Il
vangelo secondo Ratzinger
Vaticano. La riforma della Chiesa di Benedetto XVI. L'apertura ai
lefebvriani e la chiusura verso la teologia della liberazione
“In ogni
famiglia ci sono tanti punti di vista”. Il cardinale Hoyos, presidente della
commissione Ecclesia Dei, ha sintetizzato così l’esito della discussione di ieri
al Consulto tra i porporati sul rientro dei lefebvriani. Un eufemismo
tipicamente curiale, che nasconde la reale portata dei fatti: si sarebbe
trattato, riportano fonti vaticane, di una discussione piuttosto accesa, che ha
visto contrapposte, come al solito, le due fazioni della Chiesa di Roma: i
progressisti, che si opponevano a un ritorno tout court degli ultrareazionari
seguaci di Lefebvre senza un’ammissione di errore, e i conservatori, ormai
largamente prevalenti in Vaticano, che ne chiedevano l’immediata riammissione.
Qualcuno tra i più audaci, come riporta il vaticanista di Repubblica Marco
Politi, avrebbe persino chiesto per la Fraternità di San Pio X la prelatura
personale, l’analogo, inedito privilegio concesso vent’anni fa da papa Wojtyla
alla amatissima Opus Dei. Davvero troppo persino per i vari Ruini e Sodano.
Anche perché Martini, l’ex arcivescovo di Milano riconosciuto tuttora come il
leader spirituale degli “innovatori”, ha detto chiaro e tondo che i lefebvriani
possono rientrare all’ovile solo dopo un’accettazione esplicita del Concilio.
Una soluzione apparentemente lontana, dato che i lefebvriani, scomunicati da
Giovanni Paolo II 20 anni fa, non riconoscono praticamente nulla del Concilio:
la riforma liturgica, il ruolo dei laici, la collegialità episcopale,
l’ecumenismo, lo stato laico, e chi più ne ha più ne metta. Dice bene il
superiore generale della Fraternità, mons.Bernard Fellay: “Roma esamini questi
principi mortiferi nella Chiesa, per eliminarli: il liberalismo, il modernismo,
che sono entrati nella vita della Chiesa e che uccidono veramente la vita
cristiana, e che si esprimono nella collegialità, nell'ecumenismo, nella libertà
religiosa e nel concetto dello stato laico”.
Già, perché per i reazionari seguaci di Lefebvre “è del tutto evidente che la
società civile deve essere in armonia con la società della Chiesa”. Leggendo
queste dichiarazioni pubbliche, che risalgono al 2 febbraio scorso, viene da
chiedersi: saranno i lefebvriani ad avvicinarsi alla Chiesa di Roma o è quest’ultima,
già da diversi anni, che lentamente ma inesorabilmente sta scivolando sulle
posizioni pre-conciliari che farebbero felice il defunto vescovo francese? Basti
pensare che i seguaci di un movimento così reazionario, così orgogliosamente in
contrasto con l’enorme svolta conciliare (un contrasto in odor di eresia,
essendo i decreti conciliari proclamati solennemente), sono “attesi a braccia
aperte dalla Chiesa”, come ha esclamato il cardinale Castrillon Hoyos, il gran
negoziatore di questi giorni, ultraconservatore a sua volta nonché illustre
membro dell’Opus Dei.
Forse sono ancora parenti scomodi, ma la famiglia è la stessa, quella di una
Chiesa romana arroccata ormai su posizioni teologiche di pura e semplice
restaurazione. Un fronte variegato, che spazia dai singulti veteropapalini dei
lefebvriani e di Militia Christi al tradizionalismo legalitario dei Biffi e dei
Sodano, dal rampantismo postmoderno dell’Opus e dei movimenti spiritualisti
(Legionari di Cristo, Cl, Focolarini, Cursillos) fino ai “pentiti”
postconciliari, già sostenitori dell’evento voluto da Roncalli e ora intenti nel
delegittimarlo mattone dopo mattone. Tra questi, naturalmente, lo stesso
Ratzinger. Il programma del vasto schieramento? Basta leggerlo sulla rivista
tradizionalista Cattolica, già nel 2003: “Il progetto è la transizione tra il
presente stato postconciliare e la riorganizzazione della Chiesa secondo un modo
sostanzialmente tradizionale”. Ecco dunque la controriforma liturgica (il
ritorno del canto gregoriano, l’uso sempre più massiccio del latino, il richiamo
a formule ottocentesche, l’abolizione dei canti moderni) portata avanti proprio
da Hoyos e in parallelo il pugno di ferro dottrinale esercitato dall’allora
cardinal Ratzinger contro le deviazioni figlie proprio del Concilio. Fino alla
Teologia della Liberazione, soffocata brutalmente e sconfessata platealmente
dallo stesso Wojtyla nei suoi viaggi latino-americani: l’equazione “Chiesa dei
poveri uguale marxismo”, falsa e tendenziosa, lasciò soli decine di preti e
vescovi latinoamericani nella loro lotta contro lo sfruttamento capitalistico,
fino alla tragica morte di mons. Romero, nel 1980. Evidente, e ingiustificabile,
appare dunque la differenza di trattamento che la Chiesa romana ha riservato
alle opzioni più “innovatrici” del cattolicesimo moderno, sempre soffocate e
ridotte al silenzio, rispetto alla singolare tolleranza che ha concesso a quelle
più apertamente reazionarie.
Ma si diceva della riorganizzazione della Chiesa, uno dei pilastri di quella
che, in Vaticano, chiamano sarcasticamente “la riforma della riforma”. Proprio
ieri ne ha parlato Sodano ai cardinali, ma i contenuti sono ancora segreti.
Quello che si sa è che Ratzinger non ci andrà leggero. La Curia, nei suoi piani,
deve perdere molto del suo potere. A partire dalla berretta cardinalizia, non
più assegnata automaticamente ai curiali più importanti. E poi il blocco dei
tentativi di dialogo interreligioso con l’Islam, attuato con l’improvvisa
destituzione di Fitzgerald da presidente del Consiglio apposito. Un cambio di
rotta che avvicina sempre più il Vaticano a Israele. Un altro elemento che fa
pensare a un’imminente uscita di scena dello stesso Sodano, da vent’anni potente
Segretario di Stato, ma decisamente filopalestinese. Ma al di là degli uomini,
sono le funzioni che cambieranno: accorpamenti di dicasteri (e a farne le spese
sarà proprio quello per il dialogo interreligioso), razionalizzazione,
semplificazione. Così si muoverà Benedetto XVI, che starebbe pensando anche alla
fine del lungo regno di Navarro Valls, onnipresente portavoce della Santa Sede,
per dare più potere al consiglio per le Comunicazioni Sociali. Alla fine,
potrebbero esserci comunque almeno sette o otto “ministri” del papa in meno. E
poi si attende la defenestrazione dello stesso Sodano. Grossolana la sua manovra
anti-Ruini del febbraio scorso, quando al compimento dei 75 anni di quest’ultimo
Sodano spedì, in forma riservatissima, una lettera a tutti i vescovi italiani
per chiedere loro un pronunciamento sul successore. Saputolo, il papa sarebbe
andato su tutte le furie, affrettandosi a confermare Ruini ai vertici della Cei.
Troppo vicini i due, troppo affini nel loro piano di riforma spirituale e
politica della Chiesa.
Paolo Giorgi AprileOnLine n.130 del 24/03/2006