No ai politici che appoggiano leggi contrarie
all'etica. No all’ordinazione di uomini sposati, malgrado la
preoccupazione per la mancanza di sacerdoti.
I 256 vescovi di tutto il mondo, pur con significative eccezioni,
sembrano smentire chi addebitava la chiusura della Chiesa su certe
tematiche a un eccessivo centralismo papale. Benedetto XVI, con gesti
inconsueti e significativi, ha voluto concedere massima libertà ai
prelati: discussioni libere ogni giorno (senza obbligo di presentare
prima il testo), stampa fuori dalla porta, affinché i padri si
sentissero liberi di dire tutto ciò che pensavano, e pubblicazione
integrale delle conclusioni, le cosiddette “propositiones” al Papa che e
rano sempre rimaste segrete. Insomma, una grossa occasione per
l’episcopato mondiale di dire la propria, dopo il quarto di secolo
wojtyliano caratterizzato dall’adeguamento ai diktat vaticani. Invece,
alla fine, con grottesca pervicacia, lo scrutinio segreto ha fatto
saltare persino l’innocuo emendamento proposto da un vescovo africano
che introduceva la formula “sorelle e fratelli” invece del classico
“fratelli e sorelle”, per dare un tocco di femminismo.
Il documento che esce dal Sinodo, 25 paragrafi più la conclusione, è
desolante. Una stoccata al Concilio nel passo sulla liturgia, che
registra “molti abusi” proprio in seguito all’introduzione di forme
liturgiche adattate alle singole realtà, a partire dalla lingua. Da qui
la proposta, vecchio cavallo di battaglia dei conservatori, di un
ritorno al latino se non altro nelle cerimonie internazionali. Ribadito
poi il “no” ai divorziati risposati: niente comunione per loro, sebbene
“si ribadisce che non sono esclusi dalla vita della Chiesa”. Anche su
questo il Sinodo chiude la porta a quelle frange dell’episcopato,
soprattutto africano, che aveva chiesto un alleggerimento del divieto,
anche nel timore che i divorziati risposati, emarginati dall’eucarestia,
finiscano in mano alle sètte che proliferano nel continente nero.
Clamoroso, in particolare, lo scontro tra il cardinale Scola, che ha
ribadito che la comunione “non è un diritto” (suggerendo implicitamente
che è la Chiesa a decidere a chi darla e a chi no) e Julian Herranz,
presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, secondo il
quale, pur tra la "gran diversità di situazioni irregolari (...) tutti
sono da seguirsi con amorevole pazienza e sollecitudine pastorale, per
cercare di renderli regolari e per evitare che nessun fedele si
allontani dalla Chiesa, o si consideri persino scomunicato".
Ma la partita non è chiusa, almeno sentendo le parole di ieri del
cardinale Walter Kasper: “I divorziati risposati sono un coce nte
problema pastorale, io sono stato vescovo per dieci anni e ogni vescovo
in qualsiasi paese dell'Occidente sa che questo è un grave problema".
Infine, ha concluso: "Non posso immaginare che la discussione sia
chiusa: è una realtà che esiste e si deve riflettere su come
rispondere".
Altro tema spinoso, quello del celibato dei sacerdoti. E anche qui le
discussioni sono state accese, ma alla fine è prevalso il “no” secco,
malgrado l’opposizione di tutti i patriarchi orientali, le cui Chiese,
unite a Roma, consentono il matrimonio dei preti. Questo perché, come ha
ricordato Sua Beatitudine Gregoire Laham, patriarca di Antiochia dei
greco-melkiti, il celibato non è un dogma di fede, ma una norma
introdotta solo attorno all’anno 1000 da Roma per contrastare il
crescente fenomeno della corruzione e del nepotismo nel clero. L’alto
prelato ha anche ironizzato sul fatto che nella sua diocesi i due riti
convivono, e che se due seminaristi di rito latino e greco-cattolico “si
inn amorano entrambi di brave ragazze, uno solo di loro potrà ricevere i
complimenti e l'incoraggiamento dal suo vescovo. Per l'altro solo
mazzate". Lo stesso Kasper, sempre nelle sue dichiarazioni di ieri, ha
aperto alla possibilità che i “viri probati” (uomini di una certa età,
sposati e dalla vita di provata rettitudine) possano prendere i voti.
Tuttavia, su questo il Papa non ha sentito ragioni, invitando anzi i
preti a “ravvivare il loro impegno di fedeltà”. Ma l’attacco più duro,
per l’opinione pubblica laica, è quello ai politici favorevoli a leggi
considerate contrarie all’etica cattolica, come l’aborto. Ai quali il
cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del pontificio consiglio
per la famiglia, ha lanciato un vero e proprio ricatto: “I politici e i
legislatori devono sapere che proponendo o difendendo leggi inique, che
non tutelano la famiglia, come divorzio, coppie di fatto o matrimoni tra
gay, devono porre rimedio al male fatto per poter accedere alla
comunione” .
Insomma, il Sinodo alla fine si è risolto come una grande prova di forza
della Curia romana. Il messaggio che ne esce è che i vescovi sono più
realisti del re. Risultato per certi versi scontato, se si pensa che
tutti i prelati che hanno partecipato sono stati nominati e spesso
“formati” da Wojtyla, e assuefatti a concepire il loro ruolo (che
teoricamente è di enorme importanza, in quanto derivante direttamente
dai 12 apostoli) come una sorta di “prefettura”, di rappresentanza
locale del potere centrale.
A fugare i dubbi, è poi intervenuto il Papa stesso, in pieno Sinodo,
confermando col suo discusso messaggio al convegno di Norcia organizzato
da Marcello Pera qual è la linea da seguire. La Chiesa deve essere
monolitica, il Concilio è un incidente di percorso di cui parlare il
meno possibile, le imposizioni più controverse (tutte, si badi bene,
dovute a contingenze storiche e non dogmatiche) vanno brandite contro la
“dittatura del laicismo”. La Chiesa pretende di co llocarsi saldamente
al centro della vita non solo religiosa ma politica dei paesi,
soprattutto il nostro. Come ha ammonito Ratzinger nell’omelia di
domenica durante la canonizzazione di cinque santi: “Anche per i laici
la spiritualità eucaristica deve essere l'interiore motore di ogni
attività, e nessuna dicotomia è ammissibile tra la fede e la vita nella
loro missione di animazione cristiana del mondo”. Più chiaro di così.
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